Gustav Mahler il mio tempo verrà

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Nella premessa alla seconda edizione ' della sua monografia su Gustav Mahler, Ugo Duse riassumeva la posizione del musicista boemo nel mondo, nei seguenti termini: Dieci anni or sono ascoltare musiche di Mahler in stagioni concertistiche o anche alla radio era quasi un avvenimento: oggi è tra gli autori più eseguiti. Siamo già dunque in quel futuro cui egli stesso aveva affidato la sua musica? A mio parere, no. Perché, diversamente da molti altri, ho sempre sentito la sua musica come u n legato di serenità, sofferta e anche tragicamente conseguita, profondamente estranea alla conclusione che << presto sarà notte D. La notte è proprio venuta con la consumazione massiva di quelle sinfonie che Adorno diceva <( ballate della catastrofe D; è quindi il futuro dell'intuizione pessimistica adorniana quello che noi viviamo, non il continuo divenire nell'immobilità che Mahler riassumeva nella sua concezione del mondo. I1 successo decretato alla musica delle vittime di un potere tanto cinico che dispone dell'ildagietto della Quinta sia per rendere accettabili gli untuosi inviti al servilismo di una rubrica religiosa televisiva, sia per accompagnare alla disfatta l'ultimo peregrinare a colori del professor Aschenbach, è il successo della notte sopravvenuta ... Unicuique suum: dozzinale o di elevato respiro è pur sempre un'illustrazione rettorica, ritualistica, quella che alla musica di Mahler viene riservata. Non manca l'approvazione dei <( progressisti paghi che in tal modo e con tali mezzi essa venga per lo meno fatta conoscere, nell'interesse della cultura di massa, naturalmente, non delle case discografiche scatenatesi, guarda caso, in coincidenza con la fine del diritto d'autore.

Ancora più esplicito e severo è il giudizio di Duse su questo criterio di conoscenza, e questa volta non soltanto per l'opera di Mahler, nella introduzione alle Sinfonie: Nelle sale da concerto la sinfonia continua a tenere il suo posto d'onore ma sembra quasi che un limite invalicabile alla devozione e


.ill':iri~ore di cui la circonda il suo pubblico sia tracciato dalla Patetica (li (:ajkovskij. I recenti exploit mahleriani sull'origine dei quali già si avventano famelici i sociologi, hanno radici sin troppo scoperte per metterci in guardia dall'abboccare al gioco dell'elucubrazione. 'I'ra poco l'industria deciderà esecuzioni a catena, trasmissioni periodiche, incisioni per musica-cassette anche di Bruckner. Seguirà Skrjabio C la non soluzione di continuità con l'espressionismo e il post-espressionismo musicali, per altre ragioni sempre tenuta in piedi, troverà iiifine lo sbocco più commerciale. I l i p a r e r e o p p o s t o s u q u e s t o a s p e t t o del d e s t i n o d e l l a m u sica di M a h l e r è, invece, H a n s F e r d i n a n d Redlich, uno d e i maggiori s t u d i o s i del c o m p o s i t o r e b o e m o , il q u a l e in uno d e i s u o i u l t i m i c o n t r i b u t i , e b b e a scrivere: I>opo la seconda guerra mondiale nell'Europa centrale liberata dal nazismo l'interesse per la musica di Mahler poté rifiorire; invece si faceva lentamente strada nell'emisfero anglo-americano, dove però x i sono infine avute esecuzioni mahleriane in numero sempre crescente. A tali risultati hanno contribuito soprattutto l'indimenticabile voce di Kathleen Ferrier, e l'esecuzione dell'ormai anziano Bruno Wtilter, infine la pubblicazione di dischi long-playing di grandi artisti: i dischi microsolco sono stati una vera fortuna per gli studiosi di Mahler e hanno incrementato le trasmissioni radiofoniche delle sue sinfonie. 4 C o s ì R e d l i c h scriveva n e l '63, q u a n d o non esisteva a n c o r a s o l o o m n i a discografico d e l l e S i n f o n i e (oggi v e n e s o n o già c i n q u e di: M a u r i c e A b r a v a n e l , L e o n a r d B e r n s t e i n , Bern a r d H a i t i n k , R a f a e l K u b e l i k , Georg Solti), e q u a n d o la discografia m a h l e r i a n a e r a l o n t a n i s s i m a d a l l ' o d i e r n o inic,grale di t u t t e l e m u s i c h e d i M a h l e r , e daill'imponente n u iiicro d i edizioni, i n c o s t a n t e a u m e n t o r a g g i u n t o d a l l a Sinfoilic c d a i L i e d e r ( o l t r e 250 edizioni complessive). I'splicitamente p o s i t i v o il giudizio s u l c o n t r i b u t o discokii.alico alla conoscenza dell'opera di G u s t a v M a h l e r , di U l r i c h IIil)cliiis, c h e s i legge n e l s u o a m p i o saggio, il primo s e r i o iciliativo di discografia critica, p u b b l i c a t o sulla rivista F o n o I:orrirrz, c o n il significativo titolo: « L a s e c o n d a esistenza di Malilcr - L e s u e S i n f o n i e incise s u dischi D. iin

I l fatto sorprendente al quale, ancora dieci anni fa, neppure gli osavano credere, è accaduto. E' stata finalmente infranta I;i c-oitina di isolamento, dovuta a rifiuto, incomprensione e insufficirriir apprezzamento dell'opera di Gustav Mahler. Allorquando le ricorrenze del centenario della nascita e del cinot t iriiisti

quantenario della morte del compositore avrebbero potuto dar luogo ad una revisione delle prevenzioni e dei giudizi errati, nel caso di Mahler non vi era ancora sufficiente materia per poterla effettuare: infatti nel catalogo discografico che può essere considerato uno specchio fedele del riconoscimento pubblico, si trovavano allora soltanto alcune versioni di incisioni della Prima e della Quarta sinfonia, mentre delle altre sinfonie, nel migliore dei casi, vi era una sola incisione o mancavano addirittura. Nel frattempo, il repertorio discografico delle sinfonie di Mahler è aumentato con una velocità ed un dinamismo che si possono definire esplosivi. i

Non s a r ò c e r t o io, s o s t e n i t o r e d a s e m p r e , dell'importanza d e l l a musica r e g i s t r a t a (disco o n a s t r o ) e d e l l a serissima, insostituibile f u n z i o n e di q u e s t o mezzo, a n c h e nell'ambito d e l l e più specialistiche ricerche musicologiche e d e i più severi s t u d i i storiografici, a d i s c u t e r e il g i u d i z i o di R e d l i c h e Dibelius, a n c h e s e s o n o d a c a p i r e e d a r i s p e t t a r e l e preoccup a z i o n i di D u s e ( p u r s e m p r e p u r i t a n e , m a non filistee, livide e settarie, come quelle che n u t r o n o certi insopportabili moralismi di Adorno sull'argomento). I n ogni caso (si d i a , cioè, r a g i o n e a D u s e , o p p u r e a R e d l i c h e D i b e l i u s ) p e r m e l a posizione di M a h l e r n e l mondo c o n t e m p o r a n e o , r i m a n e , nella sostanza, in p r o f o n d i t à , i m m u t a t a , e d è q u e l l a i n d i c a t a d a L u i g i R o g n o n i , lo s t u d i o s o italiano c h e h a p o s t o alcuni degli i n t e r r o g a t i v i più i n q u i e t a n t i e intelligenti sulla figura e sull'opera di M a h l e r : Mahler rimase sempre, e rimane tuttora un « inattuale » sia presso i conservatori, sia nei confronti delle avanguardie formalistiche di ogni tendenza.

Ed è proprio q u e s t a c o s t a n t e i n a t t u a l i t i , q u e s t o essere s e m p r e fuori d e l t e m p o , p e r ragioni o p p o s t e m a analoghe, i e r i c o m e oggi, f o r s e c o m e d a m a n i , a r e n d e r e e s t r e m a m e n t e p r o b l e m a t i c a u n a s e r e n a , m a t u r a consapevolezza d e l mondo musicale d e l c o m p o s i t o r e b o e m o . A n c o r a oggi, i n f a t t i , fuari d a l l e s t o l t e illusioni di u n a d e l e t e r i a pubblicistica, non imp o r t a s e scioccamente encomiastica, a d d i r i t t u r a agiografica, o p p u r e o t t u s a m e n t e e v e l e n o s a m e n t e iconoclasta, s t u p i d a m e n t e n e m i c a , pochi, e n e s s u n o i n t e r a m e n t e , d e i g r a n d i e m o l t i nodi c h e a v v o l g o n o l'opera di M a h l e r ( e l a storiografia e l a critica v e r e , lo s a n n o b e n i s s i m o ) s o n o s t a t i sciolti.


li' una consapevolezza che, in modi e in misura diversi, riliiora da tutti gli studii essenziali più recenti, e si manifesta ~iella tormentata meditazione, nella faticosa stesura, nelle :ispre contraddizioni, nei punti rimasti completamente oscuri o :inche parzialmente insoluti. I>all'ampio saggio di Adorno, scritto nel centenario della iinscita di Mahler7 alla citata monografia di Duse, tutti questi studii riflettono lo stato di una autentica crisi della critica mahleriana, cosciente dei problemi non risolti, degli interrogativi rimasti senza risposta, anche se presto - almeno questa è l'impressione che se ne riceve - potrà uscire definitivamente da questa crisi. Ora, se è vero che, in aperto contrasto con il più profondo, tenace pessimismo, che fu il suo stato d'animo permanente, il suo modo di essere (Leopardi avrebbe sentenziato <( la condizione naturale ») Mahler avrebbe detto una volta: <( I1 mio ternpo verrà D, esprimendo così speranza, anzi fiducia nel futuro; e se è vero che questa speranza significa, può solo significare, lucida consapevolezza - estetica storica critica della sua opera, allora quel tempo non è ancora venuto, e il fiituro è ancora lontano. Se di più o di meno di ieri (secondo 16 tesi contrapposte di Duse, da un lato, di Redlich e di I)ibelius, dall'altro) non saprei dire. Ma si possono egualiisente capire e apprezzare le preoccupazioni dello studioso italiano, circa la consumazione massiva, e sulle vie, cioè i inodi, attraverso le quali si è sviluppato l'ascolto, quindi la ~Iilhisionedella musica di Mahler (non la conoscenza ch'è tiitt'altro momento) determinando una deviazione senza dubbio grave, forse necessaria, certo inevitabile, per giungere iill'atteso <( presente D, voglio dire ad una autentica attualità di Mahler. Qiiando? Rognoni, nel saggio citato, offre una indicazione preziosa, ma che poi lascia stranamente sospesa, privandoci clclla conclusione: Come Kierkegaard è rimasto, per quasi u n secolo, confinato ai iiiargini della letteratura <( psicologica D, perché non riconducibile né agli schemi della filosofia teoretica o morale, né a quelli delle forme Icilcrarie del romanzo o della prosa poetica, e solo la comparsa dell'i~sistenzialismo ne ha reso possibile una lettura aperta e densa di iiisospcttate implicazioni, così si è verificato per Mahler.lo

Ma che cosa si sia verificato per Mahler, Rognoni non dice. Per Kierkegaard adombra un conflitto reale, sia pure per respingerlo: né filosofo, né letterato puro. Che è la verità, senza che questo dualismo o ibridismo, tolga nulla al valore del pensiero di Kierkegaard, alle sue profetiche indagini sull'angoscia e sull'esistenza dell'uomo. E per Mahler? Kierkegaard dovette attendere, circa un secolo, I'esistenzialismo, per essere letto nella giusta chiave e quindi capito. Ma il suo tempo, alfine, è venuto. E Mahler che cosa ha dovuto attendere, o meglio che cosa ancora attende? Anche queste domande rimangono senza risposte, e Rognoni sembra voler concludere con una nota d'intonazione pessimistica, anche se vaga: L'opera di Mahler non può essere ancora considerata con distacco e con la cosiddetta obbiettività del giudizio storico ...

Non è il solo. Adorno apre il suo ampio saggio con questa riflessione: Riesaminare il giudizio emesso su Gustav Mahler non solo dal regime hitleriano ma anche dalla storia della musica durante i cinquant'anni trascorsi dalla sua morte è ancora più difficile che contrapporre la musica nel suo insieme alle idee, o addirittura ai concetti filosofici. 12

Non diverso, o almeno analogo, è l'avvio dello studio di Redlich: Gustav Mahler è una delle personalità più controverse del mondo della musica agli inizi del ventesimo secolo. l3

Ciò non significa che questi studiosi, compreso lo stesso Duse (il più sicuro, almeno all'apparenza, perché il più dogmatico, a causa del suo integralismo mahleriano) e altri qui non ricordati, non abbiano cercato egualmente di avviare una analisi critica dell'opera di Mahler, e di tutte le sue diverse, eterogenee, contrastanti componenti. Riuscendo, infine, proprio come testimonia la monografia di Duse, sintesi estremamente tormentata di questo lungo e faticosissimo processo di chiarificazione, a due risultati di rilievo: il primo di avere caratterizzate alcune componenti principali della formazione artistica di Mahler; il secondo, e mi sembra il piii importante, è di avere offerto agli studiosi che si occupano


(li Mahler, la possibilità di prendere coscienza di tutti i pro1,lcitii e di tutti gli interrogativi ancora sospesi, che sbarrano 1':iccesso alla vera intelligenza della sua opera. I:d è proprio con alcuni di questi chiarimenti che cercherò di approfondire, di meglio puntualizzare, alcuni dei grandi tcrni critici mahleriani, talvolta ponendo altri interrogativi allo scopo, mi auguro non vano, di offrire, con la risposta iiiij.>licita che essi contengono, un nuovo contributo alla definizione della personalità di Mahler. Non sarà facile, non foss'altro per i forti dissensi, superare gli aspri contrasti che csistono anche fra gli studiosi mahleriani più ortodossi. Intanto, analogamente a quanto ho sempre fatto nei miei studi su altri autori, separo la musica di Mahler da due aspetti ritenuti, invece, da alcuni studiosi, fondamentali per la sua opera. I1 primo riguarda gli elementi autobiografici, presenti in questa musica, i rapparti in Mahler, fra arte e vita, rapporti che, a seconda delle diverse tendenze, dei diversi orientamenti, gli studiosi hanno ammessi o negati, accolti o respinti, criticati o approvati; il secondo riguarda le meditazioni diciamo filosofiche di Mahler (tali sono ritenute da alcuni studiosi mahleriani le farneticazioni cui spesso ebbe ad abbandonarsi attraverso le sue disordinate e mal digerite letture) e che avrebbero formato una componente importante di quasi tutte le sue Sinfonie. Ciò premesso, preferisco affrontare subito il problema della collocazione storica dell'opera di Mahler, tuttora uno degli aspetti più controversi e dibattuti dalla critica mahleriana: ultimo e più rappresentativo (taluno dirà più grande) degli epigoni romantici (quindi del romanticismo colto nelle sue agoniche fasi, nel momento del disfacimento e della dissoluzione, provocata, si afferma, dal fatto che esaurito il suo compito, e quindi morto, invece di dargli dignitosa sepoltura, si è tentato di tenerlo ancora in vita) da includere nel capitolo dei post-wagneriani (non per questo wagneriano; oggi 2 ben chiaro quanto poco wagneriano sia stato Mahler) con Hruckner, Strauss, lo Schoenberg di Pelleas und Melisande, c dei Gurre-Lieder; oppure primo dei moderni, colui che ha intuito e dato inizio al disperato, tragico journey in the dark del linguaggio della musica moderna? l4

Ugo Duse si pone anche lui, naturalmente, il problema, ma anche lui senza risolverlo, senza dare una risposta alla domanda implicita in quel duilismo : Egli è potuto passare nella storia ufficiale deila musica di volta in volta come un epigono e come un anticipatore; i punti di vista più estremi hanno sempre avuto modo, a proposito della sua figura d'artista, d i celebrare i loro effimeri trionfi. Concordemente, però, è stato detto u n romantico: in questa definizione i suoi vecchi amici e sostenitori hanno voluto vedere un sicuro presidio contro certe accuse di connivenza del compositore con un avanguardismo che loro ripugnava. Nel contempo i suoi nuovi amici viennesi, con i loro allievi, accettarono il suo romanticismo come l'ultimo limite che gli aveva impedito d'essere in tutto e per tutto come essi erano, sicché finirono con il far propria quella definizione sulla base delle stesse argomentazioni dei primi critici e biografi di Mahler, dai quali per altro dissentivano. l5

Posizione intransigente come è quella di tutto il piano critico sul quale il Duse si muove e perciò talvolta arida, o meno fruttuosa di quanto avrebbe potuto. Più esperto di questi problemi, e più aperto al dialettico confronto delle idee, Rognoni, ci offre indicazioni più utili, anche se neppure lui si sottrae al fascino di taluni concetti ambigui e di qualche definizione non molto chiara e precisa: La sua personalità sfugge ad ogni categoria e classificazione (concetto discutibile. Non c'è artista, per complesso e grande che sia, che non possa essere, proprio perché artista, definito, classificato, in definitiva, capito. N.d.r.) a meno che non si accetti quella generica e priva di significato di <( neoromantico ( e perché? Nel suo empirismo, come tutte le definizioni che si allontanano dalle rigide enunciazioni filosofiche, ha un significato e un valore storico ben definiti. N.d.r.) ed è certo una delle più sconcertanti e problematiche figure degli inizi d i un secolo come il nostro progressivamente irretitosi nella alienazione di qualsiasi ideologia, nel formalizzarsi della ragione sogche ha DOrtatO alla logica utilitaria. al feticismo delle tecniche 'gettiva , e alla conseguente saturazione dei linguaggi istituzionali, i quali consentono facilmente il rovesciamento di ogni " ideologia nel suo contrario. Mahler vive già nella profonda consapevolezza di questa saturazione che si riflette nella saturazione del linguaggio musicale post-romantico, dacché i fondamenti del sistema tonale sono stati scossi attraverso il cromatismo wagneriano. l6 L.

L.

Completa il suo pensiero e lo chiarisce poco oltre: Mahler non evade dal linguaggio musicale della sua epoca, ma


lo tissuine pericolosamente sino a toccarne il fondo, con una carica sog~;cs~iiva cd una autenticità esistenziale analoghe, e, sotto certi aspetti, ~~:irnllele a quelle di Kierkegaard, di Dostojewsky e di Nietzsche. Si tenga presente che i mezzi sonori a disposizione di Mahler ( e iiicglio avrebbe fatto a dire i mezzi che egli si scelse. N.d.r.) sono quelli saturi, carichi di <( esperienza vissuta D propri dell'Ei.leben roinantico. Fra <( suono interiore D come immediatezza espressiva ten(lente all'unbedingte novalisiano, e mediazione attraverso il suono inusicale come linguaggio comunicativo, è continuo urto, contraddizione, limitazione. l7

Ma l'intuizione, forse decisiva, certo la più acuta ed esplicativa, di questo aspetto del linguaggio mahleriano ce l'ha d;ita Adorno, e Rognoni giustamente la riporta in un passo tlel suo saggio: ...Theodor W. Adorno, nel suo ampio scritto per il centenario della iinscita di Mahler, (che) mette l'accento proprio sul carattere ecce~ i o n a l cdell'esperienza mahleriana, Ia quale « anticipa terribilmente r o r z mezzi passati ciò che deve venire (das Kommende) D. l8

I3 allora nascerà da questi aspetti della musica di Mahler, ittiche se non solo da questi, l'atteso futuro del musicista di cui parla Duse? E' qui, attraverso questi elementi, che il futuro diventerà leggibile, e quindi presente? E', infine, attraverso questo sentiero (con la speranza che non diventi un labirinto) che l'« inattuale >) Mahler diventerà attuale? In parte, personalmente penso proprio di sì. Ma non sarà sitlllciente. Altri nodi bisognerà sciogliere, altri problemi risolvere, ad altri interrogativi dare una risposta. Duse sfiora molto da vicino alcuni di questi aspetti, quando critica duramente e respinge gli argomenti usati da studiosi atitorevolissimi nell'intento di aprire a loro stessi le ermetiche porte del mondo poetico mahleriano: ...per sfuggire ipocritamente alIe loro inevitabili conseguenze (cioè tlcllc loro radicate convinzioni classiste, N.d.r.) sia T. W. Adorno, sia .l. Matter o lo stesso RedIich, i quali pur molto hanno operato per far conoscere ed amare la musica di Mahler, inventano: a ) il primo, la « categoria del banale che permette di individuare nel <( popolare » i l ii.iomento reazionario D della musica di Mahler, il momento delIri negatività negativa, l'ala sfatta d'una farfalla impazzita nei vortici ilcll'oltranzismo triadico tardo-hegeliano; b ) la necessità, per il nevrolico Mahler, di scaricarsi, di liberarsi dall'ossessione del <( popoI:irc D, una specie di cerimoniale da schizoidi, il secondo; c ) entrambi qi~csli elementi, il terzo; come parti costitutive di una concezione

del mondo romantico, sostenuta da una cultura di tradizione contadina (qual era quella delle nazionalità periferiche dell'impero austroungarico) in un individuo nevrotico assai grave. l9

Fosse stato meno impaziente, avesse conosciuta la storia della critica verdiana, o almeno taluni recentissimi capitoli, Duse forse non avrebbe respinto l'aggettivo di << banale », usato da Adorno per definire taluni momenti della musica di Mahler (lasciamo stare la illusione della << categoria D, come se in estetica, e quindi in filosofia, le categorie si potessero creare a volontà e per il proprio piacere) se non per sostituirlo, come io feci con Verdi, con quelli molti più significativi, di << volgare e di << osceno », allo scopo di definire e di individuare proprio nella volgarità raccapricciante, e nella oscenità cabalettistica e cimiteriale, alcuni dei momenti melodrammaturgici supremi della musica di Verdi. Un linguaggio che affonda le sue radici in quella che lo Hanslick ebbe a definire C cattiva volontà estetica » o, ancor meglio, dolosa ricerca del triviale ». E avrebbe riservato il banale ( o se più gli piace, la categoria del banale) giusto come io feci per Verdi, a quella negatività negativa che anche in Mahler non ha nulla, o quasi nulla a che vedere, con la volgarità, la trivialità di talune sue espressioni, ma che pure nella sua musica esiste, e in abbondanza, e che nessun ragionamento, nessun sofisma, adorniano o no, nessuna categoria, nessuna interpretazione critica, per acuta che essa sia, potrà mai rendere positiva. Ancora per taluni di questi aspetti, o almeno per uno dei più importanti - il legame fra musica popolare e musica d'arte - è necessario tornare ad alcune osservazioni di Adorno, specie per il rapporto che la musica ~ o p o l a r einstaura con la espressione volgare: Si è affermato spesso, e Mahler stesso lo sosteneva, che in lui avesse ancora la sua parte l'idea ostinata di gettare u n ponte tra musica popolare e musica d'arte: sperava di essere capito da tutta una collettività, senza per questo voler sacrificare nulla della complessa elaborazione della sua musica né rinnegare il livello della propria coscienza. 20

Che io sappia nessun studioso di Mahler ha posto il problema se e in quale misura Mahler debba essere considerato


<< nazionale », un musicista, voglio dire, in cui I'etnofonia abbia avuto la sua parte, come in alcuni altri musicisti, da Musorgskij a Bartok, da Cajcovskij a Janhcek, da ( h p i n a Kodaly. E neppure nei numerosi riferimenti di Adorno alla funzione della musica popolare in Mahler, se ne trova cenno. Anche perché la presenza della musica po~>olare nel linguaggio, nel mondo poetico di Mahler, a Adorno ii necessaria per dimostrare un'altra tesi a lui cara. Eccone i passi salienti: 1111 musicista

1-a musica inferiore irrompe in quella superiore con violenza giacobina, e la tronfia politezza dell'idea musicale « media » è demolita dalla smodata sonorità che sembra sprigionarsi dai padiglioni delle bande militari e dalle orchestre dei giardini pubblici. Per Mahler il concetto di gusto P aveva il senso che ha per Schoenberg. I1 suo sinfonismo va in cerca del tesoro promesso ormai solo dal rullo dei ~irnpaniche risuona in lontananza o dall'eco di una voce, dal motncnto che la musica si è ormai radicata come arte: essa vorrebbe comunicare con le masse che sono rifuggite alla musica d'arte, senza pcrò farsi coinvolgere da loro. Né è calcolato il fatto che esse difficilinente potrebbero tener dietro a tali organismi sinfonici senza aiuto, c che quindi potrebbero adirarsi sulla loro mancanza di G cultura »; epperò se ne trae egualmente il risultato che non è possibile decretare aiitoritariamente la ricongiunzione di livelli tanto divergenti, e i rozzi clcmcnti tratti dalla musica inferiore vengono rimescolati nella musica superiore come se ne fossero il lievito.

J'er concludere su questo altro importante aspetto del lingiinggio di Mahler, dirò che da respingere in Mahler non sono gli aspetti popolari della sua musica, trasformati o no che essi siano dalle colte elaborazioni, e neppure gli aspetti volgari, triviali, le strazianti parodie cimi teriali (le sue celebri Marce funebri ») ma le cosmogoniche, deliranti divagazioni, le sterminate paludi foniche, in cui non c'è più nulla di quanto i mahleriani più ortodossi hanno indicato e contintiano a credere vi sia, ma solo immense, desertiche, eppure rut~zorosissimedistese. In quale misura ciò sia conseguenza delle banalità del 1)1o11dopoetico, in quale altra dei suoi deliri intellettualistici, tlcllc siie visionarie, gigantesche, cosmogoniche concezioni ar~l)itcttoniche,è ancora tutto da accertare. Ma il problema per qtlcsto non muta. Itil'crciidomi ancora alla ostilità del Duse per le interpre-

tazioni di Adorno, di Matter e di Redlich, prima citate, dirò che non avrei respinto, fossi stato in lui, neppure la tesi di Matter, se non per sottolineare subito che non di sola nevrosi si tratta, ma anche di angoscia esistenziale, di ancestrali complessi e frustrazioni (dalle inibizioni sessuali all'ossessione della morte, dall'ebraismo alle gelosie e ai dispiaceri c,oniugali) che faranno nascere in lui, e mortalmente lo instaureranno, un concetto punitivo della vita, un'idea degradante di se stesso, un desiderio di autodistruzione. E, come in Kafka, l'opera dell'artista aiuterà l'uomo a superare la crisi, senza tuttavia salvarlo dalla morsa, dalle sofferenze di tutte le sue contraddizioni, mentre tutta la sua opera rifletterà questa condizione umana, psicologica e spirituale della sfera privata. E poiché ho fatto il nome di Kafka, qualche osservazione. Per pochi altri musicisti dell'epoca di Mahler, i riferimenti letterari, filosofici, sono stati così numerosi, frequenti e significativi: da Kierkegaard a Musil, da Nietzsche a Proust, da Strindberg a Jaspers, e con ragione. Ma nessuno, ch'io sappia, neppure Adorno, ha affrontato lo straordinario rapporto esistente fra Gustav Mahler e Franz Kafka; le numerose, impressionanti analogie, anzi quelle che io amo definire <( identità analogiche », storiche, psicologiche, spirituali, fra lo scrittore ebreo di Praga e il musicista ebreo di Kalischt, che fanno della loro opera, e non importa se talvolta più sotto l'aspetto esistenziale, morale, spirituale, che sotto quello più propriamente estetico, la più pande, tragica testimonianza e previsione, insieme, di un futuro molto prossimo; di entrambi, gli anticipatori, non so dire fino a che punto consapevoli, ciascuno nel suo mondo e in modo diverso, di tutte le sconfitte, di tutte le degradazioni, di tutte le catastrofi che l'uomo avrebbe subito nel nostro secolo. Bisognerebbe che, analogamente a quanto ha fatto Rognoni con Kierkegaard, qualche studioso di Kafka ci spiegasse perché questo altro grande <( inattuale », dopo che gli eventi storici lo avevano fatto tragicamente attuale, ha cominciato, anche se molto lentamente e faticosamente, ma in compenso senza le mercificazioni mahleriane, ad entrare nella coscienza del lettore contemporaneo (a meno che la


sl)ic*gazionenon sia da ricercare proprio nella attualizzazione storica, esistenziale, della sua opera). Alcuni accenni a Kafka, per la verità si trovano nel saggio (li Adorno, ma rivolti a tutt'altro scopo e, si direbbe, quasi ~listratti,frettolosi 22 tranne due, uno dei quali giustamente ricordato anche da Rognoni: ...Mahler assume pericolosamente quegli stilemi musicali che la società ha alienato « mercificandoli D, e che essa considera perciò sul pjano dell'« arte » ormai retorici e convenzionali, senza rendersi conto ( l i aver alienato in essi il concetto stesso di arte; e li sottopone ad un nuovo processo di esasperante ritorsione con una carica soggettiva scnza precedenti; e in questo senso s'avvicina a Kafka, nel quale, come osserva Adorno la prosa enfaticamente conservativa ed epico-oggcttiva, formatasi alla scuola di Kleist, contrassegna il contenuto meJiantc il suo contrasto con esso. 23

Bisognerebbe adesso trattare un altro aspetto che davvero iion capisco come possa essere divenuto un problema, e tanto dibattuto da sostenitori e oppositori, quello della musica a programma, come viene a configurarsi nell'opera di Mahler; ini riferisco, è chiaro, alle provocazioni letterarie, alle sollecitazioni ideologiche, ai contenuti psicologici, da cui nascono Ic sue Sinfonie, con o senza testo. Non capisco come possa essere diventato un problema (per me davvero un falso problema) così limpida e indisculibile a me pare la presenza di un programma nella musica di Mahler, senza che ciò significhi, come molti mahleriani tei~iono, diminuzione alcuna del suo valore, quando questo csista. Sanno certamente questi studiosi che il primo grande musicista romantico contro il quale venne lanciata questa acciisa, è Hector Berlioz, un autore al quale, forse proprio per ci;), alcuni di essi (per esempio R o g n ~ n ie Duse) fanno rifei.itncnto, per respingere, con malcelato sdegno, il confronto, ritenuto restrittivo per Mahler, e stabilire una netta distinzioiic. Differenza di valori a parte, è chiaro che essi non sono c.oiivinti che, non ostante i programmi, le provocazioni, i rifc.i.imenti letterari, i contenuti psicologici e autobiografici, la iiiiisica di Berlioz è quella del musicista più puro (ciò non significa il più grande, benché si tratti di uno dei più grandi, tl'iina grandezza che non teme alcun confronto) più inno-

cente, incontaminato, che la storia della musica abbia mai conosciuto. D'altronde, per tornare al nostro compositore, è lo stesso Mahler che, dopo aver inondate di note programmatiche, di dichiarazioni di principii, le sue Sinfoniez4,dimostra di avere inteso più chiaramente e più acutamente dei suoi esegeti e fanatici difensori il problema della musica a programma: Non v'è musica moderna cominciando da Beethoven, che non abbia u n programma interiore. Ma nessuna musica è valida se fin dall'inizio bisogna avvertire l'ascoltatore delle esperienze che vi sono contenute e, di conseguenza, gli si venga a dire ciò che dovrà provare. Ancora una volta, dunque, pereat qualsiasi programma! Bisogna proprio portare con sé orecchi e cuore e - non ultimo - abbandonarsi volontariamente al rapsodo. Un residuo di mistero ci sarà sempre, perfino per colui che ha creato l'opera.25

Ma neppure questo aspetto, certo molto importante, della problematica dell'opera mahleriana, muta o sposta, il tema per me essenziale, della presunta, rigorosa unità e della totale validità delle sue Sinfonie. Due aspetti come ho già detto, sostenuti e difesi solo dai mahleriani più ortodossi e intransigenti. Eppure, ancora una volta, Adorno aveva messo in guardia contro questa illusoria convinzione, con un rilievo in apparenza innocuo, non-chalant, in realtà perverso: Mahler vivente, un critico musicale assai in vista gli rimproverò, come ci testimonia Schoenberg, che le sue sinfonie non erano altro che « giganteschi pot-pourris sinfonici » e per quanto questo giudizio possa oggi apparire assurdo di fronte all'altezza di visione delle COstruzioni mahleriane, esso registra tuttavia fedelmente quale era il fattore che in esse sconcertava maggiormente: la loro irregolarità, la loro non schematicità. E' dal tempo di Berlioz che l'irrazionalità del procedimento compositivo accompagna come un'ombra il processo di integrazione sinfonica: in Mahler esso non si cela più ma manifesta contemporaneamente la propria logica. Tutta la musica dell'epoca, anche quella del giovane Schoenberg, paragonata alla non-schematicità dei procedimenti d i Mahler, era tradizionalista in quanto specialistica: e ciò che v'è di attuale in Mahler è proprio la lotta allo specialismo. 26

Dialettica rigorosa, senza dubbio, sofismi acutissimi e insidiosi, come sempre in Adorno, ma essi non sono sufficienti a cancellare il fatto che quelle irregolarità, quella non-schematicità, da lui riconosciute e che esistono, in misura diversa in tutte le Sinfonie di Mahler, degenerano, come per un


proccsso patologico, in numerosi casi, in brutale frattura, e tliicsta, spezzando violentemente l'unità della composizione, iiiiprime alla Sinfonia quello svolgimento che aveva suggerito al critico citato da Schoenberg l'immagine, sacrilega per i tnahleriani di fede, di pot-pourris. Anche questo è un aspetto, un momento della densa tematica critica mahleriana, uno di quei molti nodi che attendono di essere sciolti, assieme ad altri. Per esempio, le nove Sinfonie sono state raggruppate, in vari modi, seguendo criteri diversi. Accenniamo ad un solo, quello che ha messo da un lato la Prima, la Quinta, la Sesta, la Settima e la Nona; dall'altra, la Seconda, la Terza, la Quarta, l'ottava. Le prime sono le Sinfonie esclusivamente strumentali. Ciò che, per alcuni studiosi mahleriani, testimonierebbe (testimonianza, peraltro, del tutto illusoria, perché empirica e preconcetta) di una maggiore purezza compositiva contro le altre che sarebbero, per l'inserimento di testi cantati, inferiori. Ciascuno tenga, di queste distinzioni pseudoestetiche, il conto che crede. Personalmente nessuno. Un altro aspetto, invece, molto importante e da chiarire del linguaggio di Mahler è il seguente: se e in quale misura, dalla Prima alla Nona, si sia andata attenuando la presenza dell'elemento popolare, se si vuole dell'etnofonia, sia attraverso la sempre più profonda assimilazione, da parte di sempre più complesse elaborazioni formali di un sinfonismo sempre più colto; sia mediante la pura e semplice, anche se graduale, eliminazione; inoltre, ed è un secondo aspetto, ma strettamente legato al primo, se e in quale misura il linguaggio di Mahler, dalla Prima alla Nona, si sia -gradualmente tiiodificato, percorrendo un divenire, uno svolgimento, persino nella terminale fase intellettualistica, analoghi a quelli, per esempio, di Bela Bartok. I'roposti alcuni dei temi principali del mondo poetico di Mahler, delineati gli argomenti maggiori della critica mahleriana, bisognerebbe chiedersi quale giudizio sia possibile oggi delle Sinfonie del musicista boemo, considerate in se .. stesse, e nella storia della musica; soprattutto quale signi(icato esse possano avere per noi contemporanei, a distanza tli oltre sessant'anni dalla morte del suo autore. Ma porsi

un tale interrogativo, significa porsi il problema dell'intero mondo poetico di Mahler, di tutta la sua produzione (Sinfonie e Lieder) inseparabile per la salda, profonda unità che ne ha guidato la nascita, il formarsi, il divenire. E' il problema che avevo posto all'inizio come un interrogativo rimasto, ancora oggi, senza risposta. E' necessario attendere ancora, indagare, studiare. Certo, molte e preziose indicazioni ci sono venute, come ho già ricordato, da numerosi studiosi. Alcune le ho ricordate. La più importante, almeno per me, si legge nel passo con il quale Adorno chiude il suo studio su Mahler: La musica confessa che il destino del mondo non dipende più dall'individuo, ma sa anche che questo individuo non dispone di alcun contenuto che non sia suo, per quanto infranto e impotente. Per questo le fratture dell'individuo sono la scrittura della verità. I n esse il movimento della società si presenta negativo come nelle sue vittime. In queste sinfonie anche le marce vengono intese e riflesse da colui che esse travolgono con sé. Solo quelli che sono usciti dai ranghi, i calpestati, l'avamposto perduto, il soldato sepolto al suono delle belle trombe, il povero tamburino, gli uomini totalmente privi di libertà incarnano in Mahler la libertà. Senza nulla promettere, le sue sinfonie sono ballate della disfatta, ché presto <( sarà notte D. 27


Note al primo capitolo

Uga Duse, Gustau Mahler, Einaudi Editore, 1973. In realtà, per la inedita ampiezza degli sviluppi, l'importanza e il numero dei capitoli aggiunti (basterebbe l'Appendice prima che comprende la traduzione, con a fronte l'originale, di tutti i testi - Lieder e Sinfonie - messi in musica da Mahler), si tratta di un'opera nuova e diversa, la sintesi di tutte le precedenti esperienze e dei precedenti studi dell'opera di Mahler da parte dell'autore. Ed oggi si può considerarlo il maggiore contributo italiano alla conoscenza dell'opera di Mahler, e, non ostante le asprezze, le adorniane oscurità stilistiche, gli irrigidimenti, la sola monografia italiana che possa collocarsi accanto alla migliore bibliografia europea. 2

Ugo Duse, op. cit., pag. X. Ugo Duse, op. cit., pag. 152.

Hans Ferdinand Redlich, Gustav Mahler e la sua opera, in L'Approdo Musicale D, n. 16-17, pag. 57 Eri (Edizioni Rai Radiotelevisione italiana) 1963. 5 Ulrich Dibelius, La seconda esistenza di Mahler - Le sue Sinfonie incise su dischi, Fono-Forum, maggio 1971.

Luigi Rognoni, Riscatto e attualità di Gustav Mahler, in << L'Approdo ... », op. cit. pag. 60. 7 Theodor Wiesegrund Adorno, Mahler, in Wagner-Mahler, Due studi, trad. ital. di Giacomo Manzoni, Einaudi Editore, Torino, 1966. Si tratta di un'opera che, non ostante i numerosi limiti, i gravi e talvolta insopportabili difetti di stile, le oscuriti dell'esposizione, l'ermetismo cancettuale, filosofico (ibrido miscuglio di marxismo, hegelismo, kantismo) per la ricchezza e la densità degli spunti critici, la esemplare, icastica bellezza di talune immagini, o meglio metafore, la dirompente forza di penetrazione di talune analisi, è da considerarsi opera fondamentale nella bibliografia mahleriana, e si può ben dire che, con essa, ha inizio il capitolo moderno della critica dell'opera del musicista boemo. È un'opera che ha suscitato innumerevoli discussioni e polemiche, per il metodo, lo stile, la sostanza. Ma essa è così ricca di felici intuizioni, di suggerimenti illuminanti, da costituire un patrimonio al quale nessun studioso mahleriano può rinunciare, senza regredire, nella critica, di almeno cinquant'anni. Per concludere, un punto di riferimento obbligato, non ostante il maldestro saccheggio e il pessimo uso fattone dagli squallidi imitatori del critico di Francoforte. Si tratta di un epigonismo nel quale,


coiric è accaduto spesso in situazioni analoghe, si è distinta, per lo sciocco C siiperficiale provincialismo, una parte della critica italiana. 8 Mi limiterò a ricordare, rinviando per una più ampia informazione, alla ricchissima bibliografia del Duse, oltre gli autori e gli studi già citati, i seguenti altri, apparsi dal 1950 in poi: Leibowitz, R., L'évolution de la nzzrrique de Bach d Schoenberg, Parigi, 1951; ma del grande critico polacco si deve ricordare, a maggior ragione, un fondamentale e pochissimo conosciuto studio pubblicato con il titolo: Lex paradoxes de Gustav Mahler, iiella rivista <C Cahiers du Sud D, 1961; Manzoni, G., Mahler, l'« attuale », i i i <C Le Voci P, Monza, 1964; Matter, J., Mahler le démoniaque, Lausanne, 1959; Nicastro, A,, Mahler, un ripensamento critico, in Disclub, n. 9, Firenze, 1964; Redlich, H.F.Jruckner and Mahler, London-New York, 1955; Kestagno, E., Das lied von der Erde: <{ una creazione sub specie mortis », in Musicalia, Genova, 1970; Schoenberg, A,, Gustav Mahler, in Stile e Idea, traduz. ital. di L. Pestalozza, Editore Feltrinelli, Milano, 1970; Zaccaro, G., Gustav Mahler, Studio per un'interpretazione, Edizioni Acca(lemia, Milano, 1971; Vignal, M., Mahler, Édition du Seuil, 1966.

E d io capisco ed apprezzo le preoccupazioni di Duse, ma anche Duse (leve capire le mie, ed ammettere allora che una seconda, grave deviazione, diversa certa, se vuole, non dozzinale, ma di a elevato spirito ;,, per usare una frase sua, è stata determinata da quella insormontabile e autentica muraglia cinese, alzata attorno all'opera di Mahler, da un critica insopportabilmente e presuntuosamente dotta, accidiosamente ermetica e isolata, intrisa, soffocata da innumerevoli e mai spiegati riferimenti extra niusicali, letterari e filosofici, fiaccata da rozzi empirismi pseudo-estetici, chiusa nella presunzione di poter creare su misura per Gustav Mahler una nuova filosofia dell'arte, capace di spiegare il suo mondo poetico, e valida solo per lui. 10 Luigi Rognoni, Riscatto e attualità di Gustav Mahler, in (io... D, op. cit., pag. 61. 1'

L'Appro-

Ibidem, pag. 61.

'2 Theodor Wiesegrund Adorno, Mahler, in Wagner-Mahler, op. cit., pag. 139.

13

Hans F. Redlich, Gustav Mahler e la sua opera, op. cit., pag. 5.

14 I n quale modo, per quale via, d'altronde, si realizzi questa modernità (li Mahler, nessuno ha saputo, fino ad oggi, chiaramente indicare; neppure Adorno. E nessuno ha saputo spiegare, al di là e al di fuori delle anche s~iggestivemetafore, delle affascinanti analogie, oppure di un falso concetto estetico, come ciò possa avvenire. E se qualcuno osasse indicare, quale uno (lei possibili elementi di questa modernità, come ha fatto l'Adorno, l'inizio della dissoluzione della Sinfonia nella sua forma classica, e nelle sue ultime, salde strutture ed eredità romantiche (ma si può parlare di inizio, dopo quanto era accaduto, almeno con Schumann e con Berlioz? Bisognerebbe accontentarsi di parlare di continuazione, anche accelerata, o di diverso (lisfacimento, di una diversa dissoluzione) si troverebbe contro molti mahleriani, con Duse al primo posto, a difendere la classicità della Sinfania di Mahler, assieme alla più rigorosa unità di concezione e di svolgimento '5

Ugo Duse, Gustav Mahler, op. cit., pag. 82.

'6 Luigi Rognoni, Riscatto e attualità di Gustav Mahler, in do ... D, op. cit., pag. 60. '7

Ibidem, pag. 62.

la

Ibidem, pag. 61.

19 Ugo Duse, Origini popolari del canto mahleriano, in cit., pag. 85.

L'Appro-

L'Approdo ...»,

20 Theodor Wiesegrund Adorno, Mahler, in Wagner-Mahler, op. cit., pag. 165. 21

Theodor Wiesegrund Adorno, Ibidem, pag. 169.

22 I1 riferimento più importante a Kafka rimane, però, questo e che, stranamente, anche Rognoni trascura: « Si dice che Mahler abbia spiegato il senso finale deiia Settima sinfonia con la frase: Quanto costa il mondo? A questa domanda la burlesca della Nona risponde: niente. È la stessa domanda del giocatore che a lungo deve perdere col banco: comprare i1 mondo è il fallimento definitivo. I1 virtuosismo, la padronanza assoluta trasferita nella tecnica strumentale, candanna al tempo stesso il padrone alla totale impotenza: in ogni forma di virtuosismo, anche in quello compositivo, il soggetto si definisce come semplice mezzo assoggettandosi così, accecato, a ciò che egli presume di soggiogare. Nella burlesca l'episodi;, dell'« irruzione » è diventato vano come la speranza della finestra che si apre alla morte di Joseph K. in Der Prozess di Kafka, è come quella solo un alito di quella vera vita che sarebbe possibile e invece non è: Come una luce che si accende d'un tratto, si spalancò una finestra, ed un uomo, che a quell'altezza e a quella distanza appariva esile e d e h l e , si piegò in avanti, allargando le braccia D. (in op. cit., pag. 283). Ma anche questo, infine, è riferimento ad un particolare, e stabilito fra due momenti di due opere di due autori, e non fra le loro personalità e il loro destino, umano e artistico. Rimane incomprensibile come Adorna non sia stato tentato da un simile studio, specie dopo il suo discutibile, polemico, ma approfondito saggio su Kafka (Appunti su Kafka in <( Prismi D, Giulio Einaudi Editore, 1972). 23 Luigi Rognoni, Riscatto e attualità di Gustav Mahler, in do ... D, cit., pag. 74/75.

L'Appro-

24 Le mie sinfanie trattano a fondo il contenuto di tutta la mia vita; dentro vi ho messo esperienze e sofferenze, verità e poesia, in suoni. E se uno sapesse leggere bene, la mia vita gli apparirebbe davvero trasparente. I n me creare e vivere sono tanto radicalmente congiunti nel profondo, che se d'ora in avanti la mia esistenza scorresse anche tranquilla come un ruscello nel mezzo di un prato, io, almeno adesso penso così, non sarei in grado di fare più nulla di buono D. È questa la dichiarazione pifi impegnativa di Mahier sul rapporto arte-vita (in Mahler nella parola viva del compositore, estratti di lettere, programmi, testimonianze, a cura di Ugo Duse, L'Approdo ... D, op. cit., pag. 144. 25

Ibidem, pag. 155.

26 Theodor Wiesegrund Adorno, Mahler, in Wagner-Mahler, op. cit., pag. 168. 27

Theodor Wiesegrund Adorno, Ibidem, pag. 286.


La Marcia funebre in re minore, con l'introduzione del

I Tempo, è per me il capolavoro dell'opera. La migliore versione in assoluto rimane quella di Scherchen. Strano a dirsi la Marcia funebre è il Tempo che registra le più ampie, paradossali variazioni ritmiche. I due estremi vengono toccati da Efrem Kurtz con 11'.51" e da Igor Markevitch con 8'.45", con una differenza, quindi di 3'.6". Processionale nel ritmo, arcaico, pietroso nei timbri, tutti in rilievo, Kurtz il quale, della indicazione di Mahler - n Solennemente e misurato, ma non ritardare D - sceglie, soprattutto, la solennità, grande e marziaIe. Quanto al pianissimo, egli mostra di avere lo stesso concetto che aveva Knappertsbusch dei pianissimi di Wagner. Basta fare attenzione al greve spessore fonico, davvero da scuola storica wagneriana, dei singoli strumenti -- contrabbasso, fagotto, basso-tuba - che espongono il tema della Marcia funebre a canone. Markevitch si trova alla estremità opposta, non solo per il ritmo ma per l'espressione: mondana, svagatamente moderna, del tutto estranea alla amara, ironica tragicità del passo. Quanto ai particolari, o c c o i x osservare l'ingresso del nuovo motivo affidato al-

l'oboe e poi ripreso con il clarinetto, e che Mahler vuole cantato << un poco soiisticanzente P. Nella esecuzione di Markevitch, invece, l'oboe appena si distingue dal restante tessuto orchestrale. Con Horenstein si torna, parzialmente, alla concezione rituale di Kurtz, con qualche sfumatura di malinconia che attenua il rigore processionale ma nulla toglie alla linea severa e dura del ritmo, nonostante la incertezza di intonazione del contrabbasso. Un avvio comunque, lo diresti, alla stupenda soluzione di VG7alter. Neppure in lui si ritrova la allucinante impassibilità spettrale di Scherchen, ma la superba calma immobile, la intima, tesa compostezza, le sonorità non rudi e pesanti, come quelle di Kurtz, e neppure g l i d e , vitree, come quelle di Scherchen, ~6!rono una grande immagine della Marcia funebre, anche se intesa più come compianto, che come luttuosa, cupa disperazione (pagg. 78/80, batt. 1/36). Di questa Marcia funebre esiste una pagina proprio di VG7alter che, mentre contraddice, in parte, alla sua interpretazione, rimane forse uno dei più acuti commenti ch'io conosca: Privo di qualsiasi transizione inizia il terzo movimento, con tinlpani in sordina che scandiscono il loro implacabile ritmo di marcia su cui si innalza e ricade il canto spettrale del canone, e noi siamo condotti in un inferno che non ha forse l'eguale nella letteratura sinfonica. Nel mezzo viene interrotto da un commovente episodio lirico; poi ricomincia la marcia con accresciuta amarezza per finire in un clima di annientamento. Mahler aveva chiamato questo movimento "Marcia funebre alla maniera di Callot". Un disegno dell'incisore francese aveva fortemente impressionato il suo umore fantastico: vi era rappresentata una processione di animali che danzano gaiamente mentre accompagnano alla tomba il corpo del cacciatore defunto. Ma sono sicuro che l'immaginazione di Mahler, quando scrisse questo rivoluzionario brano musicale era influenzato anche dalla figura demoniaca di Roquairol suggerita dal Tztano di Jean Paul. I n essa trovava le terribili dissonanze interiori, lo scherno e la disperazione, l'oscillazione tra impulsi celesti e infernali, che per un certo tempo dovevano aver invaso anche il suo cuore straziato, e così mi sembra anche di avvertire l'influenza della selvaggia natura di Roquairol sulla fantasia musicale di Mahler nella tremenda tristezza della Marcia funebre, nella luce abbagliante dei lampi che divampano nella buia disperazione di quella notte dello spirito. l1

Uno dei passi di più difficile interpretazione è l'episodio


prcfcrjsco i due brani solistici che emergono dal luterano e w:il!iicriaiio tessuto corale, ed anche del frammento scelto, ~ircfcriscole ultime tre battute, quando la voce solista si :iIx;i, seguita dai violini, solitaria e triste sul Coro. I'cr il testo di questa parte, Mahler cercò a lungo e senza chito. Redlich ricorda la testimonianza lasciata da un amico tlvl inusicista, il quale racconta come Mahler giunse alla scoIicrt:], così sembra la definisse, del testo che cercava: llopo la morte di Bulow, awenuta al Cairo nel febbraio 1894, si celebrava ad Amburgo una cerimonia funebre in sua memoria, ed

ad essa fu presente Mahler in compagnia di Forster e di altri musicisti: durante la funzione, nel momento di più intensa commozione, si cantò l'inno di Klopstock. I1 mattino seguente, Forster, che sapeva come Mahler avesse rovistato l'intera letteratura mondiale alla ricerca di un testo che si adattasse al progettato Finale-corale, si recò n. trovare il compositore: <( Quando entrai nella stanza di Mahler, egli csclamò eccitato: - Forster, ich hab'es! (Forster, ce l'ho!) - Risposi - Aufersteh'n, ja, Aufersteh'n ... (Resurrezione, sì Resurrezione) - Mahler impallidì e tacque, poiché io ero penetrato nei suoi pensieri più intimi. lh

I1 testo era quello di un poema di Friedrich Gottlieb Klopstock (1724-1803); la parte scelta da Mahler, comincia con le parole: Aufersteh'n, ja aufersteh'n-wirst du, mein Staub, nach kurzer Ruh! (Risorgerai, sì, risorgerai, mia cenere, dopo breve riposo). l7

Le tre versioni di questa pagina messe a confronto appartengono a Klemperer, Bernstein, Scherchen. Le caratteristiche interpretative di ciascuno di questi tre grandi maestri, vanno ricercate, direi, più negli elementi timbrici che in quelli poetici, espressivi del brano. Da questo orientamento credo derivi, soprattutto, la diversità dei risultati conseguiti. Scherchen punta al corposo e persino vistoso rilievo dei bassi. Ed è un rilievo tanto più evidente in quanto lo stacco del tempo è di una lentezza processionale. E che Scherchen tendesse al forte contrasto timbrico lo si capisce meglio, quando fa alzare la voce del soprano e dei violini in pianissimo. Più semplice, disadorno, direi, meno raffinato e più severo, anche nella ricerca timbrica, Klemperer. Bernstein ottiene sonorità più morbide, più distese ma anche più accurate, pur nella straordinaria semplicità e nella perfetta

dizione del fraseggio offrendo, così a me pare, una ultima conferma di questa suprema misura espressiva conquistata con la recente edizione della Sinfonia in do minore (pagg. 186/ 187, batt. 4481494).


Gli interrogativi che la Terza Sinfonia pone allo studioso dell'opera di Mahler e, più, allo studioso dell'interpretazione di quest'opera, sono numerosi e difficili. Non ho la pretesa di rispondere io, qui, e a tutti. E' necessario, tuttavia, per la chiarezza del mio itinerario, che io accenni ai più impartanti, e tenti di suggerire qualche risposta. Dalla prima esecuzione della Sinfonia n. 1 in re magg. (1889) a quella della Sinfonia n. 3 in re min. (1902) trascorrono tredici anni. I n realtà, il tempo che si deve tenere presente, per uno studio di questo periodo, è più breve; esso va dal 1888, anno in cui Mahler finì la composizione della Prima Sinfonia, al 1896, anno in cui terminò di comporre la Terza Sinfonia. I n mezzo, un ciclo di Lieder, non dei più importanti i Lieder und Gesange aus der Jugendzeit (Canzoni e canti della giovinezza). Qual è il cammino percorso da Mahler in questi otto anni? I n quale misura, in quali termini, si è venuto maturando il suo mondo poetico, la sua lingua musicale, il suo linguaggio? I n quale direzione si è sviluppata la sua autonomia dalla forma sinfonica tradizionale? Infine, quali sono gli aspetti che differenziano le prime tre Sinfonie, l'una dall'altra, e soprattutto la Terza dalle due precedenti? Chi volesse cercare risposte chiare, esaurienti, nella pur vasta e importante bibliografia mahleriana, temo proprio che rimarrebbe deluso. Perché, mentre sono numerosi e precisi i riferimenti alle parti tecniche dell'analisi, le risposte alle altre più difficili domande, o vengono eluse o sono del tutto insoddisfacenti. Per esempio, se la Terza Sinfonia rappresenta - come si sostiene da varie parti - un momento


tlecjsivo dello svolgimento artistico di Mahler, in che senso ci?) ì. da intendere? E se la Terza Sinfonia, quasi per logica conseguenza, è tanto diversa dalla Prima e dalla Seconda, e tanto superiore ad esse, come si devono intendere queste diversità e superiorità? I1 primo a non avere il minimo dubbio su questa assoluta superiorità della Terza, fu l'autore, testimonianza preziosa ma non decisiva. Ad Anna von Mildenburg, nel 1896 (quando stava per terminare l'opera) scriveva:

Sono sci movimenti attraverso i quali si assiste a un crescendo di ispirazione impressionante tanto che alla fine si prova un indicibile senso di gratitudine per l'artista: quasi in grazia di un'ispirazione sovrannaturale egli si è obbligato a concludere quest'opera al punto giusto, alle soglie dell'inesprimibile.

Te l'ho già scritto che lavoro ad una grande opera. Non capisci come ciò impegni tutto l'essere e quanto profondamente uno vi sia immerso, tanto da essere morto per il mondo circostante ... La mia sinfonia sarà qualche coba che il mondo non ha ancora udito. La natura parla qui dentro e racconta segreti tanto profondi che forse ci è dato di presentire solo in sogno. Talvolta, in verità, mi sento a disagio e mi pare di non essere io a comporre; proprio perché riesco n realizzare ciò che voglio.

Con la Terza Sinfonia raggiunge quasi la piena maturità stilistica del grande sinfonista. Alla Quarta Sinfonia restava il compito di affinare questo stile e di renderlo capace di esprimere quelle sonorità sperimentali che avrebbero aperto la via a quel radicale cambiamento stilistico che contraddistinguerà la musica di Mahler all'inizio del secolo.

Non è che la orgogliosa premessa alla seguente conclusione, quando l'orgoglio sembra diventare superba consapevolezza del proprio compito. Riferendosi al Primo Tempo (l'ultimo ad esser composto) Mahler, nella stessa lettera, scriveva: È terribile quanto questo movimento s'accresca, molto più di

qualsiasi altra cosa io abbia mai scritto finora; la mia Seconda mi sembra minuscola al confronto. E' così grande, cosi al di là di una struttura normale che al suo confronto tutto quanto è umano sembra ridursi alle dimensioni di un regno di pigmei. Mi sento pieno d'orrore quando capisco dove tutto ciò mi stia portando, quale sia il sentiero che la musica è destinata a percorrere, quando penso che a me è toccata la tremenda responsabilità di realizzare questa gigantesca missione. 2

Lettera di una importanza storica inestimabile, non tanto per quello che vi si dice della Terza Sinfonia, ma per le straordinarie, direi profetiche, previsioni fatte sul futuro della musica moderna. Rimane il quesito: merita la Terza Sinfonia questa valutazione? Ed è davvero tanto diversa dalla Seconda, e superiore a questa? Ugo Duse, uno dei pochi studiosi che non nutre il miiiirno dubbio in proposito, scrive:

Ma poi, purtroppo, indugia in interpretazioni e giudizi di carattere filosofico, ai quali mi sento estraneo. Piuttosto sbrigativo Redlich che, dopo essersi impegnato in acute annotazioni tecniche, stilistiche e storiche, conclude:

Forse un suggerimento più utile alle mie perplessità, può venire da una osservazione che David Johnson dedica al Primo Tempo, ma che io estendo alla intera Sinfonia: Questo movimento è così enorme che l'ascoltatore non può forse sperare di averne una chiara prospettiva, cosa che non gli potrebbe accadere con il primo tempo di una sinfonia di Beethoven.

Penso che la mia esitazione a rispondere alla domanda che io stesso ho posto, nasca dalla difficoltà, appunto, di abbracciare, con un solo sguardo, lo sterminato panorama della Terza Sinfonia. E non soltanto per la sua lunghezza. Gli atti di alcune opere di Wagner non hanno nulla da invidiare, sotto questo aspetto, alle Sinfonie di Mahler. Così talune sinfonie di Bruckner. Ma, con i primi, c'è il grande vantaggio di una lunghissima familiarità, consuetudine, e quindi di una conoscenza totale; con le seconde quello della maggiore semplicità compositiva, della minore ricchezza di idee. Pure, dovessi ora osare una conclusione, direi che andrei più cauto nell'attribuire alla Terza Sinfonia, il valore e il significato quasi di un messaggio, e nel giudicarla tanto superiore alla Seconda. E questo non, come qualche inguaribile antimahleriano potrebbe pensare, per la mancanza di originalità di alcuni temi, per la chiara derivazione di altri. Questa è una componente essenziale, una costante D del fare compositivo di Mahler. E non


si capisce perché dovrebbe pesare di più nel giudizio sulla 'l'crza. I1 fatto che il tema di apertura del Primo Tempo abbia un carattere brahmsiano, che il lunghissimo a solo D della cornetta da postiglione (o dello strumento che lo sostituisce) a metà del Terzo Tempo, come Duse ricorda, derivi dalla l<apsodie espagnole di Liszt, dove era approdato dopo un lungo viaggio, e che alla fine di questo a solo, risuoni la stessa fanfara della Leonora n. 3 di Beethoven; che, infine, il tema che apre l'ultimo tempo derivi da un Quartetto d i Reethoven, e che in esso si riscontrino una locuzione tristaniana, e accenti parsifaliani - per limitarmi agli esempi più significativi - non ha l'importanza che si crede. Mahler, anche quando prende l'avvio da un tema non suo, finisce sempre per essere egualmente se stesso. Così profondi ne risultano l'assorbimento e la trasformazione; così diversi sono il linguaggio, la stimmunq in cui vengono immersi. I o penso che la causa della mia perplessità, del mio disagio, nel condividere i giudizi citati, vada ricercata altrove, soprattutto nelle accidiose prolissità, nelle numerose digressioni, in talune profonde incrinature, ravvisabili nell'immenso edificio della Sinfonia, nonostante la smisurata sapienza compositiva, l'inesauribile fantasia timbrica, il berlioziano virtuosismo strumentale. O forse, proprio per questo. Risposte soddisfacenti alle altre domande non ne ho trovate. Credo, tuttavia, si possa tentare qualche chiarimento. Mahler nasce alla Sinfonia, artisticamente, già adulto, maturo. Più che alle opere che precedettero la composizione della Prima, penso che ciò si debba alla sua grande esperienza e sapienza di direttore d'orchestra, e agli approfonditi e severi studi musicali della giovinezza. Con la Seconda Sinfonia amplia smisuratamente i suoi orizzonti, travolge gli schemi della forma classica, già compromessi nella Prima, si appresta un organico strumentale gigantesco, approfondisce ed allarga, in misura inedita, la gamma t i mbrica. Poteva la Terza Sinfonia - secondo la tesi sostenuta da cl~lalchestudioso - rappresentare una concezione originale, iiddirittura rivoluzionaria, rispetto alle recenti, inedite con-

quiste della Seconda? I n via di principio, forse sì, poteva. Nella realtà, invece, almeno come io la vedo, la Terza Sinfonia si presenta quale grandiosa conferma, approfondito consolidamento di quelle conquiste. Anche la lingua, il linguaggio, il mondo poetico di Mahler (fatta eccezione, forse, per quella suprema, bachiana meditazione sulla morte ch'è l'Adagio) non mi pare presentino ulteriori, grandi novità. Anzi. Si vanno già individuando e precisando alcuni moduli linguistici, talune espressioni che Mahler dimostrerà di prediligere e diverranno presto costanti stilis tiche. Semmai è la forma sinfonica, la sua tradizionale architettura e suddivisione, la stessa forma-sonata che vengono ulteriormente forzate e ampliate, ma questa ribellione ai rigidi schemi scolastici risale a Beethoven, in particolare al Beethoven delle ultime Sonate e degli ultimi Quartetti, e quanto a chiudere la Sinfonia con un Adagio, è una soluzione che, come ricorda Redlich, era stata anticipata da Cajkovskij nella Sinfonia in si bem. minore. I n ogni caso, questi ultimi sono aspetti che appartengono ai quesiti di carattere tecnico ai quali accennerò più avanti, anche se sono quelli che più interessano, e più da vicino, il problema dell'interpretazione. A questo proposito devo ricordare subito che dalla scheda discografica della Terza Sinfonia sono assenti, purtroppo, tre dei massimi interpreti di Mahler, tre autentici protagonisti, Klemperer, Scherchen, Wal ter. Sono vuoti che modificano profondamente, anzi alterano, questo capitolo della storia dell'interpretazione di Mahler. Pure, senza nulla togliere al valore, persino condizionante, di queste assenze, l'aspetto più importante, o almeno più nuovo e interessante, penso si debba ricercare altrove, e cioè nello spostamento positivo del valore di alcune presenze, e nel significato eccezionale, forse persino protagonistico, di altre. Gli esempi musicali scelti e gli argomenti che esporrò a sostegno di questa mia tesi, spero saranno sufficienti, fin da quelli che riguardano il Primo Tempo, a convincere anche i miei lettori. La Sinfonia in re min. appartiene al gruppo delle Sinfonie


n o di stare accanto a Solti, Bernstein e Adler, senza sfigur;irC. Numerose le differenze anche tra questi tre maestri, e notevoli. Intanto, I'impostazione ritmica, premessa, hc.i~ipreessenziale, ai criteri interpretativi. Qui si va dai circa 2l.46" di Haitink ai 3'.5" di Adler. Questi episodi hanno in Solti, per molti aspetti, I'interprete ideale. Alla cura analitica dei particolari, si unisce una vivace e meditata intensità fonica. Una sensazione festosa attraversa tutta la pagina, accentuando l'impeto espressivo, quasi l'ebbrezza di alcuni passi. Con Bernstein queste caratteristiche si dilatano; il fasto strumentale, l'origine straussiana, barocca, lo splendore timbrico, vengono proiettati come su un gigantesco schermo sonoro, dove tuttavia c'è spazio per i più sapienti e preziosi particolari. Alla estremità opposta si colloca Adler, e non solo per la sua severità quasi ieratica. L'intervento dei corni ha un accento drammatico, e non indulge al virtuosismo straussiano, ma rimane come chiuso in se stesso, schivo e diffidente (pagg. 1581172, batt. 335/470). I1 I V Tempo pone allo studioso problemi ai quali non mi sembra sia stata data la giusta importanza. Per esempio, il valore e il significato dei testi scelti da Mahler. Lo stesso Duse sembra quasi impaziente di passare oltre. Egli annota:

Ai versi Mahler dà una interpretazione drammaticamente fatalistica, quasi cupa, disperata, senza speranza. Ha ragione, in ciò, Johnson quando osserva: Mahler sceglie alcuni versi di Also sprach Zarathustra di Nietzsche, illustrando la parola tief (profondo) col pedale che dura tutto il tempo e illustrando il senso di isolamento implicito nei versi con lunghe, lunghe pause fra le frasi del canto affidate al contralto. l8

Tonalità di re maggiore. Con voce di contralto su testo di Nietzsche da Also sprach Zarathustra. I temi di questo movimento sono derivati da alcuni motivi del primo movimento, fondnmentalmente da quello delle trombe. l5

Oppure Redlich, altrettanto breve e certo non più esplicito: L'appassionata cantilena del contralto che esprime in un a solo il nostalgico desiderio dell'eternità, crea un ponte psicologico per il secondo movimento della Sinfonia, anch'esso collegato al Wunderhorn: "Il canto degli angeli". l6

La spiegazione dei versi la si legge nel commento introduttivo dello stesso Nietzsche: Avete imparato la mia canzone? Avete indovinato ciò che essa vuole? Ebbene! Orsù! Uomini superiori, cantatemi allora il mio canto che sempre ritorna! Cantatemi ora voi stessi il canto il cui nome è "per tutta l'eternità!" - cantate, uomini superiori, il canto, che sempre ritorna, di Zarathustra. l7

Con Leinsdorf canta Shirley Verrett, grande cantante e sensibilissima interprete, ma qui solo noiosamente dignitosa, anche se formalmente irreprensibile, e priva di vibrazioni interiori, almeno quanto lo stesso direttore.


Una conferma dello stretto rapporto di interdipendenza che sembra esserci, in Mahler, fra poetica del direttore e risultati del cantante, si ha con la versione di Bruno Maderna, solista Ursula Boese, certo molto più indicata della Verrett per il canto mahleriano. È sorprendente notare come la Boese si sia adeguata alla immagine statica, stupefatta e sempre ancestrale di Maderna, e come Maderna abbia scelto una interprete così intensa e impassibile, adatta perciò alla sua rigorosa, severa concezione del lied. La terza versione di Abravane1 è stata per me un'altra sorpresa. Considero questo direttore un coscienzioso artigiane, semplice esecutore, peraltro corretto e sapiente, delle Sinfonie di Mahler. Ma nell'interpretazione del I V Tempo, c m Christina Krooskos, raggiunge risultati inattesi. E non tanto o solo per la opportuna lentezza, quanto per la straordinaria, intensa vibrazione e semplicità espressiva (pagg. 1811183, batt. 1/35). I1 V I Tempo, l'ultimo, è quello che mi ha posto gli interrogativi più difficili, i problemi più ardui, nell'accertamento dei valori interpretativi, nella faticosa ricerca delle scelte. Partendo dall'esterno, questo Adagio, anche per le sue dimensioni, con il monumentale I Tempo, è quello che, nelle diverse interpretazioni, presenta le maggiori differenze ritmiche. Tradotte in cifre, si va dai circa 25' di Adler e di Bernstein, ai 19' di Solti. Naturalmente le cifre di per sé, non dicono tutto. Vi sono, intanto, le varianti e le differenze interne, e sono queste che, spesso, determinano le caratteristiche espressive di un intero movimento. Bach, Beethoven, Wagner, sembrano essere i numi tutelari di questa stupenda meditazione sulla morte. Prima di occuparmene, devo avvertire che ho messo da parte il V Tempo perché, finora, non sono riuscito a darmi una spiegazione soddisfacente del suo carattere, e perché mi infastidisce la puerilità, l'infantilismo espressivo della musica. Torno all'Adagio. Anche di questa grande pagina, persino di essa, direi, non esistono analisi, interpretazioni critiche di grande respiro ed impegno. Eppure si tratta del più grande Adagio sino ad allora scritto da Mahler. Fa eccezione, ma solo in parte, Marc Vigna1 che osserva: L'Adagio finale in re maggiore, langsam, ruhevoll, empfunden (lento, tranquillo, sentito) si eleva ad un'altezza ancor maggiore. I1

debito di Mahler nei confronti della Nona di Beethoven, di Briicl<iici. è evidente: egli se ne mostra degno ... la mirabile melodia inizirilc, espressa dai violini, costituisce il clima sereno, solenne, di venticiiique minuti di musica in cui un richiamo al primo movimento noli provoca alcuna digressione.19


L'interpretazione di questo grande Adagio, ricompone, con severe esclusioni, il panorama, almeno in parte, familiare, un panorama cioè limitato ai maggiori interpreti di Mahler, o comunque di questa Sinfonia, anche se con inattesi e sorprendenti spostamenti di valori. Come sempre, nei momenti decisivi, più importanti della partitura, Mahler è più che mai prodigo di indicazioni, testimonianza del suo giustificatissimo timore di essere frainteso. Ecco allora che scrive, ripete, martella: Cantato, molto legato, molto espressivo. Lento, calmo. Con p~rtecipazione. Molto legato. Molto cantabile. Espressivo. Senza rilievo. 20

E certo voleva intendere la massima intensità espressiva ma senza alcuna tensione esteriore; una specie di totale, immobilità esterna, alla superficie, un senso di solenne staticità. A questo aspetto forse si riferisce David Johnson quando scrive: Questo movimento, è paradossalmente quasi senza movimento; la durata delle note raramente va al di là del quarto, e mai al di là dell'ottavo. Ma entro questa calma apparente, la musica si forma e si riforma, avanza e retrocede come le acque del grande mare. 2'

Solti, nonostante la sveltezza (mai peraltro pregiudizievole per i risultati espressivi dell'Adagio che, pure, è negato all'incedere rapido) riesce a mantenere una linea interpretativa di grande bellezza formale, come un sereno approdo nella prospettiva di una straordinaria chiarezza strumentale. Manca all'episodio la dolorosa tensione meditativa, funebre. Sembra anzi affiorare, nonostante la malinconia con cui vengono esposti i temi, e la severità con cui viene svolta la trama contrappuntistica, un senso di fiduciosa attesa, dove l'immagine della morte viene allontanata. Difficile decifrare e classificare l'interpretazione di Bernstein. Da una parte vi è la estrema pacatezza ritmica (è infatti, il più lento di tutti con 4'.44", contro i 3'.20" di Solti) ma dall'altra sembra mancare del necessario approfondimento. L'accentuato carattere organistico impresso ai bassi, il conseguente avvicinamento a Bruckner, ne diminuiscono il valore e il respiro etico. Penso che quanto più lenta è l'esecuzione di un Adagio, tanto più severa, intensa, approfondita

debba essere l'espressione. Qui il contrasto con Solti è persino clamoroso. Ma, nonostante i risultati di un gusto strumentale raffinato, capillare, non mi sembra che l'Adagio trovi, neppure con Bernstein, la sua collocazione ideale. La lentezza di Adler ha già un'altra fisionomia, perché diverso è lo scopo del direttore, l'impiego che ne fa. L'Adagio, e sia pure con tutte le sue componenti derivate, sembra avere la maestosa severità dei grandi corali bachiani. I1 fraseggio non vuole quasi mai accenti, almeno eccessivi, il suono non vuole quasi mai forti vibrazioni, la dinamica deve essere sempre avara (per me mai abbastanza). E molti di questi aspetti in Adler già affiorano. Siamo, comunque, molto lontani, da Solti e da Bernstein. Con la sua versione, Horenstein ci offre, con tutta probabilità, la migliore interpretazione in assoluto d i questo Adagio. La purezza dei suoni mi sembra insuperata, le meditate curve dei temi, le severe linee del fraseggio, il rapporto, calcolatissimo, infallibile, nella sovrapposizione delle singole voci (per esempio vioIoncelli e violini con due diverse melodie) hanno una luminosità, uno spazio, inediti. Con Horenstein la meditazione sulla morte non perde nulla della sua profondità anche se appare serena (pagg. 210/211, batt. 1/43.) Sembrerebbe, dunque, tutto definito, accertato, almeno per l'ultimo Tempo. Voglio dire che i due maggiori interpreti delllAdagio dovrebbero essere Adler e Horenstein. E dovendo fare delle scelte, che pure si impongono, alla fine di questo lungo viaggio, o anche prima, non esiterei a indicare per l'Adagio e forse anche per l'intera Terza Sinfonia, Jascha Horenstein. Ma l'indagine che io conduco si ferma ai particolari, come ho già detto, Sinfonia per Sinfonia, movimento per movimento, sezione per sezione. Ed ecco che, in questo ultimo caso, le mie osservazioni, le mie ipotesi iniziali riprendono vigore. Osserviamo il finale dell'Adagio, che ha inizio dalla parte sulla quale mi sono intrattenuto, con un tono meditativo subito spazzato via da un crescendo continuo che conclude in una apoteosi di sonorità. I1 solenne splendore dei fiati, con gli accenti parsifaliani, sfiora la citazione. Wagner, comunque,


il protagonista. È, a mio giiidizio, la parte meno intima, iiicno riuscita dell'Adagio, sopraffatta da una enfasi, da una clilatazione apertamente rettorica. Maderna dichiara qui esplicitamente i suoi limiti professionali. La convinta tensione e partecipazione non bastano. Soiio necessarie doti tecniche particolari. Nella sua realizzazione di questo Finale scopre, in modo quasi crudele, gli aspetti negativi. Né Adler, né Horenstein (trascuro tutti gli altri: da Haitink a Kubelik, da Leinsdorf ad Abravanel), benché tecnici agguerriti, potevano reggere il confronto con Solti e Bernstein, impareggiabili scatenatori di sontuose sonorità, capaci di sostenere, di ampliare, diresti all'infinito, il crescendo di un accordo, oppure le più grandiose strutture sinfoniche. Esattamente quello di cui ha bisogno questo Finale. La differenza fra Solti e Bernstein è che il maestro ungherese mantiene sempre un equilibrio, non trascende mai, non si lascia mai sedurre, travolgere dagli eccessi sonori. Lo confermano la ragionevole durata dell'episodio (3'.18"), la controllata consapevolezza della massa di suono da liberare. Bernstein non rinuncia, invece, a queste grandi occasioni. Per lui sono riti da celebrare con il massimo fasto. Tradotto in termini musicali, questo significa la maggiore lentezza possibile (con lui l'episodio dura 4'.27") che consente il massimo di amplificazione sonora: parossistica, esasperata, trionfante. In realtà, tutto questo nell'episodio di cui parlo, c'è. E allora -sembra dire Bernstein - perché non metterlo in evidenza? E potrebbe aver ragione, non iosse per la smodata ingordigia con cui, spesso, lo fa (pagg. 226/23 1, batt. 2361309). Si può trarre una prima conclusione, osare un piccolo bilancio? La tentazione sarebbe forte, ma occorre resistere ancora, per non trovarsi a doversi smentire, contraddire, oppure, la peggiore delle soluzioni, a ribadire giudizi che si iicb it

ritengono errati, o che non hanno retto a ulteriori approfondimenti, per non rinunciare ad una sterile coerenza. È preferibile, quindi, limitare le conclusioni ai rilievi fatti all'inizio, al quesito posto sulla problematicità dell'interpretazione mahleriana. Quanto al bilancio, sia pure parziale, cioè limitato alla indicazione delle migliori interpretazioni delle prime tre Sinfonie, in attesa di una graduatoria, forse posso già indicare Scherchen per la Prima, Bernstein (terza edizione) per la Seconda, Horenstein per la Terza. Naturalmente anch'io come voi, posso domani, fra un mese o sei, oppure un anno, mutare d'avviso. E' il destino, entro certi limiti, di tutte le storie dell'interpretazione musicale.


imprimere al finale un vigoroso rilievo espressivo, tutto gravitante nella zona timbrica più oscura. Al lato opposto si colloca Kletzki, con la sua stilizzata, razionale, acuminata realizzazione, di una chiarezza, di una raveliana, geometrica nitidezza di contorni. A Horenstejn ho già accennato: sempre fedele alla sua concezione del mondo mahleriano, alla immagine che se ne è fatta, alla sua poetica che pure conosce squilibri, dissidi, contraddizioni. Non in questo Finale, in cui la sua penetrante, severa versione appare rigorosa e coerente. (pagg. 69/75, batt. 274/364). La parte di cui sinora ho parlato, con i primi due movimenti è, all'incirca, anche nella durata, la metà della Sinfonia, straordinariamente simmetrica persino nella alternanza di un tempo ampio e uno più breve. Così è pure nella seconda parte, con il lungo Adagio, il moviinento più ammirato da molti studiosi, e il Lied che la conclude. Direi però che i più grandi, complessi problemi interpretativi, sono raccolti, quasi tutti, nell'Adagio, specie nella parte introduttiva, prima delle Variazioni, e in alcuni episodi intermedi. E sono problemi che diventano più complessi perché, proprio questo Adagio, dei quattro movimenti che formano la Sinfonia, è quello che vanta il maggior numero di grandi interpretazioni. E giudicare, scegliere, proporre non è facile.

H o già indicato, quale preciso sintomo, una vera prova, della acerbezza della critica mahleriana moderna, la mancanza, o l'insufficienza, la frettolosa sommarietà dei giudizi sulle singole Sinfonie e su ciascun movimento. Le letture compiute, a questo proposito, sulla Quarta, me ne hanno dato una conferma. Cercavo, in particolare, una precisa analisi del I11 Tempo che prendesse in considerazione i movimenti lenti delle altre Sinfonie e, da un confronto, tecnico ed estetico, traesse gli elementi per definire le differenze del17Adagio della Quarta, e ne indicasse una valutazione, un giudizio. Lo studioso, il discofilo mahleriano, sanno che, ai movimenti lenti, il musicista boemo ha confidato alcuni dei suoi segreti più intimi, delle immagini più poetiche. Come confermano, soprattutto, il V Tempo della Terza, il I e il I V della Nona, l'unico completo della incompiuta Decima. Meno il IV Tempo della Quinta e il I11 della Sesta. Una prima osservazione, puramente formale, anzi filologica, è questa. Nella sua strana, talvolta contorta terminologia, Mahler, nelle sue Sinfonie, usa il termine di Adagio solo due volte, per la Nona e per la Decima, subito dopo le quindici battute introduttive dell'Andante. Per la Quinta, scriverà Adagietto, per la Sesta, Andante. Quanto al V Tempo della Terza, manca una definizione, diciamo tecnica, e si legge una didascalia indicativa più delle caratteristiche espressive del movimento (Lento. Calmo. Con partecipazione); il I11 Tempo della Prima reca indicazioni analoghe (Solennemente misurato, senza ritardare) mentre il I Tempo della Nona è definito un Andante. Le ragioni di questa mia insistenza su di un'arida questione filologica si spiegano con la necessità di approfondire, il significato, l'importanza, la fisionomia dell'Adagio mahleriano, e quindi di questo della Quarta, rispetto agli altri. Sul grande valore dell'Adagio della Quarta, gli studiosi concordano, anche se nessuno osa metterlo accanto a quelli della Terza e della Nona. O meglio, quasi nessuno. Infatti Marc Vigna1 scrive: Mahler considera il terzo Ruhevoll (Calmo) una delle sue pagine più riuscite: essa si colloca nella scia del finale della Terza.


Redlich, con il suo giudizio, va oltre Vignal, ma non fa alcun riferimento agli Adagi della Terza e della Nona: 11 terzo tempo è una delle creazioni più ispirate di Mahler, uno dei maggiori documenti della sua inventiva melodica: in una lunga frase di sedici battute, egli ne sa sfruttare le varie possibilità implicite nella scala ascendente e discendente di sol maggiore. lo

Ugo Duse, più attento, come di consueto, alle caratteristiche tecniche, non manca di esprimere un giudizio molto impegnativo : Interessante si presenta la ricerca formale nel terzo movimento: a un iniziale sviluppo nella tradizionale forma sonata, fanno seguito vaiiazioni condotte non sul tema ma sui temi, in particolare su un tcma pieno di serenità e su un tema lamentoso, presentato come seconda idea, dell'oboe. E' s-nz'altro il movimento più alto della Sinfonia: la perfezione formale è insieme elevatezza di contenuto.

In nessuna delle pagine dedicate a questo Adagio, fra quelle da me conosciute, ho letto osservazioni sulla differenza fra la forma scelta da Mahler per esso e quella scelta per gli altri Adagi; in nessuna, pure, di queste pagine (con la sola eccezione di Redlich, l'unico che usa, e con ragione, il termine di Adagio) ho letto un riferimento esplicito al carattere ritmico del movimento, né si è fatto uso della parola Adagio, quasi si volesse evitarla. Perché? Mahler, è vero, rimane anche in questo caso piuttosto generico, e si limita a scrivere Ruhevoll (calmo, tranquillo) e, accanto, in italiano, Poco adagio. Naturalmente, nessuna indicazione di metronomo. E con questo? Forse si oserebbe negare che l'Andante della Sesta e quello della Nona sono due Adagi? Oppure, e meglio, che l'ultimo Tempo della Terza sia un Adagio? Forse, verrebbe di rispondere. Dal momento che, nella pratica esecutiva, ciò avviene proprio con l'Adagio della Quarta, messo in crisi, nella sua perfezione formale, nei suoi esiti interpretativi, da così incomprensibile dubbio. A questo punto, la già difficile lettura della durata dell'Adagio, nelle singole versioni, si fa estremamente complicata; esige, perciò, molta attenzione, e una rigorosa analisi delle varie componenti. Infatti, chi leggesse solo la durata complessiva, sarebbe tratto in inganno, e così se limitasse la lettura alle singole sezioni che !o compongono. Qualche esem-

pio. Horenstein, nella durata totale della Sinfonia, il più lento di tutti, con 59'.40n, è superato, nell'Adagio, da Levine (20'.55' Horenstein, 22'.5" Levine). Ma Levine, a sua volta, è superato nella esposizione del primo tema da Szell (4'.18" Levine, 4'28" Szell). Maazel, per la durata del17Adagio, viene subito dopo Levine, con 21'.15", ma nella esposizione del primo tema eguaglia, in sveltezza Klemperer, il più rapido di tutti (rispettivamente 3'.9" e 3'.11"). Le Variazioni che seguono alla esposizione dei due temi, per la loro necessaria diversità, esigono scelte ritmiche differenti (anche all'interno dello svolgimento di qualcuna di esse), e così lo strano Finale, a partire dalla violenta, improvvisa apertura straussiana (se reminiscenza e non, invece, anticipazione, è difficile stabilire) alla fulminea riconquistata consapevolezza stilistica. Ma a me, ora, interessa l'introduzione, e precisamente il primo tema. Dopo avere ascoltate e misurate, come di consueto, tutte le versioni in mio possesso, ne ho scelte cinque fra quelle che mi sono parse più adatte a mettere in rilievo, da un lato, la diversità di intendimenti, le chiare divergenze, gli aperti contrasti di carattere interpretativo; dall'altro, a esemplificare, accanto a talune delusioni, gli inediti aspetti positivi di alcune versioni. I1 lungo tema principale - scrive Duse - nelle prime quindici misure 6 iniziato dai violoncelli separati, su di un pizzicato dei contrabbassi; è trattato come un Lied tripartito e in controcanto nella terza parte, da diciassette a ventiquattro, suonano i violini con molta espressione. Sempre i violini portano avanti i1 loro tema, mentre l'oboe ripete il secondo soggetto. l2

Nel corso della esposizione, questo tema non muta i caratteri sostanziali, la sua fisionomia espressiva. Sono e riman-


gono, come scrive Mahler " pjeni di calma D; inalterato, pure, fino alla fine il ritmo. I1 quale ha un unico punto di riferimento, deve rispettare un solo rapporto, il Molto più lento indicato per il secondo tema.

Klemperer e Maazel esprimono una visione profondamente diversa da questa da me descritta. Entrambi presentano il primo tema come se si trattasse di un Andante mosso. In tal modo viene alterato il carattere del tema, e la estatica, attonita limpidezza lirica, la immobile calma, vengono turbate, offuscate dalla fastidiosa sveltezza. Inoltre, Klemperer non si cura di mettere nel dovuto rilievo l'oboe, che quasi non si avverte, mentre domina il controcanto dei violini. Con Maazel lo squilibrio è solo attenuato; neppure lui, però, attribuisce la giusta importanza all'oboe, e i rapporti timbrici non risultano minuziosi, precisi come dovrebbero. Rispetto a Klemperer si avverte, tuttavia, una maggiore intensità espressiva, un fraseggio più accurato. Al di là di entrambi, si colloca Walter, il più rapido di tutti, nella durata totale del movimento (17'.30n) ma non nella esposizione del tema, di cui ha intuito la dolorosa tensione, la grande limpidezza formale, anche se realizzata solo in parte a causa della insufficiente pacatezza, e del gusto poco cameristico. I timbri poi, tendono più alla fusione coloristica wagneriana, che alla capillare distinzione di Mahler, come si può osservare nel debole rilievo dell'oboe, e nella eccessiva pesantezza dei corni. Di fronte a queste tre versioni si pongono le due di Szell e di Solti. Per Szell il I11 Tempo è un vero Adagio, e l'esposizione del tema ha questo carattere. E' una lentezza che vibra di una grande intensità espressiva, la quale non turba minimamente il rigore formale. I1 casto fraseggio, il trepido, pudico pizzicato, gli stupendi rapporti timbrici (si ascolti il rilievo dell'oboe e quello dei violini) danno a questa pagina un tono

di altissimo lirismo. E a me riesce difficile immaginare una interpretazione più intensa e pacata, più sofferta e tersa insieme. Ma poi ho riascoltato quella di Solti e non sono più cosi sicuro. Forse la sua versione è meno aerea, ma non meno limpida e spirituale, con una bellezza di suono (specie dei violini) incomparabile, non diminuita da una minore interiorità espressiva (pagg. 76/77, batt. 1/54). Avrei dovuto parlare anche delle versioni di Kletzki e di Horenstein, autori di due grandi interpretazioni della Quarta, di un grande I11 Tempo, e di una superba presentazione del primo tema. Ingiusto è, anche, non avere fatto neppure un cenno a Oistrakh. Purtroppo era impossibile non sacrificare qualche aspetto. H o scelto di sacrificare quelli che mi sono parsi i meno importanti. Delle prime due versioni avrò modo di occuparmi nella analisi del secondo tema. I1 Vie1 langsamer (Molto più lento) indicato da Mahler viene rispettato, in misura e con risultati diversi, da tutti gli interpreti. Episodio molto più complesso, elaborato del primo; anche per la ampiezza dell'arco espressivo: dall'intima drammaticità cameristica iniziale dell'oboe (uno dei temi più desolatamente brahmsiani di Mahler) allo struggente, doloroso canto dei violini; dal cupo richiamo dei corni alle ultime, poderose battute sinfoniche, concluse dallo stupendo, scultoreo fraseggio dei violoncelli.

Sono questi alcuni dei raggiungimenti assoluti che fanno della Quarta una grande Sinfonia, e con la quale Mahler sembra prendere congedo da una parte del suo mondo poetico, da un periodo del suo divenire stilistico, come ha scritto Vignal: Lo squillo delle trombe del primo movimento della Quarta costituirà, inoltre, trasportato e leggermente modificato, l'inizio della Quinta. Non vi è mai, in Mahler, un mondo chiuso. La Quarta, pertanto, costituisce una tappa e u n primo risultato. I1 sinfonista con questa si congeda per un periodo e in gradi diversi dal Programma, dalla voce, dal Wunderborn. Da uno stile? l3


Francamente non saprei rispondere, con sicurezza, alle suggestive ipotesi di Vignal. Riferimento sicuro, indiscutibile, rimane la grandezza dell'Adagio, anche se non di tutto, a causa, io penso, dei cedimenti poetici, dell'irrazionale svolgimento, provocati dalle Variazioni. L'esposizione del secondo tema presenta difficoltà diverse e maggiori di quelle del primo e, spesso, superate solo in parte, anche dai massimi interpreti di Mahler. Qualche esempio. Klemperer. I pietrosi rilievi timbrici, sono inconfondibilmente suoi, come il peso fonico dell'orchestra, lo spessore dell'oboe, simile a un clarinetto, i cupi interventi degli ottoni. Ma, alla plastica realizzazione della prima parte, non segue, dopo la parentesi lirica, una intensificazione drammatica proporzionata. Walter incline, pure lui, in misura più discreta, al corposo rilievo timbrico, offre più spazio alla parte cantabile, ma gli sfuggono, quasi del tutto, la dimensio-

ne drammatica, la cupezza tragica di taluni incisi. Solti appare superbamente consapevole delle tensioni, dei sotterranei conflitti che la apparente calma della superficie tenta di nascondere. Per questo più dispiace e rimane incomprensibile, dopo la sontuosa drammaticità sinfonica della parte centrale, l'improvviso cedimento delle ultime battute. Ma è tempo che mi occupi delle quattro versioni messe a confronto. Reiner, presente nel ciclo sinfonico con questa sola sinfonia, offre un'altra prova della problematicità della storia dell'interpretazione mahleriana, e della cautela, della pazienza necessarie nello studio delle singole poetiche. Nella sua serrata, incalzante realizzazione della Quarta, appare sinfonicamente splendente, avvincente e, al primo incontro, si sarebbe tentati di darne una valutazione fortemente positiva. Poi si riflette, si scruta, si osserva, e si scoprono una affascinante esteriorità, un sontuoso ma inopportuno ottimismo fonico, drammatismi puramente sonori, una grandezza illustrativa, didascalica; e ci si accorge che, nella sua immagine, manca la consapevolezza della desolazione, della solitudine mahleriana. Lo conferma la superba realizzazione del secondo tema di un fasto sonoro a tratti persino unico, ma svuotata d'ogni contenuto interiore. I1 contrasto con Horenstein non potrebbe essere più profondo e clamoroso. La sua interpretazione è tutta protesa ad interrogare, ad interrogarsi. Il lamento dell'oboe (Mahler scrive 'klagend') dice subito la sua visione introspettiva, analitica. La realizzazione strumentale rifugge dai vistosi sinfonismi, tutta intenta ad interiorizzare la visione mahleriana, alla ricerca di quell'amaro compianto, di quel sentimento di solitudine che la musica esprime. Analoga, per molti aspetti, l'interpretazione di Kletzki, forse ancora più sofferta, meditata. L'oboe canta il suo lamento con intenso pudore, le curve melodiche dei violini hanno una aerea purezza, resa più suggestiva dai sottolissimi indugi. E anche in lui, la drammaticità sinfonica è sentita, espressa dall'interno, con una misura che nulla toglie all'intensità dell'espressione. Bernstein sembra quasi una sintesi di Kletzki e di Solti. Accoglie i richiami della severa densa drammaticità, avverte il senso di dolorosa solitudine, ma amplifica sinfonicamente i risultati espressivi


sino ai limiti della dilatazione rettorica. Tuttavia, non si possono negare la sincerità del fraseggio, l'intenso scandaglio dell'ai~imusmahleriano (pagg. 78/ 80, batt. 59/95). Al finale di questo Adagio, per l'esattezza alle ultime 39 battute, ho già accennato. Evidente, mi sembra il carattere straussiano della improvvisa, e questa sì, trionfale, esplosione, in mi maggiore, prima del ritorno alla calma desolata che caratterizza tutto il movimento. Brevissima ma lucida l'analisi del Duse: A 12 un improvviso slancio degli archi e un accordo in mi maggiore. Trombe e corni suonano fortissimo alternandosi nel tema iniziale dell'ultimo tempo da otto a due prima di 13. Mentre il motivo si disperde subentrano i violini ancora in mi maggiore; indi un passaggio in do maggiore sottodominante che prepara la chiusura del movimento in cadenza sospesa.14

Come si vede, è una puntigliosa analisi tecnica, priva affatto di un giudizio estetico. Un preciso, anche se misurato accenno, in tal senso, si legge, invece, in una breve nota dedicata da Aldo Nicastro alla Quarta Sinfonia: La stupenda cantabilità del terzo tempo Ruhevoll, svolto secondo la prassi della variazione libera, coll'alternanza di un delicato tema dell'oboe, viene incrinata soltanto nel concitato passaggio dell'episodio finale, laddove estatici squilli di trombe e arpeggi degli archi squarciano per un istante la neutra chiarezza del cielo, per svelare l'ambiguo regno celeste che verrà quindi cantato nel quarto movimento (Sehr behaglich) con soprano solo. 15. È un episodio, pur nelle sue ridottissime proporzioni, che conferma la problematicità dell'interpretazione mahleriana. Diviso nettamente in due parti, richiede, nella prima, un grande, sontuoso sinfonismo, quindi interpreti dotati come Klemperer, Solti, Bernstein, di eccezionali requisiti strumentali; nella seconda parte questi pregi virtuosistici sono superflui, anzi pericolosi, perché essa richiede un massimo di interiorità e di semplicità espressiva, una partecipazione intensa, sofferta, e al medesimo tempo, dominata. In questa profonda, direi contrastante diversità delle due parti del brevissimo Finale, è da cercare la causa $e1 contradditorio esito int e r p r e t a t i ~ ~e , la prova di quanto sono andato affermando sin dall'inizio di questo studio: !a enorme difficoltà, forse la impossibilità, nella storia dell'interpretazione delle Sinfonie

di Mahler, di esprimere giudizi unitari, di fare delle scelte precise, almeno sinfonia per sinfonia. Credo di poter offrire alcune prove concrete con gli esempi che indicherò. Prendiamo Bruno Walter, tuttora ritenuto, e giustamente, non soltanto il primo dei grandi interpreti moderni di Mahler, ma anche una delle voci più autentiche, fedeli del mondo mahleriano, nella intera storia dell'interpretazione dell'opera del musicista boemo, Pure, bisognerà decidersi, una volta, e per quanto grande possa essere il dispiacere, e apparire ingenerosa una tale revisione, a ristudiare tutto il suo capitolo di interprete mahleriano, come possiamo vederlo, capirlo, valutarlo oggi. E non tanto e non solo per taluni pesanti limiti storici, forse obbiettivamente insuperabili, ma per le frequenti sviste interpretative, i numerosi feedings espressivi, le vere e proprie distrazioni che si incontrano nelle sue interpretazioni di Mahler e che, in avvenire, ne sono sicuro, finiranno col pesare di più delle grandi intuizioni, delle straordinarie anticipazioni. È il caso della Quarta Sinfonia, e in particolare dell'Adagio. Tipico esempio il Finale. Nella prima parte manca il vigore sinfonico, lo straussiano splendore, e non per una scelta diversa, come in Horenstein e in Kletzki ma per colpevole trasandatezza. Pure, ciò che più sorprende è la rapida indifferenza della seconda parte, aggravata proprio nelle ultime battute, quando ogni frase, ogni nota dei violini, richiedono, invece, la più intensa, dolorosa partecipazione e intensità. Klemperer, rapido quasi quanto Walter, emerge, almeno, nella prima parte, con un vigore luminoso, una altera bellezza strumentale; poi, anche lui, non vuole, non sa indugiare quanto sarebbe necessario e, questo, non ostante le precise indicazioni di Mahler che invitano a ciò (Del tutto estinguendosi). Dalla inspiegabile rapidità di Walter (2'.13") e di Klemperer (2'.37") si passa alla più equilibrata ma non più espressiva pacatezza di Kubelik, e a quella ben diversa di Solti. Kubelik, dopo una prima parte priva di slancio, di autorità, indugia in un lirismo languido, esangue. I1 più severo vigore sinfonico caratterizza il ditirambico avvio di Solti che sa concludere con una stupenda cantabilità e un intenso rilievo. Avesse indugiato, meditato un poco di più, la sua versione


s:ircbbe stata da additare a esemplare modello. Ma la seconda parte, dopo una eccellente realizzazione della prima, ha il suo totale, imparagonabile rilievo, nella versione di Kletzki. [{sattamente le ultime 27 battute: fanno testo e dovrebbero csscre prese a modello per un aspetto fondamentale dell'intcrpretazione di Mahler. Indimenticabile la limpida impassibilità dei passaggi dei violini, dovuti a una perfetta tecnica del 'legato', la trasparente immobilità del suono. È un caso, cli~esto,e non certo il solo, che costringe a riflettere sulla vera storia dell'interpretazione di Mahler, e conduce a mettere in discussione quella sin qui scritta e conosciuta; a rivedere, a studiare tutto da capo (pagg. 96/99, batt. 3141353). I1 IV Tempo, l'ultimo, con il Lied per soprano, su testo tratto dalla raccolta Des Knaben Wundevhovn, è quello che ha fatto assegnare la Quarta al ciclo delle Wunderhorn Symphonien. È quello pure che, come sempre quando c'è un testo,

Sulla scia di queste fantasie, per usare un eufemismo, metafisiche, teologiche, mistiche, si sono messi, purtroppo, taluni studiosi, contribuendo, spesso, a rendere più difficile, I'avvicinamento alla musica di Mahler. I1 testo, come sovente in Mahler, di nessun valore letterario, è infantile, nei concetti e nelle espressioni. Tutto ciò non ha impedito a Mahler di scrivere una pagina vivace e originale. Scrive Redlich: La composizione procede in forma rigorosamente strofica, ciascun verso descrivendo, con confortevoli particolari realistici, i piaceri culinari di Cuccagna, dal quale i pioblemi, come quelli della fame, della sete, e della mancanza di denaro, sembrano banditi con quest'ironica affermazione: 6 Il vizo non costa un quattrino nelle cantine celesti, e gli angeli cuociono il pane ».l7

La scelta delle tre versioni dell'episodio iniziale del lied, messe a confronto, ha ubbidito, per due di esse - Oistrakh e Levine - ad un criterio più informativo che artistico. Mahler all'inizio del lied, in una delle sue numerose, caratteristiche avvertenze per il direttore, scrive: E' della massima importanza che la cantante venga accompagnata con la maggiore discrezione.ls

Ciò non significa, come accade nella versione di Oistrakh, con la Vishnevskaja, che il soprano debba emergere con tanto corposo, pesante rilievo. Oltre tutto, anche a questo proposito, Mahler era stato molto chiaro e preciso: Voce cantante, con espressione gaiamente infantile, ma assolutamente senza parodia (ohne parodie).19

ha dato spunto alle più fantasiose e complicate interpretazioni critiche, a cominciare da Mahler stesso: Per la verità volevo scrivere una Humoreske sinfonica, ed ecco che me ne è uscita una sinfonia di dimensioni normali, mentre quando mi proponevo di scrivere sinfonie di dimensioni normali, mi venivano fuori opere ch: duravano il doppio o il triplo della rczola. Nei primi tre tempi c'è la serenità di un mondo superiore e che ci è ignoto, che possiede qualcosa di terrorizzante e di orrido. Nell'ultimo tempo (Das hzmmlzsche Leben) il bambino, che allo stato di larva ha già appartenuto a questo mondo superiore, ne spiega il vero significato. ' 6

Più elegante, più lieve, l'espressione di Judith Blegen, nella versione di Levine, il quale realizza un accompagnamento più vivace, pungente. Ma l'interpretazione migliore è quella di Szell con Judith Raskin. Vi è tutta la grazia, la leggerezza richiesta dalla musica, anche se l'interpretazione non è << gaiamente infantile », come Mah!er richiede. Ma la raffinatezza stilistica, la meditata discrezime. la severa dizione di Szell, trovano riscontro in pochissimi altri direttori (pagg. 100/106, batt. 1/39). Che la Quarta Sinfonia formi una parentesi, nel mondo, nell'itinerario sinfonico di Mahler, non ci sono dubbi, e credo che nessuno oggi possa negarlo Came questa parentesi sia da intendere è uno dei tanti nodi della critica mahleriana non


iiiicora sciolti. Lo dicono le numerose divergenze e contrapposizioni tuttora esistenti. Ma una parentesi, una sosta essa rimaiic, nel tumultuoso, sempre più intenso, drammatico divenire di Mahler. Conferma, direi, addirittura clamorosa, la monumentale Quinta; con essa, come si sa, Mahler torna agli organici orchestrali giganteschi, alle proporzioni sinfoniche smisurate, alle durate bruckneriane e wagneriane. Anche se, in nessuno di questi tre aspetti, toccherà le dimensioni della .Seconda e della Terza. Ma non è sotto questo profilo, è ovvio, che la Quinta va studiata. Altri e molti complessi, anche per l'interpretazione, sono i problemi che presenta questa Sinfonia che oggi sembra essere una delle più celebri e amate.

Note al sesto capitolo

1

H. F. Redlich, G . Mahler, cit.

5

Mahler nella parola viva del compositore, a cura di Ugo Duse, cit. Ibidem.

3

J. Matter, Mahler le démoniaqtle, cit. 5

Mahler nella parola viva del compositore, a cura di Ugo Duse, cit.

6

H. F. Redlich, cit.

8

H. F. Redlich, cit.

Note a tutte le Sinfonie, Direttore Georg Solti, Edizione Decca.

M. Vignal, Mahler, cit. '0

H. F. Redlich, cit.

11

U. Duse, Gtlstav Mahler, cit.

12

U . Duse, Ibidem.

13

M. Vignal, Mahler, cit.

l4

U. Duse, G . Mahler, cit.

15

A. Nicastro, note al programma di un concerto.

'6

Mahler nella parola, cit.

l7

H . F. Redlich, cit.

18

Partitura Sinfonia n. 4.

'9

Ibidem.


senzialmente lirica, nostalgica meditativa, l'altra opposta a questa, impetuosa, estroversa, quasi straussiana, nel travolgente divenire. Per questo l'episodio andava studiato nelle due singole parti, separatamente, e ne ho tratte indicazioni inolto utili per capire l'orientamento interpretativo dei singoli direttori. Mi fossi fermato, come indicazione esterna, alla durata complessiva dell'episodio, in ciascuna versione, xarei giunto ad una cor?clusione errata. Un esempio. Con W a l ~ e rl'episodio dura 1'.11", e con Karajan 1'25". È quindi più lento. Ma in che modo, dove? Questo lo si apprende separando le due parti dell'episodio. Si vede allora che Karajan gssegna tutta la sua maggiore durata alla prima parte, mentre nella seconda è, anche se di pochissimo, più rapido di Walter. Maderna e Solti, invece, osservano lo stesso tempo, sia nella prima che nella seconda parte. Naturalmente c'è dell'altro. Walter, mi duole dirlo, appare fuori causa: la trasandata rapidità con cui sbriga la prima parte, la confusa debolezza della seconda, sono lì a provarlo. H o già accennato alle caratteristiche della versione Karajan. Le sestine del clarinetto sul pizzicato degli archi, hanno una trasparenza, un nitore mirabili; gli interventi del

fagotto, un pudico rilievo. Le ultime frasi (verrebbe di dire, le ultime parole, così intensamente cantate esse risultano) del corno solista, sono dette con una grande malinconia; così il contrasto voluto da Mahler emerge in tutta la sua perentoria evidenza. Nella prima parte Maderna si avvicina a Walter, per la durata complessiva, ma diversamente distribuita, mentre nella seconda si avverte la fatica, lo sforzo, per tentare di dare chiarezza, coesione alla pagina. Con Solti si torna al grande magistero strumentale. Anche lui è rapido nella prima parte, ma distribuisce il tempo con molta accortezza ed equilibrio; nella seconda, specie nelle ultime battute, per la splendida bellezza formale, e l'intensità espressiva, sembra non avere rivali (pagg. 1691174, batt. 764/ 819). Sono giunto all'episodio p% dificile, controverso di tutta la Sinfonia, l'Adagietto. Non fosse per le profonde diversità interpretative che mi consentono di spostare l'accento dell'analisi dal contenuto musicale, alle poetiche delle varie versioni, non saprei come affrontare l'argomento. E non, si badi, perché se ne sia scritto troppo, o in termini esaurienti (nella bibliografia analitica delle Sinfonie di Mahler, è uno


dei movimenti meno approfonditi) ma perché l'uso e l'abuso che se ne è fatto in questi ultimi anni, in sede di esecuzione, lo hanno consumato, prima ancora che la critica fosse riuscita ad accertare la sua vera identità. Poco o nulla, come al solito si trova in Adorno. I1 rilievo più interessante di Duse è di carattere tecnico: E' l'unico brano di Mahler per un complesso tanto ridotto (archi arpa) e il suo nucleo essenziale è costituito dalla parte conclusiva del Lied <( I c l ~ bi?z der Welt abhande?~gekommetz D, più esattamente alle parole <( Ich bin gestorben dem \rVeltgetummel D. 12

Uno dei pochi studiosi che si sono impegnati in un giudizio addirittura compromettente è Redlich, che scrive: ...sebbene esso abbia valore di brevr interludio e somigli almeno esteriormente a un canto schumanniano, è proprio in esso che Mahler riesce ad esprimere tutto se stesso, raggiungendo un piano più alto di esperienza umana, un rasserenamento psicologico efficacemente simbolizzato dalla modulazione verso una tonalità più elevata rispetto a quella principale. l3

C

Generiche e poco convincenti argomentazioni, stranamente aggravate, per un mahleriano del valore di Redlich, dal giudizio che farebbe dell'Adagietto l'immagine più vera e più grande della musica di Mahler. Rimane sospeso, comuilque, almeno per me l'interrogativo principale: 1'Adagietto è una pagina di grande musica, degna di stare accanto all'Adagio della Terza, della Nona e della Decima, oppure rappresenta l'insidiosissima, sottile, estrema linea di confine fra la seduzione edonistica, il fascino sensuale e il kitsch? E non sembra oscillare, sacrilegamente, fra la suprema meditazione beethoveniana e l'intermezzo mascagnano, in una crudele contaminazione? Confesso che non saprei rispondere con sicurezza. Forse dovrei avere la capacità di dimenticare questa pagina, di cancellarla dalla mia memoria, per poterla ascoltare come se fosse la prima volta. Forse. O forse, invece, si tratta soltanto di quella musica della quale Nietzsche diceva, con significato negativo, che fa sudare. Meno difficile sciogliere i nodi dell'iiiterpretazione, anche se complicati dalla ambiguità della pagina: uno straordinario magistero compositivo, una grande semplicità tecnica, una perfida, calcolatissima graduazione psicologica, una forma perfetta per un contenuto così equivoco. I1 pensiero che Walter, proprio per sottrarsi al fascino delle ambiguità dell'Adagietto, abbia scelto di proposito una interpretazione secca, nuda, opposta a quanto esso rappresenta ed esprime, e quindi, quale decisione principale, una impostazione ritmica molto rapida, contrastante con la natura, il carattere della pagina (la durata di Walter è di 7'.39": un record di brevità) mi ha accompagnato per alcuni anni. A farmelo abbandonare definitivamente contribuirono, in particolare, due versioni: quella di Solti fra le più soste-


nute ritmicamente (9'.45"), eppure così intensa, meditata, pudica, con un severo, nobilissimo svolgimento melodico; e la versione Scherchen (quella della Rai) che, con la sua irreale lentezza (13') mi indicò quella che probabilmente era la via più giusta per l'interpretazione dell'Adagietto. E' una via che avrebbe seguito Maderna, ma più per il ritmo che per la concezione dinamica. Maderna accetta di Scherchen la esasperante lentezza, il misterioso stupore, ma alle sonorità filiformi, spettrali, del maestro tedesco, oppone il suo greve realismo fonico. Una via intermedia, quasi a raccogliere alcune delle maggiori precedenti esperienze, sembra quella scelta da Karajan, che pure sa trovare una sua originale linea interpretativa. All'inizio sembra tentato di mettere l'accento sull'edonismo fonico, sulla sensualità melodica, ma se ne ritrae in tempo. Ed anche senza cercare le vitree, filiformi sonorità di Scherchen, sa difendere il severo gusto formale dell'Adagietto, senza rinunciare alla incomparabile bellezza fonica (pagg. 1751176, batt. 1/22). Lo studio del finale dell'cldagietto mi era necessario, soprattutto per dimostrare, agli sdegnati e agli increduli, quanto lontano oggi Walter risulti da questo mondo, quanto estraneo egli appaia a questi momenti del musicista boemo. Sono le ultime 36 battute, per le quali Mahler ha lasciato indicazioni precise: Tempo I, Molto Adagio, Indugiando. Ancora più lento. E LValter, invece, accelera, si affretta verso la conclusione, senza esitare. Karajan mi pare che offra qui la misura massima della sua sensibilità, della sua acutezza, del suo magistero interpretativo. Le sonorità hanno la stessa magia di quelle della versione Scherchen, ma le superano in bellezza fonica, un fine questo mai perseguito dal direttore tedesco. Stupendo il fraseggio, infallibili gli indugi, le sospensioni, incantevole la trasparenza del tessuto orchestrale. Qui Karajan si pone innanzi a Scherchen per contendergli il primato interpretativo dell'Adagietto. Poi si riascolta Scherchen e si pensa che rimane isolato, irraggiungibile. L'immateriale sonorità, l'immobile panorama fonico, appena increspatu nel crescendo finale, hanno una dimensione sconosciuta, e si collocano fuori dalla realtà esistenziale, da ogni fisica del suono. I1 suo fraseggio è incorporeo,


H o suonato di nuovo la N o z a di Mahler. La prima frase è la cosa più splendida che Mahler abbia scritto. E' l'espressione di un amore inaudito per questa terra, del desiderio di vivere in pace e di poter godere fino in fondo la natura, in tutta la sua profondità, prima che giunga la morte. Perché essa arriverà inesorabilmente. L'intera frase è impostata sul presentimento della morte, che riemerge in continuazione. Ogni sogno terreno culmina in esso ( e da qui nascono quei passaggi che irrompono con impeto sempre nuovo dopo i passi più delicati) e con più forza naturalmente in quel passo incredibile dove il presentimento diviene certez~ae dove la morte si annuncia «con forza inaudita» nella più profonda e più dolorosa gioia di vivere. E poi il lugubre assolo del violino e della viola e le melodie cavalleresche: la morte nella corazza. Contro tutto ciò non c'è più resistenza! Ciò che segue ora sembra quasi rassegnazione. Sempre con il pensiero ali'« aldilà » che in quel passo <( misterioso (pagg. 44-45) appare come nell'aria sottile - al di sopra delle montagne - sì, proprio come in quello spazio (l'etere) dove l'aria si rarefà. E di nuovo, per l'ultima volta, Mahler si rivolge alla terra - non più alle lotte e alle gesta, che egli allontana da sé (come già - nel Canto della terra -, con i passaggi che percorrono mordenti verso il basso la scala cromatica) ma si rivolge ormai completamente alla natura. Vuole godere ancora, finché gli è possibile, tutti i tesori che la terra offre! Lontano da ogni contrarietà, nell'aria libera e sottile del Semmering, vuole costruirsi una casa per godere questa aria, la più pura di questa terra; con respiri sempre più profondi perché questo cuore, il più splendido, che mai abbia pulsato tra gli uomini, possa espandersi sempre di più, prima di dover cessare di battere.

Questa lettera, scritta da Alban Berg a sua moglie Helene Nahowski, è divenuta per i maggiori storici e critici di Mahler, il punto di riferimento obbligato per uno studio sulle caratteristiche drammatiche e musicali della Nona. Non meraviglia, per il prestigio dell'autore, per la chiarezza con la quale egli esprime il suo giudizio sul valore della Sinfonia,


anche se riferito, in particolare al primo movimento, e definisce il mondo poetico che essa esprime, meglio il tema dominante di questo mondo: il conflitto, divenuto oramai tragico, fra il desiderio di vivere e l'ossessivo pensiero della morte. Su questo tema, che non riguarda soltanto la Nona, e le due opere (Das Lied uon der Erde e l'Adagio della Decima) assieme alle quali, forma, secondo la celebre definizione di Redlich, la « trilogia della morte », ma tutta l'opera di Mahler, ci sono altre testimonianze, non meno importanti, e due certamente di più per il nome dei loro autori, anche se, forse meno conosciute. La prima è una lettera di Mahler a Bruno Walter, scritta all'inizio del 1909, quindi proprio nel periodo di composizione della Nona, e che io conosco soltanto nella versione francese pubblicata da Vignal: J'ai passé depuis dix-huit mois par des expériences telles que je peux à peine en parler. Comment oserais-je décrire une crise de ces dimensions? Je vois tout sous un autre jour ... J'ai, plus que jamais, soif d e vie... Je voudrais savoir si Lipinier a sur la mort les memes idées qu'il y a huit ans.. . C'est extraordinaire! Chaque fois que j'entends de la musique, ou que j'en dirige, je per~oisles répons les plus nettes à toutes mes questions. Ou plutot, je réalise que ces questions n'en sont pas ... D 2

Nella sua monografia su Mahler, Bruno Walter descrive un incontro con il Maestro, penso uno degli ultimi, non so quanto influenzato da questa lettera, che rimane, comunque, una delle più preziose testimonianze sull'ultimo periodo della vita e dell'arte di Mahler, quello appunto cui appartiene anche la Nona: I1 mistero della morte era sempre stato nella sua mente e nei suoi pensieri; ora esso era addirittura « visibile »; il suo mondo, la sua vita stavano sotto la minacciosa ombra di quella paurosa vicinanza. I1 tono della nostra conversazione era antisentimentale e realistico; dietro ad essa scorgevo però l'oscurità che aveva ricoperto il suo essere. << Sarò presto abituato ad essa », disse un giorno. Das Lied von der Erde e la Nona Sinfonia, composte entrambe dopo la grave malattia, sono una eloquente testimonianza del coraggio con il quale si impegnava e del successo che lo aveva coronato . . . 3

Infine, ma solo per adesso, Redlich, il quale riferendosi ad

una nota scritta da Mahler a margine di un passo del primo movimento della Nona (penso dell'originale) osserva: Un simile messaggio d'addio si trova in margine al quarto movimento della Decima Sinfonia: « Leb wohl, mein Saitenspiel » (C< Addio miei archi D), parole che potrebbero benissimo essere usate come motto per l'intera trilogia della morte rappresentata dalle tre ultime sinfonie.

Egualmente deciso e pressoché unanime (vi sono alcune isolate discordanze interne) il giudizio degli studiosi sul valore musicale della Nona. Anche in questo caso la valutazione di Berg sembra averli guidati. O forse quella di Schoenberg che, nel famoso, citato saggio su Mahler, colloca la Nona Sinfonia in una posizione diversa, persino isolata da tutte le altre che l'hanno preceduta: La Nona Sinfonia è la più singolare. I n essa l'autore non sembra più parlare in quanto individuo. Si direbbe quasi che quest'opera sia di un autore ignoto che si serve di Mahler come se fosse il .suo portavoce e interprete. Questa sinfonia non è concepita in chiave personale. È piuttosto fatta di un'obbiettiva, purificata bellezza ...

Non solo questo, ma tutti gli altri studi su Mahler conducono alla stessa conclusione: l'ultimo periodo dell'evoluzione artistica di Mahler, che si fa cominciare con Das Lied von der Erde, e comprende l'Adagio della Decima, vede al centro, vetta insuperata della fantasia mahleriana, la Nona Sinfonia. Si ripete e rafforza, così, erroneamente, il concetto evolutivo del divenire dell'arte di Mahler, e si ribadisce il criterio della suddivisione in periodi diversi, separati: dalla Prima alla Quarta, dalla Quinta all'ottava, da Das Lied von der Erde alla incompiuta Decima. Inutili, anzi pericolosi schemi, perché annullano la profonda unità interna del mondo mahleriano, le innumerevoli, sotterranee relazioni che legano tutte le sue opere, I'una all'altra, in un costante rettilineo moto ascensionale (sempre fatta eccezione per la parentesi dell'ottaua) che lo condurranno ai traguardi della Sesta e della Settima, preparazione di quelli raggiunti con la Nona, e agli ultimi, solo intuiti o intravvisti, della Decima. Bernstein, accogliendo la tesi di Walter che tutte le novità di Mahler affondano le loro radici nel passato, osserva:


Spesso mi domando cosa sarebbe accaduto se Mahler non fosse morto così giovane. Avrebbe egli ultimato la composizione di quella Decima sinfonia, più o meno nel senso suggerito dalle <( versioni » che ne sono state fatte? O l'avrebbe invece distrutta? Vi sare~bbero state in essa indicazioni del suo accingersi a varcare il colle e schierarsi a fianco di Schoenberg?

La sua risposta è negativa, anche se fatalistica: Mahler egli dice - non avrebbe potuto sopravvivere a una crisi che non conteneva alcuna soluzione per lui. Previsione ardua, persino temeraria, fondata più su di una suggestione, o una speranza personali, che sul ragionamento e sulla realtà. E questa realtà è rappresentata, soprattutto, dai Finali della Sesta, della Settima, e dal Rondo-Burleske della Nona, nei quali più chiaro risulta l'atteggiamento di Mahler verso i nuovi eventi del linguaggio musicale che lui stesso aveva contribuito a maturare: autentici modelli, specie l'ultimo, di un modo di concepire, di sentire l'arte dei suoni, diverso da quello ch'egli sino ad allora aveva seguito. Questo della graduale conquista di un linguaggio moderno è il tema critico che, l'ho detto fin dall'inizio, attraversa l'opera di Mahler in tutta la sua lunghezza, e rimane uno dei problemi fondamentali della storia dell'interpretazione di quest'opera, anche se, con la Sesta e la Settima assume un rilievo inedito, e con la Nona diventa addirittura determinante. Purtroppo, nonostante la soddisfacente varietà e ricchezza della scheda discografica della Nona (sedici edizioni dal 1938 al 1971) manca il direttore che solo, forse, avrebbe saputo e voluto dare una giusta completa interpretazione di questa Sinfonia nel senso da me indicato: Hermann Scherchen. È una mancanza che non può essere compensata neppure da grandi, protagonistiche presenze, quali quelle di Bernstein, Horenstein, Klemperer, Solti e Walter il quale ha lasciato due versioni, profondamente diverse, del '38 e del '61. E questo perché nessuno dei maestri ora indicati ha saputo, oppure voluto, osare di spingere lo sguardo tanto lontano fino a distinguere nitidamente le immagini da Mahler lasciate nella Nona. Situazione che diventa paradossale, se si pensa che la media del livello esecutivo della Nona è una delle più alte dell'intera discografia sinfonica di Mahler, quasi che la miste-

riosa grandezza dell'opera, il suo incontaminato, anche allusivo ed ermetico linguaggio strumentale, la inedita complessità degli elementi formali, avessero sollecitato da tutti gli interpreti, anche se in misura e con risultati diversi, un impegno, una consapevolezza, mai riscontrati prima. Sono questi inattesi risultati positivi che, al primo incontro, rendono delicato, persino arduo, il compito delle scelte e dei confronti per le analisi comparate. Poi si studia, si riflette, e le immagini delle differenze cominciano ad apparire più nitide e sostanziose, senza per questo che venga compromesso il livello medio qualitativo. Numerose versioni, se non subito o sempre, verranno eliminate (non direi sacrificate) per limitare lo studio a quelle protagonistiche di Bernstein, Klemperer, Solti, Walter (seconda edizione). Comunque, della qualità complessiva rilevante delle interpretazioni della Nona, anche nei passi più delicati dei due movimenti principali, e più difficili, numerose sono le prove, chiari gli esempi. Una conferma certamente l'abbiamo all'inizio del primo movimento, del quale Georges Gourdet scrive: Questo primo movimento, adattamento della fusione Rondo - Sonata - Lied - Variazione inizia con una introduzione di sei misure di economia preweberniana che contiene in embrione tutta la tematica del movimento sotto forma di cinque cellule che da sole ne costituiscono la tessitura. Tutte svolgono un ruolo importante. Ma una di esse che consiste in una seconda ascendente che in un primo e immediato rivolto si trasformerà in una seconda discendente divenendo l'inizio del primo tema e che in un secondo si trasformerà in nona, sarà presente in tutta l'opera sotto l'una o l'altra delle sue forme come un simbolo d'addio infinito di cui si potrebbe trovare il parallelo nell'instancabile ripetizione della parola « eternamente » nell'ultimo Lied del a Canto della terra D.

Delle quattordici versioni sulle sedici esistenti ch'io posseggo, per le sedici battute del primo movimento, ne ho studiate e messe confronto otto. Eppure i risultati non presentano differenze, neppure ritmiche, rilevanti. Sembrano tutte eguali. In realtà non è così. Le differenze, e numerose, esistono, ma non sono tali da modificare profondamente la fisionomia espressiva dell'episodio. Potrei sottolinearne alcune. Preferisco insistere sulla concorde qualità interpretativa. Le otto versioni sono quelle di Walter, Haitinlc, Bern-


dito esame. Non si discute qui la grandezza complessiva dell'Adagio; a confermarla basterebbero le ultime quaranta battute delle 185 che lo compongono. Le testimonianze a questo proposito non mancano. Esemplare, mi sembra, pur nel suo eccessivo gusto metaforico e nei suoi troppo numerosi ermetismi, la pagina di Adorno. Vale la pena di leggerne qualche passo: L'Adagio conclusivo esita a concludersi, come avverrà poi espressamente in quello della Lyrische Surte di Berg, che è un capolavoro incompiuto. Esso rimane peraltro formalmente a posto grazie al riferimento al primo tempo che, pur tendendo continuamente all'allegro, è anch'esso un tempo lento. 29

Messo così l'accento sulla modernità di concezione del movimento, Adorno conclude intravvedendone e indicandone il sentimento di disfatta, di rinuncia e di morte, che condurrà poi alla celebre conclusione della sua monografia, già citata. Egli scrive: Nel congedarsi la musica non riesce a liberarsi. E non perché voglia confermarsi e imporsi, ché il soggrtto non è in grado di sottrarre l'amore contemplativo da ciò che è irrecuperabile. I l lungo sguardo si appunta su tutto quanto è condannato.

Altri studiosi preferiscono giudizi più precisi e riferimenti tecnici più stretti. Gourdet osserva: Questo adagio unisce, concilia e armonizza generalmente le forme della Sonata, del Lied e della variazione. E uno dei maggiori capolavori di Mahler, una delle sue ispirazioni più pure. La non ortodossia della sua presenza come finale dell'opera si esplica fluidamente dopo lo sbrigliato movimento precedente. 31

Più sottile e acuto, Vigna1 osserva: L'adagio in re bemolle dal tono alquanto bruckneriano, pur alternando brani appassionati e passaggi senza espressione, si rivela come l'ampliamento della coda dell'andante La fine, pianissimo, molto lenta si perde lontano. 32

Tranne quel generico accenno al carattere bruckneriano, nessun dubbio, nessuna ombra, come si vede, sulla grandezza assoluta dell'Adagio, e non solo in queste analisi, ma in tutte le altre che io conosco. Corrisponde a questa unanime valutazione la realtà musi-


cale dell'Adagio? Non ne sarei altrettanto sicuro. Accanto a episodi che sono da includere fra i massimi raggiungimenti di Mahler, altri ve ne sono che incrinano, sino quasi a spezzarla, l'unità di questa beethoveniana meditazione sulla morte. Come è certo che le ultime 26 battute sono fra le più profonde, grandi e nobili parole di congedo che Mahler ci ha lasciato. Ma prima? Lo stesso tema principale, con cui si apre l'Adagio mi sembra, specie nelle prime due battute (proprio la << testa )> del tema) pur nel suo sincero e intenso lirismo, inferiore al sublime finale. Nel corso dello svi-

luppo, il tema si amplia e divaga. Non sempre; da un improvviso abbandono della candida enfasi bruckneriana, nasce, in contrapposizione, uno di quei notturni, siderei episodi caratteristici di Mahler. Dopo questa splendida << deviazione », l'Adagio riprende il suo corso. Avrà altre due grandi parentesi fino alla conclusione prima indicata, ma l'unità poetica della composizione è già compromessa. L'Adagio è tempestato di indicazioni ritmiche a indicare la ossessiva preoccupazione di Mahler per le sue esigenze interprative. All'inizio del movimento l'autore scrive: « Molto lento e ancora sostenuto »; subito alla terza battuta ripete << a tempo e, fra parentesi, << Molto adagio t>. È un invito all'indugio, alla accentuazione della lentezza del ritmo, dopo la prima frase, e ha una grande importanza. Walter si preoccupa più del rigore della forma, di una certa severità classica, che dell'intensità romantica del tema e delle varianti dinamiche richieste. Molto più sensibile a queste indicazioni e all'espansione melodica del tema, alla assaporata ampiezza del fraseggio Bernstein, mentre l'indugio ritmico risulta più

evidente. D'una grande nobiltà espressiva la versione di Klemperer. Attenua i rilievi dinamici, in un unitario rapporto, e raggiunge una bellezza di forme e una purezza meditativa inedite. Maderna ha un avvio più vigoroso e deciso, una scelta forse meditata per far risaltare meglio il contrasto con il suggestivo indugio seguente. D'altronde, questa di Maderna, è una delle migliori versioni dell'Adagio in assoluto e consegue risultati, come nell'episodio conclusivo, sino ad oggi insuperati (pagg. 166, batt. 1/12). Appena poche battute più avanti, lo sviluppo presenta uno dei magici episodi mahleriani. Sul la e sul sol diesis all'acuto dei violini, emerge un disegno del controfagotto e dei violoncelli che parte dal do grave; poi i violini si sciolgono in un canto di raffinata soavità e l'episodio prosegue in un dialogo di calcolatissima varietà.

La versione di Eaitink si preoccupa della chiarezza discorsiva, meno della sottile immagine poetica. È limpida, irreprensibile, ma il suo fascino è offuscato e si perde nelle note. Molto più intensa, pur nel severo gusto formale, la versione di Kubelik. I1 suono sottilissimo, irreale dei violi-


ni, la dolce, sussurrata cantilena del controfagotto, indicano una concezione profondamente poetica, anche se poi non è perseguita e mantenuta nella stessa misura, fino alla fine. Ma, forse, la più unitaria, equilibrata rimane la versione di Solti. La profonda meditazione poetica dell'inizio non conosce cedimenti e distrazioni. L'episodio si conclude con la stessa severa intensità delle prime battute, con la stessa bellezza di suono, lo stesso grande fraseggio (pagg. 1671168, batt. 281 48). L'episodio preso in esame dopo di questo, sono le famose 26 battute finali, ed esse significano anche il congedo dalla Nona Sinfonia, e l'approssimarsi, con l'Adagio della Decima, della conclusiòne di questa mia storia. Sono soltanto 26 battute, pure quando ho cominciato a studiare le diverse versioni, mi sono trovato davanti a difficoltà, a problemi, non solo grandi, ma addirittura incomprensibili. Come spiegare, per esempio, la assurda fretta di Walter, nella prima versione (2'15")? E come giustificare la mancanza di tensione espressiva, di profonda riflessione in un interprete del valore di Horenstein? Dove cercare, infine, le ragioni, le cause, di una riuscita solo parziale, discutibile, in mahleriani della grandezza di Bernstein e di Solti? Francamente non lo so. Nella possibilità di fraintendimenti tecnici non mi pare. 01tre all'inconfondibile carattere di questo funebre commiato, le indicazioni di Mahler sono numerose e precise. All'inizio scrive Adagissimo. Poi Lento e pianissimo (lo indica con tre p p p ) sino alla fine. Insiste sul carattere espressivo e scrive Con intimo sentimento, morendo. Sulle ultime battute scrive Ausserst langsam (estremamente lento, o il massimo della lentezza) e sotto i primi violini scrive quattro p, mentre per l'ultimo accordo aggiunge ersterbend (morendo). E allora? Ripeto: non so. Queste le indicazioni principali, traducibili in parole. Quello che non si può scrivere è la dolorosa intensità del suono, il carattere di composta, dignitosa invocazione, di disperato lamento, di nobilissima preghiera che formano la fisionomia dell'episodio. Dopo un attento, ripetuto ascolto di tutte le versioni discografiche, e delle tre della Rai, sono giunto a conclusioni che hanno stupito me stesso. Esclusi vengono non solo i

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consueti interpreti, ma anche tutti i grandi, fatta eccezione per Walter (I1 edizione) e per Klemperer. Accanto ad essi ho dovuto e potuto mettere, soltanto, per le ragiani che dirò, Maazel e Maderna. Walter, nonostante la inopportuna sostenutezza ritmica (non quella inaccettabile della prima versione), giunge, con la casta bellezza del suono, con la severità del fraseggio, la eleganza del legato, lo straordinario equilibrio fra le varie parti, a risultati, strumentalmente e musicalmente, rilevanti. Ma in questo episodio ci sono altri e più grandi valori che chiedono di essere messi in evidenza. C'è l'altissima spiritualità del commiato, l'immensa tristezza dell'abbandono, la desolata attesa della marte. Sono gli aspetti che cominciano a configurarsi con maggiore chiarezza e più sicuro rilievo nella grande versione di Klemperer. Tecnicamente, le significative pause, lo straordinario legato, la struggente pzcatezza del fraseggio, sono gli aspetti più rilevanti di una interpretazione persino rasserenante nella sua luttuosa consapevolezza. La versione di Maazel (Rai, 1963) non ha il severa equilibrio di quella di Klemperer. All'inizio, pur presentando pregi indiscussi di sonorità, di fraseggio, non fa prevedere gli esiti delle ultime battute, di una bellezza attonita e dolorosa. Ma la versione di Maderna, come ho già detto, rimane insuperata. La movt en pevsonne, ha scritto Alban Berg. E Walter racconta che il mistero della morte era diventato visibile sul volto di Mahler. Orbene, questa immagine, questa presenza, si avvertono soltanto, almeno in una forma così sensibile, nella versione di Maderna, che con il solo Adagio, e più con le ultime 26 battute, si pone fra gli interpreti protagonisti di Mahler. Dico sensibile e devo dire, nel medesimo tempo, irreale, a tal punto la materia sonora appare distrutta, decantata, sciolta nell'espressione di questo grande, luttuoso commiato, di questo ~ b s c h i e d .~ u t t oè silénzio e stupore in questa versione e i suoni hanno il timbro e la lentezza, vorrei dire l'odore, della morte (pagg. 182, batt. 1591185). Mai conclusione mi è parsa più difficile di questa per la Nona Sinfonia. Non so neppure se sia necessaria. Pur sapendo quanti aspetti sono rimasti fuori, nel mio studio, di

questa grande partitura, spero di essl-re riuscito a dare una immagine abbastanza compiuta e fedele di questo capolavoro, definito anche la grande compiuta incompiuta. È certo che avrebbe contribuito in misura dererminante, alla maturazione, purtroppo solo immaginata e pensata, della vera Incompiuta di Mahler, la Decima Sinfonia, di cui ci è rimasto, in termini sufficientemente completi, il solo Adagio: le ultime, frammentarie eppure così comprensibili e compiute, parole dette e lasciateci da Mahler: l'immagine fedele di quei misteriosi <( intermundia » di cui parla un grande latinista e grecista quale Cetrangolo a proposito di Lucrezio e che il musicista alla fine della sua vita, certamente deve avere immaginati, come una realtà della sua fantasia.


Decima Sinfonia o, per essere subito più precisi, l'Adagio, il solo movimento dei cinque di cui doveva essere formata, che ci sia giunto in uno stato di compiutezza sufficiente pei poter parlare di opera autentica e non apocrifa di Mahler, e sul quale è possibile esprimere un giudizio. Questa sembra essere la prima e più importante delle poche notizie certe, nella storia del progetto della Decima,disseminata di notizie vaghe e contraddittorie. Un altro dato sicuro è la pubblicazione, in fac-simile, di tutto il materiale esistente della Sinfonia, avvenuta nel 1924. Fuori di queste due fandamentali notizie, e di qualche altra rneno importante, le ipotesi, le indicazioni, più diverse o contrastanti. Per esempio, a Vienna nel 1924 (il 14 ottobre precisano alcune fonti) ci fu l'esecuzione di una parte della Sinfonia (sotto la direzione di Franz Schalk, precisa Deryck Cooke). Quale? Hanspeter Krellmann scrive: Solo l'Adagio iniziale fu sufficientemente elaborato affinché Alban Berg ed Ernst Krenek potessero, nell'ottobre del 1924 farne la prima esecuzione a Vienna. Bruno Walter si oppose sempre all'esecuzione di questo Adagio. l

Deryck Cooke, invece, scrive: Nel 1924 la vedova di Mahler chiese ad Ernst Krenek di esaminare il manoscritto e questi ne fece una elaborazione per l'esecuzione del primo movimento. Qualcun altro iece lo stesso col breve terzo movimento e queste due partiture (più qualche ritocco di rinforzo aggiunto dal direttore d'orchestra) furono eseguite per la prima volta quell'anno a Vienna da Franz Schalk e pubblicate nel 1951.

Segue la lunga, abile, quanto inutile difesa (inutile, nono-


stante le due lettere di approvazione della vedova e della iiglia di Mahler al lavoro compiuto da Cooke, che la accompagnano) dell'opera di ricostruzione della Decima Sinfonia. La prima conferma della assurdità di un simile progetto viene dalla musica stessa: Adagio a parte, gli altri movimenti di questa falsa ricostruzione hanno poco o nulla a che vedere con Mahler. Un'altra conferma, questa indiretta, ma non meno importante, si ha nel rifiuto di alcuni musicisti che conobbero e amarono profondamente Mahler e la sua musica, opposto al tentativo di una simile operazione. Lo ricorda Erwin Ratz: Arnold Schoenberg, Alban Berg, Anton Webern e Ernst Krenek hanno conosciuto molto bene questi schizzi e durante tutta la loro vita si sono rifiutati di considerare tale possibilità. Ciò che è scritto su questi fogli era comprensibile solo per Mahler, e neppure ad un genio sarebbe stato possibile di indovinare, da questo stadio, qualche cosa che potesse avvicinarsi alla stesura definitiva.

Con tutta probabilità, è stata questa profonda analogia a suggerire ad un revisore la trascrizione per soli archi deil'Adagio di Mahler e ad Hans Standlmair di inciderlo su disco assieme alle Metamorfosi di Strauss. Altri studiosi preferiscono analizzare l'Adagio in entrambi gli aspetti: poetico e storico. Redlich scrive: L'Adagio inizia con un lungo a solo di viola, senza accompagnamento, che più avanti ritroviamo cell'episodio contrastante: la trasformazione di quell'a solo di viola nel secondo tema ritmato pieno di malinconica grazia, assieme al terrificante urlo solitario della tromba acuta nell'episodio dell'« Inferno », in la bem. min., ci fa immaginare quello che Mahler sarebbe riuscito a fare di quest'opera se gli fosse stato concesso qualche altro anno di vita per portarla a termine. Comunque, qui più che in altre opere, egli anticipa il linguaggio musicale del primo Alban Berg, i cui Tre Pezzi per Orchestra op. 6 e l'interludio finale del terzo atto del Wozzeck sembrano previsti in più d'un passaggio di questo Adagio, composto meno di un anno prima della morte di Mahler. t.

Tutte le altre questioni relative al progetto della Decima Sinfonia - filologiche, storiche, biografiche - esulano dai. compiti e dallo scopo di questo studio. Rimane l'Adagio. Si è soliti parlare, in questi casi, di << messaggio D. Ratz, pur così contrario, nella sua severità di musicologo, alla facile letteratura, parla di << testamento D. Se e fino a che punto 1'Adagio sia da accogliere e da ascoltare con questo spirito, e quale interpretazione dargli, è l'ultimo interrogativo ch: Mahler ha voluto lasciare ai suoi studiosi. Due mi sembrano le interpretazioni critiche possibili: la poetica e la storica. Gli aspetti possono coincidere o confluire in uno stesso giudizio. Duse preferisce la prima, e scrive: L'Adagio della Decima non è già più musica, almeno nel senso che siamo abituati a dare a questa parola. Poiché la parola non è pura, occorre l'aggettivazione del sostantivo, altrimenti si genera l'equivoco; e nella Decima si cerca di trasmettere con suoni alla nostra sensibiilti il regno del silenzio.

Bella immagine ma criticamente poco rilevante. Più concreta diventa l'indagine nella scelta dei riferimenti storici: I1 destino dell'Adagio della Decima è condiviso, sull'altro versante, da Metamorphosen: capolavori sentiti e realizzati alle soglie della morte.

E Krellmann, proprio parlando del lungo recitativo melodico delle viole, il cuore di tutto l'Adagio, e con il quale ha inizio, fa questa acuta osservazione: Con sei diesis in chiave, questa introduzione presenta tali fluttuazioni modali e tonali che si può accogliere senz'altro l'idea secondo la quale la Decima Sinfonia sarebbe stata una delle partiture più progredite del compositore. Come scrive l'Adorno la tonalità è così <( distesa » che non vi sono più possibilità per il futuro compositore: ricercare una


forma d i espressione musicale che non tenga alcun conto delle leggi di questa stessa tonalità.

Questo Adagio è la sola opera di Mahler che consente di conoscere una interpretazione sinfonica di Boulez (tutte le altre sono registrate su nastri non in vendita), indicato quale l'erede, insieme, di Walter e di Scherchen, comunque il più moderno, attuale e nuovo degli interpreti mahleriani contemporanei. Forse avrebbe potuto esserla. Non gli mancano certo intelligenza, sensibilità, cultura. Ma, lo ripeto c confermo, il mondo di Mahler gli è rimasto sostanzialmente estraneo, ed in questa estraneità si deve cercare la causa della assenza, nelle sue interpretazioni, compresa questa dell'Adagio, delle due componenti mahleriane che più invece, ci si aspettava da lui di vedere messe nel massimo rilievo: la modernità anticipatrice del linguaggio, e un suono tutto intriso di dolorosa tensione, di contenuta forza drammatica, di esasperata, persino crudele lucidità espressiva. Non è così. Anc1:e nell'episodio iniziale dell'Adagio, che ho studiato per la mia analisi comparata, dal recitativo delle viole all'ampia espansione melodica che segue, l'accento cade su di un arido razionalismo e un intellettuale controllo del canto, del fraseggio, quasi Boulez volesse sfuggire ad ogni tentazione sentimentale. Di qui, penso, la inopportuna rapidità impressa a t ~ i t t ol'Adagio (21'.28", contro i 28'.42" di Scherchen). Alla estremità opposta di Boulez, e non solo per il diverso carattere ritmico, ma per la concezione poetica tutta rivolta a! passato, ad una nostalgia ottocentesca, romantica, si colloca la versione di Rozhdestvensky. Non manca di un suo fascino, specie nel lento, meditato recitativo delle viole, ma alla fine tradisce i suoi limiti che si possono individuare, soprattutto nella assenza di modernità delle soluzioni timbriche e armoniche. Scherchen, con la versione di questo Adagio ci ha lasciato un'altra delle sue grandi testimonianze di interprete mahleriano. Ed è assurdo che non si sia ancora provveduto alla ristampa di questa, come di tutte le sue altre versioni mahleriane (sola eccezione la Seconda Sinfonia) preziosi, insostituibili documenti della storia dell'interpretazione di Mahler. L'edizione di cui parlo è del 1952, e la capia in mio possesso è piena di difetti. Tutto ciò non mi ha impedito

di studiare e capire il valore e la grandezza di questa interpretazione. Scherchen procede nella sua analisi con spietato eppure appassionato rigore. La affascinante freddezza dei timbri, la spasmodica tensione del suono, lo scarno spessore fonico, sono pregi che si riscontrano, almeno in questa misura, soltanto nella interpretazione di Scherchen (pagg. 114, batt. 1/39). Sulle caratteristiche di questo Adagio, Vigna1 ha scritto parole degne di essere conosciute e meditate: Malinconia, passione, distacco: in questa musica al confine del silenzio regna soprattutto una profonda tristezza. Oltre la vita e la morte. Perché il culmine del dramma, breve ma di una intensità e di una lucidità a mala pena sopportabili è visione del mondo non come è ma in una prospettiva cosmica.

E per quanto riguarda le anticipazioni contenute nel17Adagio, egli rileva: La musica dell'avvenire, quella di Schonberg e d'Alban Berg, soprattutto, è nell'adagio, evocata in ogni momento.

Credo che l'episodio che più e meglio rappresenta questo aspetto sia quello che vede al centro una serie di accordi, tutti in fortissimo, che si succedono, uno dopo l'altro, ad incastro, quasi fossero uno dentro l'altro, con una tensione che raggiunge il culmine nella nota tenuta della tromba che, per due volte, viene isolata ed emerge dall'orchestra con un effetto fortemente drammatico. Alle estremità, quasi per mettere nel maggior risalto possibile la parte centrale, una introduzione e una risoluzione pacate, liricissime. Di questo episodio ho studiato in particolare tre versioni. Boulez espone il recitativo dei violini con sottile trasparenza ma, dei grandi accordi, non sa cogliere ed esprimere la forte tensione armonica e timbrica. L'appassionato motivo danzante, vagamente raveliano, dei violini e dei legni, viene quasi sfuggito, mentre il trillo dei flauti non emerge con il necessario rilievo. Più lento Haitink che si esprime con insolito vigore, specie nei grandi accordi appoggiati al disegno dell'arpa, ma è un vigore che tende troppo alla parte grave della tessitura orchestrale, e l'espressione finisce col risultare opaca, pesante. Con Scherchen la impressionante modernità, la luminosa Sehtzsucht mahleriana di queste pa-


gine, emergono in tutta la loro bellezza. I1 recitativo dei violini è colmo di struggente nostalgia; gli accordi sembrano lacerare il tessuto armonico tradizionale; il motivo dei violin; assume, nella stupenda distensione ritmica, e nel grande rilievo dinamico, il giusto ruolo protagonistico; infine il trillo dei flauti si ode distintamente (pagg. 32/38, batt. 1841216). Musicisti, storici, interpreti, musicologi, si sono chiesti, in modi e forme diversi, quale significato si sarebbe potuto dare a questo << testamento D (per usare la stessa definizione di Ratz) se Mahler avesse potuto completarlo. Francamente mi sembra una domanda oziosa, o posta male. I1 testamento che Mahler ci ha lasciato, e più giusto sarebbe parlare di eredità, è racchiuso in tutta la sua opera, Adagio della Decima compreso, e il suo significato è scritto a chiare lettere nel cammiiio che il compositore ha percorso dalla Prima sinfonia agli abbozzi della Decima. Pure, una ipotesi, e forse non soltanto una ipotesi, è stata fatta, e molto suggestiva, da Deryck Cooke, e sia pure a giustificazione del lavoro da lui compiuto per far conoscere l'ultima opera di Mahler nella sua presunta interezza. Sembra ancor più necessario dedicarsi a questo lavoro per il fatto che con la Nona Sinfonia l'opera intera di Mahler sembra essersi compiuta nel dolore dell'awicinarsi della morte, mentre la Decima, al contrario, mostra una rinnovata fiducia nella vita e una quieta accettazione della fine. lo

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Difficile dire se questa sia soltanto una ipotesi suggestiva o una realti che le ultime note di Mahler riflettono. Mi sembra certo, tuttavia, che per il finale dell'Adagio della Decima, non si potrebbe usare la stessa immagine suggerita dalla frase scritta da Alban Berg a proposito della Nona: << La mort en personne ». Devo aggiungere solo che anche le ultime battute dell'Adagio della Decima mi pare mettano l'accento più sulla calma accettazione della fine che sulla rinnovata fiducia nella vita. Episodio, comunque, di una grandezza estrema, autentica bacl~iana e becthoveniana meditazione sulla morte, di una sapienza in cui ogni residuo problema tecnico viene annullato e che possiede la << incompiuta compiutezza D delle parole estreme.


Boulez, coerente con la sua poetica interpretativa mahleriana, almeno come risulta in questo Adagio, sembra preoccupato, soprattutto, di reprimere ogni abbandono, di contenere ogni moto dell'animo, fedele alla sua arida coerenza intellettuale. Come se non fosse possibile, nel medesimo tempo, il più netto rifiuto di ogni rettorico eccesso sentimentale e la massima, più severa intensità espressiva. È quello che molte volte ha splendidamente esemplificato Scherchen, nelle sue interpretazioni mahleriane, e in questo finale della Decima, dove la più lucida, dolorosa delle analisi viene immersa nel più severo rigore formale, e l'intensità dell'espressione tanto più diventa grande e suggestiva quanto più è guidata dalla più nobile, intellettuale riflessione (pagg. 401 44, batt. 2381275).

Note al dodicesimo capitolo

1 H. Krellmann, Note allJAdagio della Decima sinfonia, direttore B Haitink, Edizione Philips.

2

D. Cooke, Note alla X sinfonia, direttore W . Morris, Edizione Philips.

E. Ratz, Partitura Adagio della X sinfonia, Introduzione, Edizione Universal. 3

4

U. Duse, op. cit.

5

Ibidem.

6

H. F. Redlich, op. cit.

7

H . Krellmann, op. cit.

8

M. Vignal, op. cit.

9

Ibidem.

10

D. Cooke, op. cit.

Mahler nella parola viva del compositore, a cura di U. Duse, L'Approdo musicale, cit. 11


Arrivato alla fine di questo studio mi accorgo che gli interrogativi rimasti senza risposta, i dubbi non dissipati, fanno ressa. Non è, almeno per me, una sorpresa. Ho capito fin dall'inizio che aver voluto fissare lo sguardo contemporaneamente bene dentro nel mondo poetico di Mahler e nei problemi dell'interpretazione della sua opera, mi avrebbe lasciato in eredità una serie di quesiti, di interrogativi, dei quali prima non sospettavo neppure la esistenza. Ci sono, tuttavia, almeno per me, voglio dire per la mia esperienza, alcuni importanti punti fermi, alcuni aspetti positivi. I1 primo e fondamentale ritengo sia questo: proprio attraverso il duplice lavoro di indagine compiuto, artistico e interpretativo, ho potuto penetrare, in profondità, nel mondo poetico di Mahler, capirne davvero il significato e la grandezza, conoscerne la storia, i1 farsi, il divenire: avventura dello spirito fra le più grandi, drammatiche, affascinanti vissute fra il XIX e il XX secolo. Sul secondo, importante aspetto, e scopo principale di questo studio, non posso dare una risposta altrettanto sicura. Se e in quale misura io sia riuscito nel duplice intento di ricostruire la storia del mondo poetico di Mahler, quale risulta dalle sue Sinfonie, e la storia dell'interpretazione di ciascuna di esse, non so con esattezza e, comunque, non spetta a me di valutare. Mi auguro che la mia fatica, il mio sforzo, insomma questo lavoro, siano riusciti a dare un contributo almeno alla conoscenza dell'opera di Mahler e alla storia vera della sua interpretazione. Rimane l'interrogativo su di un momento di questo secondo aspetto. È stato svolto in termini soddisfacenti? La rispo-


sta credo dipenda dal punto di vista dal quale il discofilo valuta questa parte del mio lavoro. Se egli si attendeva da me indicazioni precise, scelte sicure, è rimasto di certo insaddisfatto; se, invece, pensava ad un panorama, il più ampio possibile, dei molti, grandi problemi che la storia dell'interpretazione mahleriana presenta, ebbene credo di non averlo deluso. D'altronde, altra soluzione non c'era. Seguire la via delle indicazioni univoche, delle scelte esclusive, anche se tanto più facile, sarebbe equivalso a deformare, a semplificare, artificiosamente, la realtà tanto complessa, problematica, contraddittoria, frammentaria, della storia dell'interpretazione mahleriana. Per queste ragioni, ho ritenuto e ritengo estremamente ardua una scelta anche solo indicativa, della migliore versione di ciascuna Sinfonia; ardua perché, come ho già detto, nessuna di esse, da sola, può offrirci l'immagine compiuta di quella Sinfonia. Ed è per questa ragione che non vorrei mai trovarmi nella condizione di essere costretto ad una scelta, ciò che equivarrebbe alla rinuncia di una parte del mondo poetico di Mahler. Ad equilibrare questa amara, restrittiva realtà, e a rendere possibile una scelta, sia pure di compromesso, qualora, come di certo accadrà al discofilo mahleriano, uno vi sia costretto, c'è un'altra realtà che non contraddice la precedente ma che !e è, direi, complementare, ed è questa; fra le molte versioni di ciascuna delle Sinfonie di Mahler, ce n'è sempre una che contiene una parte maggiore del mondo poetico che appartiene a quella Sinfonia. Ed in questo senso, in questa direzione, con questi limiti, una scelta sempre di valore relativo si rende possibile. H o già detto che solo oggi siamo in condizioni di scorgere, nella sua interezza e nei suoi molteplici, profondi significati, il lungo, coraggioso, tormentato cammino compiuto da Mahler: dalla Vienna di Schubert alla Vienna di Schoenberg. Ed anche che solo oggi, con questa precisa prospettiva storica, un grande direttore e un grande interprete di Mahler potrebbe realizzare un omnia delle Sinfonie che riflettesse fedelmente questo cammino percorso da Mahler, come ha scritto Bernstein << con il cuore immerso nel passato e lo sguardo proiettato nel futuro ».

Tutto ciò premesso e, ripeto, tenendo bene presenti le limitazioni, le rinunce che siffatte scelte comportano, dico che se vi fossi costretto, sceglierei le seguenti versioni: la Prima di Scherchen, la Seconda di Bernstein (I11 edizione), la Terza di Horenstein, la Quarta di Kletzki, la Quinta di Karajan, la Sesta di Solti, la Settima di Klemperer, l'Ottava di Kubelik, la Nona di Walter, la Decima (solo l'Adagio) di Scherchen. La introduzione di questo studio prendeva l'avvio da una frase attribuita a Mahler <( I1 mio tempo verrà D, alla quale parve voler rispondere, oltre mezzo secolo dopo, Leonard Bernstein con il titolo scelto per un suo articolo più volte citato: << I1 suo tempo è venuto ». Mahler l'inattuale sarebbe, dunque, divenuto attuale? Oggi sono ancora qui a chiedermelo e non so risolvermi a darmi una risposta. Nel 1896 Mahler scriveva a Richard Batka: Vedrai: non arriverò a vedere da vivo la mia causa vittoriosa. Troppo strano e troppo nuovo è ciò che scrivo per gli ascoltatori, che non trovano modo di giungere a me. Ciò che ho fatto quanto studiavo, quando mi rifacevo ad altri, sono cose che sono andate perdute, o w e ro non sono mai state eseguite; e ciò che è venuto dopo, cominciando da Das Klagende Lied, è già tanto mahleriano, cosi nettamente impostato alla mia maniera, che è impossibile evitare la frattura. Gli uomini non hanno ancora accettato il mio linguaggio. Non si fanno un'idea di quel che dico e che intendo dire; pare loro insensato e incompre~sibile. A ma!a pena capiscono ciò che voglio i musicisti chiamati ad eseguire la mia musica. l1

Da questa lettera sono trascorsi ottant'anni ed anche se il tempo non è ancora venuto, è certo che siamo molto lontani da quella condizione e da117isolamento in cui l'opera di Mahler è vissuta per i decenni successivi, fino all'inizio della cauta, ma graduale, sicura diffusione e affermazione odierna. Pure, sono convinto, anche alla luce di questa mia personale esperienza, che il molto cammino sin qui percorso sia soltanto la necessaria premessa per completare la parte più difficile che ancora il mondo musicale ha innanzi a sé per arrivare al cuore dell'opera di Mahler. << Le mie opere - disse una volta Mahler - sono degli avvenimenti anticipati D. Questo futuro, lo sappiamo, oggi si è trasformato in passato, di valore storico, ma non siamo stati ancora capaci di farlo diventare una parte del nostro presente.


Una compiuta, rigorosa analisi dell'opera di Gustav Mahler attraverso tutte le Sinfonie; uno studio del sofferto, drammatico itinerario - tecnico, stilistico, poetico seguito dal compositore boemo: dalla Vienna di Schubert alla Vienna di Schoenberg. La prima storia integrale dell'interpretazione mahleriana, fedelmente ricostruita su circa 200 edizioni disco. grafiche'e decine di registrazioni inedite su nastro. Mez:' zo secolo di incisioni (1926-1976) preso in esame con il pii1 attento scrupolo filologico, la più viva attenzione ai valori poetici, la massima severità di giudizio. Una galleria di ritratti o di schizzi critici di tutti i direttori interpreti delle Sinfonie di Mahler: da Bruno Walter a Zubin Mehta, da Willem Mengelberg a Claudio Abbado, da Hermann Scherchen a James Levine, da Otto Klemperer a Herbert von Karajan, da Georg Solti a Bruno Maderna, da Jascha Horenstein a Leonard Bernstein, da Dimitri Mitropoulos a Pierre Boulez, da Vaclav Neumann a Rafael Kubelik, da John Barbirolli a Bernard Haitink, l'esame critico più comparato mai apparso sulla interpretazione delle Sinfonie di Mahler. Oltre cento esempi musicali, tutta la discografia sinfonica (dalla prima incisione del 1926 a quelle del 1976) completano quest'opera unica nel suo genere, la guida più esauriente per chi voglia addentrarsi nel mondo poetico e nei problemi interpretativi dell'artista che, con Franz Kafka, prima e più di tutti, seppe presagire ed esprimere in termini d'arte la tragedia dell'uomo moderno. ,

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