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Poste Italiane SpA – Sped. In abb. Post. – DL 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N° 46) Art. 1, com. 2, DCB PG. Tassa pagata.
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Mensile di cultura religiosa e popolare
la nave va in acque paludose
Da dodici secoli sulla via di Santiago
di Ulderico Bernardi
Itinerari dello spirito: l’Anno Santo Giacobeo
Italia oggi
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iriamo l’orecchio agli ultimi brontolii (si spera) di una crisi canaglia, scatenata sulle teste di milioni e milioni di innocenti lavoratori del mondo dalla forma più abietta dell’economia, la speculazione finanziaria. Indifferente ai bisogni delle comunità e al collasso delle relazioni sociali. Tesa solo a realizzare in fretta il massimo profitto, a danno di chicchessia. Qualcuno sperava che dalla bufera uscisse una luminosa schiarita nei modelli di sviluppo, con stili di vita finalmente improntati alla sobrietà e consapevoli della responsabilità solidale. Forse è presto per abbandonare l’illusione. Anche se molti segni avvertono che la svolta fatica a compiersi. Il male, ammonisce la cultura popolare dei proverbi, arriva a chili e se ne va a once. Lo scadimento morale di questi anni è stato impressionante. Quella che Pier Paolo Pasolini chiamava mutazione antropologica, del popolo sembra essersi imposta in modo devastante. Ha investito tutti i campi dell’umano vivere: l’economia, dove l’etica degli affari rimane, più che altro, un richiamo teorico, specie per i grandi capitali; ha sconvolto costumi secolari: basti pensare alla caduta verticale dei matrimoni, sostituiti da unioni precarie, con la crescita precipitosa delle separazioni e dei divorzi, che lasciano figli allo sbando e generano solitudini angosciose. Ma soprattutto ha diffuso tra le giovani generazioni delle visioni del mondo imperniate sull’idea di arricchirsi comunque e in fretta.
Come difendersi dalle insidie dei manipolatori Laura Di Teodoro alle pagine 12 e 13
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All’interno
Il Presidente che picconava Ma i messaggi di Cossiga non furono purtroppo raccolti Gino Carrara a pagina 6
Amori usa&getta La ginecologa Vera Spagnoli: sessualità senza riflettere Laura Di Teodoro a pagina 9
Il
paese degli strafalcioni
Italiano sempre più maltrattato a scuola e non solo Anna Carissoni a pagina 10
Paese che vai TV che trovi Milioni di pellegrini si riversano ogni anno, da dodici secoli a questa parte, nella città di Santiago di Compostela, in Spagna. Ricorre, in questo 2010, l’Anno Santo Giacobeo. È un luogo di memoria e di identità per i cristiani e per le radici dell’Europa. Uno scrittore ci fa respirare e assaporare il cammino verso Santiago. Ulderico Bernardi a pagina 3
La rivoluzione del digitale e i nuovi programmi Gino Carrara a pagina 15
Figli cresciuti, ruolo ritenuto concluso…
Da Assisi al cielo
La crisi dei cinquantenni adolescenti di ritorno
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➢ continua a pagina 14 Docente di Sociologia, Università Ca’ Foscari, Venezia
Anna Oliverio Ferraris
Anno 53 - Ottobre 2010 / n. 10
Attualità di San Francesco Il nostro tempo ha bisogno di esempi forti di costruttori di fede, speranza e carità, testimoni coerenti del Vangelo. Sentiamo il richiamo alla santità. Dopo più di ottocento anni San Francesco “continua a parlare e a commuoverci con le sue parole e la sua vita”, ha scritto Susanna Tamaro, celebrando il poverello di Assisi come uno spirito che continua a diffondere le armonie di un inno all’amore per Dio, per l’uomo e per il creato. Nell’immagine il “Pianto delle Clarisse” (ciclo giottesco). Giuseppe Zois a pagina 4
a famiglia è un mondo in movimento. Cresce giorno dopo giorno. E, giorno dopo giorno, fa crescere. Non si è mai famiglia una volta per tutte. Ma ogni giorno ci si adegua, ci si aggiusta, ci si misura e ci si confronta. E si cambia. Intorno alla coppia, innamorata, felice, carica di aspettative che ne formano il nocciolo, si tessono, nel tempo, tutta una serie di relazioni che vedono i figli al centro. La loro attesa, la loro mancanza, il loro arrivo, la loro crescita, le malattie, i problemi, la scuola, i parenti, gli amici, la Prima Comunione, le attività del tempo libero... E gli anni procedono veloci e ritmati dall’apertura e dalla chiusura delle scuole, dei saggi di fine anno, dalle pagelle e dalle vacanze tutti insieme al mare. Poi all’improvviso, senza neppure troppe avvisaglie, i figli
sono cresciti. Tutto ad un tratto hanno 18 anni, degli amici con cui rivendicano di andare in vacanza, un fidanzato con cui vogliono andare a convivere e una vita loro da vivere. E per noi genitori, che per anni abbiano trottato allegri e felici al loro fianco, come instancabili segugi, sempre pronti, sempre fedeli, sempre sul punto di buttare la pasta, si spalanca un tempo diverso. Corinne Zaugg
➢ continua a pagina 14
Campo e spalti
Per il calcio una medicina di nome fair play Gino Carrara e Enzo Dossico alle pagine 16 e 17
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Il campione di motociclismo è passato alla Ducati
O Valentino vestito di rosso Con lui il made in Italy alla conquista del mondo
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er il padre del “dottore”, Graziano - il quale pure fu un centauro di spicco negli anni ’70 del ‘900 -, si è compiuta una “magia”. Per Gabriele Del Torchio, presidente della Casa che adesso se ne è assicurata le prestazioni, si è avverato un “sogno”. Nelle prossime due stagioni, dunque, Valentino Rossi, nel campionato delle moto GP, correrà su una Ducati. In molti lo prefiguravano, in chiusura di carriera, al volante di una rossa a quattroruote di Maranello; lui ha optato, invece, per la rossa a due ruote di Borgo Panigale (Bologna). Dopo sette stagioni, il “fenomeno” pesarese ha deciso di lasciare la Yamaha, ome e perché sulla quale il fenomeno era salito ha cambiato moto nel 2004. Coerente con il suo stile - tendente ai gesti inconsueti - si è congedato (ufficialmente) - in quello che i cronisti hanno definito il D-Day, nello scorso Ferragosto con una “lettera d’amore” scritta a mano: nella missiva ha dato libero sfogo ai sentimenti di gratitudine, ma ha, altresì, rimarcato i propri meriti nel rendere competitiva ai livelli più alti (quattro titoli mondiali) una moto che, quando lui vi salì, tale non era. Perché il funambolico corridore di Tavullia si è orientato a cambiar casacca (pur mantenendo il “suo” numero
46)? “Ho bisogno di nuovi stimoli - ha risposto Valentino Rossi ai curiosi -. Cerco nuove sfide”. In realtà ha capito che la Yamaha sta ormai puntando sull’asso emergente Jorge Lorenzo (di 8 anni più giovane del “dottore”). E forse anche la ventilata riduzione dell’ingaggio lo ha convinto a far le valigie in direzione della Ducati, che gli ha garantito un trattamento di 13 milioni annui per due stagioni. Nel 2011 saranno parecchi i cambiamenti nello schieramento delle moto GP (a partire dall’ex ducatista Casey Stoner in sella ad una Honda). I fans di questo sport
stanno, già da tempo, pensando alle “battaglie” spericolatissime che si vedranno tra i non pochi giovani e grintosi “galli”, di recente emersi (Jorge Lorenzo e Casey Stoner, appunto, più i vari Daniel Pedrosa, Andrea Dovizioso e altri) e l’ormai “vecchio” (trentaduenne) Valentino Rossi, determinato però - per molteplici ragioni - a… non mollare l’osso. Alla Ducati non hanno certo nascosto l’intendimento di puntare ai gradini più alti dei podî, per ripetere, almeno in parte, quanto avvenne tra il 1966 e il 1972, allorché, per sette stagioni consecutive Giacomo Agostini .
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vinse il “mondiale” (classe 500) con la MV Augusta, moto nata da un’azienda fondata nel 1907, presso la Cascina Costa di Samarate (Varese), inizialmente applicatasi alle costruzioni aeronautiche e, dal 1945, con una fabbrica eretta a Verghera, dedicatasi, anche, alla produzione di veicoli a motore a due ruote. “Il doppio inno nazionale italiano dopo una gara ‘mondiale’ - ha commentato nel D-Day Giacomo Agostini, auspicando che il ‘dottore’, con la Ducati, riesca a mettersi sulle sue orme - è un emozione inimmaginabile!”. “Ago”, nato nel 1942 al confine tra le province di Brescia e Bergamo, resta una “stella” ineguagliata del motociclismo italiano: 360 corse vinte, successi in 123 dei 190 Gran Premi disputati, 15 titoli mondiali (in due classi), 10 Tourist Trophy, 18 titoli italiani. Valentino Rossi per ora è a quota 9 titoli mondiali: tanti quanti ne conquistò negli anni ’50, anch’egli su una MV Augusta, il bergamasco Carlo Ubbiali, nato nel 1929 e ritiratosi dall’attività nel 1960, a 31 anni, quando morì il fratello Maurizio, suo manager e consigliere. Arturo Consoli
Valentino Rossi, uomo simbolo del motociclismo che vince, è passato dalla Yamaha alla Ducati: l’immagine è assicurata, c’è da aspettare che torni il successo.
Sogni in sella prestigio da ritrovare La storia del marchio di Borgo Panigale
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perano fortemente clamorose affermazioni dal binomio Rossi-Ducati, oltre agli sportivi, tutti coloro che hanno a cuore il “made in Italy” nel mondo. Il “dottore” è uno dei pochi nostri connazionali davvero universalmente conosciuti. La Ducati, dal canto suo, è l’unica casa motociclistica italiana che (nel 2007, con Casey Stoner, australiano) è riuscita a battere le case giapponesi nel “mondiale” delle moto GP. Avviata nel 1926 a Bologna dall’ingegner Antonio Cavalieri Ducati, l’azienda agì inizialmente nel campo delle componenti per telecomunicazioni. Nel 1946 a Borgo Panigale, fu creato il reparto motociclistico e, nelle euforie della ricostruzione postbellica, fece colpo e cospicui
affari con il ciclomotore “Cucciolo”, del quale vendette, rapidamente, più di 250 mila esemplari. La società cambiò più volte proprietà. Arrivarono pure gli americani. Dal 2005 è tornata in mani italiane. Scattò nel 2001-2002 l’idea di un impegno nella classe più prestigiosa dei “mondiali” motociclistici. Grazie a Loris Capirossi arrivarono, a partire dal 2003, le prime affermazioni. Non ha avuto fortuna Marco Melandri, ingaggiato dalla Ducati un paio di anni or sono. Adesso scende in campo il “dottore”. Riuscirà - con un mezzo che già è assai competitivo - a fare quello che dal 2004 in qua ha realizzato con la Yamaha? E magari di più? (a.c.)
Esame per tutti
Se vogliamo promuovere la scuola
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ripartita la macchina della scuola. Un altro anno fra i banchi per allievi, docenti, famiglie. Un problema che non potrà più a lungo essere disatteso e tenuto nei cassetti è quello del calendario scolastico, che pure va riformato e radicalmente. In altri Paesi vi hanno posto mano da tempo e, in qualche nazione vicina a noi, la scuola comincia a inizio agosto. “L’Italia l’è longa”, imprecava quasi Gianni Brera, e questo va senz’altro tenuto conto: quando a Bolzano si va già ben coperti, a Palermo si fa ancora il bagno al mare. Differenziamo pure, importante è che ci sia volontà di procedere. La globalizzazione, la tecnologia, la mobilità, la comunicazione hanno stravolto, come uno tsunami, un mondo di modalità, abitudini, tradizioni che reggevano da tempo immemorabile. Noi, nell’Occidente che continuiamo a ritenere avanzato, andiamo avanti, ancora, con l’impostazione della civiltà contadina e relative stagioni. Oggi, per prendere contatto con la civiltà contadina occorre andare al Museo, e i è necessità bambini di città, quando vedo- di rivedere no una mucca il calendario vera al pascolo, chiedono come mai non sia viola come quella della pubblicità di una certa marca di cioccolato! Nel presente, in casa non c’è più nessuno, scomparsi anche i nonni e, quindi, molti bambini sono soli e vengono parcheggiati di qua o di là. Per fortuna, ci sono le parrocchie che da anni si fanno benemerite promotrici dei campi ricreativi estivi. Si può riorganizzare, verbo che non significa in alcun modo caricare - prevengo la reazione istintiva di categoria - sulle spalle dei docenti ulteriori gravami. Chi fa seriamente il proprio lavoro, ed è la stragrande maggioranza della classe docente, ha già il suo bel carico. Si consideri, poi, che due o, anche, tre mesi di vacanze, da metà giugno a metà settembre (dipende dalle regioni), sono troppi e controindicati per i ragazzi. Si mantenga pure lo stesso numero di giorni di vacanza, se i responsabili ritengono che sia il caso, ma che questi giorni vengano distribuiti diversamente sul calendario. E in fine, la scuola non è un pianeta a parte, dove ogni giorno si fanno planare i figli, gli studenti, che, poi a sera, riprendono la navicella spaziale per far ritorno sul pianeta casa: la scuola siamo tutti noi e non possiamo consentirci la libertà o il lusso di lasciarla sulle spalle dei dirigenti, dei docenti e degli studenti. Questo è il punto di partenza irrinunciabile per ogni e qualsiasi intervento sulla scuola: la prima autorevolezza incomincia dall’assunzione di questa responsabilità. A ciascuno la propria. (e.t.)
C’
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Per milioni di pellegrini
Santiago memoria e identità Servizio di Ulderico Bernardi
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n viaggio all’origine dell’appartenenza. Passo dopo passo, nel respiro cadenzato della preghiera silenziosa del solitario, o nella recita condivisa, ad alta voce, nella fila pellegrinante. Un modo offerto al cristiano per rinascere alla fede e alla consapevolezza di essere parte d’una civiltà orgogliosa di avere diffuso nel mondo la Parola. E uno spiraglio aperto sull’Eterno, in fondo al lungo Camino de Santiago, che ha termine nella città di Compostela. L’Anno Santo Giacobeo di questo 2010 si va concludendo. Per il prossimo si dovrà attendere il 2021, continuando
Fede&Storia
una tradizione nata nove secoli fa, che si ripete per tutti gli anni in cui la festa di San Giacomo, il 25 luglio, cade di domenica. L’indulgenza plenaria, offerta al pellegrino che giunge al Santuario galiziano, conferma l’importanza straordinaria che questo luogo
santo ha avuto, ed ha, attraverso i secoli. La devozione resa alle reliquie dell’Apostolo, che con il fratello Giovanni Evangelista, seguì il Cristo per farsi pescatore di uomini, è divenuta parte importante dell’identità spagnola ed europea.
Il simbolo I pellegrini che raggiungevano Santiago testimoniavano il loro viaggio con la conchiglia che è rimasta icona del santuario. Qui, attorno al Mille, nacque l’inno “Salve Regina”.
Da dodici secoli itinerario dello spirito Santuario sorto nel Campo della Stella
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Uomini di fede e persone da ogni dove
Sulla via di san Giacomo, popoli alla ricerca dell’identità cristiana
a dodici secoli, milioni di pellegrini hanno indirizzato i loro passi verso la basilica sorta nel campo dove una prodigiosa luce come di stella, nell’estate dell’813 fece ritrovare all’eremita Pelagio la sepoltura di Giacomo. Di qui il nome della città che vi è sorta attorno: Campus Stellae, nel tempo del passaggio dalla parlata latina al volgare divenuta Compostella. San Giacomo fu il primo, tra gli immediati compagni di Gesù, a subire il martirio in Palestina. Di qui, con un miracoloso trasferimento, la barca dov’era stata collocata la venerata spoglia, raggiunse la costa settentrionale della penisola iberica, non lontano dal promontorio che per i latini segnava la fine del mondo conosciuto: Finis terrae, in faccia all’Oceano. Con i palmieri, che ritornavano dalla visita al Sepolcro
Seguendo di notte la Via Lattea
di Cristo in Terra Santa, recando come segno un ramo di palma, e i romei, che scendevano a Roma, centro della cristianità, i pellegrini che in lunghe marce raggiungevano Santiago, testimoniavano il viaggio compiuto recando una conchiglia raccolta sulla spiaggia atlantica. Un simbolo sacro, uno stemma dalla costolatura come raggi del
sole, che irradia santità sul petto del pellegrino. È la coquille Saint Jacques dei francesi, la Capa Santa dei veneti. Che Papa Innocenzo VI volle nel suo stemma. Simbolo, con le sue due valve, dell’attaccamento a Dio e dell’amore per il prossimo. Un’accumulazione di grazie, da quei secoli lontani, ha confermato la luminosa potenza della santa reliquia. Qui, intorno al Mille, il vescovo Pedro de Mezonzo scrisse l’inno Salve Regina che ancora rivolgiamo alla Vergine. Alla tomba del Santo, ebbe a ricordare Giovanni Paolo II, convennero Francesco Volge al termine l’anno Giacobeo, con il cuore nella città di Santiago de Compostela. Nell’estate dell’813, il prodigio di una stella fece ritrovare all’eremita Pelagio il luogo galiziano, dov’erano sepolti i resti dell’Apostolo Giacomo, fratello di Giovanni.
d’Assisi, Re e Imperatori. “L’intera Europa - affermò il Papa, nel discorso tenuto a Santiago in occasione del precedente Anno Santo Giacobeo - si è ritrovata intorno alla memoria di Giacomo in quegli stessi secoli nei quali essa si costruiva come continente omogeneo e spiritualmente unito. Per quello, lo stesso Goethe affermerà che la coscienza d’Europa è nata pellegrinando”. I pellegrini richiedono i timbri che certificano il passaggio, nelle varie tappe lungo il cammino, in attesa di ottenere, una volta giunti alla meta, il diploma che riempie di senso il gesto di abbracciare la statua del Santo, com’è consentito al pellegrino. Sulla via di San Giacomo il continente che ha voluto e saputo spingersi oltre quel misterioso oceano su cui si affaccia, portando a tanti popoli il Vangelo di Cristo, può ritrovare la grandezza e la serenità che nessuna abbondanza monetaria e innovazione tecnologica possono assicurare. Una comunità di genti di nuovo in pace col suo Dio.
L’
identità dei popoli europei è intessuta nel filo prezioso delle visite ai santuari cristiani, piccoli e grandi, presenti ovunque nel continente. I pellegrini di Santiago, lungo le ardue e pericolose strade medievali, seguivano nelle notti stellate la direzione tracciata dalla Via Lattea. Le cronache antiche registrarono la presenza di 74 nazioni cristiane, ma anche di arabi e giudei. Elencando guasconi, bretoni, tedeschi, inglesi, borgognoni, normanni, tolosani, provenzali, lombardi. Anime di un’Europa che nella ricchezza della sua diversità vibrava di spiritualità partecipe. Alla tomba Ciò che ora le è dell’Apostolo venuto a mancauna unità re. E ne avverte la sofferenza. e continuità Lo dimostra la di generazioni forte ripresa dei pellegrinaggi a Santiago negli ultimi decenni. Uomini di fede e persone alla ricerca di Dio, in questa età dubbiosa, mortificata dal materialismo, accorrono numerosi alla tomba dell’Apostolo cercando di ritrovare la continuità con le generazioni che fondavano il loro vivere sull’amore e il timore di Dio. Riaprono le vecchie strade, si restaurano gli ostelli e le chiese romaniche lungo il percorso.
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Chiesa, società e bisogno di una nuova evangelizzazione
La tentazione di credere di Giuseppe Zois
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na donna che da anni si trova a vivere in una posizione di confine. Una donna che in casa non ha avuto un orientamento religioso, un’educazione cattolica: anzi, una donna che proviene da un ambiente ateo, anticlericale, massone. Una donna inquieta che ha fatto un lungo cammino spirituale. In questi pochi tratti, c’è un accenno dell’identità di Susanna Tamaro, scrittrice famosa per i suoi successi, solida per il suo sentire, delicata nel raccontare l’interiorità delle persone, le variegate situazioni del vivere. Susanna Tamaro è colta, ha uno stile di vita ispirato all’essenzialità, non fa empo concessioni al di camerieri mercato, non di idee alla moda frequenta salotti e jet set. Vive la sua vita avvolta nella discrezione in cui ha scelto di stare. Si fa vedere - e notare - con i suoi scritti, i suoi interventi sempre acuti e ricchi di intuizioni, che poi, ciascuno le invidia, soprattutto con i suoi libri, puntualmente densi di momenti, di percorsi, di incontri, in una parola di calda umanità che fa da filigrana preziosa e continua. In un tempo di diffuso qualunquismo, di conformismo e di filosofia del tornaconto, di camerieri delle idee alla moda, questa scrittrice non ha paura di affrontare temi scomodi, anzi ha il coraggio di dire, con chiarezza,
come la pensa e di accendere dibattiti e confronti su aspetti scottanti, problemi controversi. Per come vanno le cose, è certo che Susanna rimedia incomprensioni, attacchi, veleni. Non per questo desiste dall’affrontare scogli, dal denunciare contraddizioni, incongruenze, assurdità, il velinismo che affligge molte ragazzine, che non sanno niente della vita e dell’amore e inseguono il mito abilmente creato da moltiplicati “gatti” e “volpi” che popolano il
presente. E poi, la bellezza vestita di ossessiva perfezione, la maternità tradita con una pillola, l’aborto che diventa un facile e banale contraccettivo… Lo stesso ha fatto contro le moderne gogne mediatiche perfide e orrende, che macchiano per sempre - per interesse, calcolo politico, ecc. - le esistenze di persone integre, magari per scusarsi dopo qualche tempo (vedere in proposito il caso Boffo). Con un suo nuovo intervento sul “Corriere della Sera”, Susanna ha
firmato una diagnosi dei mali che affliggono la Chiesa, dall’eclisse di Dio alla grave crisi del senso della fede cristiana e dell’appartenenza alla Chiesa, per usare le parole del Papa. Susanna ha adoperato la frusta contro la secolarizzazione in atto e, ancor più, contro i pannicelli con cui ci si illude di poter guarire una patologia fattasi ormai grave. Alla base delle sue critiche c’è, comunque, un terreno d’amore, con il desiderio di una catarsi morale.
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“San Francesco rinuncia al padre”. San Bonaventura ha scritto: “Francesco restituì al padre ogni cosa, e spogliatosi rinunziò ai beni paterni e terreni, dicendo al padre: “D’ora in poi posso dire: Padre Nostro che sei nei cieli, poiché Pietro di Bernardone mi ha ripudiato”. (Cap II,1043)
Davanti alla cosificazione dell’uomo
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l riaffiorare di questi temi viene fuori dalle esperienze vissute da persone della generazione di Susanna, uscite da sbornie ideologiche, dalla ricerca di autenticità, di sostanza, di fede nel Vangelo. Invece che il padre del figliol prodigo, invece del buon samaritano o del pastore che lascia le 99 pecore per andare in cerca di quella smarrita, questi “orfani” del Padre hanno trovato porte chiuse, l’esatto contrario dell’annuncio di Cristo che esorta a “chiedere, perché vi sarà dato”, a “bussare, perché vi sarà aperto”. Non trovando quell’accoglienza di comprensione e di ascolto che si attendevano, gli ondeggianti se ne sono ripartiti. In queste accuse Susanna è in buona compagnia con robuste figure di teologi, che sono rimasti dissenzienti fedeli - come lo erano Mazzolari, Milani, Turoldo, Fabbretti, Levi, De Piaz… Caustica e amara, ma profondamente vera, Susanna quando cita un prete, uno dei sempre più diffusi preti che tuonano il verbo, alla maniera del “così è”, preti manager, che viaggiano con valigette come se dovessero frequentare consigli di amministrazione piuttosto che banchi di chiese. Dunque: un giorno, la scrittrice spiegava a un prete il sentito e tardivo riavvicinamento alla fede di un’amica di cui avrebbe, dopo poco, celebrato il funerale. “Gli ultimi mesi non contano niente, bisogna stare da sempre nella Chiesa”, obiettò quel sacerdote che aveva ben chiaro - evidentemente - l’annuncio evangelico e la confortante assicurazione di Gesù: “Ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per 99 giusti che non hanno bisogno di conversione”. (Lc 15,7)
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Francesco con le parole e la vita
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algrado tutti i discorsi sull’apertura, sulla nuova evangelizzazione, la Chiesa - annota la Tamaro - continua ad essere una struttura solo apparentemente accogliente, raccoglie giustamente i poveri, si prodiga con generosità per alleviare le sofferenze degli ultimi, ma spesso in questa bulimia di buone azioni, si dimentica delle inquietudini delle persone normali”. Poi, ecco un affondo su cui soffermarci tutti: “Mancano i padri e le madri spirituali, persone credibili, che abbiano fatto un cammino, che conoscano la complessità e la contraddittorietà della vita e che, con umiltà e pazienza, sappiano accompagnare le persone lungo questa strada, senza giudicare e senza chiedere risultati. Nel padre o nella madre spirituale non c’è niente di nuovo, bensì qualcosa di straordinariamente antico: la sete di un’anima che incontra un’altra anima in grado di aiutarla a cercare l’acqua”. La realtà è sotto gli occhi di tutti, l’appannamento del sacro, i giovani, e non solo loro, sempre più lontani, l’indifferenza e il relativismo, a anni il cristianesimo “à la continua carte” stanno svuotando le a commuoverci chiese. Mentre il malato si aggrava, più che pensare ad una terapia d’urto - ossia al ritorno al Vangelo - si istituiscono nuovi organismi, come il Pontificio Consiglio che ha la missione di promuovere una rinnovata evangelizzazione. In questo momento ci sarebbe bisogno di gente giovane, trascinatrice, con un forte ascendente sulle nuove generazioni, capace di incendiare entusiasmi e passioni. Questa Chiesa, che in passato ha espresso figure gigantesche di profeti e rinnovatori, Sceglie come sua guida un vescovo intellettuale che ha ricevuto il compito di gestire una rivoluzione dei cuori. Perché i carismi ci sono pure per qualcosa! E del resto la Tamaro fa il nome di un uomo e di un santo che ha dato una delle scosse fondamentali per un ritorno alla semplicità, all’umiltà, alla povertà: San Francesco d’Assisi. È un passaggio di grande forza: il fascino del Poverello è rimasto contagioso. “San Francesco da più di 800 anni continua a parlare e a commuoverci con le sue parole e la sua vita. San Francesco infatti era un Santo. E cosa vuol dire Santo? Essere una persona integra, una persona che non ha doppiezze, fraintendimenti, che conosce solo il sì sì e no no di evangelica memoria”.
D 800
Cercatori di infinito
Bussate e vi sarà chiuso
Susanna Tamaro
Una risposta di santità
ul bisogno di santità e sugli uomini di Chiesa la Tamaro pome amare domande: “Chi sono le persone di Chiesa che ci vengono incontro, che parlano dai pulpiti delle parrocchie, in televisione, sui giornali? Hanno sguardi luminosi? Le loro bocche parlano davvero della pienezza del cuore? Sono forze di santità? E se lo sono, perché non arrivano, perché le loro parole lasciano per lo più indifferenti se non irritati? Perché non faccio altro che incontrare persone buone, rette, etiche, che si sono allontanate per sempre dalla Chiesa dopo esperienze deteriori con i suoi rappresentanti?”. Ha ragioni da vendere Susanna quando sostiene che l’attuale sete di verità e bellezza non può venire soddisfatta né dalla mediocrità delle vite e delle testimonianze, né da una liturgia che ha abbandonato il sacro, diventando sempre più simile a una sorta di intrattenimento televisivo. I tempi nuovi impongono strategie adeguate, che non abbiano paura di andare avanti e che non si accontentino del ricordo. “Forse è il momento di capire che non è la quantità dei sacerdoti, ma è la qualità a fare la differenza. E la qualità non dipende dalla preparazione teologica, dai convegni, dai master accumulati, ma dalla purezza dell’anima che si arrende alla Grazia. Un’anima arresa è un’anima che converte, che disseta. Un’anima che traffica, organizza, o si assopisce sui suoi privilegi, è un’anima che allontana. I nostri tempi hanno bisogno estremo di santità, perché davanti alla cosificazione dell’uomo, è l’unica condizione che lo riporta alla straordinaria grandezza per cui è nato”.
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Uccisi perché sospettati di fede
Karen Woo era alla vigilia delle nozze
Un attentato in Afghanistan per colpire un gruppo di volontari: massacrati 8 medici, 5 uomini e 3 donne di un’organizzazione che opera nel martoriato Paese da 40 anni.
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e imboscate, gli agguati, gli attentati sono sempre odiosi, perché vili e sferrati a tradimento. Lo sono in misura colossale quando vengono compiuti contro persone in missione umanitaria. Una orrenda strage è stata compiuta a inizio agosto in Afghanistan, nella provincia nord-orientale del Badakhshan. Dieci volontari sono stati uccisi da irriducibili talebani, uomini legati ad Al Qaeda e al clan Haqqani. Terroristi accecati dal fondamentalismo e dall’imperativo categorico della guerra di religione in nome dell’islam. Le vittime sono sette uomini e 3 donne, 6 americani, un’inglese, un tedesco e 2 afghani. Sono stati giustiziati perché
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Gli aspetti positivi sono la generosità, la capacità di condividere; quelli negativi sono la rigidità del sistema, la sicurezza nel conformismo. Karen Woo
sospettati di essere spie e di fare proselitismo per il Dio dei cristiani. Gli 8 medici occidentali e i 2 afghani sono caduti sotto una raffica di colpi: i loro corpi sono stati trovati da un pastore. Il capo del gruppo era l’americano Tom Little, in Afghanistan da 30 anni, conosceva e parlava le lingue locali: qui ha cresciuto anche le sue tre figlie. Il capo dell’organizzazione IAM (International Assistance Mission), Dirk Frans non sa capacitarsi di questo attacco: “Siamo un’organizzazione cristiana ma non abbiamo mai fatto proselitismo. È vietato dal nostro statuto. Siamo qui da 40 anni e abbiamo lavorato sotto il re, sotto i russi, sotto i comunisti, sotto i signori della guerra e sotto i talebani”.
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Questo fatto è una tragedia, soprattutto se si pensa agli enormi bisogni di alcune aree. C’è ancora posto per il lavoro umanitario? Alberto Cairo
“Ho paura ma voglio aiutare chi soffre” L’ inglese Karen Woo si sarebbe dovuta sposare in settembre e s’era fatta preparare l’abito nuziale da un afghano. Karen teneva un diario in cui rivela tutto il suo animo, la sua umanità, la sua ansia di solidarietà. Ecco un passaggio che ci dà la misura del suo sentire: “Questo è un posto molto diverso dall’Inghilterra e le gerarchie sociali e famigliari sono molto forti. Gli aspetti positivi sono la generosità, la capacità di condividere malgrado la mancanza di cibo e spazio e soldi; quelli negativi sono la rigidità del sistema, la sicurezza nel conformismo e quindi la mancanza di coraggio di rompere lo stampino per mostrare la propria individualità. È difficile da spiegare ma tentare di assumere un comportamento diverso dal normale significa venire subito condannati. Così i costumi cambiano davvero lentamente. Ho paura ma voglio comunque aiutare chi soffre”. Alberto Cairo, che lavora in Afghanistan per il Progetto ortopedico del Comitato internazionale della Croce Rossa, ha rilasciato un commento molto commosso, ma altrettanto fermo nell’analisi e nella condanna di chi vuol promuovere Dio con le bombe e la morte. Dell’organizzazione di cui facevano parte le vittime, Cairo ha detto che “con mezzi
limitati riesce ad ottenere grandi risultati, grazie ad una gestione accorta delle risorse e ad una profonda dedizione. Non trovi mai i suoi volontari a feste o cene sontuose: vivono in case modeste, guidano macchine di terza mano. Trascorrono mesi ad imparare le lingue locali e dichiarano apertamente di ispirarsi a principi cristiani. Mi trovo in Afghanistan da 20 anni. Anni in cui ho assistito a fatti, misfatti, gesta grandiose e meschine. Anni che mi hanno cambiato. Con l’esperienza ora accetto cose per le quali un tempo mi indignavo, tollero usanze spesso assurde, aspetto paziente guardando fisso ai risultati. Sono diventato pragmatico. Ma per eventi come questo continuo
a urlare. Sono inaccettabili, mostruosi. E viene spontanea la domanda: nell’Afghanistan di oggi c’è posto per il lavoro umanitario? È ancora possibile? A Kabul rimane relativamente, malgrado si vedano stranieri costretti dalle ambasciate a limitare moltissimo le loro attività sulla base di regole di sicurezza spropositate. Molto più problematico è invece lavorare nelle province dove si combatte. Spesso non è presente neanche un’organizzazione non governativa. E del resto: senza sicurezza, come si può lavorare? Questo fatto è una tragedia, soprattutto se si pensa agli enormi bisogni di alcune aree”. (e.t.)
Non c’è solo negatività attorno a noi: la tragica e al tempo stesso edificante storia-testimonianza di Pillon morto da eroe in India
Riccardo, il gigante buono che si spendeva per gli altri
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ello scorso mese di agosto, durante il maltempo che ha funestato l’India e il Pakistan, seminando morte e distruzione fra popolazioni spesso già allo stremo, se n’è andato un giovane italiano: Riccardo Pillon. La sua scomparsa nel Kashmir, ha lasciato sconvolta la famiglia e ammutolita una folla di amici. Questo giovane era una bella persona: una di quelle figure miti, generose, solidali, impegnate per il proprio avvenire e attente ai bisogni del prossimo, soprattutto quello in difficoltà. I vari TG, nemmeno dopo che è morto hanno voluto occuparsi di lui andando oltre le poche righe, con un appello commovente della mamma per il recupero della salma. Andare in cerca di buone notizie non è facile: ma, quando i giornali scrivono il profilo e danno la misura della grandezza d’animo di una persona, si potrebbe pensare ad un servizio da collocare dentro una palude di degrado della politica, di criminalità crescente, di incidenti e pirateria della strada, di stupri e traffici di droga, cioè l’ordinaria filigrana di un TG qualsiasi. I giornali hanno riferito che Riccardo Pillon, 23 anni, è morto da eroe, spingendo un vicino oltre la piena in arrivo e salvandogli la vita. Il ritratto è quello di un giovane d’oggi, nella cui esistenza c’era posto per tutto. “Alto, bello sportivo. Giocava a basket nella Don Bosco Crocetta, sciava, faceva sci alpinismo. Amava la medicina”. Era il “gigante buono
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che divorava la vita”, ma si distingueva soprattutto per l’aiuto che dava a piene mani al prossimo. Ancora dai giornali: “Da anni era volontario del Centro culturale Valmiana… La sua fede era vissuta ogni giorno in una testimonianza costruita nei corsi di formazione spirituale, nell’aiuto elargito agli studenti più giovani. E soprattutto nelle attività estive di volontariato. Gli amici raccontano che risparmiava durante l’anno euro su euro per poter andare, a sue spese, in estate in Paesi lontani a costruire quel che mancava”. Se ancora non bastasse, ecco altre tessere di un mosaico di umanità davvero splendida: “In Nicaragua, qualche anno fa quando era giovanissimo, aveva realizzato servizi igienici in un villaggio e l’anno scorso in Romania si era dedicato con alcuni amici alla ristrutturazione di una chiesa del rito greco e di un asilo. Era così Riccardo Pillon; capace di collezionare trenta agli esami e di stupire i docenti”. Lo squarcio affettivo per la perdita di un uomo come Riccardo Pillon è molto profondo: al tempo stesso la sua testimonianza circoscritta agli amici e ora rivelata da chi lo conosceva all’opinione pubblica è una spinta a demolire il muro di sfiducia che i media ogni giorno innalzano. Da una gioventù tanto sparlata
escono ancora, per nostra fortuna, figure di nitida luminosità che rischiarano il cammino di tutti. Non sono casi sporadici o eccezionali: ce ne sono. Dobbiamo solo imparare a guardare oltre la linea nera che ogni TG traccia. Se alziamo di poco lo sguardo vediamo l’azzurro e il sole che ora avvolgono del tutto Riccardo Pillon e tutta la scia di bene che ci ha tracciato. (gi. zo.)
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Quelle picconate finite in niente
La morte a 82 anni di Francesco Cossiga di Gino Carrara
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e potessi tornare indietro, non impugnerei più il piccone perché la fasulla seconda Repubblica di oggi ha dimostrato che i miei sforzi sono stati inutili (…). Nessuno volle raccogliere il messaggio. Nessuno capì l’allarme (…). Avevo proposto un salto nel futuro, ma ero troppo in anticipo sui tempi…”. Queste riflessioni che, Francesco Cossiga fece a voce alta con un giornalista poche settimane prima di morire, vanno lette come un’autocritica o come un’autodifesa? L’interrogativo si aggiunge ai non pochi irrisolti, su eventi clamorosi della più recente storia italiana, che “Ceccio da Chiaramonti” - come Cossiga una volta si ribattezzò - s’è portato nella tomba. Egli si è spento (a 82 anni da poco compiuti) il lamorose 17 agosto, esternazioni dopo un breve ricovero a fine mandato ospedaliero, imposto da una crisi respiratoria. Ha voluto funerali semplici nella sua terra, la Sardegna. Anche nell’ora del trapasso è rimasto coerente con il suo stile, che lo rese straordinario sotto molteplici aspetti. Nato a Sassari nel 1928 da genitori originari di Cheremule, cresciuto in una parrocchia che da ragazzi frequentarono alcuni altri politici illustri (a cominciare da Antonio Segni, Presidente della Repubblica dal ’62 al ’64), cugino in secondo grado di Enrico Berlinguer, segretario del PCI tra il 1972 e il 1984, conseguì la maturità liceale a 16 anni, ebbe la laurea a 20 e poco dopo prese ad insegnare Diritto Costituzionale all’Università. A 17 anni Francesco Cossiga ottenne la tessera della Democrazia Cristiana, primeggiando rapidamente tra i “giovani turchi sassaresi”. Nel ’48 - lo riconobbe egli stesso apertamente - fece parte dell’organizzazione (“Gladio”) pronta ad imbracciare
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le armi qualora i socialcomunisti, perdute le elezioni del 18 aprile, avessero tentato un colpo di stato. A trent’anni il futuro “Ceccio” era deputato a Roma. Nel 1966, come sottosegretario della Difesa con delega per i servizi segreti, cominciò ad impratichirsi nell’arte di governare, poi esercitata sino ai gradi più alti. Ad appena 57 anni il 24 giugno 1985, al primo scrutinio, con 752 voti a suo favore su 977, fu eletto Capo dello Stato, ottavo della serie dopo la fine della monarchia in Italia, il… meno in età degli approdati al Quirinale. Austero e silenzioso nei primi cinque anni, negli ultimi due (prima delle dimissioni con qualche mese di anticipo sulla scadenza del settennato) inanellò “esternazioni” e “picconate” in continuità “per denunciare che il sistema non reggeva più e per far capire che, se la classe politica non avesse fatto nulla, sarebbe stata presa a pietrate per strada”.
Aspro, ironico, sarcastico
Giudizi brucianti
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l momento della scomparsa di Francesco Cossiga, pressoché unanime è stato il cordoglio, unito al riconoscimento dell’acutissima intelligenza, della vasta cultura, della ricchezza umana, del senso dell’umorismo, della perspicacia politica che caratterizzavano l’insigne uomo di Stato di origine sarda. Eppure, in vita, Francesco Cossiga non fu mai tenero con nessuno. Non di rado pronunciò giudizi e tracciò ritratti brucianti di leaders sulla cresta dell’onda. Definì Achille Occhetto, allora segretario del PCI, uno «“zombi” con i baffi, capace di far rivivere le cose più abiette e più volgari del paleostalinismo». Disse di Romano Prodi: “Buon cristiano, ottimo marito e padre di famiglia; ma per governare il Paese non basta”. E su Silvio Berlusconi sentenziò: “Se lui è il nuovo Alcide De Gasperi, io sono il nuovo Carlo Magno”. A proposito delle proprie picconate, quando qualcuno avrebbe voluto bloccarlo dichiarò: “Io non sono matto. Io sono un finto matto che dice le cose come stanno!”.
La corte di S. M. Michelle
Diamanti
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acanze regali, in Spagna, per Michelle Obama: corteo di 13 auto per ogni spostamento, servizio segreto alle calcagna, alloggio a Villa Padierna Marbella, tra i 10 hotel più belli al mondo, aereo Air Force Two a Malaga. E gli USA, in grave crisi economica, pagano.
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Disse un giorno Francesco Cossiga: “Quello di Presidente della Repubblica è stato per me il lavoro più noioso e ingrato”. Quando lo esercitò - tra il 1983 e il 1985 - gli parve invece “divertente” il ruolo di Presiedete del Senato. Gli risultò “pesante” (tra il 1979 e il 1980) il compito di Presidente del Consiglio: tra tante cose gli capitarono addosso infatti il giallo dell’aereo colpito ad Ustica e la spaventosa strage alla stazione di Bologna (fatti dei quali, nello scorrere del tempo, egli non mancò di dare sue “interpretazioni”). Per Francesco Cossiga fu però particolarmente “vero”, duro e “dolorosissimo” il “lavoro” di ministro degli Interni: lo esercitò nel periodo culminante degli “anni di piombo”, quando la sinistra extraparlamentare scriveva il suo nome sui muri con la K e la svastica, ma, specialmente, venne rapito e assassinato Aldo Moro (primavera del 1978). Dopo
lo sconvolgente epilogo della vicenda, Francesco Cossiga si dimise; cadde in depressione, mentre i capelli gli si facevano, rapidamente, bianchi. Aveva incubi notturni: “Mi svegliavo urlando che ero stato io ad ucciderlo - confidò -: ed in effetti ero stato io a rappresentare in prima persona la linea della intransigenza con le Brigate Rosse”. Dopo aver lasciato il Quirinale, contrariamente ai suoi… ex colleghi, Francesco Cossiga, per
Dal telefonino ai trenini
Interessi a 360° rancesco Cossiga era uomo dalle mille passioni F e dagli interessi infiniti. Sin da ragazzo cominciò a collezionare un po’ di tutto: bandiere, penne,
soldatini di piombo, orologi, cravatte, medaglie. Grandissimo è sempre stato il suo interesse per le conquiste della tecnica, per l’elettrotecnica, per l’elettronica. Fu tra i primissimi a dotarsi del telefonino ed ha sempre voluto tra le mani gli ultimi modelli di cellulare; idem per il PC. Era anche un incallito radioamatore: nelle sue conversazioni notturne attraverso l’etere con il suo codice “Iofcg” gli capitò di incrociare altri personaggi illustri (come, per esempio, re Juan Carlos di Spagna). Quando diventò ministro e poi capo del governo dovette però lasciar perdere questo suo hobby. Lo scomparso ex Presidente della Repubblica era pure uno sportivo: praticava l’alpinismo, era un tifoso della Juventus (e non del Cagliari), ma aveva una speciale attenzione - anche se vi salì poco - per la bicicletta: “Il ciclismo - asseriva - mi piace perché è lo sport che più assomiglia alla vita. In sella o hai le gambe buone per pedalare e il fiato o sei morto!”.
un certo periodo, ha esercitato ancora attività politica, con prese di posizione spesso determinanti ora per il centro-sinistra ora per il centro-destra, ma sempre con una sua tipica caratterizzazione. Scritte sin dal settembre 2007, insieme al testamento personale, nel giorno del decesso, ha lasciato ondo politico quattro letsordo tere dirette alle quattro ai suoi messaggi più alte cariche dello Stato (Presidente della Repubblica, Presidente del Senato e della Camera, Presidente del Consiglio). L’incipit della missiva per il titolare del seggio più importante di Palazzo Madama ha colpito tutti per la sua… difformità dal politichese oggi di moda: “Nel momento in cui il giudizio sulla mia vita è misurato da Dio Onnipotente - queste le parole scritte da Francesco Cossiga -, professo la mia Fede religiosa nella Santa Chiesa Cattolica e confermo la mia fede civile nella Repubblica”. Amico di Joseph Ratzinger sin dai tempi in cui questi era cardinale, andava spesso a trovarlo in Vaticano dopo la sua elezione al soglio di Pietro. Discutevano di tutto. Colpito dalla sua conoscenza dei sacri testi, Benedetto XVI un giorno non si trattenne dal dirgli: “Lei è anche un grande teologo!”. Non si sa quale sia stato il commento di… “Ceccio da Chiaramonti”.
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Salame o ravioli,
insanguinati
Bisogna proprio laurearlo?
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overnava la Liberia con l’arma del terrore. Dittatore sanguinario, Charles Taylor è processato per 120 mila morti. Alle belle donne regalava diamanti. A Naomi Campbell, uno enorme. Lei ha sempre negato, poi ha minimizzato. Incastrata da Mia Farrow e Carole White.
he Bossi abbia fiuto politico è provato dal Carroccio che ha inventato dal niente. Perché conferirgli una laurea “honoris causa” in Scienze della comunicazione? Semmai in Scienze politiche. Abbiamo presenti il suo gergo e il suo elegante esprimersi con il dito medio?
tutto fa cassetta iamo usciti dalla solita estate delle solite proposte di intrattenimento. Che noia tutte queste sagre nostrane del cotechino, del raviolo, del pesciolino, del bue… A parte il mangiare a qualche modo e con igiene precaria, ogni volta tombola, lotteria e cassetta!
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/ Ottobre 2010 Lo spettro del voto
Osservatorio
di Claudio Bonvecchio*
Estate italiana di veleni
Se la politica scade e diventa lotta continua
Attacchi personali, ricatti, spaccature
In questa legislatura, contrariamente alla precedente, c’è una solida maggioranza al potere. Ma, s’è visto che, anche i numeri, a volte non bastano per tener lontani una crisi e lo spettro ricorrente di elezioni anticipate, antico “rimedio” all’italiana.
“N
on siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva…”. Con questa “frase ad effetto” iniziò il processo storico che ha condotto all’Unità d’Italia: quella che oggi noi celebriamo in sordina e con diffuso disinteresse. Questa stessa frase - sempre oggi - sembra dar conto del profondo disagio del popolo italiano che assiste, attonito, ad un degrado politico che sembra inarrestabile: per non dire, appunto, doloroso. Sembra, infatti, che tutto quanto riguarda la politica stia precipitando in un abisso senza fondo, contrassegnato
Pericolo di frana
La casa e i politici
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li italiani tengono molto - e giustamente - alla loro casa. Numerosissime sono le poesie e le canzoni che ne parlano: con sentimento, passione, nostalgia e straziante ricordo. Altrettanto costante è il desiderio di poter avere una casa propria: dove poter “mettere le radici”, dove allevare i figli e dove trascorrere una serena vecchiaia. Tutti ricordiamo l’antico e significativo detto popolare: “Casa mia, per piccina che tu sia, tu mi sembri una badia (ovvero una abbazia)”. Ora, la casa, sembra, invece, essere diventata una maledizione: almeno per i politici. Il “buon ritiro” di Berlusconi - villa Certosa - gli ha procurato noie a non finire; per una casa comperata nel centro di Roma (in buona parte “senza che lo sapesse”) il ministro Scaloja ha dovuto dimettersi; per una casa a Montecarlo (tra l’altro del fratello della compagna), Fini ha grattacapi a non finire. Cosa sta succedendo? Sono lontani i tempi in cui Cincinnato si ritirava nella casetta in campagna, De Pretis nella modesta casa di Stradella, Garibaldi nella casetta (modestissima) di Caprera. Che sia un problema di location e di metrature? Bisogna che i politici vi riflettano.
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da una guerra - ora sorda ora esplicita - che coinvolge tutti: senza pietà e senza il dovuto rispetto per i cittadini che, secondo i principi della Democrazia, sono i veri (e gli unici) detentori del potere politico. Cosa, questa, che viene assolutamente scordata dai politici. Alla luce di tutto ciò, diventa assolutamente incomprensibile l’assurda personalizzazione politica che contraddistingue lo scontro - mai avvenuto prima nella storia della nostra Repubblica - tra Berlusconi e Fini. Uno scontro che dimentica che gli elettori hanno votato entrambi affinché portassero a termine - insieme - un programma politico preciso e irrinunciabile: e non altro. Vuol dire che i cittadini rifiutano ogni protagonismo - da qualsiasi parte provenga, così come rifiutano che i loro rappresentanti giochino con le istituzioni, sia per mantenere un potere personale sia per aumentarlo. Se questo - in minima parte - può essere fisiologico alle dinamiche del potere e della politica, quando diventa patologico (come sta avvenendo) mette in gioco la tenuta stessa della Democrazia. Perché la Democrazia è una forma di governo fragile, in quanto non si basa su una legittimità che proviene
sua capacità di essere un collante fra i cittadini. Questo apre la strada alla speranza dell’attesa di qualcuno - un mitico “salvatore” - che “costringa”, in ogni modo, i contendenti alla pace sociale indipendentemente da qualsiasi regola: o meglio, con le proprie regole. Come è avvenuto troppe volte. Ora, l’Italia si sta avvicinando, pericolosamente, a questo punto di “non ritorno”. Per questo, è necessario che a democrazia tutti i politici ascoltino “il grido di dolore” che si leva dalla Democrazia italiana fragile di governo profondamente ferita, ma è anche ora che gli ita- anche duro, se necessario - ma liani facciano sentire la loro voce passione e scontro devono essere dicendo “basta!” a questo processo degenerativo che ci sta conducendo sostenuti e motivati da grandi alla rovina. Ma l’ammonimento, idee, da un rispetto reciproco e solenne, non è diretto solo ad dalla convinzione della assoluta intercambiabilità dei soggetti politici una maggioranza rissosa e che ha (degli uomini politici) in gioco. perso ogni discernimento politico. È diretto anche ad una opposiQuando questo non avviene - e zione (particolarmente il PD) allo lo scontro tende a diventare una sbando, senza una linea chiara e “guerra fra bande” - allora la Desenza una guida salda, che non mocrazia è in pericolo. Ed è in può e non deve - pilatescamente pericolo non perché congiurano e come un avvoltoio - sperare di contro di essa “poteri forti”, servicostruire la propria unità e il proprio zi segreti “deviati”, Massoneria e successo elettorale sulle disgrazie Opus Dei o altre simili fantasie, altrui, evitando ogni iniziativa e ma perché viene meno la fiducia ogni proposta, temendo che questo nella Democrazia stessa e nella possa aprire al proprio interno un’altra “guerra fra bande”. Altrettanto dicasi per i partiti minori - come odice di riferimento quello di Casini o Di Pietro - che, con diverse tattiche, mirano ad accrescere “fettine” di consenso, sperando di accogliere (per scopi ulla politica italiana e il suo preoccupante sfilacciamento in elettorali) i “delusi, gli scontenti e gli scontri personali e di schieramento, la Chiesa ha preso posizione arrabbiati”. Altrettanto dicasi per la a più riprese. Lo ha fatto il Papa, quando ha lanciato l’appello Lega che - tenendo, il più possibile, ai giovani, perché si impegnino e portino il loro contributo ideale un basso profilo - è praticamente alla costruzione di una società cristiana e lo ha fatto il Presidente sicura di raccogliere i maggiori vantaggi. Ebbene, cari politici, tutto dei vescovi, il cardinale Angelo Bagnasco che - tenendo l’omelia questo non è quella Democrazia di San Lorenzo (10 agosto) a Genova, nella cattedrale dedicata al di cui vi riempite, a sproposito, martire, ha esortato, senza mezzi termini, alla “dimensione etica della la bocca nei vostri esercizi di vita personale e sociale… La Chiesa sa che alla radice di tanti mali e di tante retorica. La Democrazia, lo si è povertà vi è il sottosviluppo morale, come afferma Benedetto XVI. San Lorenzo già ricordato, è altro. È rispetto, non esitò ad indicare all’imperatore Valeriano la realtà umana che attende modestia, umiltà, senso del limite, soccorso e giustizia ma rivelò un nuovo modo di pensare e quindi di agire. San coraggio, fede negli ideali comuni, Lorenzo ricorda a chi detiene il potere un codice morale che nasce dallo spirito e dalla natura stessa di ogni uomo; ricorda la distinzione tra il bene e il male, e che lotta per il miglioramento, dialettica questa non dipende dall’arbitrio di nessuno; ricorda che un giorno risponderemo e servizio. Ricordatevene qualche ad una istanza superiore e assoluta che è Dio; ricorda che esistono dei valori per volta. Finché siete in tempo. i quali vale la pena non solo di vivere ma anche di morire”. *Docente di Filosofia delle Scienze Sociali all’Università di Varese dall’alto o sull’uso della violenza, ma su un bilanciamento dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Questo bilanciamento - per delega popolare - deve avvenire in nome della ragione, a sua volta indirizzata al bene comune e al progresso, armonico ed intelligente, della società. Il che non esclude, certo, la passione politica e lo scontro
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è una forma
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Per chi detiene il potere
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Dalla Finestra di Anna Carissoni
Bambini o “piccoli adulti”?
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l mio nipotino ha compiuto 6 anni alla fine di agosto, ma i suoi genitori hanno deciso di non mandarlo a scuola: aspetteranno l’anno prossimo, con la ferma intenzione di “lasciarlo giocare” perché si goda ancora un po’ il tempo privilegiato dell’infanzia. Decisione criticata da molti tra i loro amici e conoscenti, ma che hanno mantenuto fermamente, peraltro spalleggiati dalla sottoscritta la quale, da nonna e da vecchia maestra, l’approva in pieno. Sono, infatti, convinta - e non da oggi - che i bambini del nostro tempo sono a forte rischio di stress per tutte le cose che devono fare e molto spesso subire. La condizione infantile, nella società occidentale - a parole tanto civile - è, infatti, pesantissima: i piccoli vengono stimolati a vivere come “piccoli adulti”, cioè sottoposti al rigido schema di giornate piene di impegni e di responsabilità. (Ciò vale, in verità, anche per molti adulti, che pure avrebbero bisogno di uno stile di vita più umano, ma qui bisognerebbe fare un altro lungo discorso). Alle ore già di per sé totalizzanti della giornata scolastica - anche se si tratta di asilo-nido e di scuola materna - si aggiungono quelle dedicate ai corsi più svariati: e non è vero che si tratta sempre e solo di attività divertenti e rilassanti, perché anche i corsi esigono attenzione, concentrazione, competizione, obbedienza agli ordini degli istruttori… E così succede che tra scuola, catechismo, karatè, piscina, palestra, danza e quant’altro, i nostri bambini di tempo per giocare liberamente, e anche solo per riposare e fantasticare, non ne hanno quasi più. E, per giunta, quel poco tempo davvero libero che gli resta, se resta, deve fare i conti anche con la mancanza di spazi per giocare e di coetanei con cui condividere i momenti di gioco. Insomma, il modo di vivere degli adulti e la strutturazione dei tempi e degli spazi nella nostra società sottraggono ai piccoli ciò che spetterebbe loro di diritto, con la conseguenza che, spesso, i genitori sono costretti a rinunciare ai progetti educativi che l’affetto e la responsabilità suggerirebbero per una educazione più attenta ai bisogni dei bambini ed alla crescita armonica della loro personalità. Il tempo di vita quotidiano sia dei genitori che dei bimbi è scandito, infatti, non tanto dalle intenzioni educative, quanto dalle condizioni materiali di vita,
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Immigrati al museo Yuri è un 40enne che viene dall’Est. È laureato ma fa il meccanico in un garage e la domenica, non potendo permettersi vacanze più lunghe, porta i figli di 8 e 10 anni a visitare i Musei: hanno già visitato quello egizio di Torino, quello della Scienza e della Tecnica di Milano, la Pinacoteca di Brera e altri. “Voglio che i miei figli conoscano la cultura del Paese che ci ha accolto - dice - voglio che siano cittadini acculturati e consapevoli, anche se dovranno fare un lavoro manuale come me”. I genitori italiani, invece, la domenica portano i figli nei centri commerciali, a comprare telefonini di ultima generazione e occhialini ultimo grido.
determinate, a loro volta, dall’organizzazione sociale generale: i tempi di lavoro, i trasporti, i servizi, ecc… Eppure, l’organizzazione del tempo della giornata è un indicatore fondamentale della qualità della vita! Il mio nipotino ha la fortuna di avere dei genitori molto attenti alla sua crescita ed alla sua educazione, al punto che ogni loro scelta viene presa in quest’ottica, compresa quella di non lavorare sempre entrambi fuori casa - pur con i sacrifici economici conseguenti - e di non mandarlo a scuola appena compiuti i sei anni.
Più affidabili delle baby-sitter e più autorevoli delle tate e fanno anche risparmiare
Nonni: meno male che ci sono
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ottobre, festa degli Angeli Custodi e Festa dei Nonni. Che, in effetti, svolgono, spesso, il compito di angeli custodi, e di solito egregiamente, se, come dicono le statistiche, sono più affidabili delle baby-sitter e più autorevoli delle tate. Nella sola Milano sono 30.000 i nonni “in servizio permanente attivo”, quelli che vanno a prendere
i nipoti a scuola, li fanno studiare, li portano in piscina o a sport, danno loro la cena e li mettono a letto. I più impegnati hanno tra i 55 e i 64 anni, in maggioranza donne, e se i nipoti abitano nei loro stessi paraggi, li portano anche in vacanza. I numeri dicono che, nella sola Milano, il fatto di poter disporre di nonni- babysitter fa risparmiare alle famiglie più
di un miliardo di euro all’anno. “Una vera e propria economia della terza età - commenta Mariolina Moioli, assessore ai Servizi Sociali - contributo impagabile fatto di esperienza e di gioia di vivere… I nonni sono un elemento fondamentale della nostra società”. Già, senza contare il vantaggio psicologico per una crescita serena: i nipotini, infatti,
affermano unanimi di amare i nonni “perché li ascoltano e li fanno giocare”. Perché, in effetti, in tante famiglie sono solo i nonni ad avere il tempo di ascoltare i nipoti e di giocare con loro: provvidenziali, dunque, anche come “rifugio” psicologico, un cuscinetto che attutisce gli attriti, un punto di riferimento, un aiuto disinteressato su cui si può sempre contare.
Irina che voleva scoprire l’Italia
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TV: c’è anche chi giudica
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00 mila persone che per 48 ore, dalle 7 di sabato alle 23 della domenica, non guardano la tv e riflettono sull’uso e sull’abuso della televisione. Sono le cifre dell’11° “sciopero dei telespettatori” indetto per passaparola sulla Rete (“No tv day”). Certo la cifra appare irrisoria a fronte dei 23/25 milioni di persone che ogni sera vivono davanti al piccolo schermo, ma è comunque un buon segno: le adesioni a questi scioperi sono in continuo aumento e dicono l’insoddisfazione di quanti vorrebbero una tv meno lontana dalla realtà e più vicina alla vita. Buon segno anche per smontare il mito dell’auditel, che non conta mai i telespettatori disgustati che a un certo punto, spengono la tv, guardano un dvd o prendono in mano un libro.
rina fa la badante: l’anziano che assiste, ex- imprenditore edìle, ricco quanto scorbutico, parla poco con lei, quasi solo per brontolare. Anche i suoi parenti sono un po’ così e Irina, che pure svolge il suo lavoro con infinita pazienza, non riesce a nascondere la sua delusione. “Quando ero studentessa in Ucraina - dice - ero innamorata dell’Italia, sognavo di visitarla. Ho letto tanto sul vostro Paese, amo la vostra letteratura, l’arte, la musica… Pensavo che qui da voi avrei potuto approfondire tutto questo, parlarne con il mio datore di lavoro, i suoi parenti, i suoi amici… E invece i miei padroni non sanno nemmeno chi siano Dante Alighieri, il Caravaggio, Giuseppe Verdi…”. Capisco la delusione di Irina: sta imparando che il solo benessere materiale non rende la gente migliore.
Schiuma-party all’oratorio, che idea!
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ossi una mamma con figli in età scolare, mi guarderei bene dal mandarli, l’estate prossima, al Centro Ricreativo Estivo dell’Oratorio di un paese vicino. Nel luglio scorso, mese canonico dei C.R.E., l’ultima trovata dei responsabili, per “far divertire” come hanno detto - i bambini e i ragazzi, è stata l’organizzazione di uno “schiuma-party”, in collaborazione con una tv locale che poi ne ha trasmesso le immagini: alcune centinaia di ragazzini che si agitavano come zombie sotto la pioggia di schiuma che fuoriusciva da un “cannone” al ritmo di un’ossessionante musica - si fa per dire - da discoteca. Mi sono indignata e angosciata: di chi possono fidarsi oggi i genitori, se anche l’Oratorio si adegua all’andazzo diseducativo imperante?
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L’esperienza di vita della ginecologa Vera Spagnoli
Primo: educare in casa
Filippine, storie di vita
Sessualità consumata senza riflessione sul significato di Laura di Teodoro
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na vita trascorsa tra la gente, per la gente. Una vita fatta di ascolto, azioni concrete, aiuto e sostegno a giovani madri, a ragazze alle prese con il tema della sessualità e a madri che vivono nelle zone più povere delle Filippine. Vera Spagnoli non è una semplice ginecologa divisa tra studio e ospedale. Per lei il lavoro è una “missione di vita”, uno strumento di aiuto per gli altri, per costruire una vita migliore anche in situazioni estreme: dall’Italia, in un contesto in cui “l’educazione ha raggiunto livelli disastrosi e si è perso il vero valore dell’essere famiglia”, fino alle Filippine dove la ginecologa ha operato in una Missione, a contatto con una mortalità che è un fatto quotidiano. Originaria di Sabaudia, ginecologa dal 1968 e presidente dei Medici Cattolici della diocesi di AnagniAlatri, Vera Spagnoli tiene corsi di preparazione al matrimonio per informare i futuri sposi sull’importanza della vita. Da 10 anni lavora anche al Consultorio multietnico di Frosinone e segue i volontari all’ospedale di Alatri.
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ome si può impartire un’educazione seria e responsabile in un tempo in cui sembrano regnare solo l’immagine, il mordi e fuggi e i valori perdono sempre più significato? L’educazione oggi è un grave disastro. L’origine e la causa di tutto è da ritrovare nell’esempio famigliare: le coppie si costituiscono in “famiglie” senza sottoscrivere l’impegno a cui vanno incontro per essere libere da eventuali divorzi o separazioni. E questo già è un primo motivo di destabilizzazione per un figlio che viene turbato nel discorso dell’affettività. La vita sfrenata, i ritmi sempre più incalzanti, infatti, sono alla base di una carenza affettiva smisurata diventata, purtroppo, una costante. Insomma ci troviamo a vivere in una realtà dove i genitori non sempre sanno dare il giusto e concreto affetto ai figli. Se mancano queste importanti fondamenta, la famiglia finisce con il costruirsi sul nulla: le coppie separate si dividono i figli, si comprano e accattivano l’affetto dei bambini o ragazzi. Siamo arrivati, addirittura, al punto di vedere figli di separati contenti di quella determinata situazione, perché si trovano a ricevere più regali al compleanno o a Natale. È assurdo, ma è un discorso che purtroppo si sente in diverse situazioni. I ragazzi di oggi sono liberi,
non hanno vincoli. Non hanno una guida adulta in grado di dare un senso a certi gesti. Prima si consuma solo dopo si pensa E qui si entra nel discorso della sessualità. Alcuni tabù sembrano essere caduti ma si è passati all’eccesso. Come è vissuta oggi questa delicata sfera umana? Purtroppo senza la giusta e corretta consapevolezza. La sessualità, oggi, è legata esclusivamente a un fatto meccanico, a un istinto ormonale da assecondare. Tutto è diventato lecito a discapito dei valori su cui al contrario dovrebbe costituirsi una famiglia. Qual è la sua esperienza? Che bilancio fa? Come ginecologa posso dire che la maggior parte delle ragazze prima si approcciano al sesso, poi ne capiscono il significato. Rispetto al passato, in famiglia se ne parla di più, ma si è passati
all’atteggiamento opposto: mamme che portano le figlie di 14 anni a prendere la pillola, invitandole così ad agire liberamente senza una giusta coscienza e responsabilità individuale, oltre che di coppia.
Che angoscia la fame! Quali sono l’esperienza e il momento del suo lavoro che si porta dentro, come più profondi e indimenticabili? L’immagine di una mamma incinta, che doveva partorire, vicina al penultimo figlio appena morto di fame perché malnutrito. Ricordo anche un episodio curioso di un bambino a cui ero molto affezionata. Ai tempi aveva due anni e stava mangiando un boccone di carne. Il cibo è andato di traverso e lo stava soffocando. L’ho aiutato a tirare fuori quel boccone e in quel momento è scoppiato a piangere non tanto per il pericolo corso ma per il fatto che stava rischiando di non mangiare quel pezzo di pane.
Bisogno di cibo e di affetto
Una perdita di valore che colpisce la sessualità e la vita di tutti i giorni... Certamente. Vedo mamme che incitano i propri figli a dire le parolacce o a cantare canzoni “sporche” a due o tre anni. Atteggiamenti che poi diventano abitudini e così non si costruisce il rispetto verso l’altro. Persistono i cartoni animati fatti di violenza e botte. Fortunatamente, anche se in minoranza, esistono associazioni laicali e oratori che curano l’educazione dei ragazzi, ma il lavoro dei responsabili è veramente duro per il susseguirsi di messaggi negativi di fronte a cui i genitori non fanno nulla se non prendere le difese dei figli, sempre e comunque.
“N
elle Filippine ho visto la vera povertà: gente che donava il sangue per avere in cambio un paio di calzoncini, una maglietta e qualcosa da mangiare. Dopo quell’esperienza, per mesi non sono più riuscita a sedermi a tavole imbandite e ricche. Sapere che io avevo del cibo e loro morivano di fame mi angosciava e continua a tormentarmi. Così ho iniziato a parlare ai giovani di quella realtà e di quel bisogno di cibo e affetto che avevano e continuano ad avere i bambini che vivono in quel Paese. Ho imparato ad essere molto più parsimoniosa nei pasti e nell’abbigliamento, lontano da quell’abbondanza che purtroppo regna alle nostre latitudini. Ho fatto in modo che venissero adottati 75 bambini da miei conoscenti e persone che ho incontrato negli anni. PersonalHo imparato mente seguo una ad essere molto famiglia avvicinata frugale nei pasti anni or sono: dopo aver visto feci il parto morire di fame cesareo a una madre all’ottavo mese di gravidanza. Era il giorno del mio compleanno, così hanno chiamato la bambina Vera. Non solo, sono stata io a battezzarla. È stata un’emozione forte e bellissima. Da allora, ho sempre mandato loro i soldi che hanno permesso di far studiare i 5 figli e di costruirsi una casetta. Non mi stanco di ripetere nei miei incontri, soprattutto con i giovani: ciascuno di noi può essere una goccia nel mare, ciascuno di noi può fare qualcosa per costruire un mondo migliore”.
Nel matrimonio civile nessuna preparazione
Come prendere un impegno con nessuno Lei segue anche le coppie che vogliono prepararsi al matrimonio. Come si affronta questo momento? Molti si sposano in chiesa non per convinzione propria, ma perché spesso spinti dalle famiglie. I più “coraggiosi” rinunciano e vanno a convivere o si sposano in Comune. Ma se per la Chiesa esiste un percorso di preparazione, sul fronte civile, invece, manca questo
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passaggio: non si fa alcuna riflessione ed è come se si prendesse un impegno con nessuno. Si finisce con il vivere alla giornata e ciò va a discapito delle giovani coppie, spesso, già figlie di famiglie separate. Si viene così a creare un circolo vizioso che crea un danno alla società e alla scuola. E nelle Filippine, rispetto all’Occidente evoluto, che situazione ha trovato?
Sono tornata nelle Filippine, l’ultima volta, nel 2004 e andavo già da dieci anni. Sono stata nelle zone più povere, dove c’è la miseria più assoluta. Rispetto a noi, forse, il senso di famiglia è un po’ più forte anche se non mancano gli estremi: ci sono uomini che abbandonano le mogli o addirittura uomini che si risposano e lasciano morire di fame i figliastri. Per molteplici
circostanze, paradossalmente, c’è un diffuso individualismo. Chi è cresciuto dalle suore, pur con la nostalgia di casa, della propria mamma e con la costante ricerca del genitore perduto, ha studiato, ha preso il diploma e, in un certo senso, ha avuto la possibilità di recuperare la propria vita. In che considerazione tengono la vita e la famiglia? La vita è un bene che può
essere tolto da un momento all’altro. La mortalità, infatti, è molto alta. A Manila, i bambini giocano su montagne di spazzatura, prendono quanto riescono a
trovare per poi vendere pezzi di plastica o altro. Di contro, ci sono zone con ville grandi, dove si vedono bambini che giocano con le baby sitter.
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Lingua strumento di cittadinanza e coesione nazionale
Il paese degli strafalcioni
L’insegnamento dell’italiano “straniero” in molte scuole Servizio di Anna Carissoni
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a locandina della festa in bella vista sul cartello all’inizio del paese dice, tra l’altro, a caratteri cubitali: “A tutti i partecipanti i gnocchi verranno distribuiti a gratis!”. È solo l’ultimo degli strafalcioni che mi capitano sott’occhio, se ne vedono tanti in giro, ma il riflesso condizionato della vecchia maestra mi fa sobbalzare anche stavolta: che diamine, semianalfabeti che scrivete le locandine, si dice “gli gnocchi” e l’avverbio “gratis” non richiede di essere preceduto dalla “a”! Ma tant’è, pare che con gli strafalcioni si debba ormai convivere, rassegnandosi al pessimo uso della lingua anche da parte di chi la dovrebbe conoscere bene come prerequisito professionale: penso a certi giornalisti e conduttori televisivi, penso a tanti politici, soprattutto padani, che pretendono che gli immigrati imparino la nostra lingua (cosa che spesso fanno meglio di noi, tra parentesi) quando sono loro i primi a dimostrare di non aver dimestichezza, né con la grammatica, né con la sintassi né con un lessico appropriato… Quando poi sento qualcuno di loro ironizzare sulle pessime condizioni di salute della lingua nazionale mi arrabbio ancora di più: perché non usano altrettanta ironia con i loro colleghi della Pubblica Istruzione che continuano da decenni a sottrarre alla scuola
ore di studio alla lingua ed alla letteratura italiana? Nel triennio degli Istituti Tecnici, per esempio, le ore di italiano sono tre per settimana, le stesse che si dedicano allo studio delle lingue straniere; nelle facoltà di Lettere non ci sono esami di grammatica né di sintassi nemmeno per chi proviene da scuole dove non si è studiato il latino, lingua che invece è indispensabile per chi voglia insegnare consapevolmente la nostra lingua. E i risultati si vedono e si sentono: “édile” invece di “edìle”, “uténsile” invece di “utensìle”, “cosmopòlita” invece di “cosmopolìta”, e così via… Ma, anche a livello di scuola elementare le cose non vanno molto meglio: a parte l’esiguità del tempo da dedicare all’italiano, è invalsa la pessima abitudine di verificare le conoscenze e le competenze via via raggiunte dagli scolari con domande a mo’ di quiz: gli alunni devono solo crocettare le
Nei banchi 13 anni spesi male
U Dimmi come parli e ti dirò come hai imparato l’italiano: si abbassa inequivocabilmente il livello di padronanza della nostra lingua e ne abbiamo prova ascoltando radio-tv e leggendo giornali risposte giuste: il che, se fa risparmiare tempo, si rivela poi un disastro per la capacità di espressione, perché i ragazzi non si abituano né a parlare né a correggere il
Maturità, 58% bocciato
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iù della metà degli studenti italiani sarebbero da bocciare in italiano. Lo ha appurato un’indagine congiunta dell’Invalsi e dell’Accademia della Crusca che ha analizzato 6000 prove dell’esame di maturità del 2007, “bocciandone” il 58 % per “l’insufficiente padronanza della lingua italiana” rivelando, sottoforma di errori di ortografia, un uso inappropriato della punteggiatura e di periodi senza senso. Davvero un misero risultato, se si considera che gli autori delle prove hanno alle spalle un percorso scolastico durato 13 anni, e tanto più preoccupante se confrontato con la valutazione ufficiale, quella dei commissari della maturità, che invece hanno assegnato punteggi bassi solo al 20% dei candidati.
loro modo di parlare con la guida dell’insegnante che fa domande e chiede risposte chiare e coerenti. Ha ragione la professoressa Paola Mastrocola: la lingua nazionale bisogna impararla bene fin dai primi anni di scuola, perché la conoscenza dell’italiano è la prima arma per emanciparsi, o per farsi strada nel Paese in cui si è venuti a vivere. La scuola che non insegna presto e bene l’italiano perpetua le ingiustizie e l’esclusione dalle opportunità: lo diceva don Milani e lo ripete da decenni Tullio De Mauro, mentre anche l’Unione Europea ravvisa nella buona conoscenza della lingua uno strumento di cittadinanza e di coesione sociale.
na professoressa dell’Invalsi, Elena Ugolini, commentando un tema scritto alla maturità, ha parlato non solo di errori ortografici e sintattici, ma anche di “un’organizzazione logica delle frasi che evidenzia un livello linguistico da terza elementare” e del “non possesso degli strumenti linguistici essenziali”, per chiedersi amaramente, in conclusione, che cosa è stato insegnato, in 13 anni di scuola, a un ragazzo che scrive così, e quale potrà essere il suo futuro. Tra le prove prese in considerazione, i temi ben scritti rappresentavano il 13%: segno che la prova di italiano della maturità, quella cui nella nostra tradizione scolastica viene attribuito un significato culturale fondamentale, non gode affatto di buona salute.
Un’amara esperienza vissuta
Se l’esame diventa un quiz
D’
accordo, il nostro è un Paese in cui le regole e i limiti sono spariti da un pezzo non solo dalla scuola, i “tagli” alla scuola pubblica certo non aiutano e la tv, che una volta portava l’italiano dappertutto si è trasformata nella peggiore delle maestre… Ma questi non sono buoni motivi per non fare nulla. Come scrive Marco RossiDoria, bisogna tornare ad un test prima del biennio delle superiori e, affinché questo funzioni, ci vuole un esame ancora prima: l’esame di quinta elementare per tutti, italiani e stranieri. L’ultima grossa discussione che, quando facevo la maestra, mi contrappose ai colleghi ed alla direttrice didattica verteva proprio su questo argomento: mi rifiutai, infatti, di adottare la prova - standard d’italiano dell’esame di quinta elementare predisposta dalle altre maestre, la solita scheda con il I docenti solito quiz per verificare devono essere la comprensione di un esigenti se testo scritto, un breve vogliono racconto. Dissi che, a istruire davvero 10 anni, gli scolari non vanno trattati come dei poveri minorati mentali, perché, se gli insegnanti hanno fatto il loro dovere, i ragazzi di quell’età sono perfettamente in grado di riassumere un racconto con parole loro, di indicarne i personaggi e i protagonisti, di individuarne e sintetizzarne gli eventuali messaggi e così via… Di fronte alla mia ostinazione la direttrice dichiarò che avrebbe chiuso un occhio e mi lasciò fare, con la mia classe, a modo mio, limitandosi a sorridere di quella che definì “la mia solita fissa della lingua italiana”.
Troppi ragazzi leggono e ascoltano spesso senza capire. Frasi stereotipate
Un esame da ripristinare
“B
isognerebbe urlarlo perché è uno scandalo insopportabile che non si impari più la nostra lingua a scuola”. È la denuncia, sacrosanta, della professoressa Paola Mastrocola (foto qui a lato): i nostri ragazzi usano male le parole e ne utilizzano sempre di meno. Leggono e ascoltano spesso senza capire, come dimostrano anche le periodiche prove a livello nazionale dell’Invalsi. Usano per lo più frasi fatte, tratte dagli stereotipi della tv.
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Non conoscono le basi della sintassi: il “che” è diventato una parola tuttofare usata, indifferentemente, al posto di “a cui”, “in cui”, “di cui”, ma anche al posto di “quando” e “dove”… Non è una questione da poco, perché se una persona perde la lingua, perde anche la logica, cioè il pensiero. Se muore il congiuntivo, muore la capacità di costruire ipotesi; se muoiono i connettivi fondamentali (“infatti”, “mentre”, “tuttavia”, ecc…), muore la
capacità di argomentare. Se muoiono la punteggiatura e l’ortografia, la capacità di fare ordine nella mente per esprimersi poi con chiarezza si impoverisce in modo impressionante. In Cina i bimbi di sei anni devono saper leggere e scrivere almeno 300 ideogrammi, da noi i quindicenni usano normalmente, in media, 300 parole; in Francia il dettato si fa fino al Liceo, da noi non lo si fa più nemmeno nei primi anni di elementari.
Ma come mai si è arrivati a questo punto, se i programmi nazionali - che adesso si chiamano indicazioni - dicono
chiaro e tondo che alla scuola materna, elementare e media bisogna insegnare innanzitutto l’italiano, cioè proprio la
sintassi, la grammatica, il lessico, la punteggiatura? E come mai, allora, gli insegnanti che non lo fanno non vengono mandati a casa, dal momento che i programmi sono vincolanti per i docenti e i traguardi fissati sono irrinunciabili? La libertà di metodo non può essere una scusa, perché il modo di insegnare è giustamente a discrezione del docente, ma il contenuto dell’insegnamento deve essere verificabile e verificato.
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Comune stile digitale di vita Dai ragazzini alla fascia anagrafica medio-alta ecco il rapporto con il virtuale di Adolfo Celli
C
ome sempre è avvenuto nella “rivoluzione mediatica”, tra fasi di stanca e momenti frenetici, anche nella temperie attuale, i mezzi audiovisivi …emergenti si sono, progressivamente, affiancati e con crescente capillarità continuano a combinarsi con quelli in uso da più o meno lunga data, senza dunque scalzare del tutto quest’ultimi. I giovani e i ragazzi, nati e cresciuti con il computer e gli aggeggi affini sotto il naso, li utilizzano con maggior naturalezza rispetto agli adulti. Sono pure più versatili, nel senso che si muovono agevolmente fra tutti i mezzi a disposizione, con …una marcia in più nel trarre tutti gli apporti possibili dagli strumenti
Tra cambiamenti continui
Statistiche e prospettive
sul futuro che avanza
di più aggiornata concezione. Tuttavia non si può dire che gli adulti e gli anziani siano in massa rimasti ancorati al passato e continuino a restarvi legati; in un numero via via più consistente - per libera scelta o per sempre più ineludibile necessità - essi si preoccupano di mettersi al passo con l’era
Computer Sicuro
Come si è radicato e con quale ritmo sta diffondendosi tra la gente quello che viene definito lo “stile digitale” della vita quotidiana?
Analisi della propensione diversa nelle varie fasce d’età verso le nuove situazioni determinate dagli strumenti audiovisivi.
che corre e di porsi nelle condizioni necessarie per usufruire del futuro che avanza. Lo dimostrano le statistiche. Da una ricerca effettuata recentemente negli Stati Uniti - e dati non molto differenti sono stati colti pure in Italia - è emerso che coloro che in un mese dedicano più tempo ad internet
con Daniela Baiguini
Come possiamo difenderci?
I
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Come possiamo difenderci? NaUna volta chiuso internet, dovrete turalmente è bene essere dotati cliccare sulla nuova icona del di un buon antivirus che di programma scaricato: si aprirà solito è compreso nel pacchetto una finestra e voi sceglierete al momento dell’acquisto del “esegui”. Quest’operazione installa automaticamente l’antivirus sul Pc. Ma se non ne avete già computer (dovrete solamente eseuno, ne trovate di gratuiti ed efficaci in: http://www. guire le istruzioni) e programmigratis.org/ Il PC di un ignaro può richiedere qualche AntivirusFree.aspx. utente può essere minuto. Al termine, in alcuni casi, vi viene Nell’elenco troverete usato per scopi molti prodotti che illegali e immorali richiesto di riavviare il computer per comottengono un buon risultato su computer dotati dei pletare l’installazione. Una volta riacceso, sarà sufficiente avviare principali sistemi operativi (Windows XP, Vista o Windows 7). Vi il programma e il computer sarà basterà scaricarli, cliccando sulla analizzato, ripulito e protetto. dicitura “download” e salvare il 1. continua file sul desktop del computer.
Indirizzi per l’uso
Antivirus d’emergenza
S
(per motivi e con finalità varie) sono i 35-44enni; accanto alle loro 42 ore e 35 minuti (di navigazione mensile media) si collocano le 39 ore e 27 minuti (di navigazione mensile media) dei 45-54enni, le 35 ore e 49 minuti dei 55-64enni, le 31 ore e 37 minuti dei 25-34enni, le 28 ore e 34 minuti degli ultra
Strategie in continuo aggiornamento
Massima attenzione ai pericolosi “cavalli di Troia”
nternet: alleato o nemico? Le più recenti statistiche rivelano la ricchezza della dotazione tecnologica delle case italiane e la supremazia indiscussa di computer e internet: il 76% degli italiani possiede un computer e il 65% una connessione Siamo un popolo internet veloce. sempre più in rete, Gli scettici che il 65% possiede mostrano una connessione internet certa resistenza all’innovazione tecnologica e che non credono che essa migliori la qualità della vita sono solo il 9% (solo il 13% degli over 50). Siamo sempre più un popolo in rete, dunque, ma di fronte agli indubbi vantaggi, molti sono anche i pericoli che internet nasconde: virus, spyware, dialer, spam, phishing e keylogger sono alcuni nomi per indicare diversi tipi di attacco ai computer. Con la trappola di richiedere di “scaricare” qualcosa di particolarmente “attraente”, per esempio, si installano i cosiddetti “cavalli di Troia” (trojan) che consentono ai malintenzionati di usare il computer dell’ignaro utente per scopi illegali e immorali, come spam (il trojan prende il controllo dei vostri contatti di posta elettronica e li utilizza a suo piacimento per inviare mail di ogni genere), truffe, ricatti.
Gli esiti dei rilevamenti e dei sondaggi appositamente condotti un po’ ovunque, rendono le risposte abbastanza complesse.
65enni, le 14 ore e 19 minuti dei 18-24enni. E poi: le 11 ore e 32 minuti dei 12-17enni e le 5 ore e 21 minuti (di navigazione mensile media in internet) degli 11enni. Nella valutazione comparata delle cifre qui esposte vanno tenute presenti le chances (quanto a tempo, intendimenti, occasioni ed altro) concesse o connesse ad ogni singola categoria. Grazie ad un’analisi più mirata si è constatato che se i 12-17enni, di solito, passano, in media mensilmente, 3 ore 5’ e 57” guardando video on line, i 18-24enni trascorrono, dal canto loro, nella medesima maniera 5 ore 35’ 58”, i 25-34enni 4 ore 44’ 13”, i 34-44enni 3 ore 30’ 33”, i 45-54enni 2 ore 5’ 33”, under 11enni un’ora 48’ 43” e gli ultra 65enni un’ora 13’ 34”.
e avete bisogno di un Antivirus di emergenza è ottimo (e gratuito) Kaspersky Rescue Disk (http:// devbuilds.kaspersky-labs.com/ devbuilds/RescueDisk/) da scaricare in un cd per poi far ripartire il computer con il cd inserito per ripulire i virus più tenaci. Conviene, inoltre, leggere quanto Microsoft scrive sulla sicurezza di un computer in famiglia (www.microsoft.
com/italy/athome/security/) e, soprattutto, tenere sempre aggiornato il sistema operativo di sicurezza, impostando l’aggiornamento e l’installazione automatici dal pannello di controllo “Centro sicurezza Pc”. È molto utile anche la guida di Adiconsum (www.adiconsum.it) e Anssaif (www.anssaif.com) sul furto di identità e su come tutelare i propri dati personali in internet.
Rivoluzione in corso di Arturo Consoli
G
enitori (giovani, di mezza età e …oltre) e figli (adolescenti o …bamboccioni) frequentano pressoché gli stessi siti; i teenagers mostrano però una spiccata predilezione per i social network, trovandoli “luoghi” di esperienze e conoscenze notevolmente desiderate alla loro età: essi (consapevolmente o inconsapevolmente) vanno così incontro a forti rischi. La passione per i videogiochi pare che sempre meno sia …peculiare degli under 20; al contrario, essa sta coinvolgendo un po’ tutti, madri di famiglia comprese. Sembra abbia poco fondamento l’opinione circa uno scarso interesse da parte degli under 20 per i giornali e per i libri in generale; essi li tengono d’occhio, con chiara predilezione per determinate testate loro congeniali, ma contemporaneamente, cercano notizie e nozioni, si aggiornano pure lungo altre vie. Non snobbano la “vecchia” radio; tuttavia la musica, in parecchie occasioni, preferiscono ascoltarla attraverso l’mp3. Ritengono un …residuato d’altri tempi il televisore; ma badano - per certi aspetti persino più degli adulti - alla televisione; la “consumano” a modo loro, con i mezzi e nelle modalità più gradite. Un autorevole critico televisivo ha detto che - in virtù dell’attuale ricchezza tecnologica e sovrabbondanza di offerta (quanto a programmi e reti) - i teenagers, non di rado, si accostano alla televisione “come in altre epoche le avanguardie artistiche osservavano il cinema tramite l’estetica del frammento”.
Le nuove generazioni consumano musica soprattutto con l’mp3, in ogni momento e in ogni situazione, su bus come negli spostamenti a piedi.
Pare allentarsi, purtroppo il rapporto con la lettura. Ai cari vecchi libri si preferiscono la facilità e l’approssimazione via internet.
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Comportamenti a rischio
Si guarda senza osservare…
Attenti a quei manipolatori
Imparare esige applicazione
Le insidie della modernità Servizio di Laura Di Teodoro
U
na mente umana catturata dalla retorica, da immagini e informazioni che persuadono e seducono, privando la coscienza di un proprio spirito critico e togliendo la voglia di scoprire e approfondire. Una mente umana che Anna Oliverio Ferraris definisce, in maniera schietta e senza giri di parole, “manipolata”. Da chi, o meglio da cosa? Dall’evoluzione mediatica, dalla comunicazione multimediale (comunicazione ridotta a diffusione), dalla voglia di ciascuno di noi di farsi convincere, dalla pubblicità (dichiarata o meno), dalla politica e dalla schiera di “sofisti del Duemila” che si avvalgono delle più moderne tecnologie di comunicazione per entrare capillarmente nelle case. Insomma, un intero mondo “virtuale” che, neanche troppo lentamente, si sta sovrapponendo a quello reale. Nel suo più recente libro “Chi manipola la tua mente?” l’autrice si sofferma sulla facilità di strumentalizzare e influenzare comportamenti, inclinazioni naturali, indirizzando così ciascuno di noi verso stili di vita e consumi scelti da altri: “Autoanalisi, osservazione e riflessione sono gli strumenti cognitivi a nostra disposizione che ci consentono di
Capire e reagire Messaggi
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essaggi mediatici fatti di suggestioni, seduzioni e persuasioni sottili, occulte in cui si nascondono raffinate tecniche di manipolazioni che spingono i ragazzi verso scelte inconsapevoli.
Strade pericolose
C
ome fare quando ci si trova in determinate situazioni e non si sa quale strada non pericolosa prendere. Nero su bianco ecco tecniche e modalità di manipolazione per aiutare il lettore a capire e reagire.
Volpi d’oggi
A
nna Oliverio Ferraris svela, nel suo ultimo libro, i trucchi per difendersi dai manipolatori moderni, volpi sempre più astute e affamate, e come difendere o riacquistare una propria coscienza critica.
Anna Oliverio Ferraris, psicologa e psicoterapeuta, mette in guardia i giovani dalle insidie di comportamenti “orientati”. prendere le distanze dai messaggi che ci raggiungono e di valutarli”. Anna Oliverio Ferrarsi, perché l’idea di scrivere questo libro? Mi occupo di questi argomenti da parecchi anni: nel 2004 ho scritto “Tv per un figlio” in cui sottolineavo gli effetti deleteri della televisione sui bambini, e nel 2008 “Sindrome Lolita” in merito ai condizionamenti sul mondo infantile e alla iper-sessualizzazione, argomenti che ritengo essere di estrema attualità. Il tema della manipolazione della mente risale ai greci e non è sicuramente un’invenzione moderna; in passato, però, si trattava di una manipolazione verbale, oggi invece, ci sono le numerose immagini che
provocano suggestioni e reazioni diverse, colpendo in maniera più incisiva la sfera emotiva e quindi la mente. Ci sono le pubblicità di tipo indiretto e diretto, c’è la comunicazione televisiva, politica ecc. Nel Ventesimo secolo gli studi sulla suggestionabilità sono aumentati, a dimostrazione che le menti di tutti sono molto influenzate e influenzabili. Al contrario invece, chi ha figli o alunni, vorrebbe che i propri ragazzi fossero consapevoli e autonomi nelle scelte. Il libro è stato scritto proprio per questo: per continuare a coltivare il senso critico più che mai in un’epoca in cui tutti cercano di vendere il proprio punto di vista agendo sulle emozioni.
Cosa differenzia i ragazzi di oggi rispetto a quelli di 20 anni fa? I giovani d’oggi vanno molto su internet e sono “vittime” della velocità. L’eccesso dei messaggi porta a una superficialità dell’informazione a cui ci si tende ad abituare. Non si approfondisce più nulla e il rischio, oggi, è proprio questo: conoscere senza capire, guardare senza osservare nel dettaglio, nel profondo delle cose non comprendendo, quindi, certi aspetti importanti della vita. Ci sono nozioni difficili da imparare, prima a scuola e poi nel lavoro e questo richiede un’applicazione e un impegno che tendono ad affievolirsi. Ciascuno di noi deve avere una propria griglia di valutazione, una propria coscienza Sono troppe critica per capire le imboscate quello che succede della TV contro altrimenti si rischia bimbi indifesi di avere un’unica cultura popolare, ma non una propria identità. A discapito della fantasia… Certamente. La fantasia, soprattutto nell’infanzia, ha un ruolo fondamentale. Se una persona si abitua a consumare prodotti fatti da altri perde confidenza con la propria immaginazione. Per questo i giochi classici infantili hanno un loro grande valore che sicuramente la televisione non può sostituire.
Tutto avviene velocemente con poche possibilità di filtro La rapidità dei messaggi nel tempo presente, praticamente un bombardamento continuo, non permette al bambino di riflettere Tutti possiamo essere e siamo manipolati. Ma come può nascere un’adeguata coscienza critica, come è possibile costruirsi un muro di difesa contro questi “attacchi”? Riflettendo sulle strategie che vengono usate dai “manipolatori”. Proprio per questo motivo, nei vari capitoli, del libro passo in rassegna le tecniche utilizzate per manipolare la mente in televisione, nella politica, nella vita di tutti i giorni e lo faccio utilizzando un linguaggio semplice e una forma scientifico-divulgativa. La fascia più sensibile è sicuramente quella dei bambini e dei ragazzi. Quale può e deve essere il ruolo della scuola? La scuola deve affrontare una grande sfida soprattutto nei
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confronti della televisione e internet che rappresentano le minacce più serie. Sul fronte televisivo, la concorrenza, la guerra dell’audience e la ricerca di quella seduzione perenne hanno portato ad un azzeramento dei valori e alla diffusione di messaggi semplici costruiti sempre sulla sessualità, sulla superficialità e su tutto ciò che suscita emozioni forti nello spettatore. Il tutto
“Su centinaia di siti internet va in scena la oggettivazione del corpo femminile: la donna usata nel peggiore dei modi”
succede velocemente e questo rende ancora più difficile bloccare o filtrare quanto viene trasmesso e, soprattutto, non permette al bambino di riflettere su quanto vede. Qual è la minaccia che la spaventa, soprattutto in merito alla sfera infantile? Sicuramente l’ambito sessuale, dove stiamo assistendo a una deriva preoccupante: ci
“Nell’ambito sessuale assistiamo a una deriva preoccupante e rischiosa per i bambini di 11 o 12 anni”
sono ragazzini di 11 o 12 anni che già vedono scene hard e questo deve farci riflettere sulle conseguenze. Alcuni studi sostengono che bambini che consumano prodotti pornografici prima dei 14 anni sviluppano nel corso degli anni una sessualità deviata. E questo è il futuro che molti si stanno costruendo. Ora basta premere dei tasti per trovare decine, centinaia di siti internet dove va in scena una certa oggettivazione del corpo e dove la donna viene usata nel peggior modo possibile. C’è un’eccessiva attenzione al look già in tenera età e questo, per molti, diventa il pensiero dominante a scapito della testa, della propria cultura e di tutto quanto si dovrebbe imparare per vivere.
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In TV messaggi stupidi e ad effetto
Copertina
Imparare a distinguere il vero dal verosimile E dobbiamo affidarci a noi stessi Dove finisce la famiglia in tutto questo terremoto di valori educativi? La famiglia deve essere ancora più impegnata perché il mondo è sempre più complesso e soprattutto esiste un mondo virtuale, quello della televisione e internet, con cui fare i conti. Tutti noi dobbiamo imparare a distinguere il vero dal verosimile,
Gabbia dorata
seduttiva ✍ “Un’esposizione regolare alla TV nei primi tre anni di vita interferisce negativamente con lo sviluppo del linguaggio e dell’intelligenza senso motoria, quella forma di intelligenza che caratterizza le prime fasi dello sviluppo, che presiede alla formazione dello schema corporeo e all’acquisizione di tutte quelle abilità che si apprendono attraverso i giochi e le attività di movimento”. ✍ “La comunicazione multimediale ha la caratteristica di catturare la mente umana e di ridurre il processo di comunicazione alla sua fase di diffusione: una comunicazione a senso unico e incompleta”. ✍ “Pubblicità emotiva, pubblicità seduttiva, fiction ingannevole, informazioni addomesticate o profondamente Bruno Bozzetto modificate stanno e una vignetta disegnando, tutte molto critica insieme, i contorsulle notizie che ni di una società passano in tv manipolatrice che alla fine crea una sorta di gabbia dorata che valorizza coloro che riescono a dare agli altri la sensazione di essere liberi nelle proprie scelte e nei loro atti, quando invece costoro fanno esattamente ciò che viene loro imposto”. ✍ “Il flusso ininterrotto delle immagini sul piccolo schermo trascina l’attenzione del bambino, anche quando lui/lei non è ancora in grado di distinguerle e comprenderne il valore rappresentativo”.
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Scienza in famiglia
Anna Oliverio Ferraris è professore ordinario di Psicologia dello Sviluppo all’Università La Sapienza di Roma dal 1980 ed è sposata con il professor Alberto Oliverio
Pubblicità
Mass-media e noi
le cose serie dalle invenzioni e possiamo farlo affidandoci a noi stessi, alla nostra coscienza critica che dobbiamo coltivare e aiutare a prendere il sopravvento. Purtroppo, la televisione ci presenta programmi tutti uguali, studiati per colpire il pubblico con messaggi stupidi e superficiali. L’obiettivo per tutti è il
A
nna Oliverio Ferraris è autrice di saggi divulgativi, articoli scientifici e testi scolastici in cui affronta i temi dello sviluppo normale e patologico, dell’educazione, della famiglia, della scuola, delle emozioni della comunicazione e del rapporto con i media. È stata membro della Consulta Qualità della Rai e del Comitato Nazionale per la Bioetica. Dirige “Psicologia Contemporanea” e collabora con “Mente e Cervello”, “La scuola dell’infanzia”, “Prometeo”. Il marito, Alberto, insegna pure all’Università La Sapienza, dove è docente di Psicobiologia, Dipartimento Genetica e Biologia Molecolare.
profitto, la pubblicità e non certo l’educazione e l’arricchimento culturale di chi guarda. La televisione va smitizzata. L’etica in televisione è un miraggio quindi? Purtroppo sì. In molti casi le reti si sono commercializzate troppo perdendo la missione originaria che era l’etica appunto. Ora, invece, bisogna reggere la concorrenza inseguendo, spesso, notizie false e presentando alla gente un mondo non vero, fatto di storie spesso inventate e personaggi finti. La mia speranza è che la gente prenda coscienza prima possibile di quanto li circonda. Finché ci sarà un pubblico che guarda certe trasmissioni non possiamo sperare che queste chiudano. Io mi affido all’intelligenza e al buon senso delle persone e spero.
L’opinione pubblica italiana purtroppo risente di questo clima inquinato
Troppi intellettuali hanno perso grinta Più combattivi in altre realtà sono molto più combattivi ed effettivamente, anche di fronte a certi scandali, vediamo un’opinione pubblica più preparata e attenta.
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utto - o comunque sempre di più - nel vivere d’oggi è dominato dalla comunicazione. Incide in una maniera che non riusciamo neppure a pesare personalmente sui nostri comportamenti. Abbiamo riflessi condizionati dalla pubblicità e da tanti criteri abilmente studiati dagli specialisti e fatti viaggiare a fini meramente consumistici. Professoressa Anna Oliverio Ferraris, nel suo libro sottolinea che la Comunicazione, quella vera, ormai si è persa. Il messaggio che si vuole mandare deve sedurre, persuadere e suggestionare, il tutto a discapito del contenuto reale. Che fine ha
fatto la comunicazione? Purtroppo molti intellettuali hanno perso la loro grinta e sono diventati poco incisivi nei confronti del pubblico. Al contrario, in Francia, gli intellettuali
Lei sta girando le scuole per far conoscere ai ragazzi il suo libro e per consapevolizzarli sui rischi ai quali vanno incontro. Che risposta sta trovando? La risposta è molto buona. I giovani delle scuole superiori
Cinema Humphrey Bogart divenne famoso per una battuta passata alla storia: “È la stampa bellezza”, un riconoiscimento in anticipo del peso del mass-media. Sopra Rita Hayworth e Orson Welles. Disse di lui: “Vuole essere applaudito”.
che ho incontrato hanno fatto lavori molto interessanti su questo tema, dimostrando di aver capito. Non è impossibile portarli sulla giusta strada, ci vuole molta forza di volontà da parte di chi educa e da parte dei ragazzi stessi. Professoressa, scrittrice e dal 2008 direttrice di Psicologia Contemporanea, storica rivista del settore. Come ha intrapreso questa avventura? Con la volontà di trattare e approfondire gli argomenti di attualità e di allargare la rivista anche alle scienze umane in generale, senza naturalmente tralasciare il cuore della pubblicazione e quindi le tematiche psicologiche. Deve essere insomma sempre più uno strumento di formazione e di lavoro che lasci il segno e un certo impatto.
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E la nave va in acque paludose ➢ segue dalla prima
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agazze dimentiche del pudore e della dignità si vendono con leggerezza sotto la sigla anonima di escort, ma continuando il mestiere più antico del mondo. E giovanotti che si sono liberati, senza rimpianti, dei problemi di coscienza si buttano, nella loro scia, proponendosi come gigolò. Ma quel che è peggio, il nerbo dell’homo faber, l’asse portante della società che produce, quella figura d’imprenditore chiamato artigiano, per la quale lavoro e famiglia sono una cosa sola, è stato messo ai margini, umiliato sotto ogni profilo. La sua era la condizione aurorale del lavoratore autonomo, il protagonista dell’industrializzazione diffusa, cui l’Italia deve la grande trasformazione del suo vivere, l’emancipazione dalla povertà di intere regioni del Paese. Da questi uomini e donne venivano quel fervore operativo e quella creatività che ci hanno attirato le simpatie e l’attenzione del mondo intero, affascinato dal made in Italy. Un potenziale prezioso per ogni regione italiana, che le vecchie Scuole di Arti e Mestieri avevano messo nelle condizioni di dare il
Il divorzio tra Fini e Berlusconi è l’origine dell’attuale crisi politica italiana.
meglio di sé, fornendo l’istruzione professionale capace di accendere le vocazioni. Ora, tra sindacati imbalsamati guidati da burocrati dello sciopero, incapaci di fornire sostegni in positivo, arroccati solo sull’assistenzialismo, e governanti troppo occupati nelle interminabili scaramucce partitiche piuttosto che nei progetti di vasto respiro, quella che risalta nella sua cruda essenza è la brutale lacerazione subìta dal tessuto sociale. Una ferita profonda, che toglie ogni forza alla vita di relazione, ormai quasi priva di orgoglio, di senso della nazione, di voglia di sfida e di confronto. Proprio nel momento in cui maggiore sarebbe la necessità di contare sulla coscienza collettiva per superare le difficoltà del ciclo economico e per gestire con efficacia l’integrazione di tante nuove culture trapiantate nel territorio. La Chiesa, unica provvidenziale istituzione che, nelle opere e nell’indirizzo dottrinale richiama ai veri ideali e conforta, è per questo aspramente attaccata. Ogni giorno, il Papa, i consacrati e i credenti, sono aggrediti sul piano nazionale ed europeo, in un intreccio di complicità tra poteri forti, spesso subdolamente capaci di mettere insieme supposti progressisti e veri speculatori. Tutti interessati a cancellare dalla faccia della contemporaneità ogni traccia di legge morale. Un momento drammatico, che richiama a uno sforzo collettivo famiglie e persone di buona volontà per raddrizzare l’asse morale del mondo, come scriveva in un’epoca altrettanto in pericolo il sociologo e Servo di Dio Giuseppe Toniolo. Pochi anni dopo l’Europa e gli altri continenti avrebbero conosciuto gli orrori della Grande Guerra. Ulderico Bernardi
Figli cresciuti, ruolo ritenuto concluso…
La crisi dei 50enni adolescenti di ritorno ➢ segue dalla prima
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uovo. Settembre è passato e non c’è stato nessuno che ha ripreso la scuola. Nessun tour de force presso le librerie per i libri di testo. Nessuna polemica sulla formazione delle classi. Nessuna lagnanza per i professori toccati in sorte. La sveglia è rimasta puntata sulle sette, anche se non c’è più nessuno che prende l’autobus al volo, la brioche in piedi e che dimentica il diario a casa. Dalla mattina alla sera 15 anni sono passati. Quindici anni che pensavo durassero per sempre. Quattro figli sono passati, trascorsi da questa casa come in un sogno. E oggi nella stanzetta accanto alla nostra, dorme la nonna. Certo, gli affetti sono rimasti. Come pure le preoccupazioni per questi quattro futuri appena intrapresi. Ma la presenza, le piccole abitudini, il cesto della biancheria straripante, il tema centrale dei discorsi col marito, non ci sono più. Quel tempo che una volta si invocava per sé, che sempre mancava e che era divenuto poco più di un irraggiungibile miraggio, ora improvvisamente ci si spalanca davanti. Si fa fatica a riempirlo. Come si fa fatica a rimettere la relazione coniugale al centro dei propri interessi. Le mille e un’esigenza del quotidiano ci avevano abituati a non avere mai tempo l’uno per l’altro. I pigri indugi della domenica mattina a letto, il lusso di una cena fuori, la gratuità di una serata al cinema, sono momenti dimenticati di cui, forse, si è persa persino l’esigenza. Così come, forse, per anni
ci si è dimenticati di guardarsi l’uno negli occhi dell’altro, per cercarvi la complice intesa che aveva innescato tutta la nostra storia d’amore. Siamo di nuovo in due. Circondati, certo, da un corollario di persone, di affetti, di relazioni, ma sostanzialmente, siamo di nuovo in due. Che fare di questa relazione? La domanda non è obsoleta. Molti sono i matrimoni che dopo venti-venticinque anni, si sfasciano. Attraversate tutte le tappe descritte sopra, alla fine, la valutazione risulta negativa. La volontà di stare insieme si è persa per strada. Il collante dei figli non c’è più. E allora, succede che si decide, di andare ciascuno per la sua strada. Una strada nuova. Una strada tutta da inventare. Dopo una vita di regole e inevitabili sacrifici, è come se si spalancassero all’improvviso le porte di una nuova adolescenza. Finalmente
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Sono già passati 15, 18, 20 anni e non ce ne siamo nemmeno accorti. In passato l’uscita di casa dei figli, rendeva nonni, oggi fa tornare adolescenti. Siamo tra le prime generazioni ad attraversare questo passaggio di crisi. Tutti inseguono quella grande ricercata che è la felicità.
Uno studio americano non lascia dubbi: da campioni di giustizia a protagonisti di violenza
Supereroi? Macché, pessimi maestri della denuncia
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tiamo assistendo alla caduta di molti valori e di molti modelli. Era inevitabile che nella frana venissero travolti anche quelli che erano campioni di positività. Al loro posto, come brutto segno dei tempi, ecco che arrivano i sostituti: nuovi supereroi, diseducativi ed egoisti, violenti e maschilisti, uno peggio dell’altro e tutti un pessimo esempio per i ragazzi. Non è un’impressione soggettiva o il giudizio di qualche maestro o professore o educatore deluso dai miti delle nuove generazioni. C’è uno studio dell’Università del Massachussets, negli Stati Uniti e Sharon Lamb, presentando la ricerca al congresso dell’American Psycho-logical Association è molto esplicita in materia: «C’è una grande differenza
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tra i supereroi dei fumetti di ieri e quelli che vediamo sugli schermi al giorno d’oggi. Quello attuale è un eroe dedito alla violenza non stop, sarcastico e che raramente parla delle virtù dell’aiutare il prossimo». Quello che manca agli eroi moderni, è una dimensione «umana»: «quelli di una volta combattevano sì i criminali, ma nella vita di tutti i giorni erano persone comuni, da cui i ragazzi potevano prendere esempio». Dall’inchiesta è emerso che i comics di oggi offrono solo due tipi di modelli, il player, cioè il supereroe «24 ore su 24» come gli X-Men, con pochissimo senso della solidarietà e della giustizia, ma animato da desideri di violenza e vendetta, o lo slacker (non motivato), un personaggio, cioè, disinteressato a qualunque tipo di coinvolgimento o responsabilità.
Barbara De Rossi, interprete di “Un ciclone in famiglia” ha lasciato il marito: colpo di fulmine per uno più giovane di 21 anni. liberi di innamorarsi di nuovo. Di sentirsi giovani. Di vivere la propria vita. Succede. Succede agli uomini e alle donne. Alle madri e ai padri. Vent’anni di vita in comune vengono stralciati. Case costruite con i sacrifici di una vita in comune, vendute. Principi difesi da sempre, abbandonati. All’improvviso sbucano grandi amori, passioni travolgenti, amici d’infanzia e l’irrazionale voglia di vivere il sogno si fa gesto concreto. In passato, l’uscita di casa dei figli rendeva nonni, oggi, fa tornare adolescenti. E i ruoli si invertono. I figli cercano di far ragionare genitori “fuori di testa”, prospettando loro il futuro, la vecchiaia, la necessità di guardare avanti, di costruire sulla certezza. Ma i genitori non ascoltano. E fanno il salto nel vuoto. Come va a finire? Difficile dirlo. Forse è presto. Siamo tra le prime generazioni a comportarci così. Ci vorranno anni, ci vorrà la vecchiaia, che prima o poi, ci raggiungerà anche se abbiamo una relazione con chi ha la metà dei nostri anni, o se ci illudiamo di procrastinarla vivendo alla giornata. Non so proprio come andranno a finire queste storie. Chi, alla fine, avrà raggiunto quella a cui tutti, in modi infinitamente diversi, tendiamo: la felicità. La mia scelta è di innamorarmi da capo. Non di un amore nuovo. Ma di chi mi accompagna da più della metà della mia vita lungo il su e giù che la vita ci ha preparato. Di chi mi ha conosciuta giovane, innamorandosi anche dei miei sogni, delle mie ingenuità, dei miei progetti di vita. Di chi mi è stato accanto per uno, due, tre, quattro parti, condividendone ansie e gioie. Di chi mi ha permesso di crescere e diventare quello che sono. Di mio marito. Corinne Zaugg
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La nuova stagione con notevoli cambiamenti tecnologici e di contenuto
Paese che vai, televisione… che trovi La rivoluzione dall’analogico al digitale di Gino Carrara
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i sta entrando a gonfie vele nella nuova stagione televisiva, caratterizzata assai più delle precedenti da significativi cambiamenti. È in corso (e dovrà concludersi a livello nazionale entro il 2012, secondo i progetti) la “rivoluzione tecnologica” del passaggio dalla forma analogica al cosiddetto digitale terrestre. Quando non ci sono motivi o mezzi per acquisire televisori della più aggiornata generazione (con incorporati i nuovi necessari meccanismi), nelle case entrano (e in moltissime case sono già entrati) i decoder del tipo “zapper” (i più economici), che permettono di continuare a vedere i canali gratuiti, oppure i decoder più sofisticati che… aprono la strada pure ai canali pay. In virtù dell’impostazione che va diffondendosi, si è enormemente accresciuta l’offerta dei programmi (anche di libero… accesso). L’emittente di stato (la Rai), in particolare, nell’ammodernare il proprio look e nell’attuare parecchi avvicendamenti nei cast di alcuni degli appuntamenti “storici” dei suoi palinsesti, ha deciso di affiancare alle tre consolidatissime reti generaliste una serie di canali monotematici (dedicati al cinema, ai cartoni animati, all’intrattenimento e all’approfondimento, allo sport, “maggiore” o “minore”) destinati a trovare un audience via via più esteso. Mentre in Italia si vive questa fase di transizione, può essere interessante una rapida panoramica su quello che va in onda in altri Paesi. Ormai da tempo, è risaputo che, anche per il piccolo schermo, è scattata la globalizzazione: quello che fa colpo in un certo Paese, di solito, viene acquistato (come “format” o schema di trasmissione) in altri Paesi. L’autore inglese Simon
Cowell ha visto il suo “X-Factor”, lanciato in terra britannica nel 2004, dilagare in 24 Stati (Italia compresa) e il suo “Got talent” (solo di recente acquisito dalle nostre parti) approdare in una quarantina di Paesi. In Inghil-
Gabriella Carlucci, Jerry Scotti, Paolo Bonolis e Simona Ventura.
terra, nel 1998 ha visto la luce anche “Chi vuol essere milionario”, ormai proposto in 108 Paesi più o meno nelle modalità nelle quali in Italia viene condotto da Gerry Scotti. Ha il marchio della britannica BBC (dal 2004)
Francesco Facchinetti presentatore di X Factor.
il “Ballando con le stelle”, “esportato” in una trentina di Paesi e da noi diventato il “successo” del sabato sera, gestito da Gabriella Carlucci. Sulle rive del Tamigi (nel 2002) è sbocciata persino l’idea matrice di “Affari tuoi”, rapidamente sviluppata in una sessantina di Paesi. Dagli Stati Uniti (dove è la trasmissione più seguita) è arrivato in più di 40 Paesi di tutti i continenti “Pop Idol”, il talent show musicale “pensato” da Simon Fuller, il produttore degli spettacoli delle Spice Girls. È, ovviamente, “Il grande fratello” (Big brother nella denominazione originaria) il “responsabile” dei “reality” che, con le più disparate strutture e tematiche, hanno invaso tutti i continenti. Gli autori delle singole aree hanno puntato ora sul serio ora sul faceto. In
Lelio Luttazzi, pianista, compositore, attore, ma soprattutto…
Il “discobolo” dei successi musicali
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ra un pianista, abilissimo nelle improvvisazioni e nel quale non esistevano vie per “anticipazioni” e “funell’infondere un certo spirito italiano nello swing ghe di notizie” e nessuno si azzardava a imbarcarsi in americano; sapeva dirigere orchestre con molta iniziative alternative autonome, quella graduatoria era verve; aveva firmato le colonne sonore di un’infinità di attesa dai fans della musica leggera (che erano un’infinità) al pari dei risultati delle partite di calcio della film e di riviste teatrali allestite da autori di domenica pomeriggio sospirati dagli scommetgrido; si era proposto abilmente come attore cinematografico e come conduttore di memorabili titori del Totocalcio in un mondo non ancora varietà televisivi (quali “Studio Uno” con la invaso dalla spezzatino “footbaliero” televisivo. partecipazione di Mina e delle gemelle Alice L’artista triestino scomparso l’8 luglio scorso all’età di 87 anni fu, in sostanza, il… discobolo e Helen Kassler); proprio lui aveva messo sul pentagramma le note di “pezzi” popolari come di tutti i successi musicali degli anni ’60 e “Giovanotto matto”, “Una zebra à pois” ’70. Coinvolto, a torto, nel periodo della sua (a lungo cavallo di battaglia della “tigre di massima notorietà, in una vicenda giudiziaria con di mezzo la droga, benché totalmente e Cremona”), “Vecchia America” (cara al Quartetto Cetra), “Souvenir d’Italie”. Lelio Lelio Luttazzi pienamente scagionato, non ebbe più la forza Luttazzi però è sempre rimasto nella mente di di riprendersi. Si autoemarginò; e solo in poun signore …quelli di una certa età principal-mente per dello spettacolo chissime occasioni (nel ’91 - ’92 con Gigliola un grido: quell’“Hiiiiit Parade!” con il quale ingiustamente Cinguetti in “Festa di compleanno”; nel ogni venerdì, tra il 1967 e il 1976, davanti ai messo ai margini 2006 con Fiorello a Radiodue; nel 2009 al microfoni dell’emittente radiofonica di Stato (a Festival di Sanremo come “padrino” di Arisa) quell’epoca le “private” non esistevano) iniziava e chiudeva accettò di tornare alla ribalta. All’origine dei suoi guai ci la presentazione (scandita dalle rispettive esecuzioni) dei fu… l’intercettazione di una telefonata di Walter Chiari. “dischi più venduti della settimana”. In un tempo Certi problemi, davvero, non si risolvono mai.
Finlandia, per esempio, con il titolo “Progetto felicità” si sono messe a fuoco le problematiche della solitudine; in Inghilterra l’attenzione è stata invece rivolta alle situazioni create dalla recessione economica che ha investito tanta parte del pianeta Terra. In parecchi Paesi arabi ha provocato dure reazioni una “realistica” pièce basata su stili di vita giudicati eccessivamente emancipati. In aggiunta ai “format” di portata internazionale, ogni Paese, naturalmente, ha creazioni tipiche proprie, studiate in risposta alle attese del pubblico locale: nel Belgio, per esempio, piacciono molto le trasmissioni di tipo culinario; i norvegesi amano il proprio folklore e l’esplorazione della loro patria; in Svezia - dove, per via del rispetto della parità dei sessi, sono mal tollerate le trasmissioni con donne scollacciate così di moda dalle nostre parti fanno il pieno le gare di bande musicali e di cori; i tedeschi si entusiasmano per i “game show”; in Malesia, con un talent show che mette in palio pellegrinaggi alla Mecca e borse di studio universitarie, si cercano nuovi leader religiosi; in Brasile e in Argentina continuano a spopolare le telenovelas a tinte forti; in Cina, sotto la spinta delle… esigenze commerciali alimentate dalla crescente pubblicità, anche a dispetto dei controlli del regime, si è imposto il programma “Se tu sei quello giusto”, nel quale gruppi di 24 ragazze si… scelgono il marito. Ovviamente c’è pure la versione opposta (giovanotti che identificano la futura moglie). Nell’area di Shanghai, il comico Zhou Libo ottiene ascolti record con due… trucchi: fa satira politico-sociale su questioni generali (senza dunque colpire direttamente i “capi”) e usa, prevalentemente, un dialetto locale (che a Pechino non tutti capiscono).
Il gran ritorno di Lorella Cuccarini, nozze d’argento con la TV
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el battâge mediatico per la presentazione della stagione televisiva 2010/2011 ha avuto la parte del leone il rientro sul video (dopo un lunghissimo periodo di… panchina) di Lorella Cuccarini. È stata chiamata (sulla soglia dei suoi 45 anni, madre di quattro figli, sposata col produttore Silvio Testi) a prendere, su Raiuno, il timone di “Domenica in”, per molto tempo
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rimasto nelle mani di Pippo Baudo, ossia di colui che la scoprì tra le ballerine di fila di una manifestazione pubblicitaria e la lanciò, nel 1985, in alcune delle più seguite edizioni di “Fantastico”. Con l’attuale rentrée, Lorella Cuccarini festeggia, dunque, anche il quarto di secolo di attività (purtroppo con un notevole, non desiderato… riposo) sul piccolo schermo. All’inizio degli
anni ’90, Lorella Cuccarini, insieme a Marco Columbro, guidò “Buona Domenica” su Canale 5. Apprezzata soprattutto come showgirl (cantante e ballerina), ha saputo però farsi valere pure come attrice di prosa; ed è stata, spesso, una convincente testimonial di “Tèlethon” (la manifestazione annualmente proposta per la lotta contro la distrofia muscolare).
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Tutto era stato
cronaca di una
ampiamente previsto
Waterloo
mai così giù
annunciata
dalla
di Enzo Dossico
U
na novità c’è, si chiama Cesare Prandelli. È l’allenatore che dovrà traghettare la nazionale italiana di calcio nella ricostruzione da uno dei crolli più disastrosi degli ultimi trent’anni. Subentra a Marcello Lippi che ha perso l’occasione di passare alla storia come un trionfatore d’eccezione, timoniere travolto insieme a tutta la squadra nel naufragio sudafricano. Prandelli ha esordito in luglio, dopo il giugno della Waterloo. Da tempo si sussurrava il suo nome, poi le voci si sono intensificate, fino alla conferma. Non è per altro casuale lo sfaldamento della Fiorentina, dopo le notizie che lo Donadoni davano partente. era stato fatto fuori L’allenatore brenel peggiore dei modi sciano, che fece con il rientrante Lippi notizia quando lasciò la guida della Roma per stare vicino alla moglie colpita dal cancro, è di sicuro un campione di umanità. Su questo è imbattibile: non c’è partita con il suo precedessore di Viareggio, che si è sempre distinto, anche nelle ultime esibizioni, per la sua arroganza e la sua supponenza nel rapportarsi con i giornalisti e in generale con tutti, smentito
Dopo il naufragio sudafricano
Prandelli nuovo timoniere azzurro poi dal campo. Prandelli ha il vantaggio di partire da sottozero: e quindi il tutto che farà, poco o molto, si noterà subito. Sarebbe stato più arduo il compito se la nazionale si fosse piazzata bene. Ma non c’era proprio alcuna possibilità che una squadra così mal messa, male assortita, peggio ancora schierata, potesse andare lontano. Il naufragio annunciato
Nel 1962 in Cile…
Ricordiamo gli oriundi? L’ Italia è stata patria degli oriundi; qualcuno si ricorda della disastrosa avventura cilena con Maschio, Sivori, Sormani e Altafini? E a quei tempi potevamo permetterci nomi come Buffon e Albertosi in porta; Losi, David, Trapattoni, Maldini, Salvadore in difesa; Bulgarelli, Janich, Rivera a centrocampo… Ora le frontiere sono state aperte. La Germania, tra naturalizzati e stranieri nati in Germania aveva nei suoi ranghi 7 giocatori…
è stato più veloce di quanto si ipotizzasse. Si era sostituito il mite Roberto Donadoni nel modo peggiore e più sgradevole che si potesse immaginare, sul piano umano prima ancora che sportivo. E si è fatto subito un erroraccio da dilettanti: quello di ingaggiare il rientrante CT vincitore in Germania fino ai mondiali sudafricani. Un ambiente, quindi, che respirava l’aria di smobilitazione generale. Siamo non a caso la terra del “Gattopardo” assunto ad icona nazionale. Tutto cambi purché resti tutto come prima o quasi. Il rinnovamento riguarda sempre qualche vittima sacrificale designata o annunciata, come nel caso degli allenatori: il resto rimane quasi sempre immutato, intoccabile. Prendiamo il vertice della Federcalcio. Via via se ne sono andati, con alterne vicende, quasi tutti in fase discendente o da giubilati, Bearzot, Vicini, Sacchi, Maldini, Zoff e siamo già a Lippi-Donadoni-Lippi. Gli allenatori passano, i vertici rimangono,
per cui il presidente Giancarlo Abete non si fa neppure sfiorare dall’idea che sarebbe moralmente decente farsi da parte dopo un tonfo di cui è, comunque, tra i responsabili primari. A prescindere dai risultati, questo signore del calcio è nella stanza dei bottoni da “temporibus illis”. Nel 1990, cioè vent’anni or sono, sedeva già nel consiglio federale della
Corea in poi
Figc, come presidente delegato del settore tecnico. È stata una scalata inarrestabile fino alla sommità. Suoi buoni amici e compagni di strada, quindi vecchie conoscenze e vecchie poltrone sono Mariano Delogu, consigliere e commissario dell’Interregionale; Carlo Tavecchio, vicepresidente vicario della Figc; Azeglio Vicini, 77 anni, presidente del settore tecnico, che sarà ora sostituito da Roberto Baggio (scelto guarda un po’ da Abete); Mario Macalli, guida della serie C… e altri ancora. Ha pienamente ragione chi dice che nei palazzi del pallone ci sono sempre le stesse facce: i risultati si vedono. Ora tocca a Cesare Prandelli salire sul carro e guidarlo, prima agli Europei e poi ai mondiali. Contratto di 4 anni, Il rilancio con l’augurio di sarà facilitato buona fortuna e di resistenza nel dal fatto che si parte, mare tempestoso praticamente, da zero del calcio. Dovrà riabilitare l’immagine offuscata dell’Italia e, soprattutto, dovrà rifare i ranghi, con pochi residui pilastri dell’avventura tedesca: Buffon, Pirlo, Gilardino e pochi altri. E dovrà, anche, confrontarsi con convocazioni scomode ed improcrastinabili, tipo Cassano e Balotelli, ora accasatosi in Inghilterra, dove, forse, potrà esprimersi più tranquillo.
Senza appello
Esami subito infuocati
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randelli dovrà dimostrare nello spogliatoio e sul campo il suo valore. E alla testa della nazionale, non ci saranno esami di riparazione: non ce ne sono mai stati e non si farà eccezione nemmeno per questo condottiero dal volto umano. La storia insegna: restano i capitani, saltano gli allenatori. I mondiali hanno consacrato chi ha innovato e hanno bocciato nomi sacri che parevano inaffondabili, vedi Maradona e Domenech, entrambi silurati.
Partite disputate senza la minima assistenza video. Errori clamorosi, ancora una volta, sui campi sudafricani
Potremo finalmente uscire dalla preistoria di Blatter?
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arà la volta buona? Chissà! Forse, dopo le scuse per le ripetute clamorose figuracce globali degli arbitri ai mondiali sudafricani, Sua Maestà Joseph Blatter si deciderà a qualche apertura. Lo esigono i tempi, lo esigono gli interessi colossali che si muovono attorno al rettangolo verde del calcio. Dopo gli scivoloni globali visti in sudafrica, la Fifa ha deciso: un fischietto in più in ogni area di rigore nelle competizioni europee e in alcuni campionati
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(Francia, Messico e Brasile). Esclusa la serie A italiana, si è “espulsa” la moviola per evitare i processi. Un po’ come chiudere le banche, perché ci possono essere le rapine. Oggi, finalmente, altri sport hanno introdotto supporti tecnici per una disputa più corretta della gara: rugby, tennis, basket, hockey… Il presidentissimo si è affrettato a dire che la perfezione non è di questo mondo e non appartiene neppure alla tecnologia più sofisticata. Può essere, ma è, in
ogni modo, preferibile il rischio minimo rispetto a errori ripetuti, grandi come il Duomo di Milano. Il tiro di Lampard durante la partita InghilterraGermania l’hanno potuto vedere e rivedere ovunque, da Tokyo (un peccato l’eliminazione dei giapponesi ai rigori) alle favelas brasiliane. Un pallone che varca la linea bianca di 20 cm si vede a occhio nudo, senza neppure bisogno di occhiali: basta essere attenti. Se uno non lo è, e può accadere, con le telecamere si rimedia
quasi scientificamente. E si evita un’ingiustizia clamorosa. Monumentale anche la mano di Henry nel gol che ha estromesso l’Irlanda di mister Trapattoni dal mondiale sudafricano. Il tempo è galantuomo, la Francia è stata subito eliminata, ma chi ripaga gli irlandesi ieri o gli inglesi oggi oppure, ancora, i messicani che nella partita contro l’Argentina hanno subito un gol in netto fuorigioco? (e.d.)
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Norme cambiate per tenere sotto controllo i bilanci
Medicina di nome fair play Riuscirà a “curare” i molti e gravi mali del calcio? di Gino Carrara
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on spendere più di quanto si guadagna: si basa su questo principio il fair play finanziario che Michel Platini, ex bandiera della Juventus ed ora presidente dell’Uefa (la massima organizzazione del football del vecchio continente), nel maggio scorso è riuscito a varare, nell’intento di mettere un freno alle “follie” non di rado affioranti dal mondo del pallone, determinate dalla smania di questo o quel sodalizio di vincere tutto e di più. Il nuovo regolamento prevede deroghe per gli investimenti destinati alle costruzioni di stadi, alla valorizzazione dei vivai giovanili, alle iniziative socio-culturali; ma è assai rigoroso nell’esigere un appropriato equilibrio tra incassi provenienti dalle normali attività e spese per ingaggi di campioni (autentici e… presunti) e stipendi corrisposti ai medesimi. Alcuni dati aiutano a capire le ragioni della normativa ora introdotta (ragioni riassumibili nella volontà di evitare l’autodistruzione, in una colossale bancarotta delle sue massime espressioni, di uno degli sport più belli e seguiti nel mondo): negli ultimi dieci anni, nel tentativo di rafforzarsi, il Real Madrid ha speso mille milioni di euro, il Barcellona oltre 700; il londinese Chelsea circa 600. In base al fair play finanziario di recente conio, tra il 2011 e il 2017 tutti i bilanci “malati” dovranno essere risanati, gradualmente, nelle fasi e
nelle modalità che sono state accuratamente stabilite. Chi non si adeguerà, incorrerà in sanzioni, in penalizzazioni sino all’esclusione da ogni competizione. Gli osservatori hanno indicato in questa spada di Damocle profilatasi all’orizzonte il motivo principale della “fiacchezza” del “mercato” (acquisti e cessioni dei cartellini dei giocatori) che in tutta Europa ha preceduto la stagione calcistica 2010/2011 ormai avviatasi. È la stagione che vedrà anche le nazionali correre per qualificarsi ai prossimi campionati europei che si disputeranno nel 2012. La macchina del calcio, come si sa e come si vede, è sempre in corsa e non concede arresti, perché non può concedersi il lusso di rinunciare all’introito di soldi, tanti soldi. La giovane Italia (e l’immagine ci sta proprio tutta nell’anno in cui si ricordano i 150 anni dell’Unità d’Italia, con i grandi che la fecero, da Camillo Benso di Cavour a Giuseppe Mazzini, ecc…)
Fuoricampo Esame di maturità
M “Le Roi”, “il re” Michel Platini riuscirà a varare una riforma in profondità di quel grande malato che è il calcio? Balotelli e Cassano riusciranno a maturare e a far diventare matura la nazionale? ha ricominciato la sua corsa. Nell’esordio amichevole con la Costa d’Avorio a Londra, gli azzurri del nuovo corso sono stati sconfitti per 1 a 0. E già sui giornali c’è stata
Cifre da capogiro
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el 2008 i 732 più importanti club europei hanno pagato ai loro calciatori stipendi pari a 7,1 miliardi di euro; il 47 per cento di tali club hanno chiuso i conti in perdita; i debiti delle società calcistiche impegnate nei cinque più importanti campionati europei (inglese, spagnolo, italiano, tedesco, francese) sono ammontati complessivamente a 5,5 miliardi di euro. Nel mondo del calcio si viaggia ormai senza più freni: una spirale perversa dove si spendono cifre pazzesche sperando di introitare cifre ancora più alte con i diritti tv, abbonamenti, biglietti d’ingresso, ecc… Ma il più delle volte questo meccanismo funziona solo sulla carta.
una raffica di critiche, come se fosse possibile fare dei miracoli in pochi giorni e, soprattutto, all’indomani dei Mondiali e in piena estate, quando molti giocatori sono ancora al primo riacclimatarsi con il pallone. La buona volontà è importante, lo stimolo delle novità offre il suo contributo, la voglia di ben figurare da parte dei nuovi convocati è pure un buon viatico, ma c’è un tempo per tutto e occorre anche saper attendere. Non si cominci con i processi alle intenzioni già alla prima partita, per un cambiamento che dovrebbe rivelarsi come svolta storica per una nazionale lasciata invecchiare dai responsabili.
ario Balotelli, un italiano di colore, ha compiuto 20 anni e, dopo essere stato un sistematico, regolare, puntuale protagonista sui campi di calcio e anche fuori, è approdato in Inghilterra al Manchester City di Mancini. Speriamo che la lontananza dal pubblico italiano lo aiuti a ritrovare la necessaria serenità. Il pubblico londinese, in genere più freddo e controllato (ma non sempre) dovrebbe aiutarlo su questa strada. Ma la prima mossa, quella decisiva sarà la sua, evitando le chiassate e gli atteggiamenti plateali di cui si è reso protagonista in Italia fino al momento di imbarcarsi con le valigie ed anche oltre. Il Balotelli calciatore ha dimostrato di saperci fare, sorretto anche da un forte fisico. Il Balotelli uomo, che prenderà 3,5 milioni di euro a stagione per 5 anni, ne ha ancora, e molta, di strada da percorrere.
La più urgente delle riforme
Un’adeguata cultura ad ogni livello
I
l nuovo campionato di serie A in Italia si è presentato con nuovi titolari di ben 11 “panchine” su 20. Sono cambiati i “mister” di tre delle squadre più seguite: all’Inter Rafa Benitez ha rimpiazzato il superdiscusso ma pure plurivincitore José Mourinho; al Milan, tra una dissertazione/ sfuriata e l’altra di Silvio Berlusconi, si è insediato Massimiliano Allegri (in arrivo da Cagliari); alla Juventus con Gigi Delneri e Beppe Marotta - e il ritorno di un Agnelli alla presidenza - si è inaugurato un nuovo corso. Pure Sampdoria, Fiorentina, Parma, Udinese hanno sostituito i rispettivi tecnici. Ma si sa che, pur appassionanti e coinvolgenti, quelli legati agli schemi tattici, ai moduli schierati sul rettangolo verde e alla scalata della classifica, non sono - anche altrove, ma Una festa: in particolare nel così dovrebbe nostro Paese - i essere lo stadio problemi più assillanti e rilevanti connessi per i giocatori e per il pubblico al mondo del calcio organizzato. Se dal fair play finanziario adesso escogitato può scaturire (sia pure nel tempo) una migliore (e più etica) configurazione del giro di denaro che il gioco del pallone alimenta, restano comunque aperte molteplici altre questioni: quelle che vanno dall’urgenza di adeguate strutture logistiche, per un ordinato svolgimento delle partite, alla necessità della promozione di una nuova cultura sportiva che crei davvero attorno ai 22 atleti in campo non una infernale bolgia di fanatici schierati in fazioni contrapposte, ma semplicemente uno stadio colmo di gente in festa.
Rivive sullo schermo il mito di Koblet, grande protagonista del ciclismo
Hugo, il pedalatore che si pettinava all’arrivo
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o chiamavano “Falco biondo”; passando vittorioso sotto lo striscione dell’arrivo di una corsa - gli capitava spesso - di solito si pettinava per risultare inappuntabile pure dopo un’enorme fatica. Era un bel ragazzo, alto e slanciato; gli era facile presentarsi elegante anche nei panni più dimessi. Soprattutto però, in bicicletta, era un campione completo, specialista delle competizioni a tappe, forte in salita e sul passo, abile in
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pista in tutte le specialità. Non a caso fu il primo straniero a far scrivere il proprio nome nell’albo d’oro del Giro d’Italia: nel 1950 - Anno Santo-, nell’assalto alla maglia rosa ebbe la meglio su Gino Bartali. L’anno dopo vinse il Giro di Francia. Nel ’53, lottò, spalla a spalla (sulle rampe dello Stelvio), sino alla fine con Fausto Coppi (che nel ’50 era a casa per le conseguenze della caduta di Primolano). In quell’occasione dovette arrendersi; nel 1951 invece
era stato il “campionissimo” di Castellania ad inchinarsi davanti alla sua superiorità nel Gran Premio delle Nazioni, una delle più prestigiose prove a cronometro. Hugo Koblet - è di lui che si sta parlando - ha di recente fatto di nuovo parlare di sé in virtù di un film-documentario sulla sua vita che è stato proiettato con successo, al Festival di Locarno con il titolo “Pédaleur de charme” (Manuel Lowensberg ha incarnato l’atleta nell’opera
di Daniel van Aarburg). Nato nel 1925 a Zurigo, corridore professionista dal ’46 al ’58, trionfatore anche in tre Giri della Svizzera (’50, ’53, ’55) oltre che per 9 anni campione elvetico nell’inseguimento, “storico” antagonista in patria di Ferdi Kübler, Hugo Koblet alimentò parecchio pure le cronache rosa; sposò la fotomodella Sonja Buhl. Nella quotidianità non fu bravo e fortunato come nello sport. Appesa la bici al chiodo, tra il
’58 e il ’61 andò in Venezuela per coltivare nuovi progetti. Tornato in Europa, gli fu affidata dall’Agip
la stazione di benzina nei pressi di quel Velodromo di Oerlikon, nel quale in anni precedenti aveva, ripetutamente, raccolto allori. Incappò anche in malattie. Il 6 novembre 1964 - quando non aveva ancora quarant’anni - in auto si schiantò contro un albero e morì. Per molti commentatori non fu una disgrazia accidentale. Uno dei big del ciclismo “epico” da allora cominciò ad essere ricordato come il “James Dean della bici”.
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i segni dei tempi
di Nazzareno Capodicasa
Se lo dice la televisione...
C’era una volta la televisione
Ieri, programmi più seri e misurati Oggi prevalgono volgarità ed insulti
L’inizio della storia della televisione può essere fatto risalire al 25 marzo 1925, quando l’ingegnere scozzese John Logie Baird ne diede dimostrazione nel centro commerciale Selfridges di Londra. Il termine “televisione” venne stabilito il 10 marzo 1947 durante la conferenza mondiale delle radiocomunicazioni di Atlantic City dai delegati di 60 nazioni che, altresì, stabilirono di adottare come abbreviazione la sigla “TV” . (Fonte Wikipedia)
“L’
ha detto la televisione!”, si esclamava trenta-quarant’anni fa. E tutti pensavamo: “Ma allora è vero”. Ora, più prudentemente si domanda: “Quale canale?”. È proprio così, siamo lontanissimi dai primi anni, quando entrò nelle nostre case il piccolo ha detto la tv schermo. Una graduale e, lì per lì, on è più così impercettibile e lenta trasformazione ha modificato tante, forse troppe cose. Nel passato si mettevano in
“L’
!”
“Ma allora è vero” N
onda film, sceneggiati tratti da opere classiche, spettacoli teatrali di scrittori celebri. Ora si trasmette pubblicità con intermezzi di spezzoni di film. Cercava di educare, insomma, la vecchia televisione. Ora “influenza”, rubandoci anima, cervello, cultura e libertà. Nei quiz televisivi c’era una proporzione tra la difficoltà della domanda e l’entità del premio in palio. Adesso basta telefonare e rispondere che il nome di Garibaldi era Giuseppe e piovono dal cielo qualche migliaio di euro. Una volta le persone “parlavano”, educatamente e una alla volta. Ora urlano, sbraitano tutte insieme, si interrompono a vicenda, si insultano, sono sul punto di venire alle mani. Invece di affinare i comportamenti e la sensibilità dei cittadini, ne assecondano gli atteggiamenti più triviali. Prima, nei salotti televisivi, si poteva dire: “Domani sarà sabato”. Ai nostri giorni, da quando è in vigore la par condicio, occorre invitare altrettanti ospiti, per quanti sono i giorni della settimana.
Ed ognuno sceglierà liberamente il giorno per il quale nutre maggiore simpatia. C’erano, una volta, le tribune politiche televisive. Con un personaggio politico ed una schiera di giornalisti, i quali, a turno, ponevano la domanda. Il politico rispondeva e tutti ascoltavano. Adesso, nelle tribune politiche televisive, ci sono un giornalista ed una schiera di politici. Il giornalista prova a fare la domanda e, ancor prima che l’abbia terminata, scoppia la gazzarra. Con volute interruzioni per impedire agli altri di esprimere le proprie opinioni. Ai tempi di Mike Bongiorno in bianco e nero, c’erano le vallette. Mute. Dopo decenni dall’onda delle giuste rivendicazioni dei diritti femminili, sono ancora mute. L’unica novità sta nell’abbigliamento, di cui sono quasi prive le attuali vallette. Prima, nello sventurato caso di omicidi e tragedie, si dava la notizia. Adesso, per “dovere d’informazione”, si dice che la persona è stata dilaniata, crivellata di colpi d’arma da fuoco, sbrindellata con un
Se non c’è video e tecnologia, non c’è vita!
Schiavi di un mondo digitale
“S
e non vedo, non credo”. Così il diffidente apostolo Tommaso si rivolse agli altri discepoli che affermavano di aver visto il Maestro risorto. Ai nostri giorni non c’è notizia o informazione che assuma il marchio di verità, se non appare in video. Una volta si immortalava il momento sulle tele e successivamente sul rullino fotografico. Ora nei video. Qualche decennio fa, Renzo Arbore e la sua band cantavano: “La vita è tutto un quiz”. Non è più vero. La vita è tutta un video e se non c’è video, non c’è vita. Ne siamo ormai diventati quasi schiavi. Schiavi dell’immagine
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in movimento e schiavi della tecnologia. Non sappiamo fare più un’addizione senza calcolatrice, non possiamo più vivere senza parabole. Intese come antenne. Quelle evangeliche le abbiamo dimenticate da tempo, purtroppo! E chi non ha un telefonino o due, alzi un dito. Veniamo considerati trogloditi senza un televisore d’ultima generazione, senza decoder per la tv satellitare. E ci hanno convinto che la vita è tutta lì dentro e se non è lì, non è vita. La Tv è il nostro oppio. Pensa per noi, sceglie per noi, decide per noi. Al massimo possiamo decidere l’ora: un’ora
prima, un’ora dopo, dopo la doccia, prima o dopo i pasti. Il cellulare è diventata la nostra sveglia (ma non sa fare il caffè!) ed è il termometro dei nostri rapporti interpersonali. Quanto squilla, non squilla mai, nessuno mi vuole o tutti mi vogliono e nessuno mi si piglia! E via in auto col nostro fido navigatore, in modalità autostrada o in modalità notturna come cala il tramonto, gira a destra, no per di là, ma ti sei scordato dove abiti? Ma attenzione. Se dimenticate una “s” finale, invece che al Santuario di Lourdes, vi ritroverete a Lourde, uno sco-
nosciuto paesino dei Pirenei. Il navigatore, infatti, non prevede l’errore ortografico e non capisce le vostre intenzioni. Nazzareno Capodicasa
“
Rimpiangere la televisione del passato? No, ma quella di oggi è sempre più urlata e volgare, che ci ruba l’anima e il cervello. Pubblicità sempre più invadente e cronaca nera truce. machete, decapitata o fatta a pezzi. E la telecamera rincorre ogni particolare, ogni minima traccia del fattaccio, con ingrandimenti, zummate, fermo-immagine sulle pozze di sangue e su ogni truce particolare. Se poi gettiamo uno sguardo alla pubblicità, il quadro è quasi completo ed ancor più sconfortante. Ve li ricordate Calimero, il commissario calvo per non aver usato una certa brillantina, quel simpatico topastro di nome Gigio? Beh, siamo lontani anni luce! Allusioni solleticanti istinti mandrilleschi e volgarità per colpire la fantasia e indurre all’acquisto di cose inutili: è questa la regola. E sembra che scelgano, con scientifica crudeltà, le ore dei pasti, prima dei telegiornali. E per “stuzzicare” l’appetito, ti sbattono in faccia pannolini, dentiere, assorbenti per giovani ed anziane, rimedi per diarree e perdite organiche. Il loro modo per dirvi: “Buon appetito!” “Come per le altre grandi ondate innovative che hanno costituito lo spartiacque tra passato e futuro, ondate portate da una nuova tecnologia, come la macchina a vapore o l’elettricità, oggi le tecnologie digitali costituiscono un potente motore d’innovazione e gli stessi progressi della ricerca sarebbero impensabili senza l’uso intensivo di queste tecnologie.” (UfficioStudi del Ministro per l’Innovazionee leTecnologie)
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Acque dolci... si fa per dire
Il lago Trasimeno, non vanta solo acque pulite, perché, secondo
il rapporto di Legambiente, il suo territorio eccelle anche nel trattamento dei rifiuti e delle acque reflue, nei consumi idrici e nella tutela del paesaggio delle aree costiere e dell’entroterra.
Laghi italiani sotto controllo Garda, Maggiore, Como, Iseo i più inquinati per Legambiente Unica eccezione il Trasimeno con le sue acque perfettamente a norma
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a Goletta dei Laghi di Legambiente, con il contributo del partner principale COOU (Consorzio Obbligatorio Oli Usati) e dei partner tecnici Novamont, Posta Pronta e Pirelli Ambiente, tra luglio e agosto di quest’anno, ha monitorato lo stato di salute dei più importanti laghi italiani. Le regioni coinvolte nella ricerca sono sei (Lombardia, Veneto, Trentino Alto Adige, Piemonte, Umbria e Lazio), i laghi ispezionati sono, invece, otto (Garda, Maggiore, Como, Iseo, Bolsena, Trasimeno Bracciano, Albano). I responsi sono stati, purtroppo, deludenti, tranne per il lago Trasimeno, che è l’unico ad aver superato i test d’inquinamento a pieni voti. I campioni prelevati sono stati, in tutto, 58 di cui ben 46 sono risultati aventi una concentrazione di batteri fecali praticamente doppia di quella consentita dalla legge, mentre sono 38 le foci dei fiumi e dei torrenti considerate fuori norma. Quest’ultimo dato conferma che, tra le cause d’inquinamento più rilevanti, ci sono quelle da attribuire agli scarichi fognari non depurati che vengono
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convogliati direttamente hanno rivelato pericolose negli affluenti dei laghi. concentrazioni di coliforI laghi lombardi sono i mi fecali e streptococchi. più inquinati, sia il lago Molto probabilmente, di Como (altrimenti detuna parte di responsabilito Lario) che quello di tà di questo grave danno Iseo si sono agambientale va giudicati il priattribuita alla mato negativo, In troppi nuova norinfatti, sono mativa sulla stati relegati scaricano ba l ne a z ione , negli ultimi nei laghi molto più due posti della permissiva, a graduatoria. Ma, anche i detta di Stefano Ciafani, prelievi effettuati sul più responsabile scientifico di esteso specchio d’acqua Legambiente, della preceitaliano, il lago di Gardente. da, una volta analizzati, Se la cavano meglio i
laghi laziali, che hanno presentato una minore criticità rispetto allo scorso anno. Il primo posto, comunque, spetta al lago Trasimeno, l’unico trovato a norma nei campionamenti effettuati, ma non solo per questo. Infatti, la valutazione positiva riguarda anche la mobilità, l’energia, il trattamento dei rifiuti, i consumi idrici, le acque reflue, i servizi per i disabili, il suolo, la tutela del paesaggio delle aree costiere e dell’entroterra.
Nessun luogo è lontano
di Bruno Del Frate
200 milioni in fuga dalle loro terre nel 2050
L’“esodo ambientale”
L
e cause potrebbero essere diverse, ma, nel 2050, il mondo potrebbe trovarsi di fronte ad un’emergenza enorme, quella dei cosiddetti “rifugiati climatici”. Secondo una stima dell’Organizzazione per le Migrazioni (Iom, International organization for migration), la cifra totale di questi rifugiati potrebbe raggiungere i 200 milioni. Già, oggi, la stessa agenzia internazionale, ha calcolato che il fattore clima coinvolgerebbe circa 50 milioni di individui in movimento verso nuove sitemazioni territoriali.
Le cause prevalenti sono state individuate nei disastri ambientali: uragani, alluvioni, desertificazioni, guerre per il controllo dell’acqua ed altro ancora. Tutte cause, insomma, determinate, perlopiù, dal cambiamento climatico in atto, che, rendendo invivibili alcune aree del mondo, ne causa, necessariamente, lo spopolamento. Uno spopolamento che assume, il più delle volte, le tinte tragiche di un disperato esodo di massa verso territori già abitati, dove l’integrazione dei nuovi arrivati è, quasi sempre,
Non è facile stabilire quali sono i laghi e i fiumi più inquinati del mondo, di certo, quelli che enumeriamo di seguito non godono di buona salute. Il lago Vittoria (Kenya, Tanzania e Uganda), ha un alto tasso d’inquinamento dovuto, prevalentemente, agli scarichi fognari delle città che sono situate lungo le sue sponde. Chi si bagna in questo stupendo specchio d’acqua rischia di ammalarsi seriamente. Il fiume indonesiano Citarum, raccoglie gli scarichi di oltre 500 industrie e, molto probabilmente, è il fiume più inquinato del mondo. L’immondizia che galleggia sulla sua superficie non permette alle acque fluviali di essere visibili. La regione dei Grandi Laghi, tra Stati Uniti e Canada, ha un tasso di inquinamento in costante crescita, dovuto agli scarichi industriali. Il Fiume Giallo, a causa delle tante industrie chimiche, che scaricano le proprie scorie lungo il suo percorso, il più delle volte, per lunghi tratti, si colora di rosso. Il fiume Matanza-Riachuela che attraversa Buenos Aires, è stato definito “la più grande latrina del mondo”, nelle sue acque vengono riversate ogni giorno oltre 325.000 tonnellate di liquami. Il fiume italiano Sarno, è considerato, da molte fonti, il più inquinato d’Europa. Il Sarno molto spesso esonda e contamina i campi adiacenti, mettendo così a grosso rischio la popolazione locale. Il lago Karachay, in Russia, è contaminato da scorie radioattive provenienti dal deposito di Mayak. Il fiume indiano Yumana, affluente del fiume Gange, è talmente invaso da escrementi che la fauna ittica e la flora fluviale non riescono a sopravvivere. Il terzo lago della Cina, il Tai, ha assunto una colorazione verde molto intensa dovuta alla proliferazione delle alghe, favorita dal massiccio inquinamento di oltre 2800 industrie. In Cina, l’altissimo inquinamento del fiume Yangtze è ritenuto ormai irreversibile. Il fiume australiano più inquinato è il King River. Scorre in una regione mineraria, si considera che, in circa 150 anni, sono finite nel fiume ben 1,5 milioni di tonnellate di scarti di lavorazione. L’immenso Mississippi, attraversa dieci stati americani, scaricando nel Golfo del Messico tonnellate e tonnellate di agenti inquinanti e formando, così, una zona morta, dove l’acqua è talmente compromessa da non permettere una qualsiasi forma di vita. (BDF)
osteggiata, anche con violenza, dalle popolazioni residenti. Anche l’Ipcc (Intergovernmental panel on climate change), un team di autorevoli ricercatori che, su mandato Onu, sta studiando i cambiamenti climatici, è arrivato alla conclusione che i flussi migratori, intensificatisi negli ultimi tempi, sono uno degli effetti più evidenti dell’impatto disatroso sulle popolazioni provocato dal surriscaldamento della terra. Il clima, dunque, è ritenuto dallo stesso gruppo di studiosi “uno dei fattori più importanti nel processo decisionale che porta allo spostamento di intere comunità”. Secondo il rapporto della IOM, attualmente, assommerebbero
a 192 milioni le persone, pari a circa il 3% della popolazione mondiale, che hanno abbandonato il loro luogo di nascita alla ricerca di nuovi spazi di sopravvivenza. Quattro, infine, sono i punti principali, indicati dalla IOM, per liberare questi “prigionieri” del clima: riconoscimento ufficiale, da parte della comunità internazionale, del problema, politiche contro la vulnerabilità, mantenimento alto del livello della ricerca e aiuti consistenti ai Paesi in via di sviluppo per contrastare gli effetti del clima, partendo dall’emergenza acqua e, di conseguenza, rendere possibile la coltivazione delle terre abbandonate.
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SottoVoce “Hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli”
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Assisi, Basilica Patriarcale di San Francesco. Sono milioni i pellegrini che, ogni anno, si recano sulla tomba del Santo per pregare, lasciandosi catturare dalla straordinaria spiritualità cristiana che qui regna sovrana.
Lo “scrigno” di Francesco Due magnifiche chiese sovrapposte e una cripta dove è sepolto il Santo Un “luogo sacro” che conserva in sé tesori d’arte incomparabili di Fratemarco
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a Basilica Patriarcale di San Francesco d’Assisi, formata da due chiese sovrapposte, costituisce, nel suo insieme, un singolare monumento di pietra lavorata ad arte: la Basilica Inferiore secondo lo stile romanico, mentre quella Superiore secondo gli stilemi del gotico. Folle di pellegrini, da secoli, arrivano ad Assisi per pregare sulla tomba del Santo con immutata fede: un tributo d’amore e di religiosità verso chi è stato definito l’altro Cristo imbolo ed è uno dei santi di pace più celebrauniversale ti ed amati della Cristianità. Una volta lì, i pellegrini rimangono incantati non solo dalle superbe architetture delle due basiliche, ma, anche, dai capolavori contenuti all’interno, di indubbia rilevanza artistica. Vi si possono ammirare opere di Giotto, Cimabue, Dono Doni, Simone Martini, Andrea da Bologna, Pietro Lorenzetti ed altri maestri, alcuni rimasti anonimi. La Basilica Inferiore fu voluta da Gregorio IX, due anni dopo la morte del Santo (4 ottobre 1926). Il Papa affidò la direzione dei lavori a Frate Elia da Cortona, Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori (1232-39). Il 17 luglio 1228, subito dopo la canonizzazione di Francesco, il Santo Padre pose la prima pietra della chiesa sepolcrale e dell’annesso Sacro Convento. Alla Basilica Inferiore, scavata nella viva roccia e completata
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nel 1230, si accede da piazza San Francesco. Al suo interno, soprattutto nelle cappelle laterali, trovano alloggio alcune delle reliquie del Santo. Sotto l’Altare Maggiore, il 12 dicembre del 1818 furono ritrovate le spoglie mortali di san Francesco. L’attuale sistemazione della cripta venne realizzata successivamente. La tomba si presenta come semplice urna di pietra sgrossata ed è internata nel pilastro centrale che sostiene l’altare. Una griglia di ferro la protegge ed è la stessa che vi era in origine. All’interno della Basilica Inferiore, dedicata a san Francesco, le quattro vele della volta sopra l’Altare Maggiore, sono state per secoli attribuite a Giotto; oggi è invece
dalle celle
diffusa l’opinione che l’autore sia stato un suo seguace, non meglio identificato. Fra i cicli di affreschi più importanti ci sono quelli di Simone Martini. Ancora più ricca di tesori d’arte è la Basilica Superiore, ultimata nel 1236. Cimabue affrescò nell’abside il ciclo della «Storia di Maria» e nel braccio di destra i «Fatti della vita di san Pietro». Ma l’opera che, normalmente, più colpisce i visitatori è il grande ciclo dei 28 affreschi con i quali Giotto narrò la vita di san Francesco. La consacrazione degli altari delle due chiese, ad opera di Innocenzo IV, risale al 1253. Per ciò che riguarda l’area conventuale, c’è da dire che le prime celle furono ricavate
nella viva roccia. Il nucleo originario del convento viene detto Palazzo papale o gregoriano, fu portato a termine intorno al 1239. Ma quale intimo significato risiede in questo singolare Santuario? Nulla di più di ciò che frate Elia e Gregorio IX avevano concepito nel progettarlo: un santuario ad imitazione del Santo Sepolcro di Gesù Cristo a Gerusalemme, che contenesse degnamente le spoglie di san Francesco, altro Cristo. La Basilica è stata riconosciuta dall’Unesco patrimonio dell’umanità ed è sempre stata considerata patria dello spirito e simbolo di pace non solo da tutto il mondo cristiano.
di Teobaldo Ricci
Logica dell’impossibile
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uello che, nell’ambito biblico, diversifica Gesù da tutti i profeti e, nell’ambito di tutte le religioni, lo rende diverso da ciascuna di esse, sta nel fatto che ogni altra forma di culto mette sempre al centro qualcuno o qualcosa, mentre egli, come valore primario di culto, mette se stesso. Tutto il resto: dottrina, riti e morale sono di ordine riflesso, tanto che alla domanda rivolta da un Rabbi ebreo a Benedetto XVI su che cosa Gesù abbia aggiunto alla legge mosaica, la risposta è stata che Egli ha messo, come valore essenziale, se stesso! E come tale Gesù
vuole essere identificato. A questo fine domanda che cosa la gente pensa di Lui, e quando gli rispondono che è considerato uno dei tanti profeti, si sente, completamente, incompreso e chiede agli intimi se hanno una risposta diversa, conducendoli a identificarlo come Figlio di Dio della natura stessa del Padre, di cui è Figlio e senza il quale Dio non sarebbe Padre, qualifica essenziale alla stessa sua natura divina. Ma a questa sconcertante affermazione che lo innalza a livelli mai prima immaginati dal pensiero umano ne segue, a completamento della sua figura,
n quel tempo, Gesù disse: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo, infatti, è dolce e il mio carico leggero” (Mt 11,25-30). San Francesco ha veramente realizzato il Vangelo che la liturgia ci fa proclamare nella sua festa: ha ricevuto la rivelazione di Gesù con il cuore semplice di un bambino, prendendo alla lettera tutte le Sue parole. Ascoltando il passo evangelico, sentì rivolte a sé quelle parole, che diventarono la regola della sua vita. Ed anche a quelli che lo seguirono egli non voleva dare altra regola se non le parole del Vangelo, perché per lui tutto era contenuto nel rapporto con Gesù, nel suo Amore. Le stimmate che ricevette verso la fine della sua vita sono proprio il segno di questo intensissimo rapporto che lo identificava con Cristo. Francesco fu sempre piccolo, volle rimanere piccolo davanti a Dio e non accettò neppure il sacerdozio per rimanere un semplice fratello, il più piccolo di tutti, per amore del Signore. Per lui si sono realizzate in pieno le parole di Gesù: “Il mio giogo è dolce e il mio carico leggero”. Quanta gioia nell’anima di Francesco, povero di tutto e ricco di tutto, che accoglieva tutte le creature con cuore di fratello, che nell’Amore del Signore sentiva dolci anche le pene! Nazzareno Capodicasa
un’altra più imbarazzante della prima, tutto il rovescio di essa, e tale da suscitare incredulità e proteste dagli stessi intimi coi quali sta parlando. Questo accade quando, appena riconosciuto come Figlio di Dio, si dice incamminato verso un tremendo fallimento con umiliazioni di ogni genere e morte sulla croce. E questo non basta ancora. Chi vuole seguirlo deve accogliere questo totale sradicamento dal modo comune di concepire l’esistenza umana: “Poi, a tutti, diceva: ‘Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà’” (Lc 9,23-24). Questo l’inconcepibile gioco col quale egli si presenta.
E, con la serie dei paradossi non ancora conclusa, accadrà poi che, nonostante queste in apparenza inaccetatibli proposte, sarà creduto e seguito, e quanto più creduto e seguito tanto più si rivelerà capace di dare successo all’umana esistenza come, per fare un esempio, si vede in Francesco di Assisi, concreta dimostrazione come perdere la propria vita per causa sua (di Cristo) sarà un trovarla al di là di ogni previsione. E, infine, anche chi non accetta Gesù come Figlio di Dio è, non si sa come, impedito di tacciarlo come irragionevole o megalomane, anzi, quasi costretto a riconoscerlo meritevole di sommo rispetto. Ultimo paradosso, questo, della serie sopra elencata.
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A tavola
La caprese
di Bruno Del Frate
Un allevamento di più di duemila anni
Mozzarella di bufala campana
A denominazione d’origine protetta
La caprese è un piatto tipico della tradizione mediterranea e costituisce una delle più gustose preparazioni che si possono ottenere con la mozzarella di bufala campana. È facile da preparare: per una persona, si taglia una mozzarella in tante fette spesse un centimetro circa, che dall’isola si dispongono, poi, in di capri un piatto piano, altercon sapore nandole con altrettante fette di pomodoro dello stesso spessore. Infine, si condisce il tutto con olio extra vergine d’oliva, foglie di basilico, pepe e sale. Il basilico si può sostituire con l’origano. A ben vedere, si tratta di un pasto che, per i suoi valori nutrizionali, può essere considerato completo. La caprese, prende il suo nome dall’isola di Capri, dove è stata inventata, ed è particolarmente apprezzata durante la stagione estiva. (bdf)
L’
allevamento delle bufale in Campania e zone limitrofe ha origine, molto probabilmente, nel sesto secolo ad opera dei Longobardi. C’è chi sostiene, invece, che furono i Normanni, molti secoli dopo (XI sec.), a trasferire alcune mandrie dalla Sicilia, dove erano state portate dagli arabi, e chi, infine, azzarda che fu, addirittura, Annibale, nella sua discesa nella nostra penisola, ad introdurre questa specie animale, appartenente alla famiglia dei bovidi, il cui progenitore è il bufalo indiano (bos bubalus di Linneo). Comunque sia, le fertili terre campane e del basso Lazio dispongono di un habitat ideale per il tipo di allevamento in questione, vuoi anche per il fenomeno dell’impaludamento, iniziato attorno al decimo secolo, che si è protratto, espandendosi, fino ai giorni nostri. La rilevanza economica di un tale allevamento è incentrata tutta nella produzione del latte da cui si ricava la famosa mozzarella
di bufala campana, prodotto riconosciuto dalla Comunità Europea con il marchio DOP (Denominazione d’Origine Protetta), limitatamente ad alcuni territori della Campania, della Puglia e del basso Lazio. Un riconoscimento più che meritato, se si pensa che stiamo parlando di un prodotto caseario inimitabile, richiesto in tutto il mondo per le sue caratteristiche organolettiche e nutrizionali straordinarie. Il termine mozzarella, derivato dal verbo mozzare col significato di ridurre in pezzi, in uso da diversi secoli, tanto che lo troviamo citato in uno dei sei volumi di un’opera dedicata alla cucina del cuoco di ben due Papi (Paolo III e Pio V), Bartolomeo Scappi, pubblicati nel 1570. Mozza, da cui deriva, in forma diminutiva, mozzarella è, invece, un termine che viene già utilizzato dall’umanista e commerciante fiorentino Giovanni di Paolo Rucellai, in un documento che risale al 1481. Il medico e umanista senese Pietro Andrea Mattioli (1500-1578), su una monumentale opera di medicina e di erboristeria da lui realizzata, dal lunghissimo
titolo, generalmente citata con il nome di Commentarii, scrive: “...quello latte di bufala di cui si fanno quelle palle legate con giunchi che si chiamano mozze e a Roma provature...”. La mozzarella, infatti, è un formaggio fresco a pasta filata molle, che deperisce im-
scadenza. Certo, per apprezzarne tutta la bontà, sarebbe meglio mangiarla poche ore dopo la lavorazione. Se è vero che il freddo la mantiene, è vero pure che un po’ ne altera il gusto, tant’è che gli esperti consigliano di metterla una mezz’ora fuori dal frigo prima di servirla e, anche, di stemperarla in acqua tiepida (30/35 gradi centigradi). Aler gustarla tro suggerimento utile: bisogna osservare bene la mozzarella mangiarla fresca quando si toglie dalla confezione. Il colore deve essere bianco mediatamente se non rimane lucente, porcellanato (simile immersa nell’acqua di goveralla porcellana), come si usa no (acqua di filatura, sale e dire. La crosta, all’esterno, siero acido diluito), per quenon deve risultare né viscisto veniva avvolta in un inda né scagliata, deve essere carto fatto di giunchi e foglie sottile, meno di un millimedi mirto o castagno e messa tro di spessore, e distaccata in anfore di terracotta. Un dalla massa restante che, a espediente che, non permetsua volta, deve presentarsi tendo al liquido di uscire, rotonda, priva di schiacciaassicurava un mantenimento menti e avere una struttura di due o tre giorni. Oggi, a foglie sottili concentriche, mantenuta a basse temperatuche tendono gradualmente a re, si vende, soprattutto, conscomparire tanto più si va fezionata in vaschette di plaverso l’interno. Al taglio, poi, stica o cartoni con anima di la mozzarella, deve presentarpvc o buste di plastica persi compatta e rilasciare gocce fettamente sigillati, con tanto di siero, segno inconfondibile di numero di lotto e data di di freschezza.
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...
meglio
La qualità del latte e il ciclo produttivo, regolato in tutte le sue fasi, sono alla base del riconoscimento europeo DOP
Dal latte al formaggio a pasta molle apprezzato in tutto il mondo
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on alcune brevi note, sicuramente non esaustive, vorremmo mettere in evidenza la complessità della lavorazione di un formaggio come la mozzarella di bufala campana che, almeno in apparenza, sembrerebbe semplice da produrre. In realtà non è così, ma andiamo con ordine, partendo dalla materia prima. Il latte intero di bufala (con un minimo di grasso consentito del 7%), proveniente da animali iscritti nell’apposita anagrafe, deve essere consegnato al caseificio, in contenitori adatti, non oltre le sedici ore dalla mungitura e, subito dopo, deve essere filtrato per eliminare ogni impurità e riscaldato ad una temperatura variante
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tra i 33°C e i 36°C. A questo punto, si passa alla coagulazione del latte, che si deve ottenere utilizzando soltanto fermenti lattici naturali, derivati da lavorazioni precedenti effettuate nella stessa zona di produzione. Subito dopo, si effettua la rottura della cagliata e inizia la maturazione, sotto siero, che si completa entro 5 ore circa. Al termine di quest’ultima operazione, la cagliata, posta in recipienti adatti che contengono acqua a 95°C, viene ridotta a strisce, filata e, infine, mozzata, convenientemente, in tanti pezzi delle dimensioni previste. Subito dopo, le mozzarelle vengono
poste in acqua fredda per alcuni minuti e, poi, immerse nella salamoia o liquido di governo prima di essere confezionate, come accennato in precedenza. Se si producono mozzarelle affumicate, per mantenere il DOP, bisogna impiegare, esclusivamente, procedimenti tradizionali di tipo naturale e si deve aggiungere sulla confezione la scritta “affumicata”. In questo senso, anche la forma ha la sua importanza. Infatti, nel disciplinare comunitario sono ammesse, oltre alla classica forma tondeggiante, soltanto quelle tipiche della zona di produzione tra cui la tradizionale treccia composta manualmente, tanto bella da vedere e buona da mangiare. (BDF)
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L’angolo di Mitì
“Se getti via il pan secco fai piangere Gesù” Agrodolce di Erasmo
Tempi duri per i poveri nonnetti Un argomento scomodo, quello della cosiddetta terza età. In un’era, come la nostra, dove l’essere umano riscuote considerazione finché è homo oeconomicus: vali qualcosa, finché produci. Nonni e nonne, preziosi finché autosufficienti. Come babysitter e tuttofare. Ma alle prime difficoltà diventano improvvisamente un peso. Che lo si ammetta o no, esiste una sorta di rimozione collettiva rispetto alla vecchiaia. Fra mille giustificazioni sociali e personali, il Paese che nel mondo è stato considerato, da sempre, emblema della famiglia patriarcale, del legame di continuità e di reciproca assistenza di generazione in generazione, ancora non si decide a fare i conti, seriamente, con questa difficile, enorme realtà. Che non può essere affrontata e risolta alla voce “badanti”. O, ancor peggio, in quella di cronicari dai nomi più o meno poetici, ma che in realtà nascondono vergognose e squallide situazioni di sfruttamento e violenza fisica e morale. Nella parte più difficile e precaria della vita, quella in cui ci si vorrebbe sentire più aggrappati alle proprie radici, succede spesso il contrario. Per motivi di lavoro o per non aver noie o per altre ragioni, tutti hanno altro da fare e quasi nessuno può sacrificarsi, se non economicamente e, ovviamente, al risparmio. Per vedere famiglie al completo spesso bisogna attendere occasioni come matrimoni o funerali. E intanto i vecchi sono sempre più soli. Nell’era di Internet avanza la solitudine umana, le occasioni di conoscersi sono tali solo in apparenza. E, simile a quella degli anziani, si aggiunge la solitudine dei giovani, che non hanno il lavoro e non possono contare sull’affetto e sulla presenza della famiglia. La prima e la terza età cominciano a presentare qualche somiglianza. Nel disagio sociale e nell’isolamento, nella naturale brutalità con cui la compagnia esiste finché c’è convenienza. Quando le persone non fanno più comodo o, peggio, hanno bisogno, si buttano via. Proprio come si fa con la spazzatura nel Terzo Millennio: affidata a contenitori ad hoc. Ma pur sempre buttata.
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studiare oggi la quotidiana vita domestica delle nostre nonne c’è da vergognarsi: siamo realmente una civiltà sprecona e consumistica. Allora non esisteva il minimo spreco; qualunque cosa, prima di venire buttata via, veniva riadattata, accomodata, aggiustata, rattoppata e restaurata decine di volte. Le scarpe andavano e venivano dal calzolaio per almeno tre anni per essere risuolate, ricucite, rafforzate, rappezzati i buchi sulla suola con dischi di cuoio, cambiati i tacchi o fasciati con barrette di ferro. Oggi, se le nostre scarpe si rompono, si gettan via, anche perché è diventato quasi impossibile rintracciare dei bravi artigiani in grado di aggiustarle senza dirci: “Guardi, dovrei risuolarle, rifare i tacchi, togliere le ammaccature. Come costo non
miracolosamente. Ma guai a fare i fichisecchi, rammendi troppo spessi e duri: “I fichisecchi sono una crudeltà inventata dalle mogli e dalle figlie per azzoppare i poveri galantuomini della loro famiglia!”, ripeteva il Babbo delle nostre nonne quando, dopo una giornata di lavoro, si sfilava un paio di pedalini non aggiustati a modo. Ma era, soprattutto, in cucina che l’arte economica aveva il sopravvento. Se qualcosa andava male, le nonne conoscevano mille trucchi per tentare di resuscitarlo: nel burro un po’ irrancidito infilavano una carota cruda per tre, quattro ore; ma se era decisamente rancido lo rimpastavano con latte fresco risciacquandolo poi bene in acqua fredda. Se rancido era l’olio, vi univano trenta grammi di magnesia calcinata per ogni litro; lasciavano on si buttava via riposare per due giorni e poi filtravano, niente tutto mentre al vino inacio quasi veniva recuperato dito, ma non ancora aceto puro, aggiungene vale la pena: ne compri un vano un po’ di succo di limone, paio nuove”. molto aglio e un bel pugno di Lo stesso discorso valeva per il origano, tramutandolo in un’ottivestiario: una delle prime cose ma marinata per la carne. che veniva insegnata, a casa e Sprecare il cibo era sacrilegio a scuola, alle nostre nonne, era degno di punizione divina: “Se la sublime arte del rammendo. getti via il pan secco fai piangere Per questo, una delle regole fonGesù, e quando morirai andrai damentali della buona massaia all’Inferno ove sarai costretta a d’allora era “Chi l’ago non ci raccogliere le briciole con le cimette, la borsa ci rimette”. Tutte glia!”, era la frase minacciosa che le donne di casa trascorrevano le le sagge Mamme e Nonne di serate a rammendare, soprattutto allora ripetevano a figli e nipoti. le calze, le cui voragini in punta Perciò le donne diventavano, sin o sui calcagni, infilate sull’uovo dall’infanzia, maestre di riciclago palla di legno, scomparivano gio culinario degli avanzi, seguen-
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do l’accorto motto del “nulla si spreca, nulla si distrugge, tutto si ricrea”. Avanzavano bistecche o arrosti? Le nonne li sminuzzavano e li tramutavano in polpette da infilare nei timballi di pasta al forno o in polpettoni da mangiar freddi. Avanzava del bollito? Lo tagliavano in quadratini e lo riproponevano a tavola sotto forma d’insalata con fagioli e cipolle crude affettate; oppure in umido con funghi o scalogno, o ancora tritato in frittata con erbette. Le nonne che vivevano in riva al mare riciclavano persino gli avanzi e le teste dei pesci freschi, buttandoli in pentola con poca acqua, pomodori, aglio, sale e aromi; fatti bollire, venivano passati due volte al setaccio e serviti come brodetto bollente versato su fette di pane raffermo. E il pane avanzato veniva grattato e chiuso in vasetti di vetro assieme a foglie d’alloro; altrimenti diventava la base del pancotto: acqua salata bollente, tre cucchiai d’olio, due spicchi d’aglio, pan secco ridotto a tocchetti, una presa d’origano e due cucchiai di formaggio grattugiato. Creavano il mitico brus: avanzi di grana, tomma, asiago, gruviera o caciotta, croste comprese, venivano tagliati a pezzetti e messi in un vaso ermetico, coperti di cognac o grappa. Ogni settimana il composto veniva mescolato con cura e dopo trenta giorni si otteneva una fantastica crema antifreddo e ammazzamicrobi, forte e appetitosa, che veniva mangiata d’inverno spalmata su bollenti fette di pane abbrustolito sul runfò o nel camino.
Sicuri sul lavoro? Ma quando mai!
Lusso e... lussi “Robe come la 626 (la legge sulla sicurezza sul lavoro) sono un lusso che non possiamo permetterci”. Forse pensava di parlare tra amici il Ministro dell’Economia Tremonti. Era, infatti, sul palco della Berghem Fest, il Festival della Lega che si tiene nella bergamasca. O, magari, non ha calibrato bene le parole (cosa rara per lui), visto che all’indomani, il suo portavoce ha “interpretato” il suo pensiero. Che dire? A parte il fatto che il Decreto Legislativo 626/94 non c’e’ più, abrogato e sostituito dal Decreto Legislativo 81/2008, noto come Testo Unico per la Sicurezza sul Lavoro, la “provocazione” del Ministro stride con una realtà dei fatti che parla di un aumento dei morti sul lavoro: più di mille lo scorso anno. D’altronde, Tremonti sembra coerente con le sue affermazioni. Tra i tagli effettuati alla spesa pubblica ci sono anche parte dei fondi destinati all’azione di prevenzione per la salute e la sicurezza del lavoro. L’Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro è stato inserito dalla manovra finanziaria nell’elenL’unico lusso co delle strutture da è questa chiudere, perché considerato dal Govercasta politica no un “ente inutile”. spendacciona Erasmo è invece e sprecona convinto che l’unico lusso che non ci dovremmo permettere sia questa casta politica spendacciona e sprecona, malandrina ed incapace, arrogante e senza vergogna! Erasmo
Piccolo mondo
Gli spilli di Erasmo Badanti, barboni ed evasori C’è chi prova, di tanto in tanto, a calcolare con approssimazione la cifra enorme che i furbastri sottrarrebbero alle casse dello Stato non dichiarando il dovuto. Nei soli primi cinque mesi dell’anno in corso, la Guardia di Finanza ha fatto emergere ben 22 miliardi di euro di redditi non dichiarati. L’Agenzia delle Entrate ha annunciato che inizierà la lotta all’evasione iniziando da colf e badanti che lavorano in nero. Dopo aver scovato barche e Ferrari nascoste al fisco da costoro, passeranno ai redditi dei barboni!
Caos politico Il Presidente della Repubblica ha lanciato l’allarme sull’emergere di “fenomeni di corruzione e di trame inquinanti, anche ad opera di squallide consorterie”. “Un Paese senza classe dirigente…che sappia offrire alla nazione una visione degli obiettivi condivisi e condivisibili”. Così Edoardo Patriarca, segretario del Comitato Scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali dei cattolici italiani. Ha detto bene Andreotti tempo fa: “Anche noi mangiavamo, ma almeno a tavola sapevamo starci...”.
Nessuno mi può giudicare… Se mi prosciogli o mi assolvi, sei un magistrato corretto che mi hai reso giustizia. In caso contrario, non c’è che l’imbarazzo della scelta degli epiteti, tra “toga rossa, komunista, eversore, psichica-
mente instabile e antropologicamente diverso dal resto della razza umana, cancro da estirpare dal corpo della democrazia” e via dileggiando. E’ divenuto ormai un costante ritornello di molti dei nostri politici. Ma è colpa dei giudici se costoro non sono capaci di fare un passo senza infrangere almeno una decina di leggi?
Chiusi e diffidenti Ridere? Si rischia di apparire matti. Tendere la mano significa rischiare di impegnarsi, fare conoscere le proprie idee e i propri sogni si rischia di essere respinti. Piangere poi, beh, il minimo che si possa dire è che si è deboli. Non si spera più per non rischiare delusioni. Sempre più chiusi in sé, gli italiani, non si fidano più di nessuno. Si cammina a testa bassa, ognuno è proiettato verso il proprio “particulare”, come già notava ai suoi tempi Francesco Guicciardini.
“Grave, ma non seria” Per dirla con Ennio Flaiano: “Altri Paesi hanno una loro verità. Noi ne abbiamo infinite versioni”. Oppure: “La situazione politica in Italia è grave, ma non seria”. In effetti, la scarsa fiducia nelle istituzioni, la trasgressione mitizzata e persino eretta a sistema, l’egoismo pervasivo, sono pecche della convivenza civile italiana. Che si sono andate aggravando, col rischio di soffocare e, comunque, di sovrastare le numerose e vitali forze sane dell’associazionismo, del volontariato e delle famiglie.
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Ricorrenze&Ritratti: Gianni Rodari
Il Lunario
Lo scrittore che accende la fantasia dei bambini D
oppie onoranze, quest’anno, per Gianni Rodari. Il 2010 coincide con il novantesimo della nascita e con il trentesimo della scomparsa. Nacque il 23 ottobre 1920 a Omegna, sul Lago d’Orta, figlio di un fornaio di nome Giuseppe e di Maddalena Aricocchi. Le convinzioni anticlericali del padre non impedirono alla madre di iscrivere il piccolo, all’epoca decenne, nel Seminario cattolico di San Pietro Martire di Seveso quando, rimasta vedova, dovette provvedere alla sua educazione. Maturato nel corso degli studi un diverso orientamento, che lo portò nel 1933 a preferire le Scuole Magistrali, fino al 1937 restò legato all’Azione Cattolica, con l’incarico di presidente della Sezione giovanile di Gavirate. Le sue prime prove come narratore apparvero sul settimanale cattolico «L’azione giovanile» e «Luce», dove pubblicò racconti ed impressioni. Monsignor Carlo Sonzini, sacerdote e giornalista perseguitato dal Fascismo, fondatore del settimanale cattolico «Luce», fu per Rodari l’ispiratore di nuovi orientamenti ideologici. Attratto dalle teorie sociali e dalla visione del mondo di Karl Marx (ma senza scostarsi dalla solidarietà cristiana), aderì alla Resistenza optando per scelte politiche precise, come quella di iscriversi al Partito Comunista Italiano. Fiero del proprio impegno in campo sociale, nel dopoguerra si dedicò al giornalismo, dapprima come direttore di «Ordine nuovo» e poi come cronista e inviato speciale de «L’Unità». Quando nel 1958 entrò nella Redazione di «Paese Sera», appagò una personale aspirazione: scrivere per l’infanzia e dedicarsi, contemporaneamente, a un giornalismo politico fuori dalle logiche di partito. Con le edizioni Einaudi ottenne buoni esiti negli anni immediatamente successivi, e un prestigioso riscontro lo conseguì nel 1970, aggiudicandosi il Premio Internazionale Andersen per la letteratura dell’infanzia. Aveva 60 anni quando il 14 aprile 1980, morì dopo un intervento chirurgico. Ciò che resta della sua opera è radicato nei ricordi di molti genitori e pedagogisti che ben conoscono il valore educativo di Filastrocche in cielo e in terra, di Favole al telefono, di Grammatica della fantasia. Solo per citare i titoli più noti.
Chi scoprì… cosa
Il Barometro - 1643
L
a scoperta fu il risultato di una sperimentazione compiuta nella prima metà del Seicento, destinata a chiarire le ragioni per cui l’acqua convogliata nelle pompe aspiranti non raggiungeva le altezze desiderate. Dopo una serie di prove di laboratorio, Evangelista Torricelli mise a punto uno strumento costituito da un tubo lungo circa un metro, all’interno del quale versò del mercurio. Rovesciando il tubo ed immergendone l’imboccatura in un vasca con altro mercurio, constatò come il vuoto creato nell’ampolla e la spinta esercitata dal basso dall’elemento chimico determinassero una stabilizzazione del livello, consentendo la misurazione della pressione su una scala graduata. “Tubo di Torricelli” o “tubo da vuoto di Torricelli” fu il nome assegnato all’ingegnoso strumento. Il suo impiego fu di grande utilità per dedurre l’altitudine di
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un luogo geografico rispetto al livello del mare; o per azzardare una previsione delle condizioni atmosferiche. Su principî ben diversi si basano i successivi perfezionamenti. Il barometro metallico aneoroide, formato da una capsula, in condizioni di vuoto assoluto, portò alle rilevazioni sul valore relativo della pressione. Più preciso è il barometro a sifone, che permette il confronto fra due rami di diversa lunghezza di un tubo di vetro ad “U”. Per non parlare dei recenti barometri a cella di carico, dove un microprocessore decodifica i segnali e li elabora per una misurazione puntuale della pressione atmosferica. Le diverse soluzioni e i materiali utilizzati hanno condizionato l’adozione di un’unità di misura convenzionale per lo strumento. A lungo calcolata in millimetri di mercurio (mmHg), poi in Millibar (mb), oggi la pressione si misura secondo la scala introdotta dall’ettoPascal (hPa), mutuato dal nome del celebre matematico e pensatore francese Blaise Pascal, che studiò ed integrò il lavoro scientifico di Evangelista Torricelli.
Modi di dire
Rendere pan per focaccia
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n tempo esisteva il pane pregiato, che necessitava di una lievitazione lenta e di una cottura controllata. Ed esisteva la focaccia, preparata con cereali poveri e cotta direttamente sulla brace. La differenza fra i due alimenti era sostanziale: morbido e gustoso il primo, perché impastato con farina di frumento; coriaceo, stopposo, ma meno deperibile il secondo, e quindi adatto alle esigenze di
in bocca alla moglie di Zeppa la risentita affermazione Madonna, voi m’avete renduto pan per focaccia, nel Canto XXXIII dell’Inferno, Dante non ne mitiga il senso cambiando… alimenti: I’ son Frate Alberigo; / i’ son quel da le frutta del mal orto, / che qui riprendo dattero per figo./ Ma, non va trascurata una diversa origine di questo diffuso modo di dire. I viandanti e pellegrini che in cammino si nutrivano di focacce, talvolta insaporendole con spezie o intingendole nelle zuppe di legumi alla espressione si lega alle mensa di generosi conantichissime usanze tadini, erano invitati in cambio dell’ospitalità della cottura del pane a raccontare del loro viaggio, riferendo di luoghi lontani. pellegrini e viandanti. Nel linQuesto scambio di “cose” - da guaggio comune rendere pan per focaccia significa rispondere ad un una parte il racconto e dall’altra torto subito impiegando modalità una nuova focaccia in controparuguali o più raffinate (nello tita - spiegherebbe la derivazione specifico associate alla qualità del dell’espressione. In questo caso, pane) rispetto a quelle messe in è il vicendevole baratto fra le atto dal nostro avversario, che persone a giustificarne l’uso sul sono vili e da paragonare alla piano linguistico: a fronte di focaccia. I riferimenti letterari qualcosa di immateriale e di approssimativo come un resoconto più accreditati si incontrano in di viaggio (focaccia), si offre un Boccaccio e in Dante. Se nel prodotto concreto, gradevole ed Decamerone Boccaccio ricorre essenziale (pane). alla precisa analogia, mettendo
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di Giuseppe Muscardini
Feste&Sagre
Il ritorno dei frutti dimenticati
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astagne, noci, melagrani, nespole e mele cotogne, le abbiamo gustate in molte occasioni e destano in noi solo una voglia stagionale di riassaporare ciò che porta l’autunno. Ma altri ci paiono del tutto nuovi, mai sentiti. O “dimenticati”, per l’appunto. Senza il ricorso ad un’enciclopedia con immagini a colori, le azzeruole, le avellane, i corbezzoli, le corniole, le mele da rosa, le pere volpine, resteranno per noi frutti del tutto ignoti. Sabato 16 e domenica 17 ottobre, a Casola Valsenio, potremo identificarli dentro le ceste di vimini, esposti su bancarelle dislocate nelle vie del centro storico per la tradizionale Festa dei Frutti dimenticati. Sarà il momento di gloria per quei prodotti che i nostri nonni, in campagna o sulle alture, portavano in tavola subito dopo averli raccolti. Frutti che spesso diventavano un apprezzato regalo di Natale, offerto con semplicità a bambini gioiosi. Il recupero delle usanze antiche e la riproposta di sapori diversi, danno significato alla festa. Il programma delle iniziative organizzate dalla Pro Loco prevede anche un premio, con cerimonia ufficiale, per chi avrà preparato la miglior confettura. I ristoranti del luogo serviranno deliziose minestre, pietanze e dessert cucinati o insaporiti con i prodotti di un tempo, valorizzando così il patrimonio culturale ed alimentare della Valle del Senio. Comune romagnolo di 2.800 abitanti posto ai confini con la Toscana, Casola Valsenio si raggiunge agevolmente dall’A14, uscita a Imola o Faenza; proseguire per la Strada Provinciale 306 Casolana-Riolese. Si potrà alloggiare nel centralissimo e prestigioso Hotel Ristorante dell’Antica Corona, Via Roma, 38 - 48010 Casola Valsenio (RA), tel. 0546 73847; in ambiente più appartato, a 4 chilometri si trova l’Azienda Agrituristica Ca’ Nova, Via Breta, 29 - 48010 Casola Valsenio, tel. 0546 75177. Informazioni: Ufficio Turistico di Casola Valsenio, Via Roma, 50 - 48010 Casola Valsenio (RA), tel. 0546 73033.
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/ Ottobre 2010 Nei campi Continua la raccolta del mais. Si concima il terreno con fertilizzanti complessi. Si prepara il terreno per la semina della bietola. In alcune zone, si semina il grano, l’orzo, l’avena e la segale. Si seminano i prati da foraggio. Si prepara il terreno per mais e soia. Negli orti Si preparano le aiuole per la semina pri-
maverile di ravanelli, lattughe, insalate e piselli. Si seminano, per la raccolta autunnale, radicchi, spinaci, rape, piselli, agli, cicorie, cavoli, lattughe, indivie e cipolle. Si raccolgono sedani e cardi. Si controllano patate e cipolle per eliminare quelle guaste e gli eventuali getti. Si raccolgono le castagne. Si seminano menta, cerfoglio, origano e timo. Si raccolgono mele e pere tardive. I peschi vanno trattati contro bolla e cancro.
Nei terrazzi e giardini Si piantano i rosai. Si tolgono le fioriture ai crisantemi lasciandone solo alcune. Si invasano le piante che vanno protette durante l’inverno. In cantina Il mosto non dovrà fermentare a una temperatura più bassa di 18°C (ideale) e più alta di 25°C. La cantina deve essere priva di cattivi odori e immersa in una tranquillità assoluta. Si travasa a luna calante.
Bene a sapersi
L’ipertensione arteriosa Colpisce il 30% della popolazione italiana
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Tra i fornelli Ingredienti per quattro persone:
4 fette di pane cotto a legna, 250 gr di fontina, 1 bicchiere di birra chiara, 50 gr di burro, 2 cucchiaini di senape, paprica e sale q.b. Tagliare la fontina a fette sottili e metterla in un tegame a fondere, a fuoco lento, con la birra. Mescolare continuamente, finché non si sarà ottenuto un composto ben cremoso. Incorporarvi, fuori dai fornelli, il sale, la paprica e la senape. In una padella, rosolare le fette di pane con il burro; appena pronte, metterle in una pirofila e versarvi sopra il composto. Gratinare al forno per qualche minuto. AVVISO AI LETTORI In seguito al forte aumento delle spese di spedizione, ci vediamo costretti a chiedere un contributo per l’invio di ciascun pacco di libri pari ad euro 4,00. Il servizio sarà effettuato da un Corriere, quindi, per consentire la consegna del pacco, cortesemente Le chiediamo di utilizzare il nome apposto sul citofono o campanello della Sua abitazione.
ipertensione arteriosa (pressione alta) è causata dalla pressione sanguigna più alta del normale, sia nei suoi valori minimi che massimi. Circa il 30 per cento della popolazione italiana, secondo dati statistici recenti, soffre di ipertensione. Colpisce soprattutto gli anziani: l’80 per cento dei soggetti affetti dalla patologia oltrepassa i 65 anni di età, mentre, nel restante 20 per cento, soltanto un 5 per cento ha meno di 30 anni. Per il 95 per cento dei soggetti ipertesi la causa è sconosciuta (ipertensione primitiva, idiopatica o essenziale). Nel restante 5 per cento l’ipertensione è ritenuta secondaria a un’altra patologia. In genere si tratta di insufficienza renale cronica, feocromocitoma o stenosi dell’arteria renale. Il tabacco, la scarsa attività fisica, l’abuso di alcolici, di sale da cucina e di gras-
si di origine animale, favoriscono l’ipertensione arteriosa. L’ipertensione arteriosa in generale non si manifesta con sintomi riconoscibili chiaramente (patologia asintomatica). Palpitazioni, mal di testa, vertigini, nervosismo, stanchezza, ronzii alle orecchie, invece, possono costituire un segnale di allarme. In questi casi, bisogna farsi controllare la pressione da un medico o da un farmacista, con l’apposito sfigmomanometro. Per la diagnosi e l’eventuale terapia, rivolgersi sempre al medico di famiglia. Le conseguenze più pericolose dell’ipertensione sono l’infarto e l’ictus. Le principali categorie di farmaci per contrastare la pressione bassa sono: i diuretici, i beta bloccanti, gli Ace inibitori, gli inibitori dell’angiotensina, i calcio antagonisti, gli alfa-bloccanti, i vasodilatatori. Possono essere assunti solo sotto
stretto controllo medico. La pressione è considerata normale quando la minima è inferiore a 80 mmHg e la massima è inferiore a 120 mmHg. Quando i valori sono superiori a questi parametri in modo costante è bene rivolgersi al medico di famiglia. Validi aiuti per ridurre la pressione arteriosa, sono un’alimentazione adeguata e la sana abitudine di passeggiare, a passo svelto, per almeno una mezz’ora al giorno.
Prezzo: Euro 25,00 Richiedere a: E.F.I. - via Marco Polo, 1bis 06125 - Perugia Tel. 075.506.93.42 - Fax 075.505.15.33 E-mail: info@frateindovino.eu
Il primo di ottobre sorge, mediamente in Italia, intorno alle ore 6,07 e tramonta intorno alle 17,52. Il 15 di ottobre sorge, mediamente in Italia, intorno alle ore 6,23 e tramonta intorno alle 17,29. Il 31 di ottobre sorge, mediamente in Italia, intorno alle ore 6,40 e tramonta intorno alle 17,06. Il 31 ottobre torna l’ora solare.
L’anello delle tradizioni
Quando natura cura
Un santo al mese
Madonna
Balsamina ghiandolosa (Impatiens glandulifera) Parole chiave: impazienza, ansietà, nervosismo. Il tipo impatiens è attivo, riesce in tutto ciò che fa e, non avendo fiducia nell’operato altrui, preferisce agire per suo conto. Questo atteggiamento egocentrico lo porta ad affrontare qualsiasi problema e contrarietà con forza, vivacità e concentrazione. è un perfezionista, intransigente con se stesso e gli altri. Non tollera la semplicioneria, la prolissità, l’incompetenza, la lentezza. Spesso, si fa prendere da attacchi di collera. I suoi rimproveri sono proverbiali, ma fa presto anche a dimenticare i motivi che lo hanno indotto all’ira.
San Francesco d’Assisi Si ricorda il 4 ottobre. Dopo aver condotto vita allegra e dissipata, all’età di 24 anni, rinuncia ad ogni ricchezza. Nella chiesetta di San Damiano, nell’autunno del 1205, aveva udito la voce di Gesù che gli diceva: “Va’ e ripara la mia Chiesa, che è tutta in rovina”. Costituisce, con un gruppo di amici, il primo nucleo di quello che è destinato a diventare l’Ordine dei Frati Minori. Il 14 settembre 1224, sul monte della Verna riceve il dono delle stimmate. Il 3 ottobre del 1226, muore all’età di 44 anni presso la Porziuncola di S. Maria degli Angeli. Viene canonizzato due anni dopo la sua morte. Nel 1939 Pio XII lo proclama Patrono d’Italia.
del
Lume
La festa si svolge a Ponticello, frazione di Santa Flavia (PA), il lunedì successivo alla prima domenica di ottobre. Il quadro della Madonna del Lume, che è nella Chiesa Madre, viene prelevato da una folla di fedeli, che lo depongono su una barella detta “vara”, e portato in processione fino allo scalo, dove viene accolto dai fuochi d’artificio. La domenica successiva si svolge la processione in mare sino alla cappella della SS. Maria del Lume. Per l’occasione tutte le barche e i pescherecci della marineria di Porticello partecipano al corteo. Il quadro si dice sia stato ritrovato abbandonato in mare, presso Capo Zafferano.
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Questo numero è andato in stampa il 14 settembre del 2010.
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