Programmare per competenze Lerida Cisotto In E. Felisatti, a cura di, Programmare e valutare. Quaderno di didattica, Padova, CLEUP, 2005 1 . Il concetto di competenza Il concetto di competenza inizia ad essere esplorato intorno agli anni settanta attraverso gli studi di Newell e Simon 1 sul problem solving, e subisce poi, di necessità, l’influenza delle diverse teorie dell’apprendimento. Tra gli anni ottanta e novanta, lo studio della prestazione esperta ha rappresentato uno dei settori privilegiati dell’indagine cognitiva e metacognitiva, nell’ambito della quale l’expertise è definita come un insieme di abilità sviluppate in un determinato ambito di conoscenza, attraverso una lunga pratica nei compiti tipici di quel settore. Tale pratica è accompagnata, in genere, da un uso duttile di strategie e da alti livelli motivazionali 2 . Gli esiti della ricerca di quel periodo si possono riassumere nei punti seguenti: gli esperti sviluppano rappresentazioni articolate di un problema, ne elaborano visioni di insieme e impiegano del tempo per inquadrarlo in uno schema risolutivo più generale. Essi sanno adattare le strategie alle situazioni, esercitano un controllo costante sulla propria attività e le loro conoscenze risultano ben organizzate in schemi di azione a carattere gerarchico, cosicché le loro procedure sono caratterizzate da rapidità e precisione. Gli inesperti, invece, si lasciano attrarre dagli aspetti vistosi e dai dettagli del problema e, pur possedendo gli elementi necessari alla sua risoluzione, non ne hanno una rappresentazione organizzata, né sono in grado di generalizzarli e di trasferirli. Nella ricerca delle soluzioni, essi vengono assorbiti presto da operazioni esecutive, tendono ad applicare rigidamente una strategia in base alla regola ingenua del “tutto o niente” e non avvertono l’esigenza di monitorare lo svolgimento del processo in corso 3 . In breve, nella prospettiva degli studi sulla cognizione e la metacognizione diventare esperti non vuol dire solo disporre di conoscenza altamente specializzata e di procedure algoritmiche, ma significa anche saperle usare in modo flessibile, imparare a osservare, controllare, valutare e correggere la propria prestazione, a valutare realisticamente possibilità e limiti e a cercare gli aiuti di cui si ha bisogno per funzionare meglio. La concezione più recente di competenza, affermatasi a partire dagli ani novanta, risente degli influssi dell’approccio socio-culturale, per il quale l’expertise è dipendente solo in parte da processi e strategie personali, mentre risulta centrale il sistema interpersonale di attività in cui l’individuo è coinvolto, sistema che influenza la comprensione delle situazioni nuove e la ricerca di strategie 4 . Quando l’individuo è impegnato in un compito complesso, ad esempio, la redazione di un giornale, azioni e processi cognitivi individuali incorporano le relazioni con gli altri (il reporter, lo scrittore) e sono mediate da strumenti (computer, fogli) a cui la mente si appoggia dislocandovi parte del proprio sovraccarico. In tale prospettiva, la competenza emerge come il risultato complesso dell’orchestrazione tra conoscenze dichiarative, procedurali e condizionali, filtrate dall’irregolarità delle situazioni e modellate sulle particolarità dei contesti. In quanto frutto di aggiustamenti contingenti, essa si può definire 1
A.Newell e H.A. Simon, 1976, Human problem solving, Prentice-Hall, Englewood Cliffs J.G. Borkowski e N. Muthukrishna, 1996, Il contesto di apprendimento e la generalizzazione delle strategie: come il contesto può favorire i processi di autoregolazione e le credenze relative alla propria competenza. In R. Vianello e C.Cornoldi (a cura di). Metacognizione, disturbi di apprendimento e handicap, Bergamo, Edizioni Junior, p. 36-56. Una descrizione articolata degli studi sulle caratteristiche della prestazione esperta e di quella inesperta si trova in R. De Beni e A. Moè, , 2000, Motivazione e apprendimento, Bologna, Il Mulino. 3 K.A. Ericsson e J. Smith, (a cura di), 1991, Toward a general theory of expertise, Cambridge University Press. 4 R. Glaser, 1992, Expert knowledge and process of thinking, in D.F. Halpern (a cura di), Enhancing thinking skill in the sciences and mathematics, Erlbaum Hillsdale-Hove e Londra 2
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come sintonizzazione adattiva dei saperi alle situazioni 5 . A differenza della prevalente accezione funzionalista/esperienziale che pone l’accento sulla destrezza tecnica e l’aspetto routinario, la definizione dà rilievo alla dimensione “creativa” della competenza. Imparare a funzionare in sintonia richiede, infatti, una serie di processi di invenzione che vanno oltre l’applicazione diligente di conoscenze e procedure determinate in anticipo. Tali processi consistono in un insieme di capacità che hanno come denominatore comune la sensibilità ai contesti e l’attitudine a trasformare le conoscenze in decisioni e pratiche di azione, attraverso interpretazioni “sfumate” delle conoscenze e la ricerca di soluzioni studiate come risposte “su misura” 6 . Sono questi tratti a conferire all’esperto il tipico approccio caratterizzato da precisione e rapidità di risposta, ma anche da prontezza nel cogliere le situazioni e nel rispondervi a tono. I curricoli scolastici sono attualmente influenzati dall’accezione socio-culturale di competenza e l’accoglienza che tale concezione ha trovato in ambito educativo si deve alle complesse trasformazioni in atto nei contesti sociali e professionali, che non consentono usi replicativi dell’istruzione, né l’adozione di abilità generali che fungono da “passpartout” per una molteplicità di situazioni. La complessità comporta forme di expertise di tipo adattivo dove non conta solo la disponibilità di conoscenza dichiarativa e procedurale, ma anche la flessibilità con cui vi si accede, l’attivazione di strategie di autoregolazione e l’impegno a sostenere un orientamento motivazionale positivo verso l’apprendimento. La concezione di competenza come sapere complesso e integrato è adottata anche dalla recente Legge di Riforma dell’istruzione 7 . Nel Profilo Educativo Culturale e Professionale, il documento che definisce le competenze essenziali che uno studente dovrebbe acquisire nel corso del ciclo primario, si legge: “Il ragazzo è riconosciuto competente quando, facendo ricorso a tutte le capacità di cui dispone, utilizza le conoscenze e abilità apprese per: - esprimere un personale modo di essere e proporlo agli altri - interagire con l’ambiente naturale e sociale che lo circonda e influenzarlo positivamente; - risolvere i problemi che di volta in volta incontra; - riflettere su se stesso e gestire il proprio processo di crescita, anche chiedendo aiuto, quando occorre; - comprendere, per il loro valore, la complessità dei sistemi simbolici e culturali; - maturare il senso del bello - conferire senso alla vita”. Questi traguardi possono ritenersi raggiunti “se le conoscenze disciplinari e interdisciplinari (il sapere) e le abilità operative (il fare) apprese ed esercitate nel sistema formale (la scuola), non formale (le altre istituzioni formative) e informale (la vita sociale nel suo complesso) sono diventate competenze personali di ciascuno”. 2 Competenze e prestazioni Nelle applicazioni degli studi sulla competenza in ambito didattico ricorre la distinzione tra il concetto di competenza e quello di prestazione. Laddove il primo rimanda all’insieme di abilità 5
Un contributo importante al concetto di competenza secondo la prospettiva socio-culturale è stato offerto da una serie di studi di L.B. Resnick,1989, Knowing and Learning. Issues for a cognitive science of instruction, Hillsdale, Erlbaum; L.B. Resnick, 1994, Razionalismo situato. Preparazione biologica e sociale all’apprendimento, in L.Sempio e A.Marchetti, a cura di, Il pensiero dell’altro, Franco Angeli, Milano, 1995, pp. 73-95. ,L.B. Resnick e J.D. Wirt,1996, Linking school and work, Jossey-Bass, San Francisco 6 L. Cisotto, 2004, Didattica, discipline e organizzazione del curricolo. Docenti del corso di Laurea a confronto, in L. Galliani e E. Felisatti, (a cura di), Maestri all’università. Curricolo, tirocinio, professione. Il caso di Padova, Lecce, Pensa Multimedia 7 Legge di Riforma dell’istruzione primaria e secondaria, D.L. 59/2003
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acquisite in un determinato ambito di conoscenza, che costituiscono il repertorio dei saperi di una persona, il termine prestazione si riferisce alle capacità effettivamente dimostrate quando questa è all’opera in un contesto di attività 8 . Le diverse prestazioni che il soggetto è in grado di mostrare o di portare a termine in un campo particolare del sapere, del saper fare, del saper essere o dello stare insieme agli altri fungono come indicatori della competenza sottostante, la quale è invece, per sua natura, invisibile 9 . La competenza posseduta da una persona non è dunque direttamente rilevabile, ma è possibile inferirne la presenza sulla base di una famiglia di prestazioni, che ne testimoniano il livello raggiunto. Alcuni autori pongono l’accento sulla differente natura di competenze semplici e complesse. Quest’ultime attivano contemporaneamente un insieme di processi di pensiero, di valutazione e di azione, implicando inferenze, anticipazioni, generalizzazioni, trasposizioni analogiche, stime di probabilità e molto altro ancora. Le competenze semplici richiedono, invece, la semplice applicazione di conoscenze e regole, mettendo in gioco schemi di tipo riproduttivo. In ambito scolastico, tener conto del carattere più o meno complesso di una competenza è importante, al fine di organizzare le situazioni d’apprendimento e di predisporre gli aiuti di cui gli allievi hanno bisogno per conseguire un livello di padronanza ritenuto soddisfacente in un determinato livello di scolarità. E’ opportuno chiedersi, tuttavia, se le capacità elementari, rilevabili con prestazioni singole e difficilmente trasferibili a contesti non noti, possano essere ritenute veramente competenze o non siano da considerarsi, piuttosto, come tappe significative di sviluppo della competenza. Può essere utile a questo punto fornire un esempio. La capacità di comprensione di un testo narrativo, per i numerosi processi e abilità coinvolti, è da ritenersi una competenza complessa, la cui padronanza o meno può essere inferita attraverso alcuni livelli di prestazione, ad esempio le capacità di: cogliere l’ordine narrativo e la struttura della narrazione, produrre inferenze causali e anticipazioni, distinguere il piano delle azioni –lo svolgersi delle vicende- da quello delle reazioni emotive suscitate dagli eventi, utilizzare i segnali del testo per inferire le intenzioni dello scrittore, ecc. Una competenza semplice, come la capacità di individuare l’ordine narrativo, sfuma invece nelle singole prestazioni. Sul piano didattico, una prima conseguenza importante della distinzione tra competenza e prestazione riguarda il fatto che non è possibile inferire una competenza sufficientemente complessa sulla base di una singola prestazione, ma è necessario rilevare un certo numero di prestazioni efficaci e, per di più, in contesti caratterizzati da elementi di novità. Secondariamente, sottolineare tale distinzione è utile per ricordare che la valutazione da cui scaturisce la certificazione delle competenze si fonda su un processo inferenziale e non su un accertamento puramente meccanico e quantitativo. Da ultimo, la distinzione è importante per distinguere il potenziale d’apprendimento, ossia, ciò che un allievo potrebbe fare sulla base delle abilità acquisite, da quello che egli riesce effettivamente ad esprimere di tale potenziale in una situazione concreta. In ultima analisi, le competenze si possono definire tali quando sono il risultato dell’orchestrazione di tre componenti: la prima è di natura cognitiva e riguarda la comprensione e organizzazione dei concetti che sono coinvolti. La seconda è di tipo operativo e concerne le abilità che le caratterizzano. La terza è di carattere motivazionale- affettivo e coinvolge le convinzioni e gli atteggiamenti che permettono di dare a quella competenza senso e valore personale 10 . A queste, va aggiunta una quarta componente: la dimensione contestuale, riferita all’attitudine a tener conto di contesti e situazioni, in funzione delle risorse che essi rendono disponibili, delle loro richieste e aspettative. 8
G. Bara,1999, Pragmatica cognitiva, Torino, Bollati-Boringhieri M. Pellerey, 2000, http://www.isrevenezia.it/rivista-isre/due2000/pellerey2.htm 10 M. Pellerey, 2000, ibidem. 9
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3. Curricoli per competenze 3.1 La programmazione modulare Adottando la prospettiva illustrata nei paragrafi precedenti, l’acquisizione delle competenze si prospetta come una forma di apprendimento complesso, non rispondente alla descrizione minuziosa di obiettivi tipica dell’approccio associazionista, in cui il rischio della frammentarietà di analisi compromette quell’unitarietà che dovrebbe contraddistinguere il comportamento autoregolato 11 . Nell’ambito della programmazione tassonomica del curricolo, la sola possibilità di crescita per gli studenti è quella di posizionarsi ad un certo punto del percorso lineare di conoscenza e di avanzare secondo la scansione definita dagli obiettivi o dai contenuti di insegnamento, dove ogni tappa è pregiudiziale per le acquisizioni successive. In tal modo, durante una annualità, essi seguono con ritmo diverso tanti itinerari paralleli quante sono le discipline di studio e le differenze individuali nell’apprendimento sono ricondotte alla rapidità con cui un allievo consegue gli obiettivi definiti. L’apprendimento complesso definisce, invece, uno stile di imparare in cui la ricerca di soluzioni per specifici compiti scolastici si combina con l’attenzione a migliorare le proprie attività di apprendimento, attraverso il ricorso alle molte risorse disponibili: individuali, sociali e contestuali 12 . Di conseguenza, la costruzione di curricoli per competenze dovrebbe riflettere questa complessità e considerare, oltre ai contenuti disciplinari, anche i contesti di attività -non solo di esercizio- per l’applicazione di tali contenuti e modalità individuali e sociali per l’acquisizione della conoscenza. Alla concezione di apprendimento come processo complesso, risultano funzionali curricoli flessibili, su misura dei bisogni formativi e composti da percorsi didattici suscettibili di composizioni differenziate, anziché vincolati ad una disposizione univoca, dettata dalla concezione normativa di alunno e da una gradualità dei saperi consolidata dalla consuetudine. La legge sull’autonomia degli Istituti Scolastici 13 individua nella modularità didattica lo strumento più adatto a raggiungere tale scopo. Nella letteratura sull’argomento e nei contesti educativi, l’espressione modularità didattica ricorre con una pluralità di accezioni, a seconda che ne venga sottolineata la componente tecnologica relativa all’organizzazione dei curricoli o quella più propriamente metodologicodidattica, attinente la conduzione flessibile dei processi di insegnamento. In ordine al primo aspetto, sulla base di una definizione comunemente accettata14 , la modularità didattica è intesa come un’organizzazione del curricolo per blocchi o unità complesse di intervento -i moduli-, ciascuno dei quali rivolto allo sviluppo di un obiettivo di competenza. Ogni modulo è dotato di relativa autonomia, poiché risulta una composizione didattica completa di per sé, valevole in quanto mirata all’acquisizione di un obiettivo di competenza. In virtù di questa autoconsistenza, le unità di intervento mantengono il loro valore anche se scorporate da una sequenza obbligatoria di contenuti e costituiscono le componenti di base di percorsi didattici differenziati nella tipologia e nella sequenza di obiettivi e di attività didattiche. La programmazione per competenze consiste in un modello di curricolo a sviluppo poliedrico, in cui, grazie all’organizzazione per moduli, sono offerte simultaneamente agli alunni di una classe opportunità alternative, da fruire secondo tempi e modalità personalizzati, in risposta a differenti esigenze di formazione. Tali esigenze possono riguardare i tempi e gli stili d’apprendimento, ma anche le attitudini individuali, le competenze già acquisite e quelle in 11
P. Boscolo,1997, Psicologia dell’apprendimento scolastico. Aspetti cognitivi e motivazionali, Torino, Utet, p.327 C. Bereiter, M. Scardamalia, 1989, Intentional learning as a goal of instruction, in L.B.Resnick (a cura di), Knowing, Learning ,and Instruction: Essay in honor of Robert Glaser, Erlbaum, Hillsdale; e C. Bereiter, 1990, Aspects of an educational learning theory. “Review of Educational Research”, 60, pp.603-624. 13 n.59 del 15/3/1997 14 G.Badley e S. Marshall,1995, Questions and Answers about Modules and Semesters, Technical and Educational Services, 53, Bristol; F. Clerc, 1992, Enseigner en modules, Hachette, Paris; D. Warwick, 1987, The Modular Curriculm, Blackwell, Oxford; D. Warwick, 1988, Teaching and Learning trough Modules, Blackwell, Oxford 12
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via di formazione, i fattori motivazionali e quelli affettivo-emotivi. L’elemento innovativo più importante di questo modello curricolare riguarda la messa in discussione della progressione cronologico-sequenziale di obiettivi e contenuti uniforme per tutti gli alunni, giustificata in base ad una presunta uguaglianza dei loro punti di partenza e di arrivo. Nella nuova prospettiva, come conseguenza, flessibilità e differenziazione dell’intervento educativo diventano i punti centrali degli assetti formativi e coinvolgono le variabili strutturali più importanti di un progetto di istruzione, in particolare: - la definizione degli obiettivi d’apprendimento; - la sequenza degli argomenti e dei contenuti di insegnamento; - l’aggregazione delle discipline in aree e ambiti disciplinari; - l’articolazione del monte ore annuale di ogni disciplina; - le forme di raggruppamento degli alunni; - le metodologie dell’intervento didattico; - l’individualizzazione dei percorsi didattici; - la verifica e la valutazione degli apprendimenti. Accettando con coerenza i presupposti della trasformazione del modello lineare-tassonomico di programmazione, va da sé che dovranno subire una rivisitazione profonda anche tecnologie e strategie dell’insegnare, ossia, la flessibilità sul piano organizzativo dovrà tradursi in metodologie altrettanto flessibili nella conduzione delle attività didattiche. E’ a questo proposito che va introdotta un'altra accezione di modularità, con riferimento alla metodologia di conduzione delle attività didattiche. Per designare la flessibilità metodologica che consente di rendere meno generalizzato e impersonale l’intervento didattico, si rende opportuno adottare l’espressione “didattica modulata” 15 , ossia una didattica modellata sulle caratteristiche d’apprendimento e di personalità degli studenti. Modulare le metodologie dell’insegnamento significa far ricorso a strategie costruttive per mettere gli allievi in condizione di elaborare conoscenza, anziché riprodurla, costituire le classi come comunità d’apprendimento in cui si lavora secondo i modelli dell’insegnamento reciproco e dei gruppi a mosaico, incentivare autoregolazione e controllo tramite gli strumenti della didattica metacognitiva e sostenere la motivazione con l’approccio narrativo. 2.2 I moduli didattici I moduli didattici rappresentano le componenti strutturali di un curricolo, ossia i segmenti unitari dell’architettura di sistema 16 e costituiscono l’intelaiatura che dà coerenza e continuità ad un disegno curricolare aperto e flessibile. Ogni modulo si può definire come un percorso organico, strutturato intorno ad aggregazioni significative di conoscenze, abilità e contesti di attività funzionali allo sviluppo di una competenza 17 . A differenza degli obiettivi delle unità didattiche, descritti come scomposizioni minuziose e parcellari di conoscenze, gli obiettivi di competenza hanno carattere di ologramma 18 . In quanto rappresentano forme di sapere integrato, la padronanza delle competenze non è definibile solo in termini di livelli e contenuti astratti (conoscenze e abilità), ma anche dei modi di padroneggiare tali saperi (atteggiamenti) e del sistema di partecipazione a contesti di attività. Di conseguenza, la costruzione di un modulo è sempre un’operazione di integrazione didattica, in cui queste tre variabili vengono 15
L. Cisotto, 2001, I saperi disciplinari e la molteplicità degli accessi alla conoscenza. In L. Galliani e E. Felisatti (a cura di), Maestri all’Università. Pensa MultiMedia Editore, Lecce, pag. 84-106; e L. Cisotto, 2002, Le declinazioni della modularità didattica: Un’esperienza per la formazione di competenze professionali, in D.O.Cian (a cura di), Didattica universitaria tra teorie e prati- che, Pensa Multimedia Editore, Lecce, p.79-93. 16 G. Domenici, 1998, Manuale dell’orientamento e della didattica modulare, Bari, Laterza. 17 B. Moon, 1998, Modular Curriculum, Paul Chapman Publishing, London; e Cisotto, L. ,2001, op. cit. 18 Il termine “ologramma” è introdotto dalle Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Personalizzati che accompagnano la Legge di Riforma dell’Istruzione, con riferimento al carattere proprio degli obiettivi formativi
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orchestrate. Limitandosi, invece, alla sola ripartizione di contenuti, il modulo si caratterizza semplicemente come unità didattica. La progettazione di un modulo prevede le fasi seguenti 19 : a. descrizione della competenza da far acquisire in termini di prestazione effettiva, secondo condizioni e standard definiti, nell’ambito di compiti autenticamente raccordati alle esperienze d’apprendimento effettuate dallo studente; b. scelta e organizzazione dei contenuti (concetti e abilità) della disciplina o area di attività funzionali allo sviluppo della competenza; c. articolazione del modulo in sottomoduli di attività per lo sviluppo di livelli determinati di prestazione implicati nella competenza; d. individuazione di possibili snodi e raccordi tra moduli di una stessa disciplina e fra campi di conoscenza diversi, suscettibili di sviluppi integrati; e. definizione di contesti autentici per l’apprendimento e l’uso delle conoscenze: tipo di compiti, attività e loro gestione: individuale, di gruppo, collettiva, da svolgersi in ambito scolastico o extrascolastico; f. previsione dei gruppi di apprendimento con particolare attenzione alle preconoscenze, all’orientamento motivazionale, alle strategie d’apprendimento; g. pianificazione di percorsi alternativi per l’acquisizione della competenza, sia all’interno di uno stesso modulo mediante composizioni differenti dei sottomoduli, sia tra moduli diversi; h. messa a punto delle strategie di conduzione delle attività didattiche e di facilitazione dell’apprendimento; i. descrizione di setting d’apprendimento (materiali, strumenti, ambienti, compiti) quali ambiti significativi di esperienza dei saperi in via di acquisizione; j. definizione delle modalità di verifica per la valutazione e l’autovalutazione e messa a punto dei criteri di certificazione delle competenze. Le Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Personalizzati che accompagnano la Legge di Riforma dell’Istruzione individuano i traguardi del ciclo di studi primario in una serie di competenze diversificate. A tal fine si rende necessario mettere a punto tipologie diverse di moduli, fra cui 20 : - moduli disciplinari per l’acquisizione dei saperi di base; - moduli metodologici per lo sviluppo di competenze trasversali; - moduli di raccordo tra discipline; - moduli di integrazione tra scuola e professione e per l’orientamento scolastico. a) Moduli per i saperi di base: costituiscono l’area comune del curricolo, il core-curriculum, che comprende una gamma definita di esperienze culturali in cui si identificano gli obiettivi primi ed irrinunciabili di un processo di istruzione, ritenuti indispensabili per tutti gli allievi. Il core curriculum si compone attraverso la selezione dei contenuti disciplinari (conoscenze dichiarative e procedurali) dei vari campi di conoscenza, tenendo conto degli organizzatori concettuali di quest’ultimi e della classe o grado scolastico a cui ci si riferisce. L’elaborazione dei moduli per le competenze di base si fonda sulla struttura concettuale delle discipline (idee fondamentali e sintassi) rappresentata tramite le mappe di dominio, in cui i saperi sono interrelati e i repertori di conoscenze sono disposti in quadri di insieme. Il core curriculum costituisce la struttura portante dell’impianto didattico di un un corso di studi ed è comune per tutti gli alunni. Tuttavia, la sua organizzazione per fasce temporali definite consente l’attivazione contemporanea di moduli di diverso tipo mediante i quali differenziare l’offerta formativa: quelli dedicati al recupero delle competenze di base, oppure moduli per le competenze trasversali o di integrazione scuola-lavoro. 19 20
Domenici, 1998, op. cit.; Cisotto, 2002,op. cit. L. Cisotto, Didattica dei processi di insegnamento-apprendimento, in corso di pubblicazione
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b) Moduli per le competenze trasversali: le competenze trasversali consistono in processi e abilità implicati in vari ambiti disciplinari, riguardanti sia le strategie e i modi di lavorare con la conoscenza, sia gli atteggiamenti verso lo studio, l’apprendimento, la soluzione di problemi. Si tratta di quell’insieme di capacità, ritenute oggi tra le priorità formative, la cui acquisizione da parte degli allievi richiede l’impegno congiunto degli insegnanti di tutte le discipline e i gradi scolastici. Fra le competenze trasversali rientrano: la comprensione e la produzione di testi, le abilità di studio, l’interpretazione di dati di tipo quantitativo, la disponibilità a socializzare e negoziare conoscenze, l’attitudine al controllo e alla regolazione delle attività d’apprendimento 21 . I corrispondenti obiettivi di competenza riguarderanno, ad esempio, la capacità di assumere responsabilmente un compito e di condurre a termine un’attività, l’autovalutazione dei processi di apprendimento, l’attitudine a chiedere gli aiuti necessari a rimuovere le difficoltà, la persistenza di fronte agli ostacoli, l’utilizzo di strategie mature di studio, la collaborazione nello svolgimento di un compito assegnato. La formazione di queste capacità richiede la pratica di strategie e atteggiamenti in situazioni autentiche di attività, in cui gli allievi, liberi dalla preoccupazione di dover esibire quanto hanno appreso, vengono coinvolti in compiti che implicano l’uso attivo delle risorse cognitive, metacognitive e motivazionali. Di conseguenza, i contesti adatti allo sviluppo e al potenziamento delle competenze trasversali sono, di necessità, i laboratori, in cui l’attività didattica, anziché nella forma espositiva della lezione, è condotta attraverso metodologie di tipo costruttivo, collaborativo e metacognitivo. c) Moduli di raccordo tra discipline: consistono in percorsi didattici interdisciplinari rivolti a sviluppare negli studenti la comprensione delle connessioni tra i saperi e l’attitudine a fare usi flessibili delle conoscenze per la risoluzione dei problemi pratici o concettuali. Le relazioni tra i domini disciplinari non sono però autoevidenti e il modello tradizionale di programmazione ha teso a confermare la separazione tra i saperi, anziché stimolare la ricerca dei punti di contatto. Una delle applicazioni didattiche più frequenti del raccordo tra discipline, soprattutto nell’area umanistico-letteraria, è la costruzione di moduli intorno a “temi suggestivi” ad elevato coinvolgimento emotivo, in grado di suscitare interesse e motivazione negli allievi: l’amore, la libertà, il denaro, il potere. In questi moduli, il tema letterario costituisce lo sfondo comune di aggregazione di unità di intervento condotte in ambito linguistico-letterario, storico, artistico e filosofico, il cui scopo è di promuovere una visione più matura e meno scolastica degli argomenti di studio. Un’altra soluzione didattica del raccordo tra discipline è la costruzione di moduli intorno a concetti o ad abilità comuni a più campi di conoscenza. Del concetto di simmetria, ad esempio, si possono stimolare molte “visioni”: in riferimento allo schema corporeo, alla distribuzione dei pesi in una bilancia a due piatti o ai quadri di Eschel. Le molte versioni di un concetto ne rappresentano le tante possibili piegature e la capacità di “vedere” i concetti oltre le loro formulazioni astratte, nella vita quotidiana e nei problemi in cui ci si imbatte costituisce un’importante risorsa per l’apprendimento. d) Moduli per l’orientamento scolastico e professionale: i moduli per l’integrazione scuola-lavoro sono progettati in collaborazione tra operatori scolastici e professionali per facilitare la transizione dell’allievo dalla condizione di studente a quella di professionista di un’attività, dotandolo dei saperi specifici propri di un dominio professionale e degli atteggiamenti richiesti per la partecipazione ai contesti lavorativi. Domenici 22 individua alcuni criteri a cui tali moduli dovrebbero rispondere per assolvere alla funzione di orientamento: in primo luogo l’alternanza, che riguarda ogni esperienza sistematicamente svolta in ambito lavorativo in cui gli allievi sono effettivamente inseriti nel ciclo produttivo e da cui sia previsto il rientro in ambito scolastico; secondariamente, le visite guidate in ambienti lavorativi, che 21 22
C. Pontecorvo, (a cura di),1999, Manuale di Psicologia dell’educazione, Bologna, Il Mulino G. Domenici, 1998, op. cit., p.146
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servono a prendere contatto con lo spessore contestuale dei problemi tipici di una professione; infine, gli interventi in ambito scolastico di operatori del mondo del lavoro, particolarmente utili per prefigurarsi concretamente in un ruolo professionale. I moduli per l’orientamento scolastico, premesso che questo è un processo continuo e ricorsivo, sono rivolti a sostenere gli allievi nella transizione fra un grado di scuola e l’altro, mettendoli in grado di “sintonizzarsi” con le richieste del nuovo contesto scolastico ed attenuando l’effetto di disorientamento da cui derivano abbandoni e dispersioni. Le fasi di transizione sono momenti particolarmente delicati, poiché l’allievo mette in gioco l’immagine complessiva del Sé, attraverso la percezione delle sue competenze, le aspettative di successo o di insuccesso e la rappresentazione di obiettivi. Il fulcro dei moduli per l’orientamento scolastico è costituito dalla programmazione di attività da svolgersi in collaborazione fra allievi e insegnanti dei due diversi gradi scolastici implicati (ad esempio, un percorso per la prima alfabetizzazione raccordato tra la scuola dell’infanzia e la scuola elementare) e dalla predisposizione di strumenti dinamici per descrivere il profilo dell’allievo, fra cui il portfolio. 2. 3 L’organizzazione del curricolo La costruzione dell’assetto organizzativo di un curricolo modulare richiede la composizione orchestrata di unità di apprendimento, in cui gli apporti di conoscenza delle singole discipline e le diverse esperienze formative vanno orchestrati in un quadro di insieme. Di questa attività preme sottolineare il carattere intrecciato, in quanto il potenziale formativo di ogni disciplina, oltre che nell’insieme di concetti e procedure che le sono proprie, risiede anche nelle relazioni intrattenute con altri campi di conoscenza. I moduli, infatti, non sono nicchie chiuse e definite di conoscenza, né segmenti di un percorso lineare o semplici porzioni di disciplina, ma vanno concepiti come tasselli incardinati in una struttura reticolare di saperi, di cui rappresentano nodi in assestamento ed evoluzione continui, con confini in costante espansione. Pertanto, progettare un curricolo, non consiste nella collezione rapsodica di un certo numero di moduli, ma nella istituzione di quelle relazioni significative che danno trama e compattezza ad un disegno di istruzione. In primo luogo, i moduli didattici vanno intersecati con le variabili del tempo scuola, della metodologia di conduzione delle attività didattiche e delle forme di aggregazione degli alunni. La struttura portante del curricolo, come abbiamo visto, è costituita dai moduli per i saperi di base. Il core curriculum è svolto generalmente con l’intero gruppo classe ed è organizzato per periodizzazioni temporali distribuite lungo un percorso a sviluppo longitudinale, a scadenza annuale o biennale. La scansione del curricolo di base per fasce temporali rende possibile l’inserimento temporaneo di quegli allievi che, per vari motivi (assenze prolungate, mobilità), non hanno potuto fruire di alcune unità di intervento fondamentali o non hanno sviluppato un’adeguata padronanza delle competenze previste. Nell’intervallo temporale tra un modulo e l’altro del curricolo di base, possono essere organizzati in contemporanea moduli per lo sviluppo di competenze trasversali, di integrazione tra scuola e lavoro, dedicati al recupero delle competenze di base oppure al potenziamento di attitudini. Questi moduli hanno carattere intensivo e viene data agli allievi la possibilità di fruirne individualmente o per gruppi di apprendimento, a seconda dei bisogni formativi. L’organizzazione modulata delle attività didattiche mina alla base la compatta saldatura tra l’uniformità metodologica della lezione espositiva e la gestione collettiva della classe, in cui gli allievi perseguono contemporaneamente gli stessi obiettivi. Diversamente, l’articolazione ricca delle azioni di insegnamento prevede aggregazioni di vario tipo, create in funzione di bisogni formativi differenziati. In tale prospettiva, l’utilizzo migliore e potenziato delle risorse dei docenti e degli ambienti di apprendimento consente agli allievi di guidare con una certa
8 Lerida Cisotto, Programmare per competenze, 2004
autonomia attività e percorsi di apprendimento, anche senza la direzione e il controllo costanti dell’insegnante. Nella gestione autonoma dell’apprendimento riveste un ruolo centrale il portfolio, strumento valutativo a sviluppo longitudinale organizzato in base alla storia d’apprendimento degli allievi e solo in parte coincidente con le scansioni istituzionalmente definite (bimestre, quadrimestre o anno scolastico). Esso mantiene la memoria specifica degli apprendimenti, riferendo insieme ai risultati raggiunti anche le condizioni alle quali si è verificato il successo o l’insuccesso23 . Nella prospettiva modulare del curricolo, la descrizione dinamica del profilo dell’allievo assolve a tre funzioni: la prima è una funzione certificativa e riguarda l’attestazione delle competenze acquisite a conclusione di un periodo scolastico o di un corso di studi. La seconda funzione è di tipo formativo o di orientamento, poiché il portfolio consente di coinvolgere lo studente nella costruzione del curricolo, rendendolo partecipe di decisioni e scelte rispetto alle opportunità offerte. Infine, il portfolio è strumento di dialogo fra istituzioni e sedi implicate nella formazione, permettendo di orientare il discorso sugli apprendimenti acquisiti (funzione di raccordo e di integrazione). Le tre funzioni del portfolio non sono in contrasto tra loro: ne fondano, anzi, le condizioni di validità e autenticità, consentendo una lettura contestuale e personalizzata delle competenze. Riferimenti bibliografici Badley, G. e Marshall, S.,1995, Questions and Answers about Modules and Semesters, Technical and Educational Services, 53, Bristol; Bara, G.,1999, Pragmatica cognitiva, Torino, Bollati-Boringhieri Bereiter, C., Scardamalia, M.,1989, Intentional learning as a goal of instruction, in L.B. Resnick (a cura di), Knowing, Learning, and Instruction: Essay in honor of Robert Glaser, Erlbaum, Hillsdale Bereiter, C., 1990. Aspects of an educational learning theory. “Review of Educational Research”, 60, pp.603-624. Borkowski,J.G. e Muthukrishna, N., 1996, Il contesto di apprendimento e la generalizzazione delle strategie: come il contesto può favorire i processi di autoregolazione e le credenze relative alla propria competenza. In R. Vianello e C.Cornoldi (a cura di). Metacognizione, disturbi di apprendimento e handicap, Bergamo, Edizioni Junior, p. 36-56. Boscolo,1997, Psicologia dell’apprendimento scolastico. Aspetti cognitivi e motivazionali, Torino, Utet, p.327 Cisotto,L., 2002, Le declinazioni della modularità didattica: Un’esperienza per la formazione di competenze professionali, in D.O.Cian (a cura di), Didattica universitaria tra teorie e pratiche, Pensa Multimedia Editore, Lecce, p.79-93. Cisotto, L. 2004, Didattica, discipline e organizzazione del curricolo. Docenti del corso di Laurea a confronto, in L. Galliani e E. Felisatti, (a cura di), Maestri all’università. Curricolo, tirocinio, professione. Il caso di Padova, Lecce, Pensa Multimedia Cisotto, L. , Didattica dei processi di insegnamento-apprendimento, in corso di pubblicazione Clerc, F., 1992, Enseigner en modules, Hachette, Paris; De Beni, R. e Moè, A., 2000, Motivazione e apprendimento, Bologna, Il Mulino. Domenici,G., 1998, Manuale dell’orientamento e della didattica modulare, p.120 Ericsson K.A. e Smith, J. (a cura di), 1991, Toward a general theory of expertise, Cambridge University Press.
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Pellerey,2000, op. cit.
9 Lerida Cisotto, Programmare per competenze, 2004
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