Anteprima - Il falegname di Nazareth

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Mario Aldighieri

IL FALEGNAME DI NAZARETH padre su questa terra per amore

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© Il Segno dei Gabrielli editori, 2014 Via Cengia, 67 – 37029 San Pietro in Cariano (Verona) tel. 045 7725543 – fax 045 6858595 info@gabriellieditori.it www.gabriellieditori.it ISBN 978-88-6099-242-0 Stampa Il Segno dei Gabrielli editori, settembre 2014

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A tutti i “Giuseppe” della mia vita e al caro “nonno” Guido Maria Casullo vescovo della diocesi di Zé Doca nel Maranhão, Brasile che ora riposa in Cristo accanto a San Giuseppe in via Paradiso n. 19

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INDICE

Introduzione

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Per la protezione nel lavoro

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Una cronologia tra storia e creatività

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Il diario di Giuseppe

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I SONO GIUSEPPE IL FALEGNAME II L’ATTESA

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III LA CRISI

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IV IL SOGNO

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V AIN KARIM

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VI LE NOZZE

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VII IL VIAGGIO

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VIII LA NASCITA

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IX LA CIRCONCISIONE E LA PRESENTAZIONE AL TEMPIO

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X GLI STRANIERI XI MIGRANTI

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XII L’ESILIO

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XIII NAZARETH

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XIV ADOLESCENZA

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XV IL BAR MITZVAH

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XVI L’ETÀ ADULTA

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XVII IL PADRE DI GESÙ

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Introduzione

Anni fa, Olinto Silva Araujo, patriarca della Vila Canaã in Goiânia, Brasile, tornato alla casa del Padre il primo di luglio del 1998, mi aveva ingiunto: “Lei deve scrivere qualcosa su San Giuseppe”. Di primo acchito l’ho considerata una facezia ma poi, riflettendo, l’affermazione del caro patriarca si è trasformata in un dovere, un obbligo, perfino una profezia che doveva prendere corpo. Perché non raccontare qualcosa di Giuseppe? La sua figura mi ha sempre stimolato a tentare di sondare il suo mistero, i suoi sentimenti, i suoi dubbi, la sua fede. Ma come scrivere? Tanti altri hanno scritto già su di lui. Purtroppo dimenticato dalla tradizione religiosa cattolica e dalla devozione popolare, scavalcato da tanti altri santi, era stato ridotto a silenzioso e vecchio custode del figlio di Maria, patrono della buona morte e, quando la problematica sociale è giunta al suo apice, il buon falegname è stato scelto come patrono dei lavoratori e degli operai, icona della Festa del Lavoro, il primo maggio, per rendere sacra una giornata nata dalle lotte sindacali e, in parte, per annacquare quello spirito di lotta per i diritti del lavoratori, alienati nella loro dignità e umanità dal mondo industriale e capitalista, lontano mille miglia dalla vita e dalle preoccupazioni dell’artigiano di Nazareth. È vero, Giuseppe non è molto presente nei Vangeli. Accenna a Giuseppe soprattutto il Vangelo di Matteo che lo colloca come figlio di Giacobbe, ultimo anello della genealogia davidica partendo da Abramo e come 9


“sposo di Maria”(1,18), dalla quale poi è nato Gesù (1,16). L’evangelista lo presenta come l’uomo giusto che non denuncia la maternità di Maria (1,19) perché non venga lapidata secondo la legge, e anche l’uomo di fede, che crede all’annuncio dell’angelo in sogno e assume l’impegno di essere il custode di questo bambino (1,20-23). Non è annotato, dall’evangelista, il suo nome accanto a Maria e al bambino quando i magi giungono alla sua casa in Betlemme (2,11-12). Di nuovo, obbedirà ai sogni per sfuggire all’ira di Erode e ritornare dopo la morte del persecutore, per abitare non a Betlemme ma a Nazareth (2,13-23). Luca colloca invece al centro del suo racconto, Maria, presentata come promessa sposa di Giuseppe (1,27), mentre lui è il servitore che l’accompagna a Betlemme per un censimento (Lc 2,4) e le sta vicino davanti ai pastori attoniti (2,16). Non accenna a lui, quando Simeone e Anna ricevono con gioia la madre e il bambino, nella presentazione al Tempio, solo annota il suo stupore (Lc 2,29-38). Infine, quando i genitori ritrovano, dopo tre giorni di ricerche, il giovane Gesù nel Tempio a Gerusalemme, è Maria che parla: “Tuo padre ed io, angosciati ti cercavamo” (2,48). Giuseppe tace e sparisce nel nulla, non si parla più di lui nei vangeli, non sappiamo come abbia educato Gesù a crescere come buon ebreo e come lavoratore. Né conosciamo le sue incertezze, i dubbi, le domande sul figlio non suo, ma diventato suo per fede. Forse non c’era più quando Gesù sceglieva la sua strada. Non era presente alle nozze a Cana di Galilea raccontate solo da Giovanni (Gv 2). Solo rimane il ricordo all’inizio della genealogia lucana che comincia con Gesù “figlio, come si riteneva, di Giuseppe” (Lc 3,23) e termina sulla bocca della gente di Nazareth quando si meraviglia di Gesù che parla con autorità e sapienza, essendo il semplice “figlio di Giuseppe”(Lc 4,22) falegname. 10


I vangeli apocrifi, come lo Pseudo-Matteo del IV-V secolo, il Protovangelo di Giacomo scritto nel II secolo, la Storia di Giuseppe falegname, il Vangelo Arabo dell’infanzia che semina l’Egitto di soste e miracoli di Gesù, hanno contribuito con il loro bisogno di chiarirne il ruolo, a rendere ancor più oscura e inutile la sua figura. Lo presentano come un vecchio, forse perfino vedovo con figli, per risolvere il problema dei “fratelli” di Gesù (cfr. Mt 12,47; 13,53-58) e salvare così la verginità di Maria. Lo presentano obbligato a sposare la giovane Maria, scelta suo malgrado, dopo il prodigio della fioritura del suo ramo secco contro la sterilità dei rami degli altri contendenti più giovani di lui, come è riprodotto da Raffaello (1504, Sposalizio della Vergine, Milano, Brera). I Vangeli apocrifi riempiono i vuoti lasciati dai Vangeli. Soddisfano il desiderio della religiosità popolare di sondare il mistero e la vita di quel bambino, che appena nato, parla, fa piegare i rami della palma per coglierne i frutti, fa scorrere acqua nel deserto, fa morire e poi rivivere, un ragazzo che giocava con lui, compie una serie di miracoli, come quello dell’uccellino di fango che al suo soffio prende vita e vola via. Descrivono la vita di quella famiglia come se Giuseppe e Maria avessero già la consapevolezza senza alcun dubbio di aver ricevuto un figlio che è vero Dio (cfr. Ravasi Gf., o.c. 2014, pp. 77-89). Immagini riprese anche dal Corano dove il neonato Gesù difende la Madre dalle accuse dei parenti che la ritengono una prostituta per aver generato il figlio fuori dal matrimonio (Sura 19,29-33).

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Giotto, NativitĂ , Cappella degli Scrovegni, Padova

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È interessante accompagnare l’iconografia del santo per scoprire quale immagine di lui viene offerta ai devoti nel dipanarsi del tempo. Fino al 1200 San Giuseppe è sempre rappresentato come un personaggio di second’ordine, di lato, seduto o in piedi, spettatore pensoso, con la mano appoggiata sul mento, testimone di un evento-mistero che non lo riguarda direttamente. Nel 1300, appare ancora come soggetto aggiunto, nella bellissima predella della Maestà di Duccio di Boninsegna (1255-1318, National Gallery, Washington) e dietro all’asinello che porta Maria con il bambino, anche se un altro lui stesso, è accovacciato e dormiente e un angelo gli suggerisce di fuggire dal massacro degli innocenti nella Fuga in Egitto, sempre nella Predella della Maestà (Siena, Museo dell’Opera). Giotto, nella Cappella dagli Scrovegni a Padova (1302-6), pure nella Fuga in Egitto, lo pone davanti all’asinello come colui che guida sulla retta via, mentre, nella Natività dello stesso ciclo, lo colloca accovacciato e dormiente tra l’asino e le pecore, ignaro del grande evento in cui si trova coinvolto. Iconografia, quella della Fuga in Egitto, che si ripeterà in altre opere giungendo alla stesura di Altobello Melone nell’affresco della Cattedrale di Cremona (1518) dove, ancora una volta, Giuseppe, vecchio e stanco, segue l’asinello e si ripara con il cappello di paglia dalla luce del sole, mentre Maria e il suo Bambino, che già tende la manina per cogliere qualche frutto dalla palma, vengono guidati dall’angelo. Non c’è da meravigliarsi, però, se in pieno rinascimento il grande pittore tedesco Albrecht Dürer nella xilografia della Sacra Famiglia con tre lepri (1498), mette un Giuseppe vecchio e barbuto che osserva, di lato, la Vergine e il Bambino, come un pellegrino stanco e estraneo, appoggiato al suo bastone, con il cappello in mano. La novità sempre nel tema della Fuga in Egitto, appare nel 13


bellissimo Riposo durante la fuga in Egitto del Caravaggio (1595-96, Galleria Doria Pamphilj, Roma), dove Giuseppe sostiene lo spartito all’angelo che suona una musica per il sonno di Maria e del Bambino in braccio a lei. Il protagonismo di Giuseppe si ripete nell’immagine dipinta da Federico Baroccio, pittore urbinate del 1500, che ritrae un Giuseppe attivo nel gesto di cogliere e offrire ciliegie al Bambino che, a sua volta, le offre alla madre, scena ripresa da molti altri. Tra questi come non sottolineare la delicatezza del bimbo che, in braccio alla madre, dà la mano al padre Giuseppe che coglie frutti dalla palma nella Madonna della scodella (1530, Correggio, Galleria, Parma) e dello stesso nel Riposo durante la fuga in Egitto con San Francesco (Uffizi, Firenze) cosi pure nella tela di C. Saraceni a Frascati, nel Santo Eremo dei Camaldolesi e, ancora, nell’affresco della Fuga in Egitto di Gian Giacomo Barbelli (1604-1656) nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Crema, dove Giuseppe riceve il Bambino tra le sue braccia mentre Maria scende dall’asinello in una sosta del viaggio.

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Caravaggio, Riposo durante la fuga in Egitto

La Chiesa ha continuato questo silenzio e questa marginalizzazione, colpevole per aver messo da parte un uomo ed un fedele di alto valore, forse per l’importanza data alla figura di Maria, come era in parte logico fare. La devozione alla Madre è stata propagandata e sostenuta, spesso, al punto da svuotare, in maniera totale, il ruolo del padre Giuseppe. Nel percorso della spiritualità e devozione cristiana, Giuseppe appare poche volte, anche se in molti Padri troviamo spunti e riflessioni sulla sua figura e molte abbazie, la prima di essa quella di Winchester che, nel 1030, celebra la sua memoria liturgica, seguita dai Servi di Maria, dai Francescani e dai Carmelitani, già nella data del 19 marzo. Bernardo di Chiaravalle († 1153), lo ritiene “Fedelissi15


mo cooperatore del suo grande disegno di Dio” (Homilia II, super “Missus est” PL 183,69 s.), seguito poi da Tommaso d’Aquino che lo ritiene essenziale nel progetto della redenzione attraverso l’Incarnazione. Molto più viva la devozione nella Chiesa d’Oriente dove già il suo culto è presente nel IV secolo, e a partire dal VII secolo, la chiesa copta fa memoria della sua morte il 20 di luglio. In Occidente le prime aperture su un Giuseppe, sposo e padre sollecito, le troviamo nelle Rivelazioni di Santa Brigida di Svezia († 1373) pubblicate nel 1492, in cui il santo appare nella sua umanità e alla pari con Maria nell’adorazione del figlio appena nato. Soprattutto la riscoperta della spiritualità di Nazareth e dell’umanità del Figlio di Dio, veicolata da san Francesco d’Assisi, ha fatto sì che Giuseppe diventasse presenza attiva nel mistero dell’Incarnazione. Soprattutto la sua figura come protettore di Maria e di Gesù viene messa in luce da san Bonaventura da Bagnoregio e da Duns Scoto, ed è viva nelle varie confraternite che si sono fregiate del suo nome. La gerarchia inizia a riconoscerne il valore, anche se tarda a promuoverne ufficialmente la devozione. Spetta a Papa Sisto IV (14711484) inserire ufficialmente nel breviario e nel messale, la festa liturgica del santo il 19 di marzo. Appaiono già alla fine del ‘300, nelle correnti spirituali, le due linee che accompagneranno la diffusione della devozione a San Giuseppe. Nella prima, Giuseppe è il santo protettore della Chiesa lacerata dallo scisma d’occidente, intercessore per la sua unità contro le forze del male, così presentato nell’opera Consideration sur Saint Joseph di Jean Gerson, teologo dell’Università di Parigi, mentre nella seconda, veicolata dalla corrente francescana di Bernardino da Siena e Bernardino da Feltre, fedeli seguaci di Francesco, è presentato come il santo delle virtù familiari e umane, dello sposo e del padre fedele. 16


Lucio Massari (1569-1633) La Sacra famiglia che stende il bucato, Uffizi, Firenze

L’iconografia rinascimentale presenta un Giuseppe ormai più vicino alla realtà: più giovane, padre affettuoso di famiglia, come nel Trittico dell’Annunciazione di Robert Campin (1420, Metropolitan Museum, New York,) mentre pulisce e riassetta gli strumenti di lavoro: martello, tenaglie, chiodi e sega. Giuseppe falegname nel lavoro notturno con Gesù ragazzo che gli tiene la candela accesa nella tela di Georges de La Tour (Giuseppe falegname, 1641-42, Louvre, Parigi). Giuseppe è dipinto, perfino, con il bambino in braccio e gioca con 17


lui davanti a un cagnolino, mentre Maria fila alla conocchia nel bellissimo quadro di Bortolomeé Esteban Murillo, La Sacra Famiglia e l’uccellino (1650, Museo del Prado, Madrid). Delicata e commovente la figura di Giuseppe che contempla il bambino in braccio nel dipinto di Guido Reni, dove però la figura di Giuseppe di barba e capelli bianchi è più di un nonno che di un padre. Appare la quotidiana intensità del rapporto tra padre e figlio nel quadro di Gerrit Hointhorst (1620, Hermitage, San Pietroburgo) dove Gesù adolescente guarda ammirato il padre che lavora nella sua bottega, facendogli luce con una candela. Domenico Theotocopulos “el Greco” ce lo presenta nella Cappella di San José a Toledo (1597-99), giovane e snello protettore del piccolo Gesù che gli tende la mano, sopra le loro teste un coro festoso di angeli con corone di fiori. L’umanità di Giuseppe giunge a renderlo quasi precursore dei tempi moderni nella tela di Lucio Massari (1569-1633) agli Uffizi di Firenze, in cui Giuseppe, insieme a Gesù giovanetto aiutano la mamma Maria a stendere il bucato. Il Murillo dipingerà ben due volte Giuseppe giovane da vero padre con il bambino in braccio. Giuseppe tocca l’apice dell’umanità ma anche della sua posizione teologica, nella trasposizione iconografica delle Due Trinità, sempre del Murillo, al National Gallery di Londra, dove Gesù adolescente è posto al centro del quadro, sopra il suo capo il Padre e lo Spirito Santo, mentre dà la mano a Maria e Giuseppe seduti alla destra e alla sinistra, seguendo la corrente della spiritualità francese del ’600 che vede nella Sacra Famiglia l’icona terrena della Trinità celeste. La pittura moderna tratteggia ormai un Giuseppe diverso. L’iconografia dei pittori dell’800, lo presenta ancor più umano. Nel quadro di John Everett Millais 18


(1829-1896, Tate Gallery, Londra) è il carpentiere maturo al tavolo di lavoro con i suoi aiuti mentre davanti al tavolo si trova, stranamente, Maria in ginocchio che bacia l’adolescente Gesù. Più ancor vicino alla realtà è Filippo Gagliardi che dipinge Giuseppe giovane al suo tavolo di lavoro aiutato da Gesù giovinetto (Roma, Chiesa del Gesù). Altri pittori lo presentano ormai nel momento della morte circondato da Maria e Gesù seguendo la tradizione che lo vuole esempio della buona morte, come Domenico Fiasella († 1657) nella Chiesa di S. Giovanni Battista a Chiavari e di Giuseppe Maria Crespi (1715-29) nella Chiesa di Stuffione, Parma. Un Giuseppe presentato come buon padre lo troviamo nelle statue dove appare con il “suo” bambino tra le braccia. Impossibile nello spazio ridotto di questa introduzione navigare nelle iconografie del ’900. Accenno solo ad alcuni pittori extra europei, come l’indiano Cyril A. Moilanann che, nelle vetrate della Cattedrale di Gesù Bambino a Quilon nel Kerala, presenta Giuseppe accanto a Maria, soli, in contemplazione di Gesù appena nato, e poi, Giuseppe con Gesù piccolo nelle sue braccia mentre tende le manine a Maria e, infine, un Gesù giovane apprendista accanto a lui al lavoro nella bottega di falegname...

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Cyril A. Moilanann, Gesù apprendista falegname, vetrata nella Cattedrale di Kilon, Kerala, India

Giuseppe, dunque, non è il povero vecchio falegname che entra nella storia del progetto di salvezza in second’ordine, ma il saggio e sapiente ebreo conoscitore della Tanach (Torah-Bibbia ebraica) nel trattato Summa de donis sancti Joseph (1522) del domenicano Isidoro Isolani (Jsolanus). Si tratta di un vero trattato teologico su di lui che ricupera l’apocrifo copto del IV-V secolo, la Storia di Giuseppe falegname. Il testo descrive la morte di Giuseppe, accudito da Maria e da Gesù, scena che renderà sempre più popolare la devozione al san20


to come protettore della buona morte. Diventa, nelle riflessioni della spiritualità moderna il sacramento del Padre verso il sacramento del Figlio, custode e maestro di colui che incarna nella sua umanità il mistero del Verbo, l’ultimo dei patriarchi della storia della salvezza accanto a Giovanni il Battista, ultimo profeta. Il teologo brasiliano Leonardo Boff nel suo Al cuore del cristianesimo (EMI, Bologna, 2013) sostiene che Gesù ha potuto chiamare Dio con il nome di “abbà” padre, proprio perché ha assorbito da Giuseppe tale dimensione intima di padre buono e affettuoso giungendo perfino a sondare a fondo la sacramentalità di Giuseppe nei confronti della figura di Dio Padre nel mistero trinitario, al punto di affermare che “il Padre si identificò con lui... come Giuseppe si immerse nella paternità del Padre”. La gerarchia della Chiesa ha tardato nella valorizzazione di Giuseppe. Solo nel 1621 papa Gregorio XV proclamerà e stabilirà il 19 di marzo come festa di precetto dedicata a San Giuseppe per la Chiesa universale. Clemente X solo nel 1671 introdurrà nell’Ufficio divino l’inno Te, Joseph, celebrent, a lui dedicato. Il suo nome verrà inserito nelle litanie dei santi solo nel 1726. Pio IX, l’8 dicembre del 1870, in piena bufera politicoreligiosa, di fronte allo sgretolarsi dello Stato Pontificio per l’entrata in Roma delle truppe italiane e per le forze incombenti della cultura moderna, classificate tutte come il male del mondo contro la fede (cfr. Sillabo, 1864), ripropone San Giuseppe come difensore della Chiesa e lo proclama patrono della Chiesa Universale. Leone XIII, nel discorso ai cardinali riuniti il 28 ottobre del 1878, colloca la Chiesa “sotto la potentissima protezione di San Giuseppe” e, il 15 agosto 1889, gli dedica una enciclica Quamquam Pluries in cui risalta la “doppia dignità” come sposo della Vergine Maria a padre custode del Figlio e nello stesso tempo custo21


de della Chiesa nascente. Alla fine il papa chiede, nella preghiera A te, beato Giuseppe di allontanare: “la peste di errori e di vizi che ammorba il mondo, assistici propizio dal cielo in questa lotta contro il potere delle tenebre … e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del bambino Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e dalle avversità...”. Dunque un Giuseppe padre e custode del Figlio di Dio ma anche muro innalzato contro il mondo che insidia la Chiesa, figura umana accanto a quella angelica di Michele con la spada sguainata contro il drago demoniaco. In questa linea Pio XI nel 1930 consacra la Russia vittima del Comunismo a San Giuseppe. Benedetto XV, nel 1921 estenderà la festa del santo a tutta la Chiesa universale. Si apre verso una visione nuova del santo, la decisione di papa Pio XII di dare al primo maggio, festa del Lavoro, un significato religioso e liturgico, collocandolo come patrono della festa e lo rende presente, in seguito, nelle varie encicliche sul lavoro e nei discorsi ai lavoratori. Finalmente Papa Giovanni XXIII ha dato maggior valore alla sua figura inserendone il nome nel Canone romano, con il decreto della Sacra Congregazione dei riti Novis hic temporibus del 13 novembre 1962. Il punto più alto di questo lungo e difficile cammino della devozione e della valorizzazione di San Giuseppe si deve a Papa Giovanni Paolo II che lo inserisce come protagonista nella storia della salvezza, con l’Esortazione Redemptoris cultus del 15 agosto 1989, presentandolo come colui “che partecipò, come nessun’altra persona, ad eccezione di Maria”, al mistero dell’Incarnazione. Depositario del mistero, uomo giusto, sposo e padre, lavoratore, patrono della Chiesa in ogni tempo. Il valore dell’Esortazione pontificia è ancor più significativo se lo si colloca nella sequela delle encicliche papali: Redemptor Hominis, Redemptoris 22


Mater e Redemptoris Missio attorno alla figura centrale di Cristo, figlio di Maria, custodito da Giuseppe e annunciato dalla Chiesa. Ma Giuseppe non è solo importante nella storia della salvezza per essere il responsabile della Famiglia di Nazareth, ma è, anche, segno sacramentale per ogni cristiano e ancor più per chi esercita un ministero nella chiesa. Benedetto XVI, che porta il nome di Joseph, all’Angelus nel giorno della sua festa nel 2011, lo ha presentato come esempio di fiducia nel progetto di salvezza di Dio e gli ha affidato tutti i pastori della Chiesa perché lo seguano nel presentare “ai fedeli cristiani e al mondo, l’umile e quotidiana proposta delle parole e dei gesti di Gesù”. Se Giovanni Battista è l’ultimo profeta che prepara la via al Messia e che lo addita alle folle come l’“Agnello che toglie il peccato del mondo”, Giuseppe è l’ultimo e umile patriarca custode della tradizione e dell’elezione di Dio per il suo popolo ed è colui che prepara il Figlio di Dio, nella quotidianità del lavoro e nella fede, alla grande missione di Salvatore. Molti hanno scritto su di lui, ma nonostante questo, poco è passato nelle manifestazioni devozionali del popolo di Dio, pur ricche di spunti. Paolo VI così lo ha tratteggiato nell’omelia del 19 marzo del 1966: “Questo è il segreto della grandezza di San Giuseppe che ben si accorda con la sua umiltà: l’aver fatto della sua vita un servizio, un sacrificio, al mistero dell’Incarnazione e alla missione redentrice che vi è congiunta, l’aver usato dell’autorità legale, che a lui spettava nella Sacra Famiglia, per farle totale dono di sé della sua vita e del suo lavoro; l’aver convertito la sua umana vocazione all’amore domestico nella sovrumana oblazione di sé, del suo cuore e di ogni sua capacità, nell’amore posto a servizio del Messia germinato nella sua Casa, suo figlio nominale e figlio di Davide, ma in realtà figlio di Maria e figlio di 23


Dio. Se mai a qualcuno si conviene questa insegna evangelica ‘servire per amore’ a S. Giuseppe la dobbiamo attribuire…”. Un anno prima aveva messo in luce la sua umanità: “Come ci pare fraterna, e, si direbbe, vicina a tante nostre stature fragili, mediocri, trascurabili, peccatrici! Come si fa presto a entrare in confidenza con un santo che non sa dare soggezione, che non vanta nessuna distanza da noi...” Padre Lombardi S.J., nel dare il buon onomastico a papa Benedetto XVI, ha usato alcuni concetti espressi dal papa stesso in una sua omelia il 18 marzo 2009 a Yaoundé in Africa: “San Giuseppe governava la sua famiglia come colui che serve. Egli insegna che si può amare senza possedere e ci svela il segreto di vivere alla presenza del mistero. In lui non c’è separazione fra fede e azione, perché la sua fede orienta in maniera decisiva le sue azioni. È un uomo giusto perché la sua esistenza è sempre ‘aggiustata’ sulla parola Dio”. Per ultimo e finalmente, il nome di Giuseppe entra maggiormente nella liturgia della Messa. Papa Francesco ha reso ufficiale il decreto della Congregazione del Culto divino e la disciplina dei Sacramenti, firmato il primo maggio 2013 dal cardinale Antonio Canizares Lhovera e dall’arcivescovo Arthur Roche, prefetto e segretario del Dicastero, che stabilisce l’aggiunta nei Canoni II e III, come già avviene nel I Canone, accanto al nome di Maria quello di “Giuseppe suo sposo”. Provo anch’io, con timore e tremore, a ridonare al volto di Giuseppe la sua umanità, la sua fedeltà. Altri hanno già tentato di dargli la parola in vari scritti. Non ho pretese, lascio a chi ha approfondito lo studio su questo grande umile uomo, di svelarne i misteri nell’ambito storico, teologico e spirituale. Tento, invece, di seguire una scelta un po’ folle e spero che non se 24


ne dolga il santo, quella, cioè, di entrare nel suo intimo per mettere in luce i sogni e le speranze, i dubbi e le incertezze, il calore umano e la grandezza di chi “per amore e solo per amore”1 ha fatto della sua vita la fedele opera d’arte plasmata dalle dita di Dio. Ho scelto, per dargli voce, la finzione letteraria del diario, assolutamente irreale, perché San Giuseppe, ne sono certo, non ha mai scritto nulla che si riferisse alla sua vita o ad altro. Non intendo presentare questo mio azzardato tentativo, quasi fossi capace di sondare gli abissi e i segreti di una persona e quale persona! Ma mi metto in un cantuccio accanto a lui e gli chiedo di dettarmi i suoi sentimenti, anche se vi collocherò del mio, sperando di non fargli troppa violenza. L’ultima spinta che mi ha fatto decidere di pubblicare questo scritto, dopo alcuni anni di titubanza, me l’ha data papa Francesco che nell’omelia della festa il 19 marzo 2014 ne ha ripreso i tratti con il suo stile che privilegia l’umanità e la relazione: “Giuseppe è custode perché sa ascoltare, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge”. San Giuseppe, custos, custode del mistero del Figlio di Dio, esempio per noi inviati a custodire il creato, custodire i fratelli in pazienza, tenerezza e bontà. Cremona, 19 marzo 2014

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Da Pasquale Festa Campanile, Per amore, solo per amore, 1983.

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Riferimenti bibliografici Per questa introduzione, per forza di cose parziale e schematica, mi sono basato su alcuni testi, oltre ai Vangeli di Marco, Matteo, Luca e Giovanni I Santi nella Storia, Marzo, 19, San Giuseppe, Direzione editoriale Antonio Tarzia, San Paolo, Cinisello Balsamo 2006 Boff Leonardo, Al cuore del cristianesimo, EMI, Bologna 2013 Ravasi Gianfranco, Giuseppe. Il padre di Gesù, San Paolo, Cinisello Balsamo 2014 Signori Lino, Giuseppe di Nazaret mio padre, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano 2014 E alcuni articoli: Ravasi Gianfranco, Giuseppe il santo della partita Iva, “Avvenire - Agorà” 8/03/2013 Dordoni Annarosa, Giuseppe, sposo di Maria: un santo molto amato, “La Vita Cattolica”, Cremona, 15/12/2011

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