1
2
Gianluigi Pasquale
SPEZZARE IL PANE CON FRANCESCO I Cappuccini a Verona: testimoni di una presenza
a cura di Silvia Rancani
3
Questo volume usufruisce di un contributo della Fondazione Cattolica Assicurazioni di Verona.
© Il Segno dei Gabrielli editori 2013 Via Cengia 67 − 37029 San Pietro in Cariano (Verona) Tel. 045 7725543 − fax 045 6858595 info@gabriellieditori.it www.gabriellieditori.it ISBN 978-88-6099-195-9 Stampa Litografia de “Il Segno dei Gabrielli editori”, Agosto 2013 Illustrazione di copertina “San Francesco e Santa Chiara distribuiscono pane e pesce”, particolare del quadro conservato in refettorio del Convento “Oltre il convito. L’agape” del pittore Alberico Zanini detto “Berico”.
4
Ai volontari del “Barana”: nei volti e nelle mani di tutti si è visto che «Dio ha tempo per l’uomo». Dovunque un giorno noi saremo, grazie!
5
6
Sommario
Introduzione
Il nostro futuro sta nello spezzare il pane
11
IL PROSSIMO COME L’ALTRO PER ME Anno formativo 2010-2011 Introduzione
33 35
Accogliere l’“altro” a casa nostra: il senso cristiano del dimorare - Luca 10,38-42 - L’uomo nella sua casa - Il povero nella nostra casa
L’altro è “signore” per noi - Matteo 19,16-22 - Secondo il Vangelo l’“altro” è la via alla vita - L’altro nel legame del dono
Il volontario: una chiamata per la testimonianza - Giovanni 15,20-21.26-27 [22-25] - L’esistenza umana è chiamata sulla parola - La testimonianza fa “brillare” il Vangelo
La carta d’identità del cristiano: incontrare, accogliere e servire - Giovanni 13,1-14 [6-13] - L’incontro è la prima dimensione dell’umano - L’accoglienza quale “tessera” cristiana - Il servizio, ultima possibilità di credibilità
7
38 38 38 41 43 43 43 47 50 50 50 54 58 58 58 61 63
CRISTO NELLA SPIRITUALITà FRANCESCANA Anno formativo 2011-2012 Introduzione
La cesura assiale del calendario a partire dal Natale - Frate Francesco (G. Pasquale) - Presepio natività e parola del Nuovo Testamento - Senso francescano del Natale
Elementi di teologia francescana nel prologo del Vangelo di Giovanni - Giovanni 1,1-7.14 [8-13] - “In principio era il verbo”. “Tu sei amore e carità” - “E il verbo si fece carne” “Tu sei tutto, ricchezza nostra a sufficienza”
Il crocifisso origine della fede nell’uomo e della conversione per Francesco - Matteo: 27,45-46; 50-52; 54 [47-49; 53] - “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?” - “Davvero costui era figlio di Dio”
Non vi è Santa Chiara senza Francesco d’Assisi: unica convergenza verso il Signore Gesù - Francesco: canto di una creatura di Alda Merini - Chiara e Francesco: l’aurora del primo incontro
65 67
71 71 72 75
79 79 79 84
86 86 86 90
94 94 95
Tentativi recenti e nuovi di attualizzazione del carisma 101 francescano. Quando soffia lo Spirito - Scenario del francescanesimo da intermezzo - Elementi peculiari di novità - Quando soffia lo Spirito, sguardo al futuro
8
101 105 109
IL LIBRO DELL’APOCALISSE: IL CODICE PER COMPRENDERE IL PRESENTE Anno formativo 2012-2013 Introduzione
Il prologo dell’Apocalisse profetica - Apocalisse 1,1-3 - Il Libro dell’Apocalisse nell’“anno della fede” - Autore e collocazione storica
L’icona di Cristo nella gloria - Apocalisse 1,12-20 - Il legame dell’Agnello all’Antico Testamento - Il Vivente è il primo e l’ultimo della storia - “Sette stelle, candelabri e chiese”
In tuniche bianche con palme nelle mani - Apocalisse 7,9-17 [11-12] - Non solo il popolo dell’Antico Testamento - Dialogo tra Giovanni e uno dei ventiquattro Anziani - “L’Agnello [...] sarà il loro pastore”
La donna e il drago - Apocalisse 12,1-6 - Contesto biblico della donna con dodice stelle - Il secondo segno, il drago potente o il mostro - “Il drago si pose davanti alla donna (v. 4b)”
Il mistero della donna e della bestia - Apocalisse 17,7-18 - I protagonisti e il “mistero” della storia umana - Il simbolismo storico e la posizione del male - Le ore del male sono contate, l’eterno è Dio
9
113 115 120 120 120 124 128 128 129 131 133 135 135 136 139 142 144 144 144 147 151 154 154 155 157 159
La Città Santa - Apocalisse 21,9-27 [13-21; 23-26] - Giovanni vede la sposa, la donna dell’Agnello - La forma smisurata della Città e il significato - Entreranno solo gli iscritti nel Libro
Lettera del presidente “Amici di San Francesco”
163 163 163 166 168
di Stefano Vallani
171
Elenco volontari
173
10
Introduzione Il nostro futuro sta nello spezzare il pane
Arrivavo a Verona tre anni or sono nel Convento dei Frati Minori Cappuccini del “Barana” in piena estate 2010. È uno splendido luogo situato nel colorato quartiere di «Borgo Venezia» della Città Scaligera – certamente una delle più belle metropoli del Veneto –, ora, però, non più soltanto un «borgo», bensì una zona divenuta oramai centrale nella Città, pur trovandosi tuttora all’imbocco geografico cittadino che conduce alla Valpantena, avamposto pianoro dei monti della Lessinia. «Colorato» perché negli ultimi cinquant’anni si è creata una variopinta osmosi tra la gente accogliente, felice 1 e laboriosa di Verona e gli immigrati e le immigrate di colore giunti in questo ricco e industrializzato crocevia del Garda per cercare lavoro, formando nuove famiglie, particolarmente credenti e praticanti tra quelle di etnia cristiana. Appena posi piede in Convento il 21 Luglio 2010 – nella Festa del Cappuccino San Lorenzo da Brindisi, che proprio in Verona conobbe il nostro Ordine – i Frati mi assegnarono una provvisoria, quanto invidiabile, stanza nella cosiddetta «Villa Barana», una piccola porzione del Convento adibita 1
Cf A. Peters, Sulle tracce della felicità, (Harmony Jolly 866), Harlequin Mondadori, Milano 2012, pp. 57-61. Cf anche A. Priante, Quel Veneto gioioso quando il benessere si misura su Twitter. Verona in testa. Calà: è il nostro humor, «Il Corriere della Sera. Veneto» 138 (2013) n. 175, del 24 Luglio 2013, p. 9.
11
agli ospiti e prospiciente il piazzale antistante la Mensa dei Poveri «San Leopoldo Mandić», mensa che, assieme all’ascolto quotidiano delle confessioni nel sacramento della riconciliazione, contraddistingue e onora il precipuo servizio dei Frati a Verona. Da almeno quattrocentottant’anni. I pensieri che mi affollavano la mente in quei primi giorni estivi per essermi ritrovato catapultato, in poche ore, in una realtà a me completamente allogena, si intersecavano con inedite considerazioni che, pulsanti nel cuore, trovavano eco, poi, nella mente di fronte a quel brulichio di esseri umani che venivano alla mensa per mangiare. Tutto d’un tratto mi veniva posta di fronte quella “massa grigia” di poveri 2 così diametralmente dirimpettaia alla “noblesse” veneziana che contraddistingue il Capoluogo lagunare e la sua diplomatica cortigianeria. Erano volti, dagli sguardi innocenti e incuriositi, mamme con bambini magrissimi in braccio, giovani calzati da sandali sdruciti o, al massimo, con ruvide scarpe da ginnastica, anziani che, giunti alle sei del mattino, speravano di potersi sedere per primi, data la stanchezza delle loro esili gambe. Nessuno meglio di Gesù, il Figlio di Dio fattosi uomo, pellegrino e fore2 Tornano appropriate, in questo caso, le memorabili parole di Karl Rahner (1904-1984): «Il risultato e il senso definitivo della storia salvata presso Dio non sono identici a quelli messi in luce dai grandi eroi della storia e della cultura. Secondo la fede cristiana, che su questo punto è antielitaria in maniera radicale, i benedetti del Padre, che possederanno il regno, sono i poveri e i piccoli, la “massa” grigia che gli storiografi hanno trovato interessante quasi solo come humus su cui hanno visto crescere le grandi azioni, le uniche per loro degne di essere prese in considerazione dalla storiografia. [...] Pure questo problema non trova però in fondo la sua soluzione in una giusta gerarchia nella definitività del risultato della storia, bensì in quell’amore atemporale, in cui il risultato disinteressatamente amato della storia complessiva di tutti appartiene a ognuno»: K. Rahner, Storia profana e storia della salvezza, in Id., Scienza e fede cristiana. Nuovi saggi, IX, Edizioni Paoline, Roma 1984, pp. 27-28.
12
stiero (Lc 9,58), ha compreso che chi viaggia, costretto magari a lasciare il proprio paese di origine, ha fame e sete (Mc 6,37) e che ci si deve anche, talvolta, sedere (Gv 6,10), tranne forse – ma per converso – Karl Marx (1818-1883) quando affermò che il lusso della teoresi è permesso soltanto a chi ha lo stomaco pieno 3, mentre a tutti gli altri resta soltanto la possibilità o di combattere o, altrimenti, di «mettersi in fila», appunto, per mangiare. Dall’alto della mia «cella» – questo è a tutt’oggi il nome della camera per un Frate – osservavo, dunque, questa scheggia di «quarto mondo» concentratasi sul piazzale della nostra Chiesa titolata al «SS.mo Redentore», proprio come quella del Palladio, all’ombra della quale sono rimasto a Venezia per tre lustri: appunto, l’unità del paradosso elevata a «titolo». La mia curiosità era polarizzata, piuttosto, dal poter vedere realizzato, in questo caso a Verona e in un medesimo spazio e tempo, il comandamento dell’amore per antonomasia consegnato quale Testamento da Gesù Cristo ai suoi discepoli: «da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35), dopo che i discepoli avevano imparato dal Maestro l’imperativo su come comportarsi con chi ha fame: «voi stessi date loro da mangiare» (Mc 6,37). In poco tempo venni a sapere che negli ultimi quindici anni i Frati Minori Cappuccini di Verona avevano creato attorno alla «Mensa» un autentico miracolo della carità cristiana, innestandolo nella più genuina tradizione francescana: quella di donare ciò che si è ricevuto dalla Divina Provvidenza, che ai Cappuccini in Verona ha dato prova consistente ed eloquente di sé. 3 Cf K. Marx, Okönomische Manuskripte. XVI. Theorien über den Mehrwert, (1863-1867), Dietz, Berlin 1967, pp. 447-453.
13
Nel volume che abbiamo tra le mani, Spezzare il pane con Francesco, vengono pubblicate le conferenze formative che l’Autore ha tenuto nel triennio 2010-2013 sia agli «Amici di San Francesco», un’Associazione – ovviamente no profit e di ispirazione cristiana e francescana – composta da circa centosessanta tra volontari e volontarie effettivi che operano 365 giorni all’anno presso la Mensa del Poveri «San Leopoldo Mandić» 4, sia a tutti gli altri partecipanti, essendo state volutamente aperte al pubblico. A dire il vero l’idea di iniziare questo ciclo formativo triennale scaturì da una geniale intuizione del responsabile della mensa, il confratello fra’ Mario Manfrin, essendo entrambi consapevoli del fatto che il ruolo di Marta (Lc 10,38) è indisgiungibile da quello di Maria, ma soprattutto, a partire dalla consapevolezza che soltanto attraverso una formazione permanente umana e cristiana non si perde quel contatto essenziale con il mondo nel quale abitiamo e nel quale abita il nostro prossimo, l’altro-per-me. L’inaspettato e totalizzante impatto positivo ottenuto con i tre cicli di conferenze e le reiterate richieste di poterne avere il testo scritto, ci ha, quindi, convinti ad assemblare tutto il materiale in un libro che ora esce per i tipi della Gabrielli Editore. Le tre sezioni che lo compongono corrispondono anche ai tre cicli annuali, che, così predisposti, sono l’uno contiguo all’altro. La bellezza passa sul deserto delle nostre strade La prima sezione fotografa la situazione attuale e trattiene, quindi, uno stigma piuttosto di analisi filo4 In appendice al libro in elenco ne compaiono 220, perché vengono computati pure quelli entrati dal 1996, e i defunti.
14
sofica sull’attuale nostra situazione esistenziale. In essa viene descritto chi è l’«altro» – ovvero il prossimo – nello scenario della tardomodernità, quello, appunto, che cominciò a inocularsi nella società a partire dall’11 Settembre 2001, facendola inceppare. Su questo scenario l’altro si staglia soltanto come un soggetto a me potenzialmente nemico o perché di diverso colore o perché più scaltro di me nell’esercitare, magari, un lavoro che io non ho (o che non mi abbasserei a praticare). Così percepito, l’altro cessa di essere il mio prossimo e alimenta gli appigli dell’«ospite inquietante» che abita l’uomo tardo moderno 5, per cui ogni altro è per me fonte di cruccio o, addirittura, d’ansia a tal punto da essere spinto ad evitarlo a qualsiasi costo. Succede così che la bellezza della presenza dell’altro, la cui dimora è nel mio stesso mondo, svanisce nella paura che egli «ci sia», avvitando me stesso in quell’ammanco di pace così diametralmente opposto alla buona notizia del Vangelo. «I nostri occhi», scrive con la consueta graffiante lucidità Pier Paolo Pasolini, «non si aspettano che accada più niente. Forse perché non credono che la bellezza esiste. Ma sul deserto delle nostre strade lei passa, rompendo il finito limite e riempendo i nostri occhi di infinito desiderio» 6. Quante volte ho ripensato a questa frase scorgendo il sorriso, smagliante e bianchissimo, sbucare armonioso dal volto di un giovane africano, mentre, uscendo dal Convento mi salutava dalla «fila di attesa» per il pranzo. Oppure quando, tardi la sera, vedevo rientrare verso Poiano (VR) il vecchio Saddam, pedalando a fatica una sgangherata 5 Cf U. Galimberti, L’ospite inquietante: il nichilismo e i giovani, (Serie Bianca), Feltrinelli, Milano 200811, pp. 178-194. 6 P.P. Pasolini, Petrolio, Einaudi, (Einaudi Tascabili 156), Torino 19975, p. 487.
15
bicicletta, essendo arrivato sul piazzale del «Barana» alle sei del mattino. Difficilissimo era – per me discepolo del Poverello di Assisi – non presentire quel nodo alla gola che pone in essere l’interrogativo su quale volto oggi Gesù Cristo, Figlio di Dio, (ancora) sorrida e su quale strada, non necessariamente conducente ad Emmaus, egli effettivamente cammini. Ecco perché un intero capitolo di questa prima sezione si impegna a descrivere la «carta di identità» del cristiano e del volontario, ovvero di qualsiasi persona che voglia rendere della propria vita un valore in sé e per sé. Da qui la seconda sezione del libro, il cuore dello stesso, la quale giustifica anche il sottotitolo: I Cappuccini a Verona, testimoni di una presenza. In essa il lettore troverà la connotazione della spiritualità francescana che rende i Cappuccini tali e, anzi, ne esibisce lo “smalto”: innanzitutto, il loro essere «frati del popolo», per cui ogni barriera che si sovrapponesse a questa connaturale osmosi con la gente risulta ai Cappuccini indigesta per natura; quindi, la pulsante umiltà intrisa in qualsiasi loro gesto, per cui ogni successo deve essere attribuito a Dio, di modo che nel loro compiere il bene vi sia sempre un innato quanto invidiabile pudore; infine, la serenità nel vivere la provvisorietà dei tempi e dei luoghi, senza appropriarsi di nulla, tanto che non fa più meraviglia la mobilità con la quale essi si spostano velocemente, itineranza che è, però, funzionale alla nuova evangelizzazione e trattiene pure il sapore della libertà e, quindi, della felicità. Questa seconda sezione risulta, inoltre, particolarmente utile e interessante agli operatori pastorali e ai sacerdoti in «cura d’anime» (espressione oggi quanto mai attuale, quella della “cura”) perché contiene l’esegesi francescana di alcuni brani mirati della Sacra Scrittura, 16
evidenziando, per esempio, il cristocentrismo del Poverello di Assisi, il senso teologico della fede cristiana quale «vera religione» rispetto alle altre, l’importanza della considerazione della nostra storia come storia di salvezza. La terza sezione del volume veicola una lettura esegetica e teologica di alcune pericopi mirate del Libro dell’Apocalisse ed è stata, poi, quella che, effettivamente, ha spinto a ideare la pubblicazione del volume stesso, in ragione della richiesta del testo scritto di questo terzo ciclo di conferenze. Qui il lettore troverà coniugata un’analisi della temperie storica attuale attraverso la lente d’ingrandimento del «libro della rivelazione» per antonomasia che, appunto, l’Apocalisse è. Non si troverà lo svelamento di alcun segreto, quanto piuttosto un fil rouge – una luce – di speranza per interpretare gli avvenimenti che ci accadono ogni giorno, sia nel consorzio civile come anche nella Chiesa, il senso e il valore della profezia neotestamentaria che non mira ad esibire pronostici nefasti o terribili vaticini sul nostro futuro, spingendoci, piuttosto, a “curare” la nostra comunità cristiana attraverso le inestimabili virtù teologali della fede, della speranza e della carità. La nostra breve microstoria personale è, di fatto, meravigliosamente quanto inestricabilmente agganciata alla storia della salvezza avviata con il sacrificio dell’Agnello – di Gesù, uomo come noi e Figlio di Dio – sulla croce, il quale ci sta soltanto attendendo, seduto sul trono, chiedendoci di «pazientare ancora un poco» (Ap 6,11) perché ci ha sussurrato: «ecco, io vengo presto» (Ap 22,12). Se anche avessimo avuto – come l’abbiamo – l’impressione che proprio la Chiesa, nata per attendere la seconda venuta del Signore Gesù e, poi, scomparire presto, si sia ultimamente arroccata meglio di al17
tri consorzi umani a salvaguardare, surrettiziamente, il mantenimento della propria posizione nella salvaguardia al presente dei propri “scranni” 7, non sia questo ad ottundere quella serenità evangelica con la quale, nella primavera della nostra esistenza, dicemmo di «sì» all’Agnello, l’unico vero atomo di libertà che darà “ragione” alla storia della salvezza e che ci «darà ragione». I Cappuccini si stabiliscono nel Veneto iniziando da Verona Certamente il legame dei Cappuccini con la Città di Verona resterà – per così dire – a «doppia mandata» perché proprio nella Città scaligera essi fecero il loro ingresso in Veneto, da cui la successiva e progressiva fondazione della Provincia Veneta dei Frati Minori Cappuccini detta di «Sant’Antonio». Fa piacere notare come fu proprio l’allora Vicario Generale della nascente Riforma Cappuccina P. Giovanni da Fano (1469-1539) – ufficio corrispondente a quello attuale di Ministro Generale – a portare i Cappuccini a Verona, giungendo egli stesso di persona per la predicazione della Quaresima nel 1527 8. Conviene trascrivere qui alcuni brevi appunti degli antefatti di allora: «Il medesimo spirito, che aveva animato Francesco, spingendolo ai vertici più arditi della santità, animava tre secoli dopo una porzione eletta dei suoi seguaci per l’aspro cammino della povertà, austerità, ardore 7 Cf S. Natoli, La salvezza senza fede, (Universale Economica 1948) Feltrinelli, Milano 20082, pp. 134-136 8 Cf P. Mario da Mercato Saraceno, Monumenta Historica ordinis minorum capuccinorum. I, Relationes: de origine ordinis minorum capuccinorum, in lucem editae a P. Melchiore a Pobladura eiusdem ordinis Collegio S. Lorenzo da Brindisi, Assisi (PG) 1937-1960, p. 298.
18
apostolico e serena letizia attraverso una riforma, che s’andava attuando e affermando nel Veneto e nella Lombardia, specie in quella Verona, che poteva dirsi il centro delle due regioni. E davvero in pieno umanesimo, sia pur beneficamente influenzato dagli energici richiami dello zelante Pastore [il vescovo Giberti], quei primi frati Cappuccini dovevano offrire uno spettacolo non comune di santità per potersi affermare in Verona, nella quale, specie i Francescani erano assai largamente rappresentati nei due grandi e imponenti conventi di S. Fermo e di S. Bernardino. La loro stessa vita, pur così primitiva, ma nel contempo così eroicamente sublime e ispirata al francescanesimo genuino, costituiva la giustificazione più pratica della loro esistenza. Dagli allegati brani resta altresì confermato il merito non comune del P. Giovanni nella fondazione del convento di Verona, il primo ufficialmente organizzato nel Veneto. Affidatosi tutto alla Divina Provvidenza, sorretto dall’autorevole imposizione dell’obbedienza, unicamente armato di pazienza e umiltà egli non solo seppe affrontare incomprensioni e ostilità, inevitabili in ogni nuova iniziativa, bensì [seppe] cattivarsi la stima e l’affetto di un’intera città e specialmente dello zelante vescovo Giberti. Fin dai primi giorni costui, esaminati i novelli religiosi e intuitane la bontà di spirito e la santità di vita, mise a loro disposizione il suo credito e i suoi mezzi per generosamente favorirli. Aveva subito molto ben compreso lo zelante pastore che uomini di quella tempra e di virtù così concreta, i quali, alla vita francescana avevano dato un’interpretazione così severa e pur così gioconda, in diretto contrasto con la decadenza universale, gli sarebbero stati collaboratori validissimi nella riforma del popolo e del 19
clero a sé affidato. Il loro esempio, la loro vita avrebbe costituito la predica più bella ed efficace. D’altra parte l’esser stati i Cappuccini subito compresi e favoriti da un uomo così esigente e superiore, costituisce per essi la più ambita lode e un’autorevole conferma circa la bellezza del loro ideale e l’opportunità della loro missione» 9. Ecco perché questo nativo legame dei Cappuccini con la Città di Verona lascia e lascerà necessariamente aperto l’interrogativo sull’eventuale loro possibile ritorno. Istituiti come Ordine nel 1525, e quale riforma dell’Ordine francescano, «li predetti giunsero a Verona nel 1527 [i Cappuccini, e] si ricoverarono per qualche anno nel paese di Quinzano sotto certe cave [...]; poi il Vescovo Matteo Giberti li collocò presso la Chiesa di San Giovanni [...]; successivamente, nel 1535 a San Bovo [...]» 10 al Corso detto anche l’«ospitale delle Fratte». Nel 1536 si trasferirono a Santa Maria Vecchia, nel 1571 nel Monastero di Santa Croce a Cittadella (luogo che da loro prese il nome di «Cappuccini vecchi»), dove dal 1575 al 1576 trascorse il noviziato San Lorenzo da Brindisi (1559-1619), Dottore della Davide M. da Portogruaro OFM Cap. [Luigi Giuseppe GeroStoria dei Cappuccini Veneti. I. Gli inizi (1525-1560). Capo VII. Ingresso dei Cappuccini a Verona, Scuola Tipografia Emiliana Artigianelli, Curia Provinciale dei FF. MM. Cappuccini, Venezia-Mestre 1957, pp. 114-115. Circa i rapporti tra i Cappuccini e l’humus umanista italiano cf J. Petrikovic, Bernardine Ochino and italian humanism. A study in Context, [s. ed.], Romae 1996. 10 L. Brusco, I Reverendi Padri Cappuccini in Verona: notizie storiche, P. Libanti, Verona 1836, p. 8. Desta meraviglia che ad esimi storici della Provincia Veneta e dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, passati e presenti, sia sfuggita questa fondamentale fonte archivistica. Si presume che la “svista”, di non poco conto per gli addetti ai lavori, sia attribuibile al fatto che questo materiale archivistico si trova solo in Verona nell’archivio parrocchiale di Quinzano (VR) e nella «Biblioteca Frinzi» (ex Chiesa di San Francesco di Paola), sempre in Verona. 9
min],
20
Chiesa e loro futuro Ministro Generale. Questo luogo ospita attualmente l’Archivio di Stato. Il Convento dei Cappuccini era separato da quello che fu il Convento dei Frati Minori fino al 1261 dalla via delle «Franceschine», dove – narra la leggenda – sono stati sepolti Giulietta e Romeo. Ai «Cappuccini vecchi» i Frati rimasero fino alla soppressione napoleonica del 1810 11. Tornati a Verona nel 1835 si sistemarono nella chiesa di Santa Marta, in via Cantarane, vicino a Porta Vescovo, acquistata dai Cappuccini nel 1833, due anni prima, i quali la restaurarono e ne ripristinarono il chiostro 12. Il luogo, 11
La soppressione Napoleonica costò la vita anche al Cappuccino Luigi Maria da Verona (al secolo Domenico Frangini) morto in concetto di santità (1725-1797) e fucilato l‘8 Giugno 1797, all’età di 72 anni. Rifiutatosi di disconoscere la paternità di una «Lettera» in cui confidava ad un confratello le atrocità dei Francesci contro i veronesi o di farsi passare per pazzo o per ubriaco, Padre Frangini affrontò il martirio, raggiante, al suono scordato dei tamburi. Anche i popolani Pietro Sauro, Andrea Pomari, Stefano Lanzetta e Agostino Bianchi subirono analoga sorte: fucilati tutti a destra di Porta Nuova, guardandola dall’esterno, come una lapide a tutt’oggi testifica. Di Padre Luigi Maria nessuno si ricorderà più, fino al 29 Marzo 1897, quando, in occasione del primo centenario delle «Pasque Veronesi» il dotto sacerdote Antonio Pighi ne recuperò i resti mortali, che, accompagnati da un numeroso corteo, furono deposti nel Cimitero Monumentale, nell’edicola dei Cappuccini. Era l’8 Giugno 1897 e quel giorno correvano cento anni esatti dal suo supplizio: cf Cenni biografici del Padre Luigi Maria da Verona, Cappuccino, fucilato dai Francesi nel 1797, Premiato Stabilimento G. Pozzati, Verona 1897, pp 243267; si veda anche F.M. Agnoli, Le Pasque Veronesi, Il Cerchio Iniziative Editoriali, Rimini 1998 pp. 189-194 12 Le vicende della chiesa di Santa Marta dicono di quanto si deve essere accorti e precisi con le fonti storiche e documentarie d’Archivio. Per quanto interessa ai Cappuccini, essa si trova in via XX Settembre: imboccata da Porta Vescovo in direzione Centro città, sul lato sinistro della strada, dopo l’ex caserma militare, si vede quel che rimane di questa chiesa. Una chiesa e l’annesso monastero furono edificati nel 1211-1212 dall’Ordine dei Monaci di Sant’Agostino: originariamente la chiesa fu dedicata a Santa Maria Maddalena. Nel 1293 fu costruito anche il chiostro. La chiesa fu rinnovata e ampliata nel 1300 per volontà di Alberto I della Scala. Nel 1350 il monastero fu soppresso, e la proprietà venne
21
tuttavia, interessava anche alle forze armate austriache cosicché nel 1850 i Frati dovettero andarsene nuovamente, anche se temporaneamente. Dapprima si stabilirono in un locale fuori mano, nei pressi della chiesetta dei Santi Sirio e Libera, appena sopra il Teatro Romano, i cui resti venivano messi in luce proprio in quel tempo da Andrea Monga (1794-1861). Lì sorgeva, infatti, l’ex convento dei Gerosolimitani, ora sede del Museo Archeologico, un luogo stupendo, dal quale lo sguardo poteva spaziare sul sottostante panorama dell’Adige e della Città, ma anche questa “residenza” durò ben poco. Nel 1835 adattarono ad abitazione e a chiesa qualche povero locale in via Cantarane n.° 42, con la speranza di riottenere il Convento di Santa Marta. Poiché l’intento risultò impossibile, decisero di costruire, dove si trovavano, un conventino e una chiesa che dedicarono a San Francesco 13. acquisita dal vicino monastero di Santa Maria delle Vergini. Solamente nel XIX secolo la chiesa assunse la denominazione di «Santa Marta», forse per un errore di trascrizione nel «catastatico» dei beni del convento. All’inizio dell’Ottocento per decreto napoleonico anche il convento di Santa Maria delle Vergini venne soppresso: chiesa e monastero vennero alienati. La chiesa di Santa Marta, sconsacrata, fu usata per alcuni anni come ricovero per gli stalloni, e nel 1829 venne venduta, mentre il campanile pericolante fu abbattuto nel 1833. Nello stesso anno la chiesa fu acquistata – come accennato – dai Padri Cappuccini. Nel 1850 l’autorità militare austriaca acquisì i fabbricati, che vennero destinati a caserma. Tra il 1863 ed il 1865 la chiesa fu demolita assieme a gran parte del convento in conseguenza della costruzione del nuovo stabilimento della provianda; fu conservata solo una parte del chiostro. Facevano parte del servizio logistico della provianda («Verpflegsamt») anche il vicino Panificio di Santa Caterina da Siena, e parte della caserma di San Francesco di Paola. La stesura originale del progetto prevedeva anche la costruzione di un grande edificio da destinare agli uffici amministrativi della sussistenza e agli alloggi del personale che, però, non venne mai costruito: cf L. Brusco, I Reverendi Padri Cappuccini in Verona, pp. 8-16. 13 L’imperatore Francesco Giuseppe per onorare il Santo di Assisi volle contribuire all’erezione della chiesa con 9 mila lire austriache, chiesa che fu ultimata nel 1863. La chiesa, da non confondersi con quella sopra
22
Dopo la soppressione dei beni della Chiesa e la liquidazione dell’Ente ecclesiastico avvenuta nel 1867 da parte del re Vittorio Emanuele II di Savoia, accettarono l’offerta di alcuni locali in via Biondella. Subito dopo, nel Gennaio 1868, furono costretti a spostarsi e si trasferirono presso Santa Maria di Nazareth, sopra San Giovanni in Valle, in un luogo acquistato per essi dai marchesi di Canossa. Vi rimasero fino al 1872, quando, poiché il luogo era molto scomodo e assai poco accessibile, presero nuovamente residenza presso la Chiesa dei Santi Siro e Libera. Nel 1893, infine, si fermarono sulla strada che allora si chiamava «via Barana», la quale, uscendo da Porta Vescovo, conduce, – come accennato – in Valpantena, ossia nella sede attuale. La nona a Verona. In quegli anni Parroco di quell’unica parrocchia dei Santi Nazario e Celso dentro le mura nella zona Est della Città era il Beato Zefirino Agostini (1813-1896), fondatore delle Suore Orsoline. In ogni caso, proprio a motivo di quella «via Barana», esattamente da 120 anni ad oggi a Verona i Cappuccini sono e si chiamano «Frati del Barana». Interessante è quanto trascrive l’anonimo cronista nel suo «Promemoria» datato 25 Aprile 1899: «Il nostro Ospizio di Verona nella località detta Barana, sotto il forte Biondella, fu acquistato li 2 Febbraio 1892; i Religiosi entrarono li 11 Settembre del med. [medesimo] a. [anno] e tosto si incominciò la riduzione [sic!] a Convento e la fabbrica della bella Chiesetta, Benedetmenzionata di San Francesco di Paola, ebbe vita brevissima, la più breve di qualsiasi altro edificio sacro a Verona. Nel 1867, con il passaggio di Verona al Regno d’Italia, chiesa e convento furono soppressi ed assegnati al Comune. Oggi la chiesa è diventata il nuovo «Teatro Camploy» su progetto dell’architetto veronese Rinaldo Oliveri: cf L. Brusco, I Reverendi Padri Cappuccini in Verona, pp. 15-16.
23
ta dal M.R.P. Innocenzo da Villafr. [Villafranca] a ciò autorizzato, li 29 Ottobre e il primo Novembre 1894 fu aperta al pubblico che vi concorreva in gran folla. Il luogo per il Seminario Serafico si ebbe solamente li 2 Settembre ’97 [1897] e se ne prese il possesso al principio d’Ottobre; in posto non ancora compiuto volarono i giovanetti partiti da Rovigo, il giorno Sacro dei Defunti, nel Novembre dell’anno seguente» 14. Nel frattempo, e precisamente nel 1893, si iniziò l’allestimento della biblioteca conventuale, in cui si conservano circa 800 documenti antichi, fra cui alcune Cinquecentine e testi del Sei-Settecento, ed oltre diecimila monografie. Nel 1898 accanto al nuovo Convento fu aperto un Seminario, ricostruito completamente nel 1929 per interessamento del P. Odorico da Pordenone, divenuto successivamente Ministro Provinciale. Più dei due terzi degli attuali Frati Cappuccini componenti la Provincia Veneta si è formato alla vita dell’Ordine in questo Seminario e nell’annesso Biennio ginnasiale classico legalmente riconosciuto «San Francesco d’Assisi», respirando le serena atmosfera che lo contraddistinse. Il Ginnasio terminò la propria attività scolastica nell’Anno Scolastico 2001/2002, mentre il complesso del Seminario venne chiuso nel 2004 a motivo della flessione vocazionale, e riconvertito in una Casa di riposo per anziani aperta al pubblico nel 2013, grazie al supporto della «Fondazione Oasi» di San Bonifacio (VR). La Chiesa conventuale, dedicata al SS.mo Redentore (o SS.mo Crocifisso) e consacrata il 2 Luglio 1935, 14
Il nostro Ospizio di Verona. Promemoria [25 Aprile 1899], volume I, in Archivio Provinciale dei Cappuccini Veneti [APVC] di Venezia-Mestre. L’attuale Archivista Provinciale P. Remigio Battel OFM Cap. ha siglato questo faldone così: «I [prima] Cronaca rimasta». Si è preferito riportare il documento storico d’Archivio copiandolo “alla lettera”.
24
si presentava oramai troppo angusta e inadatta alle necessità del tempo cosicché nel 1974 fu modificata e ristrutturata insieme alle sue adiacenze. Sul finire degli anni Novanta del secolo scorso tutto il convento attuale subì un restauro radicale e nel 1999 venne aperta, nel terreno adiacente al piazzale, l’attuale Mensa dei poveri «San Lepoldo Mandić». Mantiene tutta la sua validità, a questo proposito, quanto scrisse alcuni anni fa l’allora Guardiano del Convento P. Remigio Battel: «Forse per l’aspetto fresco e moderno del fabbricato, forse per il continuo e intenso contatto che i frati hanno con il mondo laico, in questo convento l’atmosfera è quasi giocosa, di grande disponibilità per chiunque giunga da fuori» 15. Un’ulteriore precisazione storica tratta dall’archivio della «Cronaca conventuale» dell’anno 1999 – oramai tre lustri or sono – apre uno squarcio particolarmente interessante su quali furono i primi passi dell’attuale «Mensa dei Poveri», soprattutto se in essi si osserva la mano invisibile, ma potente, della Divina Provvidenza. Così appunta la penna del cronista – riconoscibile dalla calligrafia nella sua identità – l’8 Novembre 1999: «Alle ore 9:30, la fraternità si riunisce per il Capitolo locale. È da notare che per mercoledì prossimo, 10 Novembre, viene fissata l’apertura della nuova “mensa dei poveri”. In questi giorni si fa notare la preziosa opera di coloro che si prodigano per la pulizia, soprattutto per la nuova mensa poveri. [...]. E alla sera vi è un incontro con un gruppo di volontari, che si sono resi disponibili per questo servizio. P. Gabriele [Righetto OFM Cap.] parteci15 R. Battel, Descrizione storica, in M. Maruri Alicante, Il cucchiaio dell’Abate. Pellegrinaggio gastronomico per Conventi e Monasteri, Àncora Libri, Milano 1999, pp. 81-83, qui p. 83 [con ampio e raro «ricettario» del Cuoco Fra’ Gregorio Falasco OFM Cap.].
25
pa, alla sera, ad un incontro a S. Felice Extra, incentrato sulla carità, e lancia la forte proposta per un volontariato in questa nostra realtà, così significativa qui a Verona. Poi, rientrato, partecipa all’altro incontro, nel quale si profila un volontariato forte nel fine-settimana, ancora un po’ scarno nel resto della settimana. Ma mercoledì si partirà» 16. E, di fatto, la Mensa venne ufficialmente aperta il 12 Novembre 1999. Un caleidoscopio di carità cristiana con la presenza dei Cappuccini Questo libro che il lettore si trova adesso tra le mani è, insomma, il risultato finale con cui l’Autore ha inteso “spezzare il pane” della parola durante tre intensi anni congegnati per la formazione permanente dei volontari della «Mensa dei poveri» e di molti altri amici che, incuriositisi per questa nuova modalità di formazione biblica, si sono via, via aggiunti ai 220 elencati in appendice al presente volume. La convinzione fondamentale, infatti, è quella per cui la nostra immediata credibilità di credenti cristiani, il nostro futuro, si gioca, appunto «nello spezzare il pane», formato da semplici chicchi di grano, agli affamati, e nello spezzare il pane della «Parola di Dio» (Mt, 4,4b) a chi è assetato, per la propria esistenza, del senso ultimo che la dovrebbe far stare in piedi. I due “servizi” sono inscindibilmente connessi l’uno all’altro perché anche Gesù – e proprio 16 Cronaca del Convento del Barana [Novembre 1999] ora definitivamente archiviata nell’APVC [Archivio Provinciale dei Cappuccini Veneti] in Venezia-Mestre. «Cronista» nel 1996 era P. Remigio Battel OFM Cap., attualmente Archivista Provinciale. Si è scelto di ricalcare la punteggiatura della «Cronaca» pur sapendo che, per gli addetti ai lavori, essa potrà apparire leggermente ridondante e pleonastica.
26
nell’ultima cena – spezzò e il Pane e la Parola: anzi, si spezzò per amore, anticipando il sacrificio della Croce, nel silenzio della morte, per quanto essa fosse il preludio della risurrezione. Molti dei lettori hanno ascoltato dal vivo i testi scritti delle tre sezioni che compongono questo volume attraverso la modalità di conferenze serali, che adesso l’Autore consegna agli amici e alle amiche di Verona quali debili postille, ma soprattutto a ricordo e testimonianza del bene che ho loro voluto, anche se non sempre platealmente manifestato. Ma, appunto, in quanto conferenze – “sbobinate” dalla Curatrice del volume Silvia Rancani con un impegno e una acribia davvero ineguagliabili –, è inevitabile che le pagine che seguono risentano dello stile interlocutorio delle stesse. E, tuttavia, forse proprio per questo e per il fine lavorio di curatela, il testo balza agli occhi molto più interessante, lineare e semplice da leggere. Anzi, si presenta come un autentico libro di meditazione e di avvio all’esegesi della Sacra Scrittura, la Parola di Dio pulsante in ogni tempo nel cuore di quell’uomo e di quella donna che la vogliono ascoltare, al fine di avviarli all’incontro con il Signore Gesù Cristo, vedendo il volto del quale si vede il Padre. La Mensa dei Poveri «San Leopoldo Mandić», il Santo Cappuccino della riconciliazione e del perdono non è, però, soltanto la più grande mensa dei poveri dell’intera Città e Diocesi di Verona, come ha pubblicamente dichiarato S.E.R. Mons. Giuseppe Zenti nella Chiesa del “Barana” martedì 30 Luglio 2013 sera, stracolma all’inverosimile di circa trecento veronesi, presente l’intera comunità dei Frati Minori Cappuccini, riunitisi per “udire” un semplice “grazie” dall’unico interlocutore che si è reso disponibile a sussurrarlo: 27
appunto, il vescovo e il pastore. E, per quanto è stato possibile, interloquendo dinnanzi ai tanti punti interrogativi, ancora rimasti inevasi, e che, forse, è meglio consegnare al giudizio della storia. Detta «Mensa dei Poveri» – dicevamo –, dopo il primo seme gettato dai Cappuccini nel terreno buono che l’animo dei veronesi è, si è piano, piano trasformata in un cedro rigoglioso ancora più grande e verdeggiante dei pur numerosi e lussureggianti che abbelliscono il giardino dei Frati. In realtà, grazie all’impareggiabile creatività, generosità e – vorrei affermare, senza tema di smentita –, gioiosa “flessibilità” dei veronesi, attorno alla Mensa i Cappuccini sono riusciti a creare un autentico e variopinto caleidoscopio della carità cristiana. Si tratta di una miriade di altre attività collaterali, gestite da altrettanti gruppi di persone volontarie che qui vogliamo adesso ringraziare: il gruppo di «trasporto del cibo» preparato in cucina, le cuoche, il gruppo di «servizio ai tavoli» della Mensa, il «gruppo verdure», il «gruppo indumenti e vestiario», il «gruppo docce» (solo al “Barana”, in Verona, i poveri trovano aperta la toilette di giorno e di notte un po’ di acqua calda per potersi lavare e per evadere tutti quei bisogni fisiologici che ognuno di noi ha), gli «avvocati di strada» (che aiutano gratuitamente coloro che non hanno la possibilità di pagarsi un legale), il «gruppo insegnanti di lingua italiana» per gli immigrati appena giunti in Italia, il «gruppo borse di aiuto alimenti» preparate per circa un centinaio di persone con estrema cura ogni venerdì, il gruppo «pulizie della Chiesa e delle missioni», i fratelli e le sorelle dell’Ordine Francescano Secolare, il gruppo di «distribuzione mobili, arredamento e operatori ecologici», il gruppo degli «addetti alla portineria», il «gruppo scaricatori» delle derrate alimentari le quali, a qualsiasi 28
ora del giorno, arrivano gratuitamente da innumerevoli benefattori di ogni tipo, ditte, parrocchie, associazioni, commercianti, imprenditori, semplici famiglie e numerosissimi fornai dall’intera Città di Verona e dalla provincia, persone tutte alle quali i Frati del “Barana” sono particolarmente riconoscenti. È in questo convergere laborioso e generoso della “Divina Provvidenza” e di volontariato che i Frati del “Barana” sono riusciti a sfamare circa 140 poveri al giorno, tutti i giorni dell’anno, ad aiutare – nell’anonimato – molte famiglie ad arrivare alla fine del mese non completamente digiuni, a rimpinguare tante Congregazioni religiose maschili e femminili a loro volta impegnate nella carità a Verona e ad essere solidali e sensibilmente generosi con molti altri Conventi del Veneto e del Trentino dove, pure, molti altri poveri continuano a bussare. Non è questo l’ambito per dover spiegare come un siffatto «congegno della carità» – comunque guidato dall’Alto – possa riuscire a funzionare, se non altro perché nemmeno allo scrivente sono presenti tutti i risvolti positivi che lo determinano. Ma è certamente questo l’ambito per dover ringraziare fra’ Carmelo Faustino Brotto OFM Cap., tutt’ora vivente, quando nel 1950 avviò, oltre al celeberrimo «Presepe del “Barana”» 17, la questua specialmente del pane, intessendo una fitta rete 17 Sul celebre e visitatissimo «Presepio dei Frati del “Barana”», fondato nel 1950, si è interessata a più riprese la stampa nazionale e internazionale: già oltre trent’anni fa ne parlò il giornalista Irlandese Timothy Holme, One (busy) gentleman of Verona [«Un gentiluomo indaffarato di Verona»], 92 «Catholic Herald» (1980), n. 4935, p. 18 del 5 Dicembre 1980. Più recentemente settimanali e mensili quali: A. Laggia, Quelle magie di Fra Carmelo, «Famiglia Cristiana» 79 (2010) n. 49, del 19 Dicembre 2010 p. 56; L. Santinello, Gli angeli del soccorso, «Messaggero di Sant’Antonio» 113 (2011/1) n. 1289, pp. 62-64 e M. Invernizzi, Il Presepio di Verona, «Il Timone» 14 (2012/12), p. 11.
29
di carità con i benefattori, grazie al suo umile e quotidiano bussare a tante porte. Quando la luce degli occhi di Gesù brilla nell’iride dei suoi umili discepoli Vorrei chiosare questa Introduzione narrando un ultimo episodio occorsomi di quella “lontana” estate del 2010 allorché sbirciavo – come accennato – ciò che di nuovo e inimmaginabile mi stava accadendo attorno. Quest’ultimo dettaglio dà ragione pure del sottotitolo di questo libro I Cappuccini a Verona testimoni di una presenza. La domenica mattina 25 Luglio, lo ricordo ancora come fosse adesso – entrai in «Mensa» attorniato da sguardi e volti sorridenti che contagiarono il mio animo con un immediato senso di accoglienza e di ospitalità. Tra tutti, però, mi fece impressione vedere un giovane egiziano, Abid, servire con destrezza e abilità i poveri che attendevano un piatto per mangiare. Osservando questo “insolito” volontario, non riuscii a resistere alla tentazione di porgergli quella domanda che, a chiunque, sembrerebbe la più normale: «perché sei qui a servire i poveri?». Abid, che dall’abbigliamento si capiva non essere appartenente più alla loro “categoria” ma dal nome e dalla nazionalità certamente mussulmano, mi rispose: «Padre, cinque anni fa io arrivai a Verona povero e affamato come quelli che adesso sto servendo. Se non ci fossero stati i Frati Cappuccini io non avrei avuto né cibo, né aiuto da nessuno. Adesso, invece, lavoro, mi sono sposato e ho formato una famiglia. Soprattutto sono felice di poter far parte dei volontari e di avere la possibilità di aiutare gli altri a sfamare coloro tra i quali io stesso mi ritrovavo». Rimasi senza 30
parole. E deglutii, nuovamente, il nodo gordiano, che poi è una certezza, che la carità cristiana evangelizza per sua natura. Salutai Abid con un «grazie e buona giornata». Non potrò mai dimenticare la risposta di quel volontario mussulmano: «grazie a lei, Padre, della visita e buona domenica». Era, effettivamente, domenica, quel giorno, il “giorno del Signore”. Me lo aveva ricordato il giovane Abid, lui mussulmano, abbagliato e ammirato dalla luce di carità cristiana che aveva intravisto riflessa nell’iride degli occhi dei Frati e dei volontari cinque anni prima. E a proposito di “saluti” questo libro, le sue pagine, le stupende foto (alcune inedite) poste alla fine non incapsulano nessun «addio» – anche se questo saluto rubrica ancora in sottofondo l’etimo augurale offerto all’interlocutore di potersi rivedere assieme dinnanzi «a Dio» («ad Deum») – da parte dei Frati Cappuccini, ma dischiudono, piuttosto, tutte quelle possibilità che sono insite nel futuro. Perché la presenza «si rivela» nell’assenza, come la vicinanza «si svela» nella lontananza, non il contrario. Fermo restando che non sono stati i Cappuccini di Verona a voler “lasciare”, ma – lo si sa – quei protocolli gerarchici che hanno preferito vedere con gli occhi della (presunta) ragione, dimentichi, forse, che «si vede bene solo con il cuore» 18, come, appunto, fa intuire il Libro dell’Apocalisse. L’Autore, e con lui tutti i Frati Cappuccini presenti e passati per il “Barana”, con questo libro desiderano semplicemente dire «grazie» e consegnare a tutti i volontari, amici, benefattori, credenti e non credenti – quale eredità e promessa – l’ultima frase con cui 18 Antoine de Saint-Exupéry, Il piccolo principe, Fabbri Editori, Milano 19882, p. 35.
31
Ferzan Ozpetek chiude il suo film La finestra di fronte: «Lasciare una persona significa tenersi addosso qualcosa di lei per sempre. Questa è la memoria». Gianluigi Pasquale OFM Cap.
Professore nella Pontificia Università Lateranense Città del Vaticano
Verona, 15 Agosto 2013
32
IL PROSSIMO COME L’ALTRO PER ME Anno formativo 2010-2011
33
34
Introduzione Mi capita spesso che più di qualcuno mi chieda dove io abbia imparato l’uso si questa espressione per designare il prossimo: l’“altro per me”. A dire il vero, pragmaticamente dal comportamento dei miei genitori Silvio e Giovanna, assieme ai Frati Cappuccini, e visivamente da quella testimonianza umana e cristiana che vive di e nella qualità del proprio essere uno «sguardo di Dio sul mondo» da parte dei Volontari della Mensa dei Poveri del “Barana”. Con esso, ciascuno di noi può proporre il Vangelo come una qualità di vita che dis-pone alla (della) comunione delle esistenze, dei beni e della gioia creaturale. Soltanto la testimonianza di questa “tripletta” – che, però, deve effettivamente esistere nelle comunità cristiane – noi rispondiamo in simultanea a tre «ospiti inquietanti» che allungano la loro ombra al di fuori delle nostre case: la solitudine, la devastante piaga della povertà e della disoccupazione, e la noia di vivere legata alla paura del futuro che imbrigliano l’Occidente del mondo, avendolo ingessato in un eterno presente. Ora, va da sé che i primi beneficiari della qualità della vita cristiana – indipendentemente dal fatto che si sia consapevoli o meno del dono di grazia che di quella qualità ne è la radice – dovrebbero essere oggi soprattutto i giovani. Per capire la necessità di questa destinalità occorre distanziarsi dallo sguardo psicologico che considera la giovinezza come un’età di mezzo in cui non si è più bambini e non si è ancora adulti, e perciò età faticosa, difficile, fonte di sofferenze e di ansie, età di transito, età inadeguata. E anche dallo sguardo sociologico, che punta gli occhi sulla devianza (i drogati, i violenti, gli sfaccendati), versione scientifica delle ansie genitoriali 35