Tobias il segreto del Re - anteprima

Page 1

1


2


Emanuele Andreuccetti

TOBIAS Il segreto del Re Un cammino iniziatico

Prefazione di Rosanna Virgili

3


Il ricavato della vendita di questo libro sarà interamente devoluto a favore dei progetti: della Caritas di Lucca: Mensa dei poveri di Vicopelago - Centro di ascolto di San Leonardo - Centro distribuzione alimenti di Massa Macinaia (http://www.caritaslucca.org) del Comitato Roraima di Torino: per Progetti di Fratel Francesco D’aiuto, Brasile (http://www.giemmegi.org/coro.htm).

© Il Segno dei Gabrielli editori, 2015 Via Cengia, 67 – 37029 San Pietro in Cariano (Verona) tel. 045 7725543 – fax 045 6858595 info@gabriellieditori.it www.gabriellieditori.it Tutti i diritti riservati ISBN 978-88-6099-259-8 Stampa Il Segno dei Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), Maggio 2015 Per la produzione di questo libro è stata utilizzata esclusivamente energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili ed è stata compensata tutta la CO2 prodotta dall’utilizzo di gas naturale.

4


C’è un diaframma di luce che chiude come una saracinesca la nostra caverna. E noi siamo accecati e bloccati perché questa saracinesca di luce rende invisibile e opaco tutto ciò che c’è dall’altra parte, perché il velo non è il buio, è la luce. Perché la luce, illuminando il mondo che c’è dall’altra parte, in realtà lo nasconde. Costi quello che costi, noi dobbiamo attraversare da parte a parte e sfondare questa nera parete di luce. Antonio Moresco, La parete di luce, ed. Effigie, Milano 2011

S’innalza quieta, densa la notte. Andare. Nel buio. Cercare un’ombra di luce nell’alba. Un senso. Un soffio di stelle sui passi sicuri che vorremmo – e non abbiamo – Un sentiero saputo ma, mai conosciuto e nomadi siamo. Sr. Maria Francesca di Gesù, Carmelitana scalza Monastero Regina Carmeli, Lucca

5


6


INDICE

PREFAZIONE di Rosanna Virgili

9

I - Dove sei?

13

II - Fu mio padre che m’insegnò a camminare

14

III - Reè, Signore guarda!

17

IV - Tu, domani, dovrai partire

23

V - La vita è come un ragno

28

VI - Cercati una guida

29

VII - Le situazioni che vivi sono l’eco della tua voce

35

VIII - Afferra il pesce perché ogni ferita cela un dono

40

IX - Noi siamo esseri che escono dalla bocca di Dio

52

X - Dentro di me esiste una luce che brilla

60

XI - Ricorda di tutto il cammino

71

XII - In terra di Media

75

XIII - L’incontro con l’altra parte di sé al pozzo

80

XIV - Torna a casa tua straniero

83

XV - Ti racconto la mia storia

85

XVI - Vorrei danzare con te Sarah

91

XVII - Il tempo del fidanzamento

101

XVIII - Il matrimonio

104

XIX - Mettimi come sigillo sul tuo cuore

105

XX - L’Amore è più forte della morte

112

7


XXI - La vita è come un albero

116

XXII - La vita è come scalare una montagna

121

XXIII - Mio Dio, tu rischiari la mia tenebra

127

XXIV - Pasqua, festa dei passaggi e delle trasformazioni

132

XXV - L’esistenza è racchiusa tra un’inspirazione e un’espirazione

147

XXVI - Ritornare al centro di se stessi

152

XXVII - La nascita dei figli

155

XXVIII - In morte di mio padre

157

XXXIX - In morte di mia madre

161

XXX - Il fuoco è rivelazione

163

XXXI - Dove sei?

167

8


PREFAZIONE di Rosanna Virgili

Il romanzo di Tobias Il volumetto intitolato Tobia non fa parte della Bibbia ebraica. Esso non è stato inserito nella tradizionale collezione canonica, probabilmente perché scritto in greco. È la tradizione dei Settanta che, al contrario, lo apprezzò e lo consegnò all’ebraismo della diaspora e al cristianesimo. Testimone della vita di Tobi, un Giudeo che vive in cattività nella città di Ninive, il libretto contiene, nondimeno, un segno della perfetta pietà del popolo eletto e si rivolge proprio ai pii ebrei che, pur risiedendo fuori dalla terra dei padri, debbono e vogliono mantenersi fedeli alla Legge e all’Alleanza con il loro Dio. Ma il libro che il lettore si appresta a leggere è altro dal biblico Tobia. Qui si tratta di un romanzo creato a partire da quello, ma sviluppato in maniera molto autonoma e differente. L’A. non solo aggiunge al libretto biblico una materia di interpretazione e commento assai voluminosa, ma cambia anche la trama, aggiunge elementi decisivi per il “plot”, destinati a mutare radicalmente non solo il senso della storia, ma anche il messaggio che emerge da essa. Tanto muta la natura del testo che, mentre la stessa Bibbia cattolica colloca Tobia tra i libri cosiddetti “storici”, il nostro Autore ne fa un manuale in tutto e per tutto sapienziale. Vale a dire che quello che nel canone biblico è inteso come un documento in cui andare a cercare la continuità della fede giudaica nelle regioni della Mesopotamia e della Media, qui diventa un autentico manuale di sapienza umana e biblica per ogni ebreo o cristiano di ogni luogo e tempo. Il portale di questa sapienza è il racconto che pian piano si sviluppa come romanzo. Non si può più parlare di “no9


vella” data la lunghezza che assume. Ma è difficile anche sovrapporlo al modello del nostro “romanzo storico”, considerati i numerosi topoi letterari noti alle favole, alle leggende e anche ai miti antichi che non staremo qui ad indicare. Si potrebbe parlare piuttosto di “romanzo biblico in chiave sapienziale”, arrischiando un inedito genere letterario. In effetti proprio di questo si tratta, visto che ogni quadro del racconto assume una valenza sapienziale ed è sempre la parola biblica a segnarne il contenuto. Sapienza e pedagogia Quella del romanzo è la struttura formale che l’A. sceglie per veicolare insegnamenti, consigli per la vita, specialmente destinati ai giovani. In ciò l’A. rivela una buona conoscenza della Sapienza biblica che cita e traduce dalla sua lingua originaria (l’ebraico). Si tratta di un espediente assai efficace, perché il dramma cattura la mente e il cuore e vi fa scivolare, in maniera discreta e penetrante, sillabe preziose. Nel racconto le parole trovano invàsi profondi e spaziosi e tempi lenti e più che sufficienti a metabolizzare indicazioni, esortazioni, riflessioni, valutazioni, fino a spingere il lettore ad agire partendo dalle conclusioni. Le parole, del resto, non vengono quasi mai dalla creatività dell’A., ma da tutta la letteratura biblica di cui il romanzo diventa una perenne silloge di citazioni e interpretazioni. I temi sono quelli classici e intramontabili, quali: la pietà, l’ospitalità, la prova, i legami familiari, la condivisione, l’amicizia, la lealtà, l’amore, la fede, la Grazia. All’intelligenza e al discernimento tipici della cultura ebraica, figlia e commensale della grande Sapienza antica del bacino del Mediterraneo, l’A. coniuga, inoltre, spesso anche in maniera repentina e senza cuscinetti mediativi, la scienza psicologica contemporanea con le sue teorie più note e diffuse; le proposte moderne di percorsi spirituali; l’arte dell’introspezione che viene condotta con metodo talvolta psicoanalitico, con immagini oniriche e figurazioni perfino 10


psichedeliche. La combinazione di tutti questi ingredienti è un piatto gustoso e nutriente per i ragazzi che hanno il tempo e le decisioni davanti a sé e non possono evitare di scegliere, se non vogliono rischiare di essere scelti. L’alternativa che c’è tra la libertà e la sottomissione ad ogni forma di “divinità” di turno. Nel nome del figlio L’A. opera una rivoluzione copernicana sul libro biblico di Tobia: mentre quello ha come protagonista il padre, il quale, in più parti, è anche l’io narrante, qui protagonista è il figlio (che diventa l’io narrante). Tale capovolgimento cambia non solo la prospettiva della storia, ma anche quella dei valori in essa espressi. Se nel Tobia biblico, infatti, c’è la difesa della Legge e della tradizione dei padri, la quale comunque porta a buoni risultati (cf. l’esito finale, di cui il grande regista resta il padre Tobi); qui vi si trova, piuttosto, la critica proprio a quei valori che non vengono dati affatto come “buoni” tout court. Tobia (figlio) mette volentieri in discussione l’ubbidienza cieca alla Legge di Mosè, strenuamente difesa e osservata da suo padre Tobi. Mentre nel testo biblico la madre Anna funge da soggetto per così dire “tentatore”, come quella, cioè, che mette alla prova la fedeltà di suo marito Tobi, qui, al contrario, appare come la coscienza “giusta”, obiettiva ed affettiva, dinanzi agli eccessi di un’osservanza troppo rigida della Scrittura e della Tradizione. Questa è pura interpretazione dell’A. che non trova suffragi nel testo biblico – che resta patrimonio e guida dei pii ebrei della diaspora – ma si appoggia verosimilmente sulla critica cristiana alla Legge di Mosè, resa con il linguaggio e le categorie dell’attualità. Il figlio qui diventa il giudice della fede del padre; diventa il grande “soppesatore” della validità di quella e della sua potenza – o impotenza – a dare la vita e a garantire il benessere. In ciò questo figlio (Tobia) è molto simile a un altro figlio dei Giudei (Gesù!) e per questo si può ben dire che lo stravol11


gimento del Tobia biblico venga condotto da un autore cristiano. Ma non si può negare che, in fondo in fondo, anche nel nostro Tobias resti comunque l’ubbidienza del figlio al padre e l’amore profondo verso di lui, così come l’amore e la fede verso il Dio della Bibbia. Anche in ciò Tobias, agli occhi di un lettore cristiano, è un “tipo” di Gesù: figlio ribelle ai precetti, ma fedelissimo all’Amore che in essi e in ogni cosa il Padre ha riversato. La tentazione del cantastorie Durante il suo viaggio Tobias incontra, a un certo punto, un cantastorie che lo induce in tentazione… la stessa tentazione prende anche l’autore del libro il quale, a differenza del protagonista, ci cade in pieno! Felix culpa, visti i risultati. Dinanzi a certe libere interpretazioni, il biblista rigoroso può, in qualche caso, restare perplesso. Ma l’operazione che fa l’A. è onesta e leale, come chiaro è lo scopo del libro. Un testo iniziatico di gradevole lettura, preziosa guida per un processo pedagogico. In tempi di tenebra educativa come quelli in cui viviamo, un contributo luminoso. La professoressa Rosanna Virgili vive a Roma. Si è laureata in Filosofia all’Università di Urbino, in Teologia alla Pontificia Università Lateranense e licenziata in Scienze Bibliche al Pontificio Istituto Biblico di Roma. Attualmente è docente di esegesi dell’Antico Testamento presso l’Istituto Teologico Marchigiano (Pontificia Università Lateranense) e l’Istituto Santa Cecilia di Roma. Tiene conferenze di carattere biblico in tutta Italia e collabora a diverse riviste tra cui Parola, Spirito e Vita, Rocca, Ricerche Storico Bibliche, ecc. Fra le sue pubblicazioni: con Rosanna Fersini e Giusy Santagati, Eros... Puro, amabile, dolce. Un viaggio tra antichi testi erotici, Cittadella 2009; Vostro giudice sarà la pace. Lectio divina testi di Isaia, Paoline Editoriale Libri 2006; Giustizia e fraternità. Beato oggi l’operatore di pace, editrice Monti 2002; Ezechiele. Il giorno dopo l’ultimo, EDB 2000; Geremia, l’incendio e la speranza. La figura e il messaggio del profeta, EDB 1999; Le stanze dell’amore. Amore, coppia, matrimonio nella Bibbia, Cittadella 2008; con Rosalba Manes, Annalisa Guida e Marida Nicolaci, I Vangeli, tradotti e commentati da quattro bibliste, Ancora 2015.

12


TOBIAS - IL SEGRETO DEL RE

i

- dove sei?

«Tobias, dove sei?» Mio padre mi stava chiamando. Ero appena salito in camera per aiutare mia madre, quando, all’udire di nuovo la sua voce, venni scosso da un fremito di rabbia. Ormai non avevo più dubbi. La sua presenza era stata posta frammezzo per mettere continuamente il dito in una ferita che mi portavo dentro da troppo tempo. In passato mi aveva colpito il racconto della Torah in cui si parlava di Dio che, dopo il peccato di Adam, passeggiava per il giardino di Eden alla ricerca della sua creatura: “Adam, dove sei?” 1. E in verità da quando ero stato costretto a vivere in una terra straniera anch’io mi ero perso. Pareva che la mia vita fosse stata gettata dentro un intricato labirinto in cui ogni volta che tentavo di intraprendere una strada nuova, finivo con lo sbattere inesorabilmente contro un muro. Dove si era nascosto il vero Tobias? Mi sembrava, come scopre il salmista, di essere una moltitudine di popoli 2 che si facevano guerra tra loro per avere la supremazia. «Tobias, dove sei?» Di nuovo quelle grida mi turbarono. Guardai mia madre che con un sospiro mi fece capire la necessità di rassegnarci. Ancora una volta la nostra intesa era destinata ad essere spezzata dalle esigenze e dalla presenza invadente di mio padre. Genesi 3,9. Salmo 89,51. La traduzione dei salmi è presa dal Salterio di Bose, ed. Qiqajon, Magnano. Le citazioni bibliche sono tratte da Bibbia TOB, edizioni LDC, Leumann 1992. 1 2

13


Scendemmo in giardino correndo dietro i lamenti dell’uomo che si facevano sempre più insistenti e preoccupanti. «Siamo qui, padre! Davanti a te! Ma che cosa ti è successo?» «Tobias, non ti vedo! Non vedo più nulla!» «Che cosa?» gridai insieme a mia madre. «Ero appena sceso in cortile per respirare un po’ d’aria fresca. Stanco e affaticato mi sono seduto sotto il muro di cinta. Mi stavo per addormentare quando ho sentito cadere sui miei occhi roba calda. Da quel momento non ho visto più nulla. Oh, mio Dio, che male ho fatto per meritarmi questo ulteriore supplizio?» Non so perché, ma la cosa non mi sorprese più di tanto. Non sentii angoscia, non ebbi paura. La realtà era che ultimamente avevo vissuto con un padre cieco che non si era più accorto di me. Provavo solo distacco, anzi, quasi mi sentivo contento per quello che gli era capitato.

ii

- Fu mio padre che mi insegnò a camminare

Il mio rapporto con lui non è stato sempre così. Prima della deportazione mio padre lavorava come venditore di lampade e di lucerne. Ne comprava e ne vendeva di tutti i tipi, perché Neftali era terra di passaggio non solo di migranti ma anche di mercanti. Quando entravo nella sua bottega stavo ore ad ascoltare le storie fantastiche che venivano raccontate durante l’interminabile trattativa. Ogni lampada si portava dietro una propria storia, un proprio mondo incredibile che, a stento, riuscivo ad immaginare. I racconti, così, si avvicendavano, a volte si mescolavano, dando luce a nuove appassionanti avventure che riprendevano vita grazie alle misteriose carovane che passavano per la nostra terra. Storie in cui il bene e il male si affrontavano in duello, in cui la luce e le tenebre si confrontavano in estenuanti battaglie, come la storia di Achikar, un grande dignitario del re che 14


adottò, perché gli succedesse a corte, il nipote Nadab. Lo educò, così, alla sapienza mediante consigli, massime, proverbi. Ma Nadab, una volta associato al padre adottivo, iniziò a disprezzare tutta questa sapienza e, con le sue calunnie, mandò al supplizio lo zio, che solo perché aveva degli amici a corte venne nascosto dal boia. Finalmente riconosciuto innocente e riabilitato come dignitario, Achikar rimproverò aspramente il nipote e lo fece gettare in prigione dove morì. Achikar ritornò così alla luce mentre Nadab entrò nelle tenebre. Racconti come questi si rianimavano dentro la bottega e, per un momento, i miei occhi riflettevano lo stesso bagliore delle lucerne. Anche gli occhi di mio padre scintillavano, carichi di quell’entusiasmo e di quella passione che impiegava nel lavoro e nella famiglia. A quel tempo lo veneravo. Mi piaceva la sua pacatezza, ma anche la determinazione con cui riusciva ad affrontare i clienti e la vita. Da piccolo lo vedevo come un uomo austero, anche se alla prima occasione sapeva regalarmi un sorriso o un gesto nascosto di tenerezza che tradiva un grande cuore. Ogni volta che accarezzava i miei capelli sentivo un brivido di piacere che mi infondeva sicurezza e fiducia. Fu lui ad insegnarmi a camminare. Mi ricordo il suo volto pieno di soddisfazione quando, all’inizio, mi aggrappai alle sue forti braccia per la paura di affidarmi all’incertezza del procedere. E nel momento in cui, finalmente, ebbi il coraggio di staccarmi dalla sua presa, egli non smise di ripetermi di guardare avanti, non i piedi, perché se si ha ben chiaro l’obiettivo si trova anche il modo per arrivarvi senza farsi troppo del male. È stato mio padre che mi ha levigato come una freccia appuntita pronta per essere lanciata contro la vita. “Un arciere non ha dardi da collezione”, mi ribadiva continuamente, “non costruisce frecce per tenersele sulla parete principale della casa, come cimeli da esibire agli amici. 15


Un vero guerriero sa che la vita è una lotta, per questo deve addestrare continuamente le mani e le dita alla battaglia. E quando i figli diventeranno grandi cercherà di non seguire l’esempio del re Saul che alla vista della debolezza e dell’esilità di Davide di fronte al gigante Golia, l’avrebbe voluto rivestire dell’armatura pesante della sua protezione, delle sue paure e preoccupazioni. No, si sforzerà d’insegnare che certi mostri si possono sconfiggere solo dopo aver imparato che un vero guerriero non ha paura delle proprie debolezze, della propria vulnerabilità e dei propri fallimenti. Anche con in mano un esile fionda si può trovare il mezzo e il modo per fronteggiare l’avversario”. Poi venne la deportazione e tutti gli insegnamenti di mio padre svanirono come il vapore al vento. Quando il mio popolo fu condotto a Ninive ogni ebreo cercò di adattarsi alla nuova situazione come meglio poteva. Ci fu chi abbracciò gli usi e i costumi della città, dimenticando le proprie origini e diventando simile in tutto e per tutto al nemico. Chi non smise di sperare in un futuro riscatto d’Israele, mettendosi a conservare nel segreto la propria fede e le proprie tradizioni. Chi, invece, come mio padre, si rifugiò in una religione fatta di pratiche esteriori che, apparentemente, davano sollievo, ma che in realtà perpetuavano quel senso di inferiorità e di schiavitù che, attraverso le generazioni, arrivava fino a noi. Da quel momento il mio amore e la mia ammirazione per lui si trasformarono in odio e rabbia, perché l’unica attività che si concesse fu quella di seppellire i morti. Quella terra maledetta era affamata di corpi e mio padre contribuiva a sfamarla, come se volesse colmare un vuoto che non aveva mai fine. È vero che il seppellire i morti era per la mia fede un dovere religioso estremamente importante e, nella situazione in cui versavamo, anche un atto molto coraggioso perché comportava il rischio di venir denunciati al re che aveva proibito tale pratica. Ma l’eccessiva rigidità di mio padre nel seguire la Leg16


ge, lo trasformò ben presto in un morto che seppelliva i morti. Un morto a se stesso che vagabondava senza una meta. Fu questa ansia che lo portò a passare le giornate fuori casa, assillato dalla preoccupazione di cercare i nostri fratelli ebrei che venivano uccisi dalla violenza omicida del re assiro. Così, come lo era stato lui, anch’io mi ritrovai ben presto ad essere orfano di padre. Mi facevano rabbia le sue assenze, la sua osservanza stretta di quei precetti che senza amore rimanevano sterili e freddi e senza anima portavano alla morte. “Perché pensare a gente ormai morta?” mi domandavo. “Che senso aveva un gesto del genere? Perché non dedicarsi, invece, a noi che eravamo vivi e che avevamo ancora bisogno di lui?” Ma mio padre aveva deciso di smettere di vivere. Lo vedevo vagare per la città con in cuore l’unica speranza di trovare, un giorno, anche il suo corpo disteso su quella terra nemica, pronto per essere seppellito.

iii

- Reè, signore guarda!

Una sera udimmo dei belati provenire dal basso, accompagnati dai latrati del nostro cane. «Che sta succedendo, Tobias?» «Non so, padre. Sembra ci sia un animale in casa. Vado a vedere.» Scesi in cucina e vidi un giovane capretto che tirava mia madre verso le verdure appena colte, mentre il cane reclamava a gran voce il suo territorio. Guardai sorpreso la scena e cercai di calmare almeno il cane, iniziando a grattargli il collo. Tentai, poi, di chiedere spiegazioni ma non feci a tempo perché le grida di mio padre ci raggiunsero di nuovo. «Tobias! È rientrata tua madre?» Salimmo in camera dove, intanto, il cieco si era messo in piedi sorreggendosi a una sedia. 17


«Che succede?» domandò indispettito da quel continuo belare. «Ecco qua un bel capretto» rispose soddisfatta mia madre. «Da dove viene? Non l’avrai mica rubato? Restituiscilo subito ai padroni, poiché non abbiamo il diritto di mangiare ciò che è stato oggetto di furto! Che donna scellerata ho accanto.» «Prima di giudicarmi, almeno ascolta quello che ho da dire. Mi è stato dato in più del salario.» «Zitta donna!» “Zitta donna”… Da troppo tempo mio padre non chiamava più mia madre per nome. Eppure in passato l’aveva amata alla follia. L’aveva conosciuta sotto un tamerisco e da subito si era invaghito della sua bellezza. Del resto non gli davo torto. Anch’io sentivo nei suoi confronti un forte attaccamento e un desiderio di essere protetto. Lei in cambio, spesso, mi prendeva tra le braccia e mi faceva sognare, dicendomi che un giorno sarei diventato una persona importante e che avrei finalmente trovato la mia strada come dignitario alla corte del re. Tutti mi avrebbero considerato, rispettato, onorato come persona significativa. Uscito da questa casa insignificante, da questa vita di fango e mattoni, avrei abitato nel palazzo reale attorniato da rispetto, devozione e ricchezza. In questo modo anche i miei compagni di Ninive avrebbero smesso di deridermi, di dirmi che ero un debole, perché non mi battevo mai, perché ero sempre in ritirata. Li odiavo! Nessuno che riconoscesse la mia sensibilità, che sognasse insieme a me. Mi piacevano le storie, i racconti… Ma appena esprimevo questo desiderio mi tappavano subito la bocca dicendomi: “Ma che può sognare il figlio di un seppellitore di morti?”. Li avrei strangolati, ma non ne avevo il coraggio. Avrei, invece, ucciso volentieri me stesso, il mio corpo, i miei sogni che mi provocavano solo dolore e solitudine. Di nuovo i pensieri mi avevano talmente preso che non mi accorsi del capretto che, facendo diversi giri intorno alle mie 18


gambe, mi stava legando ben stretto con la corda. Anche lui, come me, non si stava rendendo conto che per andare dietro ai propri fantasmi, rischiava di percorrere una strada che lo imprigionava sempre più alla realtà che lo teneva al laccio. «Zitta io? Ma guardati... non vedi dove ti ha portato la tua religione? È questo il premio del tuo Dio? Non riesci più a vedere la realtà! Non riconosci più neanche tua moglie! Non ti accorgi che in tutto ci sei sempre e solo tu? Hai seppellito la felicità, la speranza. E vieni a rimproverare proprio me che, invece, cerco di mandare avanti come posso la famiglia! Cerco di crescere nostro figlio perché tu non pensi più neanche a lui. Non credi che abbia bisogno anche di un padre che lo incoraggi, che lo sostenga, che gli faccia capire, non con le leggi sterili, ma con la vita che lo attende una strada tutta sua da percorrere? Sei diventato una guida cieca che non può guidare un altro cieco! Vedi solo te stesso, la tua sofferenza, il tuo male! Ma nel mondo ci sono anche gli altri, c’è anche tua moglie, tuo figlio che hanno il diritto di vivere, di esprimere quello che sono e che desiderano. Ti credi qualcuno? Anche la gente che ospiti, i tuoi fratelli, non perdono occasione di riderti dietro! Non ne posso più di fare da madre e da padre. Non ne posso più di coprirti sempre le spalle, di giustificarti davanti a tuo figlio e davanti alla gente.» Disse questo, tutto d’un fiato! Poi fece un gran respiro come se si fosse liberata da un grosso peso che portava dentro da chissà quanto tempo. Ci fu un momento di silenzio interrotto ben presto dalle lacrime di mio padre. Era la prima volta che lo vedevo piangere. Mi provocò un sentimento di compassione e di tenerezza. Questa novità sciolse anche me in un pianto liberatorio. Non riuscivamo più a smettere. Sentivo che mi stava facendo bene. Le lacrime purificavano gli occhi e, scendendo, accarezzavano il volto rendendolo per un momento quasi luminoso. Mio padre cadde in ginocchio e pregò a voce alta. 19


«Signore, tu sei giusto e giuste sono le tue opere. Tu hai scrutato la tua creazione e l’hai vista bella. Ti sei soffermato e commosso davanti alle tue opere che hai rivestito di luce e colmato, poi, con la tua presenza. Tu, Signore di giustizia, riesci a separare la luce dalle tenebre, il cielo dalla terra, i mari dall’abisso, ciò che è vano da ciò che è prezioso. Perché tu vedi nel profondo e discerni la verità delle cose. Io, invece, non ti vedo, non riesco più a scrutarti nella tua legge, nelle tue opere. Non ce la faccio più a sorprenderti quando ti nascondi dietro il sorriso di mio figlio, dietro una fresca alba o nelle labbra di mia moglie. Le tenebre sono diventate le mie compagne e non distinguo più il giorno dalla notte. “Sono lo scherno dei miei avversari e perfino dei miei vicini. Faccio orrore ai miei conoscenti, chi mi vede per strada mi sfugge come un morto dimenticato dai cuori, come coccio da gettare”3. Non vedo, Signore. Tutto è buio, tutto è confuso. Allora guardami tu! Guarda la mia storia, la storia dei miei padri. Visitala fino alla quarta generazione con la tua misericordia. Guarda la mia famiglia e come la tristezza l’ha avvolta. Reè, vedi: tu devi vedere. Fai sentire il peso del tuo sguardo sopra queste rovine! Mostrami il tuo volto, ricordati che hai un figlio che, adesso, a tentoni ti cerca e non ha pace finché non ti ha trovato. Ricordati mio Dio, non dimenticare la tua alleanza, perché se mi dimentichi mi smarrisco. Ricordati di quando hai ascoltato il gemito dei tuoi figli che erano caduti in schiavitù nelle mani degli egiziani. Ricordati, Signore, di quando, nel deserto, hai ascoltato le parole di Mosè e non hai punito il tuo popolo. Ricordati, perché se tu ricordi io ritrovo la strada del ritorno a te. 3

Sal 31.

20


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.