Urban Jackalope un progetto di | a project by ZoĂŠ Gruni
a cura di | curated by Lucia Giardino
F_AIR - Florence Artist in Residence
18 aprile - 6 maggio 2011 | April 18 - May 6 2011
Urban Jackalope
un progetto di | a project by ZoĂŠ Gruni a cura di | curated by Lucia Giardino F_AIR - Florence Artist in Residence
18 aprile - 6 maggio 2011 | April 18 - May 6 2011
Testo critico | Critical text Pietro Gaglianò Supervisione testi | Text supervisor Elisa Biagini Scrittori | Writers Emily da Silva Kyle Giroux Lauren Peterson Sarah Volpintesta Grace Evelyn Jenna Slater Ambientazione sonora di | Sound Installation by Jimmy Gelli
Quell’immensa fiducia negli altri Immedesimazione, esternazione e un pizzico di razionale esorcismo di certe tradizioni folkloristiche sono gli elementi che compongono Urban Jackalope, il progetto “americano” di Zoè Gruni. L’artista lo concepisce e inizia a dargli forma già dal 2010, negli Stati Uniti; lo sviluppa poi concretamente durante i primi mesi del 2011, probabilmente per continuarlo nella seconda parte dell’anno, col suo ritorno in California*. Un progetto che risulta fruibile a dispetto della sua complessità, sia concettuale – considerando in primo luogo l’alienità della Gruni ai luoghi del Jackalope, una creatura metà coniglio, metà antilope, che si dice nato nel Wyoming e poi esportato in tutta l’area centro occidentale del Nuovo Continente – che pratica, di realizzazione. Il Jackalope, di fibra di palmizi (questo è il materiale usato dall’artista per impersonarlo), è apparso prima in forma di performance spontanea in tre luoghi topici della California: Venice Beach, downtown Los Angeles e Hollywood; si è poi spostato nel mondo consapevole dell’arte, a Firenze, nello spazio espositivo di F_AIR – Florence Artist in Residence, dove, mettendo in campo forze di disparata provenienza, gli abbiamo approntato una mostra personale. Le apparizioni performative di cui sopra, sono servite all’artista per rompere il ghiaccio col territorio americano (in cui Zoè Gruni vive da circa un anno) e le hanno permesso di guadagnare una conoscenza del tessuto umano di quei luoghi, non altrimenti accessibile. Le performance infatti, nella maggior parte dei casi risoltesi senza frizioni, hanno agevolato un naturale processo di socializzazione tra due culture; ma hanno altresì provocato sporadici scontri e incomprensioni con singoli individui e sparuti gruppi. Questi momenti di deviazione di percorso si possono considerare come exampla per una proficua analisi di un popolo, quello americano, generalmente accogliente e cool verso il diverso, ma con picchi d’irragionevolezza dettati da sondabili e/o insondabili cause. E’ la solita vecchia storia del costume o dell’ornamento**, che da una parte dà potere o difende chi lo indossa, dall’altra lo espone, rendendolo vulnerabile. Nel caso del Jackalope gli attacchi sono venuti da chi si sente offeso dal diverso, da chi ne rivendica l’appartenenza alle proprie terre e da chi il Jackalope crede d’averlo incontrato e non ne ha riscontrato somiglianza con quello in questione. L’artista, lungi dall’essere scoraggiata dagli attacchi, ne trae vantaggio, essendo questi, in ultima analisi, rivelatori di un sentimento di paura. E Zoè Gruni è curiosa verso la paura: la indaga, la scandaglia, per esorcizzarla e – a tratti – per schernirla bonariamente. La paura è per lei un campo fertile, come dimostra tutta la sua produzione e come è esplicitato da un suo ultimissimo lavoro in divenire, dal titolo Malocchio (2010 – 2011). La presente mostra esibisce foto ricordo delle tre tappe performative americane del Jackalope ed il suo il suo simulacro in forma scultorea. Ma c’è dell’altro: Urban Jackalope mette in scena documenti ulteriori finalizzati a far continuare a vivere la creatura anche quando essa non si manifesti, perché sradicata dai suoi luoghi di peregrinazione naturale. E così che alla presenza del fantoccio di palma della “lepre cornutaù”***, si è aggiunta quella dei ricordi dei giovani narratori che gli hanno dato corpo e consistenza: si tratta di composizioni letterarie di studenti americani, in viaggio studio a Firenze e iscritti al corso di Travel Writing presso la Florence University of the Arts. La poetessa Elisa Biagini ha diretto lo sforzo d’immaginazione di Emily, Kyle, Lauren, Sarah, Grace, Jenna, che forse non avevano mai sentito parlare del loro peloso compatriota, ciononostante gli hanno reinventato una mitografia, rendendolo così concreto a noi, pubblico europeo. Nonostante l’efficacia di mezzi quali mail e Skype, credo che la fase più critica per tutti coloro coinvolti nel progetto Urban Jackalope e per l’artista stessa, sia questa collaborazione a distanza tra Zoè Gruni e gli scrittori in erba, ancora a lei sconosciuti. “Critica” perché difficile da vagliare e tenere sotto controllo (l’artista risiedeva nel paese degli scrittori e questi, viceversa, nel paese d’origine dell’artista), eppure degna di nota e rivelatrice dei tratti più affascinanti della giovane pistoiese, che sono la sua generosità e fiducia, che si traducono in approccio positivo alla vita. L’artista infatti comprende che solo con un’immensa fiducia negli altri è possibile progredire e crescere: lo scambio, il donarsi, il confronto sono atti vitali, connaturati nell’uomo, senza i quali egli inaridisce fino ad estinguersi. Zoè Gruni non ama la morte, non vuole impoverire il terreno da cui ha momentaneamente sradicato il Jackalope, creatura di palma; portandogli nuova linfa vitale, vuole bensì alimentarne la memoria e il mito.
* Tornata per una breve pausa nella natia Toscana, Zoè Gruni, tornerà presto negli Stati Uniti, dove parteciperà al Raid Projects Artist in Residence di Los Angeles. ** ANANDA K. COOMARASWAMY, Ornament, “The Art Bulletin”, vol. 21, N° 4 (Dec. 1939), 375 – 382. *** Horny bunny, così è anche conosciuto il Jackalope
Quell’immensa fiducia negli altri Immedesimazione, esternazione e un pizzico di razionale esorcismo di certe tradizioni folkloristiche sono gli elementi che compongono Urban Jackalope, il progetto “americano” di Zoè Gruni. L’artista lo concepisce e inizia a dargli forma già dal 2010, negli Stati Uniti; lo sviluppa poi concretamente durante i primi mesi del 2011, probabilmente per continuarlo nella seconda parte dell’anno, col suo ritorno in California*. Un progetto che risulta fruibile a dispetto della sua complessità, sia concettuale – considerando in primo luogo l’alienità della Gruni ai luoghi del Jackalope, una creatura metà coniglio, metà antilope, che si dice nato nel Wyoming e poi esportato in tutta l’area centro occidentale del Nuovo Continente – che pratica, di realizzazione. Il Jackalope, di fibra di palmizi (questo è il materiale usato dall’artista per impersonarlo), è apparso prima in forma di performance spontanea in tre luoghi topici della California: Venice Beach, downtown Los Angeles e Hollywood; si è poi spostato nel mondo consapevole dell’arte, a Firenze, nello spazio espositivo di F_AIR – Florence Artist in Residence, dove, mettendo in campo forze di disparata provenienza, gli abbiamo approntato una mostra personale. Le apparizioni performative di cui sopra, sono servite all’artista per rompere il ghiaccio col territorio americano (in cui Zoè Gruni vive da circa un anno) e le hanno permesso di guadagnare una conoscenza del tessuto umano di quei luoghi, non altrimenti accessibile. Le performance infatti, nella maggior parte dei casi risoltesi senza frizioni, hanno agevolato un naturale processo di socializzazione tra due culture; ma hanno altresì provocato sporadici scontri e incomprensioni con singoli individui e sparuti gruppi. Questi momenti di deviazione di percorso si possono considerare come exampla per una proficua analisi di un popolo, quello americano, generalmente accogliente e cool verso il diverso, ma con picchi d’irragionevolezza dettati da sondabili e/o insondabili cause. E’ la solita vecchia storia del costume o dell’ornamento**, che da una parte dà potere o difende chi lo indossa, dall’altra lo espone, rendendolo vulnerabile. Nel caso del Jackalope gli attacchi sono venuti da chi si sente offeso dal diverso, da chi ne rivendica l’appartenenza alle proprie terre e da chi il Jackalope crede d’averlo incontrato e non ne ha riscontrato somiglianza con quello in questione. L’artista, lungi dall’essere scoraggiata dagli attacchi, ne trae vantaggio, essendo questi, in ultima analisi, rivelatori di un sentimento di paura. E Zoè Gruni è curiosa verso la paura: la indaga, la scandaglia, per esorcizzarla e – a tratti – per schernirla bonariamente. La paura è per lei un campo fertile, come dimostra tutta la sua produzione e come è esplicitato da un suo ultimissimo lavoro in divenire, dal titolo Malocchio (2010 – 2011). La presente mostra esibisce foto ricordo delle tre tappe performative americane del Jackalope ed il suo il suo simulacro in forma scultorea. Ma c’è dell’altro: Urban Jackalope mette in scena documenti ulteriori finalizzati a far continuare a vivere la creatura anche quando essa non si manifesti, perché sradicata dai suoi luoghi di peregrinazione naturale. E così che alla presenza del fantoccio di palma della “lepre cornutaù”***, si è aggiunta quella dei ricordi dei giovani narratori che gli hanno dato corpo e consistenza: si tratta di composizioni letterarie di studenti americani, in viaggio studio a Firenze e iscritti al corso di Travel Writing presso la Florence University of the Arts. La poetessa Elisa Biagini ha diretto lo sforzo d’immaginazione di Emily, Kyle, Lauren, Sarah, Grace, Jenna, che forse non avevano mai sentito parlare del loro peloso compatriota, ciononostante gli hanno reinventato una mitografia, rendendolo così concreto a noi, pubblico europeo. Nonostante l’efficacia di mezzi quali mail e Skype, credo che la fase più critica per tutti coloro coinvolti nel progetto Urban Jackalope e per l’artista stessa, sia questa collaborazione a distanza tra Zoè Gruni e gli scrittori in erba, ancora a lei sconosciuti. “Critica” perché difficile da vagliare e tenere sotto controllo (l’artista risiedeva nel paese degli scrittori e questi, viceversa, nel paese d’origine dell’artista), eppure degna di nota e rivelatrice dei tratti più affascinanti della giovane pistoiese, che sono la sua generosità e fiducia, che si traducono in approccio positivo alla vita. L’artista infatti comprende che solo con un’immensa fiducia negli altri è possibile progredire e crescere: lo scambio, il donarsi, il confronto sono atti vitali, connaturati nell’uomo, senza i quali egli inaridisce fino ad estinguersi. Zoè Gruni non ama la morte, non vuole impoverire il terreno da cui ha momentaneamente sradicato il Jackalope, creatura di palma; portandogli nuova linfa vitale, vuole bensì alimentarne la memoria e il mito.
* Tornata per una breve pausa nella natia Toscana, Zoè Gruni, tornerà presto negli Stati Uniti, dove parteciperà al Raid Projects Artist in Residence di Los Angeles. ** ANANDA K. COOMARASWAMY, Ornament, “The Art Bulletin”, vol. 21, N° 4 (Dec. 1939), 375 – 382. *** Horny bunny, così è anche conosciuto il Jackalope
SAVE THE JACKALOPE Pietro Gaglianò
Nelle culture tribali dell’Africa sub sahariana (ma probabilmente anche altrove) i santuari, le tombe degli antenati e tutti gli edifici religiosi, per mantenere attendibile, e quindi efficace, la propria sacralità devono essere costruiti esclusivamente con materiali provenienti dal luogo stesso sul quale sorgono. Essendo fabbricati per lo più con materia vegetale hanno spesso bisogno di restauri che prevedono la sostituzione di molte parti, strutturali e decorative. Anche gli elementi nuovi devono essere raccolti all’interno del recinto cultuale, e le statue e i feticci devono essere fatti con materiali del posto. Una santità endogena che presume, da un lato, una specie di verginità originaria e intatta dello spazio prescelto, e, dall’altro, un potere specifico di quanto da questo spazio nasce e proviene – come gli amuleti che proteggono neonati, neo sposi, cacciatori, guerrieri e chiunque si addentri in un territorio nuovo, e magari ostile. Opportuno, quindi, che il Jackalope di Zoé Gruni sia fatto di fibra di palma, una sostanza diffusa nella zona da cui il Jackalope proviene e in qualche modo caratteristica di quel paesaggio. A rigore, lui è oriundo dell’Arizona, e Zoé trova la fibra di palma per costruirlo in California, ma l’uno e l’altra, il Jackalope e la palma intendo, sono entrambi parte di un unico panorama mitologico, quello degli sconfinati spazi dell’America Settentrionale che, per quanto diversi e fra loro remoti nello spazio, sono parte di una stessa scena di natura immensa e ciclopica sulla quale l’uomo occidentale trova le radici di una visione virilmente eroica e positiva di sé, vagamente accessoriata con cappelli da cow boy e vibranti pennelli di astrattisti gestuali. Uno scenario, insomma, di contrapposizione, dove l’ambiente naturale, lo stesso che esprime il Jackalope, è ostile, selvaggio e di conseguenza bonificabile grazie tutto l’ottimismo intelligente dell’uomo bianco. Ecco perché il Jackalope si veste di fibra di palma. Ha bisogno di quella forza, per attraversare le città. Zoé, infatti, ha trascinato questo animale da bestiario medioevale (io non ne ho mai visto uno, ma pare si componga di parti di una lepre e di un’antilope, una specie di coniglio con le corna, imparentabile alle manticore e agli unicorni), nelle strade della sofisticata e smaliziatissima Los Angeles, per rinverdire un mito che appartiene a una dimensione totalmente extraurbana e un po’ negletta, e anche per strappare il Jackalope dalla lista delle creature a rischio di estinzione. Due cose sono importanti. La prima è lo scambio possibile che viene sollecitato. Il Jackalope, che è un’invenzione degli yankee (i cow boy che cercavano di dare una forma ai rumori della notte, perché ogni cosa che ha un aspetto è sempre meno ostile dell’ignoto) torna proprio da loro a rivendicare la propria esistenza, a cercare una sovrapposizione con quelle leggende (sì, le leggende metropolitane) che nascono, al contrario, per far fibrillare una realtà altrimenti troppo prevedibile. La seconda (la seconda cosa da sottolineare) è che Zoé veste lei stessa la pelle del mostro, secondo una prassi già adottata in passato, per altri progetti. C’è una totale immedesimazione dell’artista nella sua creazione, e c’è anche uno spirito un po’ sciamanico in questa dichiarata volontà di farsi tramite tra un mondo (il mondo urbano, tecnocratico e scettico) e quell’altro (il mondo della visione suggerita, della fiducia, o della fede, nella natura). La stessa mediazione, mi pare, che, con le debite correzioni sui panorami e sui soggetti, viene fatta ogni volta che un artista esce dell’astrazione del proprio disegno e assume, in un certo senso, una forma di responsabilità verso il resto del mondo.
SAVE THE JACKALOPE Pietro Gaglianò
In African sub-Saharan culture, sanctuaries, ancestral tombs and all religious buildings were built exclusively with materials that belonged to the same land they were built on. This was made to maintain reliable, therefore effective what was built. These buildings have been constructed by the majority with vegetation that necessitates of reconstruction by substitution of many structural and decorative parts. The new parts also need to be gathered inside this cultural enclosure and the same is for statues and jujus. The endogenous sanctity, on one hand, requires a virgin origin, meaning that materials involved to create the statues must not have been touched by anyone because it’s specific power is born and belongs to the place itself. This is just like the concept behind amulets that protect infants, new-weds, hunters, warriors and whomever in a new territory- maybe a hostile one. Zoé Gruni’s Jackalope is made of palm fiber because it is a substance that is widely diffused in the area where the Jackalope belongs. To be more specific, he is native of Arizona and Zoé uses palm fiber in California to construct him, but both Jackalope and the palm tree are part of a unique mythological panorama of boundless Northern American spaces, who apparently seem remotely different. They are part of the same immense and cyclopic scene on the basis of which the men of the west find roots for a heroic vision of themselves; all this, vaguely detailed by cowboy hats and vibrant but abstract brush strokes. The natural environment expressed by the Jackalope is a hostile and savage place to be in, therefore reclaimable by an optimistic intelligence of the Caucasian man. This is why the Jackalope is dressed with palm fibre. He needs that strength type to cross the city. Zoé has dragged this medieval beast (though I have never seen one, he is said to be part hare and part antelope. A sort of rabbit with horns, close to the legendary manticores and unicorns), in the sophisticatedly shrewd streets of Los Angeles, to revive a myth that belongs to a totally unkempt suburban dimension and to tear the Jackalope out from the extinction list. Two important concepts are being exposed. The first is the possible emphasis of a swap, where the Jackalope invented by Yankees (the cowboys who were trying to give shape to sounds in the night, because giving shape to the unknown made it become less hostile), has now returned to them to reclaim its existence by overlapping those urban myths create to fibrillate an otherwise predictable reality. A second matter that needs underlining is that Zoé herself dons the skin of the beast, following a routine procedure adopted in the past. The artist totally immerses herself in her creation, there’s also a shamanic spirit in this declared desire to be the bridge between an urban world (technocratic and skeptical) and another world (a world of prompt vision, trust and faith in nature). This is the same meditation that seems to occur with the necessary corrections of landscapes and panoramas when an artist exits from the abstraction of his/her designs and assumes, in a certain sense, a form of responsibility towards the rest of the world.
BIOGRAFIA
ZoGruni (Pistoia 1982) vive e lavora fra Firenze e Los Angeles. Diplomata all’stituto d’Arte di Pistoia, nel 2006 si laurea all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Nello stesso anno apre nella sua cittinsieme a Cristiano Coppi e Andrea Lunardi lo spazio di arte contemporanea Studi8. Ha lavorato in vari spettacoli teatrali. Le sue sculture (indossabili e abitabili) diventano elemento drammaturgico di C conversazione con la pietra spettacolo creato insieme all’attore e musicista Piero Corso e all’attrice Tania Garibba. Ha partecipato a numerose mostre personali e collettive in Italia e all’estero. Collabora con la Galleria Il Ponte di Firenze e con Fu Xin Gallery di Shanghai.
BIOGRAPHY
ZoGruni (born in Pistoia in 1982) lives and works between Pistoia and Los Angeles. At a very young age her artistic career started with drawing, wearable sculptures and performances recordered by photographic printings. She has participated in numerous collective and personal exhibitions and has worked with Lorenzo Bruni, Pierluigi Tazzi, Carlo Sisi, Silvia Lucchesi, Enrico Pedrini and Franziska Nori. She is presently represented by the galleries Il Ponte, Florence and Fu Xin, Shanghai.
MOSTRE PERSONALI | SOLO SHOWS 2009 - Antonio Catalano - ZoeGruni Centro Culturale il Funaro, Pistoia; Metato Metacorpo, Galleria Il Ponte, Firenze, a cura di Andrea Alibrandi e Enrico Pedrini; Lc la paura, Biblioteca Fabroniana, Pistoia; Metato Entropyart/in/progress (Philomarino Arte Contemporanea), Napoli, a cura di Enrico Pedrini. 2008 Metato, Galerie Depardieu, Nizza, a cura di Enrico Pedrini; ZoGruni - Andrea Lunardi, Accademia delle Arti del Disegno, Firenze, a cura di Giuliana Videtta e Rosella Alberti. 2004 - BalBalle Baloo, Palazzo del Bal Pistoia (nell’ambito di un visitagiovani artisti a Pistoia), a cura di Silvia Lucchesi.
MOSTRE COLLETTIVE e FIERE | COLLECTIVE SHOWS and ART FAIRS 2011 Biennale Giovani Artisti, Monza; ArteFiera Bologna, Galleria Il Ponte, Firenze. - Los Angeles Art Show, Fu Xin Gallery, Shanghai 2010 ArteFiera Bologna, Galleria Il Ponte, Firenze; Please me fashion, fluttuazioni fra arte e moda, Palazzo Ducale, Sabbioneta Mantova, curated by Falbo I., Roda R., Giromini F., Pecchioli M.; Arte del XX secolo nelle collezioni delle fondazioni bancarie di Venezia e Pistoia. 1910 - 2010: un secolo d’arte a Pistoia. Opere dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, Palazzo Fabroni, Pistoia, curated by Vinca Masini L.; Gemine Muse Trame d’arte identite inganni, Museo del Tessuto, Prato, curated by Pezzato P., in collaborazione con il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Prato; Lateral bodies, Spazio Thetis - Arsenale Novissimo, Venezia, curated by Song B. e Stastny E.; Bad Girls: good girls go to heaven, bad girls go everywhere, UnimediaModernContemporaryArt and VisionQuesT gallery, Genova, curated by Gualco C. and Belgrado C.. 2009 ArteFiera Bologna, Galleria Il Ponte, Firenze. 2008 ArteFiera Bologna, Galleria Il Ponte, Firenze. 2007 2007 - MiArt Milano, Galleria Il Ponte, Firenze; Se la fotografia un Clic dell’Anima, Galleria Giannone, Pisa; Abitanti Ambienti - Daniela De Lorenzo, ZoGruni, Kinkaleri, Galleria Il Ponte, Firenze, curated by Lucchesi S.; Liberolibrodartistalibero3, Wignacourt Museum, Rabat (Malta), curated by De Donno E. 2006 Liberolibrodartistalibero3, Museo Archeologico Statale, Spoleto e Centro Arte contemporanea Bannata, Enna, curated by De Donno E.; Casi giudiziari, Palazzo Pretorio, Pistoia; Pillole contemporanee, Studi8 in farmacia, Ex-farmacia Nucci, Agliana (Pistoia); Studi8, ZoGruni, Cristiano
Coppi e Andrea Lunardi, Studi8, Pistoia; Allievi incisori dell’Accademia, Galleria Il Bisonte, Firenze. 2005 Rotte metropolitane, Spazio Sesv, Firenze, curated by Bruni L.; Aqve, Giardino delle Terme, San Giuliano Terme (Pisa); Artinformazione2news, Caltello di Malgrate, Villa Franca (Aulla); Humus, Gianna Scoino - ZoGruni, Cella d’Arte di Villa Pichi Sermolli, Buggiano Castello (Montecatini), curated by Videtta G.. 2004 Dal luogo al simbolo, Ex-farmacia Nucci, Agliana (Pistoia); Fucine Tillanza, Cantieri Ex-Breda, Pistoia. 2003 Vigna degli artisti, Palazzina Uzielli, Vinci, curated by Vecere L.; Networking. Workshop with the artist Bert Theis, Monsummano Terme; Networking city, Officina Giovani-Cantieri Culturali Ex-Macelli, Prato, curated by Marco Scotini; Contested space, Spazio Alcatraz ex Stazione Leopolda, Firenze, curated by Scotini M. 2002 Opus Liber, Museo Virgiliano, Mantova; Chiesetta dell’Angelo, Bassano del Grappa; Accademia delle Arti del Disegno, Firenze and Museo di Arte Moderna, Roma.
BIBLIOGRAFIA | BIBLIOGRAPHY
2010 TESI R. (a cura di), ZoGruni < > Carlo Marcucci, in Ovo n. 10, FALBO I., RODA R., GIROMINI F., PECCHIOLI M., Please me fashion, fluttuazioni fra arte e moda. Ed. Sometti, Mantova MATTEONI F., Corpo, paura ed esorcismo. L’Arte di ZoGruni, in azione Indiana MEONI L., Pistoia in contemporanea con ZoGruni, Pistoialife PEZZATO S., Gemine Muse, Ed. Gai, Torino – VINCA MASINI L. (a cura di), Arte del XX secolo nelle collezioni delle fondazioni bancarie di Venezia e Pistoia. 1910 2010: un secolo dArte a Pistoia. Opere dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia. Ed. Gli Ori - Editori contemporanei, Pistoia. 2009 GUALCO C., C, Bad girls, Ed. Essegraph, Genova CRESPI D., ZoGruni , Exibartnov. 2009 2008 AlLIBRANDI A., Metato, Ed. Il Ponte, Firenze JAN T., ZoGruni, erformArtsPARASOTE C., ZoGruni Strada GAVARDERRET J.P., ZoGruni: paradis perdus et retrouvè trois faces du nom ALBERTI R., GRANCHI A., ViIDETTA G., Studenti eccellenti ZoGruni Andrea Lunardi, Ed. Il Sedicesimo, Firenze. 2007 LUCCHESI S., Abitanti Ambienti, Ed. Il Ponte, Firenze DE DONNO E., Librodartistalibero, Spoleto. 2006 AGOSTINI A., SIMONCINI S., Confidenze dellArte. - BRUNI L., Rotte Metropolitane, Maschietto Editore, Firenze. 2004 2002 - LUCCHESIS., In visita, 2004.- VECERE L., Vigna degli artisti,Vinci, 2003. SCOTINI M., Networking, Artout, Maschietto Editore, Firenze 2003 TESSARI P., GRAZZI A., Opus Liber, Mantova, 2002.
Il progetto “Urban Jackalope” non sarebbe stato possibile senza la preziosa collaborazione della Prof.ssa Elisa Biagini e degli studenti iscritti al corso Travel Writing per il semestre di Spring 2011. ________________________________________ The project “Urban Jackalope” exists thanks to the precious collaboration of Professor Elisa Biagini and the students enrolled in the Spring 2011 edition of the Travel Writing course. Produzione | Produced by Fua Florence University of the Arts Traduzioni | Translation by Francesca Gea, Grace Joh Grafica | Grafics by CdP Ambiente sonoro | Sound Environment by Jimmy Gelli Crediti fotografici | Photographic credits Zoè Gruni Ringraziamenti | Acknowledgments Susanna Bausi, Camilla Carrega, Valentina Monacò, Alberto Simoncini, Andrea Trapani, David A.Weiss Un grazie particolare a | Special thanks to Eleonora Accorsi Andrea Alibrandi e Galleria il Ponte Tommaso del Rosso Alessandra Tempesti, Martino Margheri e il Centro di Cultura Contemporanea Strozzina e a Gabriella Ganugi, Palazzi president Matteo Brogi e Grace Joh, Communications and Publishing Department APICIUS - International School of Hospitality
F_AIR - FLORENCE ARTIST IN RESIDENCE via san gallo 45rosso - +39 055 0332950 fair@fua.it www.fair.palazziflorence.com