Anteprima-Undici ore d'amore

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Carmelo Musumeci

Undici ore d’amore di un uomo ombra

prefazione di

Barbara Alberti

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L’Editore ringrazia l’Associazione “Comunità Papa Giovanni XXIII” per la collaborazione e il sostegno offerti per la realizzazione del presente volume.

© Il Segno dei Gabrielli editori, 2012 Via Cengia, 67 – 37029 San Pietro in Cariano (Verona) tel. 045 7725543 – fax 045 6858595 mail scrivimi@gabriellieditori.it www.gabriellieditori.it ISBN 978-88-6099-148-5 Il Segno dei Gabrielli editori, gennaio 2012 Progettazione copertina: Lucia Gabrielli

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Dedicato agli ergastolani ostativi. Ăˆ difficile che ci diano la speranza se non ce la prendiamo noi. Dobbiamo decidere cosa fare di noi. Che aspettiamo? La lotta contro l’ergastolo è una crescita e dimostrerebbe che siamo cambiati.

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indice

Prefazione di Barbara Alberti

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Il diritto alla famiglia di Giovanni Paolo Ramonda

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primo capitolo

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Secondo capitolo

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Terzo capitolo

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Quarto capitolo

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Quinto capitolo

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Un ergastolano ostativo in mezzo a noi

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Associazione ComunitĂ Papa Giovanni xxiii Nadia Bizzotto e Giuseppe Angelini

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Prefazione di BARBARA ALBERTI Che fareste se dopo vent’anni di carcere aveste solo undici ore per rivedere quelli che amate?

Rivedere fuori – in una simulazione di libertà, che però è vera finché dura – l’amata che lo aspetta da vent’anni anche se sa che non tornerà, il figlio, la figlia che avrà pianto di nascosto (mai davanti a lui, l’ultima volta lo fece da piccola, quando il padre era in regime di 41 bis e lo vide dietro un vetro, ma non poté toccarlo), il genero, i nipoti, l’altra sua anima, Nadia, e intanto discutere la tesi, prendere la laurea, percorrere 80 km, stringere la mano ai volontari dell’associazione Papa Giovanni XXIII, ai seguaci del suo blog, due interviste a giornali e Tv – non succede tutti i giorni che un ergastolano consegua la laurea specialistica in giurisprudenza – e la cosa che più lo spaventa – rivedere il sole, e non mi sono portato gli occhiali perché mi invecchiano – Carmelo Musumeci vuole apparire giovane ai suoi figli. Di queste undici ore Carmelo ci racconta, con un ritmo che toglie il respiro, nel moto ondoso delle parole. Ma ci racconta anche della notte prima, lui che nella sua branda gioca di continuo con la morte, la invoca 9


fulminea perché lo salvi dalla sua condanna a morte al rallentatore di Uomo Ombra. Stanotte no, stanotte ha paura di morire prima delle sue undici ore da uomo libero, morire come Mosé un istante prima di toccare la terra promessa, hai visto mai un dispetto di Dio. Ma vive. È mattina. I cancelli che dovrà passare sono undici, come le ore eterne e sfuggenti che ha davanti, un film serrato che concentra ogni passione, ma senza lieto fine. Alle 22 varcherà a ritroso l’undicesimo cancello, e sarà di nuovo solo. “Io e l’Assassino dei Sogni”.

Chi è Carmelo? “Ho 55 anni. Sono nato colpevole. Famiglia povera. Genitori separati. Collegio e botte da preti e suore. Carcere da minorenne a maggiorenne. Ho sempre tifato da piccolo per i cattivi piuttosto che per i buoni, perché i cattivi mi sono sempre sembrati più veri. E poi chi non è stato cattivo è difficile che riesca a diventare buono. Ho una compagna che mi segue da trent’anni, due figli e due nipoti che sono tutta la mia vita. Mia figlia è severa, ho più paura di lei che di dieci carabinieri. Sono un Uomo Ombra, condannato alla Pena di Morte Viva che è l’ergastolo ostativo, senza nessuna 10


possibilità di uscire se non metti un altro al posto tuo. Sono entrato in carcere con la quinta elementare. Mi sono laureato in giurisprudenza. (...) Mi trovo ininterrottamente da 20 anni in carcere. Ma mi sento un uomo libero, felice e innamorato dell’amore (...). Mi girano le palle che dovrò invecchiare e morire in carcere, anche per questo da molti anni lotto per l’abolizione dell’ergastolo ostativo”. In “Biografia di un bambino criminale”, dove parla della sua infanzia, Musumeci ricorda Langston Hughes, il poeta della dignità afroamericana, che da quando capì l’ingiustizia dell’uomo bianco dedicò a combatterla ogni suo istante, ogni suo verso. Il padre di Carmelo emigra in Francia, la madre fa avanti e indietro fra lui e i figli, la nonna li tira su, e per nutrirli insegna loro la destrezza dei piccoli furti. Carmelo impara a rubare prima che a scrivere. Ma una volta che viene scoperto, la nonna lo prende a schiaffi in pubblico. E poi in privato, così impara a farsi beccare. Eppure anche allora la vita è più forte e si affaccia la gioia, sfrenata. “Passavo le giornate nella viuzza assieme agli altri bambini, scalzi e affamati ma felici di stare tutto il giorno a scorrazzare nei campi a rubare la frutta dagli alberi, a caccia di lucertole e rane.” A nove anni muratore, a dieci il collegio, la sua prima prigione, da cui evade. Il prete lo massacra di botte, lo chiude nello stanzi11


no senza bere né mangiare. Si vendicherà dandogli una sprangata in testa. Lavora in fabbrica. Poi la prima rapina. La prima prigione adulta.

Le vite dei santi Le vite dei santi sono piene di grandi conversioni, dopo avere commesso delitti atroci. Il calendario onora e ricorda persone che hanno ammazzato, rubato, tradito. San Paolo, prima di essere chiamato da Dio non era stato solo un assassino, ma un freddo sterminatore. Di cristiani. Li uccideva perché li considerava eretici – uccidere in nome della propria fede è l’aberrazione somma (nella quale si distinguerà poi la Chiesa nei secoli). San Paolo aveva partecipato, fra le tante, alla lapidazione di Santo Stefano. Carmelo non è un santo. È solo un uomo che in vent’anni di galera, invece di imbestialirsi, si è elevato. Non ha ceduto all’abbrutimento. S’è messo a studiare, è diventato scrittore – e che scrittore. Non è un santo, è un duellante. Che da 20 anni si batte contro il carcere come tortura. Quando era fuori conosceva solo la legge del più forte, e voleva diventare lui il più forte. In carcere, l’ha conosciuta da debole. Da senza diritti. E non può ammettere che lo Stato applichi le stesse regole della malavita, che si chiami giustizia il sopruso. Contro questo si è armato. Di scrittura. Le sue prigioni sono una corsa a non far dormire l’intelletto, l’affetto, la dignità, la percezione. Oltre al talento ha un’altra fortuna Car12


melo, il terzo occhio – ovvero l’umorismo, grazie al quale il suo pathos non è mai patetico.

Fuor di misura Carmelo è un leader. Il suo blog e il suo sito hanno un grande seguito. Gente che gli vuole bene. Carisma a doppio taglio. Da una parte ha trovato attraverso i contatti esterni e la scrittura l’evasione perpetua, dall’altra, la cella deve stargli dieci volte più stretta, strettissima per la sua grande personalità, il suo spettacolare narcisismo, l’implacabile senso della giustizia, le titaniche passioni, i tormenti profondi, l’eloquenza letteraria. Tutto enorme, fuor di misura. Un gigantismo che sa esprimersi, come nel suo lontano fratello, il poeta Vladimir Majakovskij, che era un dominatore anche quando non lo voleva.

Il grande romanzo Nella pagina di Musumeci, dalla prima riga sei suo. Nella verità di ogni parola, nell’abilità, originalità, secchezza, visione, crudeltà che ti trapassano il cuore, si sente il fiato per un grande romanzo. Ma come troverebbe il tempo? Beh, direte voi, in galera di tempo ce n’è tanto. Non per tutti. Non per Carmelo. L’ostacolo al grande romanzo è la sua febbrile attività politica. Carmelo non ne lascia passare una. È da solo un giornale di denuncia, un bollettino delle ingiustizie e dei soprusi. 13


Il deputato del PDL, Alfonso Papa, finisce in carcere, e si accorge che è un inferno. Cade dalle nuvole, e manda accorati messaggi alla stampa: “In questi luoghi vi è un’umanità sovraffollata (...) ventidue ore al giorno chiusi in cella sono una forma di tortura”. Carmelo gli risponde. Dopo avergli espresso la sua solidarietà umana, gli chiede: “Dov’era quando lei e la sua maggioranza, per soli scopi elettorali, approvavate leggi liberticide, cancerogene, forcaiole e di parte, per riempire le carceri di barboni, extracomunitari e tossicodipendenti? Come mai solo ora si accorge di quello che accade nelle nostre galere?”. Un’altra volta cita titoli di giornali: “I cani sono depressi. Colloquio in cella con Fido. Verona, incontro commovente fra i detenuti e i loro quattro zampe” (Il Resto del Carlino, 8-8-2011). “Il cane è depresso? Può andare in carcere dal padrone” (Il Giornale dell’Umbria). “Ore d’aria assieme al proprio cane” (Corriere della Sera). “Peccato che non sia nato cane”. Di recente difende un vecchio di 80 anni, condannato all’ergastolo ostativo, in poltrona a rotelle, con un cancro, malato terminale, tenuto in isolamento e senza cure. Solo i Radicali lo ascoltano. Solo loro gridano, solo loro sembrano accorgersi di cosa accade dietro le mura. Dei carcerati non ce ne importa niente. Li vediamo come “altro”. E invece ha detto bene Alfonso Papa quando c’è finito anche lui, può toccare a tutti, nelle perigliose onde della vita...

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La voce Carmelo Musumeci, Marco Pannella, Rita Bernardini, non lottano solo per cambiare le condizioni bestiali dei detenuti, cui si nega perfino il diritto primario, il respiro (in otto in celle per due) – lavorano per ognuno di noi. Perché possiamo non dirci, ma essere civili. Noi, popolo di mangiatori di notizie, rimaniamo indifferenti. 150 suicidi in carcere? Il giovane Cucchi e tanti altri ammazzati di botte? È una notizia fra tante, siamo abituati alla strage. Niente più ci smuove, ogni giorno aggiungiamo un mattone a questo altissimo muro di morti ingiuste. Muoiono tre operai al giorno, a migliaia nelle missioni di pace che pacificamente radono al suolo villaggi interi... ancora suicidi in carcere? Morti sospetti? Sono aumentati? Quanti? Anche fossero 1000, sarebbe solo un numero. La letteratura di Carmelo Musumeci dà una faccia a quei numeri. Lui sa raccontarlo. Ha l’arte di far diventare personaggi i cancelli, i giornali, i muri, la notte. Di trasformare in una persona reale il carcere, che si chiama l’Assassino dei Sogni, e gli parla, lo tenta, lo deride. Quando sta tornando da lui, dopo quella terribile giornata straordinaria, quando le undici ore sono passate, e fra poco i cancelli si richiuderanno, l’Assassino dei Sogni gli sussurra: – E dài, è la tua occasione, scappa – per poi ridere meglio. Ma Carmelo lo sa, e non ci casca. Sa che è una fascinazione diabolica, conosce i trucchi del nemico – l’Avversario, come nella Bibbia viene chia15


mato Satana. Tale è il carcere per Carmelo. Per tentare il grande romanzo, Carmelo dovrebbe rinunciare all’attività politica, che potenzia e limita la sua scrittura. Dovrebbe avere la forza sovrumana di crearsi una prigione ancora più rigida dentro la prigione, diventare avarissimo del suo tempo. Risparmiare sulle denunce, e sui rapporti umani, privarsi di gridare quel grido che ogni giorno arriva nel mondo libero e gli porta altre voci, e lo scalda, e lo rianima. Ma forse l’Opera è l’unico modo per essere davvero ascoltato. Non bastano le denunce, non bastano i proclami. Non bastano i racconti brevi. Ci vuole la grande piena della narrazione, il Canale Mussolini delle carceri. Musumeci ha la voce per farlo. Gomorra di Roberto Saviano non era certo il primo libro sulla Camorra, ma è stato quello che tutti hanno letto, e che ha rivelato i suoi meccanismi nel mondo. Così esplosivo che la Camorra ha condannato la gioventù dell’autore alla prigionia della scorta. Cos’aveva più degli altri, Saviano, oltre al coraggio? La voce. Saviano è un grande scrittore. Anche Carmelo. Gli auguro di scrivere il suo Gomorra” sul carcere, con tutta la potenza del suo genio narrativo, gli auguro di suonare così forte le sue trombe di angelo ribelle che perfino noi, i complici, gli indifferenti, possiamo sentirlo.

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Post scriptum – Il Diavolo Custode La mia conoscenza della vita e delle opere di Carmelo Musumeci passa attraverso Nadia Bizzotto, una indomabile e affascinante ragazza, volontaria della associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, che da anni ha con lo scrittore un rapporto dialettico e complementare, fortissimo. Lui la chiama il suo Diavolo Custode. Gli è sempre vicina ma lo contrasta, gli dà del filo da torcere. Si tengono testa a vicenda, e dev’essere una bella lotta. Ringrazio anche lei per la capacità di mettersi in gioco, nelle lettere che ci siamo scambiate e nella sua difficile vita.

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