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Sergio Carrarini
L’ESILIO
TEMPO DI CRISI E DI SPERANZA Traumi, sofferenze, progetti del popolo ebreo a Babilonia Prefazione di Giuseppe Laiti
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© Il Segno dei Gabrielli editori, 2014 Via Cengia, 67 37029 San Pietro in Cariano (Verona) tel. 045 7725543 – fax 045 6858595 scrivimi@gabriellieditori.it www.gabriellieditori.it ISBN 978-88-6099-201-7 Prima edizione, gennaio 2014 Stampa Il Segno dei Gabrielli editori, gennaio 2014 Progetto grafico Lucia Gabrielli Foto copertina di Patrizia Sonato
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INDICE
Prefazione di Giuseppe Laiti
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Introduzione
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1. La prima deportazione a Babilonia Gli antefatti dell’esilio Le false sicurezze denunciate dal profeta Geremia Gli interrogativi del profeta Abacuc Ioiachin deportato a Babilonia
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2. Gli undici anni del Regno di Sedecia Le cinque invettive di Abacuc contro i Babilonesi Geremia predica la sottomissione ai Caldei La lettera di Geremia agli esuli a Babilonia
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3. Tra i deportati sorge un profeta La vocazione di Ezechiele Azioni simboliche e nuove visioni La vita di Ezechiele come segno
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4. La seconda deportazione a Babilonia La distruzione di Gerusalemme e del tempio Alcuni Salmi rileggono quegli eventi In quale Dio credere?
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5. Abitare in una terra devastata L’assassinio del governatore Godolia La distribuzione delle terre ai braccianti
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Rielaborare il lutto nazionale: “Le Lamentazioni” “Il libro della consolazione” del profeta Geremia
74 83
5. Ezechiele conforta i deportati Gli interrogativi dei nuovi arrivati Il progetto sacerdotale di restaurazione Il nuovo Israele creato da Dio
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6. Il progetto “Luce delle nazioni” DEl secondo Isaia L’annuncio gioioso del Secondo Isaia Israele, servo di Yahvè, sarà luce delle nazioni Il messaggio del profeta non è accolto Ciro inviato da Dio per liberare Israele
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7. Il servo sofferente e umiliato Il profeta rilancia il progetto “Luce delle nazioni” Un accorato appello ai discepoli L’esaltazione del servo nel suo fallimento Le mie vie non sono le vostre vie
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8. Per continuare la ricerca
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Prefazione
La pagine che don Sergio Carrarini ci mette fraternamente tra le mani sono anzitutto una scelta di campo di riflessioni: si tratta di meditare nella “crisi”. Senza entrare in descrizioni raffinate, ci basta qui ricordare che “crisi” segnala una situazione che rende urgente un discernimento, una valutazione avveduta, per trovare orientamento, dal momento che alcune prospettive coltivate in precedenza si sono rivelate illusorie, incapaci di costruire condizioni di vita giusta e buona, di offrire risorse per affrontare le domande di fondo e le difficoltà che il cammino dell’esistenza pone. La meditazione che d. Sergio ci propone per la crisi che stiamo attraversando si svolge come rivisitazione di grandi pagine della Scrittura che ci raccontano di Israele, popolo di Dio, alle prese con il dramma dell’esilio a Babilonia. Ci vengono richiamati i dati storici essenziali in modo da poter ascoltare come la parola dei profeti interviene lungo la crisi che l’esilio produce. È proprio il coro delle voci dei profeti che siamo guidati ad ascoltare: Geremia, Abacuc, Ezechiele, il Secondo Isaia. In alcuni salmi l’eco della parola profetica diviene preghiera. Più volte, lungo il percorso, siamo sollecitati a ricordare come l’eco delle parole dei profeti si trovi raccolto da Gesù nel suo ministero e nella sua parola. Questo ci fa avvertiti di come la parola profetica possieda un’onda lunga, legata alla sua provenienza da Dio e, proprio per questo, alla sua capacità di leggere in profondità le vicende della storia umana, portandole a nuova intelligenza, rimettendole in cammino. È dell’eco di –7–
quest’onda che siamo chiamati a trarre ancora oggi beneficio, nella sequela di Gesù Signore. Gli otto rapidi capitoli che articolano il percorso alternano quadri sintetici, con funzione di ambientamento, a momenti di sosta su singoli testi biblici, offerti alla nostra calma meditazione, attraverso commenti sobri ed appropriati. Le indicazioni che d. Sergio ci propone come guida all’ascolto lasciano intravvedere la sua familiarità con la Scrittura e la sua capacità di avvalersi di buone letture di esegeti di professione per un approccio corretto ad essa. Soprattutto ci offrono indicazioni per lasciare che la Parola di Dio arrivi fino a noi, alla nostra storia e alle nostre condizioni di vita. Il lettore potrà non trovarsi del tutto in accordo con l’una o l’altra indicazione: d. Sergio non chiede un assenso senza esitazioni. Ciò che importa è il percorso: dalle nostre condizioni di vita, dalle crisi che in esse ci coinvolgono e ci interrogano, alla Parola di Dio nelle parole dei profeti e viceversa, dalla Parola alla nostra vita. Il processo di discernimento, la liberazione dalle illusioni, l’individuazione dei punti saldi di riferimento, la messa a punto di nuovi orientamenti di vita, non è cosa che si realizza alla svelta. Come Israele a Babilonia anche noi possiamo oscillare tra presunzione e depressione. Ci è necessaria la calma della meditazione che la parola biblica nutre come nessun’altra: in essa ci raggiunge la parola di Dio, il Dio della vita. La parola profetica guida a saper fare buon uso della crisi: essa è di volta in volta parola di denuncia, parola che consola, parola che offre punti di riferimento e prospettive per una progettualità di vita nuova. Così essa ci guida a vivere correttamente il riferimento a Dio, la nostra fede, al riparo dalla tentazione di scambiarla per un talismano, che ci protegge magicamente dai rischi della vita, e da quella, opposta, di catalogarla ormai tra le realtà superate dagli eventi, dalla piega dei tempi. L’ascolto della –8–
parola di Dio nelle parole dei profeti, nei loro interventi, ci segna la strada per scoprire di continuo come Dio è il Dio della salvezza, della vita sanata e buona, secondo giustizia. Questo percorso di ascolto ci conduce progressivamente a riconoscere il nostro posto, a ritrovarci tra i servitori “umili e semplici” della parola, del modo di vivere che essa suscita, capace di tenere alto il valore della vita di ogni uomo e di rendere in questo modo onore a Dio. È ciò che d. Sergio indica, sulla scorta del Secondo Isaia come progetto “Luce delle nazioni”. Nella crisi diventa decisivo riconoscersi responsabili dell’uomo, di tutti gli uomini, della loro dignità, davanti a Dio, e riconoscersi responsabili del buon nome di Dio tra gli uomini. Anche quando si fa critica delle nostre illusioni la parola profetica ci onora, protegge la nostra dignità e ci rivela Dio come custode “resistente” dell’uomo. Che la Parola meditata divenga anche parola messa in circolazione, parola scambiata e condivisa, è compito primario della comunità cristiana. Ce lo ha ricordato il Concilio Vaticano secondo nella Dei Verbum e Benedetto XVI, raccogliendo le indicazioni del XII sinodo dei vescovi nella Verbum Domini (2010). Al servizio di questo compito d. Sergio si dedica con passione e competenza. Il presente lavoro ne è un frutto e un invito al tempo stesso. Gliene siamo cordialmente grati e lo condividiamo. Giuseppe Laiti Docente Studio Teologico S. Zeno di Verona
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Introduzione
Lungo i fiumi di Babilonia, là sedevamo e piangevamo, ricordandoci di Sion. Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre...
Le prime strofe del Salmo 137 – immortalate nella struggente melodia del “Va’ pensiero”, dal Nabucco di Giuseppe Verdi – ci riportano alla tragica esperienza vissuta dagli ebrei deportati a Babilonia. Nella storia del popolo ebreo il periodo dell’esilio è stato un tempo di profonda crisi, che ha travolto le sicurezze umane, sociali, politiche e religiose, ma ha fatto anche nascere speranze e progetti nuovi. Anche l’Occidente – in particolare l’Europa e l’Italia – sta attraversando una profonda crisi economica, politica, sociale, culturale, religiosa e sente un urgente bisogno di ritrovare fiducia e speranza. Questo libro non si addentra in un’analisi della crisi e delle complesse cause che l’hanno determinata, che la renderanno molto lunga, sempre più dolorosa per tanti, dall’esito incerto e forse irreversibile. Considera la crisi come il contesto dal quale noi possiamo capire meglio ciò che gli ebrei hanno vissuto in quell’esperienza tragica – e per certi versi unica – dei 50 anni di vita sotto il dominio dei Babilonesi. Seguendo il popolo ebreo in quei suoi duri, controversi, intricati ma fecondi anni di esilio, potremo vedere qualche luce che possa illuminare il nostro cammino nel buio dell’attuale crisi globale. Le cose, però, non si ripetono – 11 –
mai in modo eguale e non bisogna attendersi delle soluzioni da applicare oggi. L’esperienza vissuta da chi ci ha preceduto può far intravvedere il cammino che dobbiamo fare anche noi – come persone e come comunità –, messi in guardia dai loro errori, spronati dalla loro fede. Si definisce con il termine esilio (anche se, in realtà, si è trattato di deportazioni forzate e non di fughe, come invece altri gruppi ebraici hanno fatto) il periodo che va dalla prima deportazione a Babilonia del re Ioiachin e della classe dirigente del regno di Giuda nel 597 a.C., fino all’editto di Ciro, re di Persia, che nel 538 a.C. concede a tutti i deportati la possibilità di ritornare nella loro patria. Bisogna ricordare che gli ebrei hanno vissuto molti momenti di emigrazione e di deportazione prima di quello babilonese: sono emigrati in Egitto a causa di carestie o di invasioni, per ricerca di lavoro o per servizio militare... Le classi dirigenti, gli artigiani e i giovani del regno del Nord sono stati deportati in Assiria dopo la distruzione di Samaria nel 721 a.C. Molti ebrei si spostavano – stabilmente o per periodi limitati – nei territori confinanti per mantenere la famiglia o per sfuggire alle persecuzioni. L’esilio a Babilonia non è stato il più drammatico tra quelli vissuti dal popolo ebraico nella sua storia. Vivevano, infatti, in condizioni di semilibertà: potevano costruirsi delle case e coltivare la terra nella zona del canale Chebar destinata a loro; altri lavoravano come salariati nei campi o come servi nelle case; avevano la possibilità di fare piccoli commerci e di mantenere le loro tradizioni e costumi di vita. Lungo la millenaria storia d’Israele ci sono stati spesso dei momenti di perdita delle sicurezze umane e religiose. Essi però hanno aperto la via a un rinnovamento di fede e a nuove prospettive per il futuro. Abramo era partito alla – 12 –
ricerca di una terra alla quale era legata la promessa di una discendenza che fosse di benedizione per tutti i popoli. L’esodo dall’Egitto era stata una multiforme lotta di liberazione, finalizzata al possesso di una terra di libertà, dove vivere pienamente le esigenze dell’Alleanza. Anche i 50 anni d’esilio a Babilonia hanno inciso fortemente sul futuro sviluppo della religione ebraica: in quel periodo, infatti, sono state messe le basi per la raccolta e la stesura di molti Testi Sacri che compongono la Bibbia ebraica e cristiana. Durante l’esilio, poi, sono maturati: il progetto di restaurazione sacerdotale teocratica, sfociato nel “Giudaismo” legato al Secondo Tempio; il progetto di radicale rinnovamento denominato “Luce delle Nazioni” (Is 49,6b); una più precisa codificazione delle forme di preghiera e delle regole di comportamento degli ebrei residenti tra le nazioni (diaspora). L’esilio ha sancito la fine dell’illusione di poter creare la giustizia e la pace attraverso la via del potere regale, delle alleanze politiche, del sincretismo religioso, culturale, morale mutuato dai popoli vicini. Dalle ceneri fumanti del tempio e della reggia, dal pianto degli esuli, ma soprattutto dalla fede di gente umile e povera, sono nati progetti nuovi e nuove speranze di vita per un futuro di giustizia e di pace. Anche la crisi che attanaglia l’Occidente, soprattutto sul piano dei valori morali, civili e religiosi, sta portando verso la fine di un modello di società e di religione che privilegia l’immagine sulla sostanza, l’interesse personale (o di pochi gruppi elitari) sul bene dei popoli e dell’intero pianeta. Questa crisi strutturale determinerà anche la fine di un’economia senza regole e affidata all’avidità del profitto. Ma dalle ceneri fumanti del capitalismo e del collettivismo, così come dal ritorno delle Chiese ad essere minoran– 13 –
ze spesso insignificanti nella società, nasceranno progetti nuovi, nuove idealità che apriranno prospettive di serenità, di pace, di eguaglianza per tutti. Se questo avverrà, un giorno potremo anche noi cantare con il Salmista: Quando il Signore ricondusse i prigionieri di Sion, ci sembrava di sognare. Allora la nostra bocca si aprì al sorriso, la nostra lingua si sciolse in canti di gioia. Allora si diceva tra i popoli: “Il Signore ha fatto grandi cose per loro”. Grandi cose ha fatto il Signore per noi, ci ha colmati di gioia. Riconduci, Signore, i nostri prigionieri, come i torrenti del Negheb. Chi semina nelle lacrime, mieterà con giubilo. Nell’andare, se ne va e piange, portando la semente da gettare, ma nel tornare, viene con giubilo, portando i suoi covoni. (Salmo 126).
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