Brigitte Atayi Vanessa Maher
AMEZE
Mondi che si incontrano
Edizione originale in lingua inglese @ Edizioni del Faro 2017; traduzione di Egle Costantino. Fondazione San Zeno (Verona) ha sostenuto la traduzione in lingua italiana del testo originale per onorare Brigitte Atayi e diffondere i valori in cui credeva e di cui era portavoce, di lotta al pregiudizio e al razzismo, di diffusione della cultura della tolleranza, del dialogo e del rispetto. © Il Segno dei Gabrielli editori 2021 Via Cengia, 67 – 37029 San Pietro in Cariano (Verona) tel. 045 7725543 info@gabriellieditori. it www.gabriellieditori. it Tutti i diritti riservati. ISBN 978-88-6099-472-1 Stampa Mediagraf (Padova), Ottobre 2021 In copertina e nel testo Illustrazioni di Anita Fantato – www.anitafantato.it
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INDICE
IL PROLOGO DI MARY
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DESCRIZIONE DEI PERSONAGGI PRINCIPALI
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ALBERO GENEALOGICO
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1. IL MIO RITORNO IN AFRICA
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2. MIA MADRE E MIA SORELLA TERESA
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3. MIO PADRE, ENZI
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4. LE MIE SCUOLE
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5. LA MAGIA DI ALIYA
55
6. IL CAPITOLO DI MARY
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7. ASPETTO DIETRO LE QUINTE
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8. PROVO A ENTRARE IN SCENA DA PROTAGONISTA
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9. LA RICERCA DI UNA FAMIGLIA. IL PUNTO DI VISTA DI MARY
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10. AMEZE RICORDA UN MATRIMONIO E UN DIVORZIO
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11. RITORNO ALLA BASE
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12. IL LAGO
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13. IL RACCONTO DI SIMONE
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14. AMEZE VIAGGIA A RITROSO LUNGO L’EQUATORE 106 15. DICEMBRE 1989. IBADAN, NIGERIA
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16. SIMONE CONFESSA
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17. AMEZE SUBISCE UN INTERROGATORIO E NASCE MARY
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18. CERCO LA PROTEZIONE E LA BENEDIZIONE DEGLI ANTENATI
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19. SIMONE SI STABILISCE A TORINO
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20. IL MATRIMONIO E IL PERIODO CHE SEGUÌ VISTO DA AMEZE
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21. UNA DONNA AFRICANA IN BRASILE
155
22. SIMONE IN BRASILE
168
23. I BANDITI
175
24. PERCHÉ VENNERO I BANDITI. LA TEORIA DI AMEZE E I DUBBI DI MARY
181
25. DI RITORNO DALL’EQUATORE. SIMONE RACCONTA
186
26. GUARDARE DAL DI FUORI
193
27. AMEZE CONOSCE I GEMELLI. LA VITA A COLORI
202
28. IL PUNTO DI VISTA DI SIMONE. COSTI E BENEFICI
209
29. FATICHIAMO A FAR QUADRARE I CONTI
216
30. UN “MATRIMONIO MISTO” PER COME LO VEDO IO
224
31. NUOVI ORIZZONTI
229
Postfazione A PROPOSITO DI AMEZE di Vanessa Maher
237
Biografie e ringraziamenti
256
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IL PROLOGO DI MARY
Questa è la storia della mia amica Ameze che quando aveva otto anni dalla Nigeria si trasferì in Tanzania con la famiglia. Fu costretta a lasciare la madre perché il padre si era risposato e voleva portarla a vivere con sé insieme alla nuova moglie e al fratello e sorella nati nel frattempo. La conobbi alla scuola elementare e subito diventammo buone amiche. Sono nata ad Arusha, una città alle pendici del Kilimangiaro dove mio padre, un giudice inglese, lavorava come consulente per la Pan African Union, un’organizzazione internazionale con sede in città, la stessa per cui lavorava il padre di Ameze. Mia madre insegnava alla scuola elementare, ma quando avevo sei anni i miei genitori si separarono e lei si trasferì a Mombasa sulla costa kenyota. Quindi capivo benissimo cosa provasse Ameze. Per fortuna mio padre si risposò. La mia matrigna lavorava per Save the Children e venne a vivere con noi in una bella casa di quello che era stato il quartiere coloniale di Arusha, vicino alla casa dei genitori di Ameze. Ameze era intelligente, bellissima e piena di idee, ma di quando in quando attraversava dei momenti di cupa depressione. Con la mia matrigna avevo un bel rapporto, così non colsi subito la gelosia e l’antagonismo insiti nella relazione che Ameze aveva con la sua: impiegai un po’ anche a capire quanto la mia amica soffrisse per le ingiustizie, la mancanza di attenzione e a volte perfino la crudeltà di suo padre. Mio padre era una persona premurosa e allegra. Nella sua famiglia, Ameze era una sorta di catalizzatore delle tensioni e dei conflitti e questo la portò ad assumere un atteggiamento rancoroso nei confronti dei genitori, che a loro volta la trascuravano ed emarginavano. Iniziarono a 9
mortificarla, a impedirle di andar bene a scuola, di uscire con gli amici e perfino di sposarsi. Ameze andò a Londra a studiare teatro e questa fu la sua salvezza, ma ciò provocò anche un inasprimento dei contrasti. Come me, voleva costruirsi una carriera ed essere indipendente, ma, al contrario di me, voleva anche sposarsi e avere una famiglia. Diceva spesso che ogni donna africana della sua età aveva già dei bambini, e che di solito fosse la famiglia ad aiutarla a trovare l’uomo giusto: l’alienazione dalla famiglia e lo spirito indipendente di Ameze mal si adattavano ai dettami della società e questo le rese più difficile imboccare la strada perseguita dalle altre donne. In effetti fece qualcosa che nessun altro di mia conoscenza aveva mai fatto: tornò in Nigeria e sposò un missionario italiano, Simone. Voglio bene a Simone e credo lui e Ameze abbiano avuto un matrimonio felice e una vita familiare felice in Italia con i loro due figli, ma abbiano dovuto altresì affrontare molte difficoltà come il razzismo e l’ostracismo dei bravi cattolici italiani in primis. Com’è accaduto tutto questo? Credo che per certi versi la gente in Africa sia molto più avanti che in Europa. Ameze e io siamo cresciute all’interno di un’élite cosmopolita fatta di diplomatici e consulenti stranieri, ma al tempo stesso siamo andate a scuola con i bambini del posto e abbiamo vissuto in paesi che avevano un proprio governo e tentavano di affrancarsi dal passato coloniale. Abbiamo imparato a parlare svariate lingue europee, ma anche due o tre lingue africane. Ci siamo formate gomito a gomito con cristiani di differenti congregazioni, mussulmani e hindu. Sull’autobus a Londra io capisco ciò che viene detto in diverse lingue, ma molti credono di potersela cavare con un’unica lingua, l’inglese. Per quanto mi riguarda, mi sento molto affine alla mia collega Anita, la cui famiglia di origine indiana si è trasferita in Inghilterra dall’Uganda. Questa storia racconta la sete di amore e di realizzazione di una donna africana. È una storia d’avventura poiché lei 10
e il marito girano il mondo in lungo e in largo alla ricerca di un posto in cui vivere in pace. Ma è anche la storia del razzismo, dell’intolleranza e della misoginia europei. In Inghilterra e in Europa sono in molti a credere che le persone siano divise in “bianchi e neri”, “cristiani e musulmani”, “ricchi e poveri”, “preti e parrocchiani”, “uomini e donne” e spesso queste categorie occupano spazi mentali diversi, oltre che luoghi fisici diversi. Implicita è l’idea che una delle due parti sia superiore all’altra e debba avere una maggiore autorità. Credo che ad Arusha e anche in Nigeria, dove Ameze e Simone si incontrarono, tali coppie di opposti non fossero così importanti. La nostra generazione era abituata a un’intimità maggiore tra persone e prestava meno attenzione alle differenze. Ma Ameze e Simone sono stati paladini dell’incontro tra mondi diversi. In Europa le persone sono ancora divise, non capiscono la lingua o le abitudini di persone di altri quartieri o altri paesi e ne hanno paura. Così non potrebbero mai indovinare, se la incontrassero per la strada, che Ameze sia una bravissima insegnante di recitazione, sposata con un sacerdote italiano, una persona che parla quattro o cinque lingue e ha viaggiato per tutto il mondo. Forse, se lo sapessero, la guarderebbero con sospetto perché non si comporta come la povera donna africana bisognosa dei loro stereotipi. E probabilmente mai potrebbero pensare che per molti versi io sia come lei e lei sia una mia cara e vecchia amica. Sono un’assistente sociale inglese, di Londra, bionda e con le lentiggini. Immaginate la sorpresa della badante congolese quando mi rivolgo a lei in kiswahili, una delle lingue della mia infanzia ad Arusha, in Tanzania. Ora mi chiama Dada yango, “mia sorella maggiore” ed è un sollievo aver trovato il mio posto nel suo schema delle cose. Mentre tocco delicatamente il sari intessuto di fili rosa e dorati nel negozio di Patel a Walthamstow, mi vengono in mente i dukas indiani ad Arusha, dove la mia matrigna si fermava a bere tè 11
scuro tanzaniano con le donne della famiglia del negoziante, comodamente seduta nella luminosa stanza sul retro, accarezzata dall’aria fresca delle montagne. Gentile lettore, mentre passeggi nel mercato di Walthamstow a East London, sbirciando dentro il negozio di sari e meditando su quell’offerta di salsicce e purè; mentre ti aggiri nel labirinto delle siepi di bosso nei giardini dei Musei Reali di Torino in Italia o percorri in bicicletta i lunghi viali di ippocastani che portano alla palazzina di caccia dei Savoia per vedere i cavalli selvaggi al galoppo nei prati; mentre osservi le braccia forti dell’infermiera congolese sollevare sui cuscini il tuo anziano padre o le abili mani dell’idraulico rumeno cambiare il rubinetto del tuo tubo dell’acqua; mentre passi davanti al basso capannone industriale dove donne ghanesi dai vestiti luccicanti e uomini che sfoggiano completi blu chiacchierano aspettando che la funzione domenicale abbia inizio, pensa: sono in molti a costruire ponti.
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