Nelle mani di Golia -1
I diritti dell’uomo tra Stato e mercato (ai tempi della Rete)
a cura di PaoLo moIoLa Introduzioni di Paolo Pagliai e Giuliano Pontara Postfazioni «Il dovere d’indignarsi» di Gianni Minà Paolo Farinella
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nelle mani di golia I diritti dell’uomo tra Stato e mercato (ai tempi della Rete)
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-5
A Francesco e Carla, miei genitori, e ai miei fratelli e sorelle. In particolare, a Lucia, medico, che – dopo aver tanto curato – si è trovata a lottare sull’altro lato. A Roberto Topino, medico, studioso, amico, che troppo presto ha lasciato questo mondo.
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Nelle mani di Golia I diritti dell’uomo tra Stato e mercato (ai tempi della Rete)
a cura di PAOLO MOIOLA Introduzioni di: Paolo Pagliai Giuliano Pontara «Il dovere d’indignarsi», postfazioni di: Paolo Farinella Gianni Minà
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© Il Segno dei Gabrielli editori 2012 Via Cengia, 67 – 37029 S. Pietro in Cariano (Verona) Tel. 045 7725543 – fax 045 6858595 mail: info@gabriellieditori.it www.gabriellieditori.it ISBN 978-88-6099-093-8 Stampa Litografia de “Il Segno dei Gabrielli editori’’, San Pietro in Cariano (VR) Novembre 2012 Editing: Paolo Moiola Revisione dei testi: Luca Lorusso, Paolo Moiola Traduzioni: Cecilia Costa, Paolo Moiola, Gianni Vaccaro Foto di copertina: Paolo Moiola
INDICE - 9
INDICE Premessa La precarietà dei diritti di Paolo Moiola INTRODUZIONI
PROCLAMATI E VIOLA TI
17
23
una vista da Nord
Se manca una «cultura dell’ascolto» di Paolo Pagliai
25
una vista da Nord
Il disprezzo per i deboli di Giuliano Pontara 31 Prima parte
DELLA STORIA E DELL’ EVOLUZIONE
33
Genesi
Vita, proprietà, libertà di Alessandra Algostino
35
Evoluzione
L’«io» e gli «altri» di Alessandra Algostino Seconda parte
DEI DIRITTI SOTTO ATTACCO
42
51
Terrorismo
Si fa presto a dire terrorista di Angelo D’Orsi
53
Tortura
Il lato oscuro della Forza di Angelo D’Orsi
64
10 - NELLE MANI DI GOLIA Diritti di movimento, residenza, asilo
Un mondo di migranti (e le roccaforti assediate) di Massimo Corsini
77
Diritti di genere
Sul corpo delle donne di Maria Romero
90
Diritti dei bambini
Ladri di sogni di Chiara Blengino
104
Diritto all’acqua
L’acqua non va al mercato di Emanuele Fantini
113
Diritto all’alimentazione
Lo scandalo del cibo di José Carlos Bonino
120
Diritto alla salute
Prima, passare alla cassa di Gavino Maciocco
133
Diritto alla salute E SCELTE INDIVIDUALI
Sulla provetta e sulla libertà di morire di Roberto Topino e Rosanna Novara
138
Diritto alla salute dei lavoratori / 1
Senza ammalarsi, senza perdere la vita di Roberto Topino e Rosanna Novara
153
Diritto alla salute dei lavoratori / 2
Per qualche dollaro in più di Roberto Topino e Rosanna Novara
163
Diritti economici / 1
Se il profitto è tutto e il lavoro conta niente di Paolo Moiola
174
Diritti economici / 2
Terra, terra delle mie brame di Paolo Moiola
192
INDICE - 11
Diritto all’ambiente
Un pianeta non basta (con questi inquilini) di Paolo Moiola
201
Terza parte
DEI DIRITTI E DELL’INFORMAZIONE NELL’ERA DEL WEB
219
Diritti umani e web
La Rete, un bene pubblico da tutelare di GianMarco Schiesaro
221
Informare ed essere informati
Burattini e burattinai ai tempi dell’iPhone di Paolo Moiola
230
L’informazione in America latina
Più trasparenza, più Rete, meno oligopoli di Cecilia Gonzáles Quarta parte
DEI DIRITTI E DEI PAESI
243
251
Asia
La «via asiatica» ai diritti di Stefano Vecchia
253
Cina
La società armoniosa tra «ying» e «yang» di Simone Pieranni
259
India
Non è un Paese per bambine di Stefano Vecchia
267
Giappone
Oltre il retaggio della tradizione Tiziano Tosolini
275
Russia
I nuovi zar, campioni di abusi di Bianca Maria Balestra
283
12 - NELLE MANI DI GOLIA Africa
La «via africana» ai diritti di Massimo Corsini e Giulia Cocchiara
293
Eritrea
Un paese d’altri tempi di Enrico Casale
304
America Latina
La «via latinoamericana» ai diritti di Paolo Moiola
310
PerÚ
Quando la crescita uccide i diritti di Wilfredo Ardito Vega e Paolo Moiola
315
Messico
L’imprimatur della violenza di Jorge García Castillo
323
Cuba
La divisione della povertà e le regole del «monastero» di Paolo Moiola 332 Venezuela
Chi ha paura di Hugo Chávez? di Giulio Santosuosso
345
Stati Uniti
«We the People» di Paolo Moiola
349
Italia: i migranti
Volevamo braccia, sono arrivati uomini di Giulia Maria Foresti
384
Italia: i rom
La caccia è aperta di Aldo Antonelli
401
INDICE - 13
Quinta parte
DEI DIRITTI DEGLI «ALTRI»
407
Popoli indigeni
Le leggi dei «bianchi», i diritti degli «altri» di Silvia Zaccaria
409
PerÚ – Le identità negate
I danni infiniti della Conquista di Wilfredo Ardito Vega
421
PerÚ – La visione kukama
Uomini e spiriti di M.M.Berijon Martinez e M.A.Cadenas Cardo
428
Minoranze sessuali e società
Né pena, né peccato di Pasquale Quaranta
436
Minoranze sessuali e Chiesa
La Bibbia manipolata di una Chiesa omofoba e angosciante di Franco Barbero Sesta parte
DEI DIRITTI E DELLE RELIGIONI
442
449
Cristianesimo e Chiesa cattolica / 1
Un cammino tortuoso di Mario Bandera
451
Cristianesimo e Chiesa cattolica / 2
L’anima e il corpo di Aldo Antonelli
458
Islam / 1
Il mito dell’eccezione musulmana di Karim Metref
466
Islam / 2
Non esiste altra legge di Marcellus Okenwa Udugbor
476
14 - NELLE MANI DI GOLIA Settima parte
DEI DOVERI
505
Accanto ai diritti, i doveri
Il limite invalicabile dell’Altro di Paolo Farinella POSTFAZIONI
SUL DOVERE D’INDIGNARSI
507
521
NON BASTA MA SERVE / IL GIORNALISTA
Una lista imbarazzante di Gianni Minà
523
NON BASTA MA SERVE / IL prete 1
L’ortodossia neoliberista e lo strame dei diritti di Paolo Farinella
532
NON BASTA MA SERVE / IL prete 2
Anche Dio è stato privatizzato di Paolo Farinella MATERIALI DI LAVORO
539
CRONOLOGIA, DOCUMENTI E ALTRO
549
cronistoria Il cammino dei diritti umani (1215-2012)
551
I testi (parziali)
DI ALCUNE DICHIARAZIONI-CONVENZIONI
559
1948 1972 1979 1989 1994 1995 1997
560 565
- Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo - Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’ambiente - Dichiarazione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (Cedaw) - Convenzione sui popoli indigeni e tribali (Ilo 169) - Carta araba dei Diritti dell’uomo - Dichiarazione di Pechino sulle donne (diritti sessuali e riproduttivi) - Dichiarazione Unesco sulle responsabilità delle generazioni presenti verso le generazioni future
570 574 579 584 588
INDICE - 15
2006 2012 Italia 1948 Italia 2009 Italia 2012
- Risoluzione del Parlamento europeo sull’omofobia - Dichiarazione del «Summit dei popoli» a Rio+20 - Costituzione italiana - «I diritti alzano la voce» (Campagna) - «L’Italia sono anch’io» (Proposta di legge)
BIBLIOGRAFIA
Leggendo s’impara. Brevissima bibliografia ragionata CHI HA CONTRIBUITO
Due parole sugli autori
TRA PRESENTE, FUTURO E SPERANZA
«No te rindas», «Non arrenderti»
591 592 596 599 603
605 614 627
MONDO DIGITALE
Per immigrati e nativi digitali: Email, Web, Facebook, YouTube, Ebook
631
16 - NELLE MANI DI GOLIA
PREMESSA - 17
PreMESSA
LA precarietÀ dei diritti La persona dell’uomo è il diritto sussistente. Antonio Rosmini (Rovereto 1797 – Stresa 1855) Volete che chi è stato fino a ieri uno schiavo diventi un uomo? Incominciate a trattarlo, sempre, come un uomo. Antonio Gramsci (Ales 1891 – Roma 1937)
A Rovereto, in Trentino, tutto ricorda Antonio Rosmini. Vie, palazzi, istituzioni, statue. E un liceo dove io frequentai il classico. Eppure, in quegli anni ormai lontani, nessun professore mise in programma una lezione sul grande pensatore roveretano1. Forse fu un caso. Di sicuro una perdita per noi studenti. La persona in sé coincide con il diritto, sosteneva Rosmini2. È passato più di un secolo e mezzo, sono cambiate le circostanze storiche, si sono evolute le idee, ma la corrispondenza tra persona umana e diritto non è mutata, almeno nell’elaborazione teorica. «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti», recita il primo articolo della Dichiarazione universale del 1948. Eppure, la realtà delle cose è più complicata.
Gli attori in gioco: la persona, lo Stato, il mercato La globalizzazione neoliberista ha cambiato il mondo, portandolo alla crisi sistemica di questi anni. Il futuro è incerto e molti diritti umani – ove esistevano – sono già stati compressi. In primis quel diritto al lavoro che il sistema economico e politico vigente tende a ridurre o svilire in base alle proprie esigenze (il profitto, la flessibilità) o a situazioni contingenti (i mercati, l’esercito lavorativo di riserva che spinge alle porte). Prendia1 Antonio Rosmini scrisse moltissimo. Per la tematica dei diritti, si veda in particolare: Filosofia del diritto (Milano 1841), La Costituzione secondo la giustizia sociale (Firenze 1848). Queste e altre opere dello studioso roveretano sono reperibili anche su Google eBook. 2 «Dunque la persona ha nella sua natura stessa tutti i costitutivi del diritto: essa è dunque il diritto sussistente, l’essenza del diritto» (Filosofia del diritto, volume I, pag. 225).
18 - NELLE MANI DI GOLIA
mo il diritto alla libertà di movimento (art. 13 della Dichiarazione universale): mentre i capitali vengono spostati in continuazione da un Paese all’altro (nella spasmodica fuga dalla legge e dalle imposte o alla ricerca di luoghi dove gli investimenti trovino costi più bassi e norme meno stringenti)3, le persone che lasciano i propri Paesi per cercare altrove una vita e un lavoro più dignitosi – sono 6 milioni all’anno4 – vengono respinte o criminalizzate, vedendo calpestato il loro diritto al movimento. Perché Golia? Sul titolo di questo Saggio c’è stato qualche dissenso. «Che noia questi abusati riferimenti biblici», è stato detto tra le altre cose. Tuttavia, la figura di Golia mi pare sintetizzi in modo plausibile un’idea senza (troppo) banalizzarla. Golia è lo Stato che – a dispetto dei mutamenti funzionali e della subalternità rispetto ai nuovi soggetti globali5 – stabilisce, ad esempio, le modalità per entrare in Parlamento e le regole della prescrizione6, che decide a chi far pagare le tasse e quando mandare in pensione le persone7, chi far passare alle frontiere e chi abbia il diritto di contrarre matrimonio. Ma, nell’era del capitalismo neoliberista, Golia è anche e soprattutto il mercato («i mercati», nella declinazione propria dell’economia finanziaria), che funziona con meccanismi (orto3 Secondo il primo ministro italiano Mario Monti, «Chi gestisce la Fiat ha il diritto e il dovere di scegliere dove investire e le localizzazioni più convenienti» (18 marzo 2012, su www.ilsole24ore.com). Davanti alla minaccia della Fiat di chiudere gli stabilimenti italiani (5 con 25 mila dipendenti, senza considerare l’indotto), Monti si è visto costretto (22 settembre 2012) a convocare Sergio Marchionne, amministratore delegato fino a ieri osannato da quasi tutti (ma non dalla Fiom). «Fiat è un’azienda privata. E al privato (come al cuore) non si comanda. Ma il Lingotto, per decenni, ha lucrato rendite, profitti e dividendi grazie alle generose sovvenzioni dirette e indirette dello Stato» (Massimo Giannini, la Repubblica Affari e Finanza, 17 settembre 2012). La previsione è facile: a pagare l’ennesima crisi della Fiat saranno ancora una volta i lavoratori e i contribuenti. 4 Caritas Migrantes, Dossier statistico immigrazione 2011; World Bank, Migration and remittances factbook 2011. Sulle migrazioni e i diritti dei migranti si legga, in questo Saggio, il capitolo firmato da Massimo Corsini. 5 Si parla di debolezza o scomparsa della politica e di postdemocrazia. Sulle vecchie e nuove coordinate della politica, si veda Dizionario critico delle nuove guerre, a cura di Marco Deriu (Emi, Bologna 2005). 6 Mentre scriviamo – ottobre 2012 – in Italia ancora si discute di «legge elettorale» e di «legge anti-corruzione». 7 Alcuni dati italiani: evasione fiscale (almeno) 120 miliardi di euro all’anno, corruzione 60 miliardi di euro all’anno, pressione fiscale reale 55 per cento, 2,5 milioni di disoccupati, 36,5 per cento la disoccupazione giovanile, 8 milioni di italiani in condizioni di povertà, 1972 miliardi di euro di debito pubblico (fonti varie). «Fino a quando i gioiellieri si ostineranno a tenere aperte gioiellerie che gli danno a malapena da vivere, i ristoratori continueranno a servire pasti rimettendoci denaro e gli idraulici insisteranno a riparare bagni per beneficenza?» (Sergio Rizzo, Corriere della sera, 31 marzo 2012). «Uno Stato che permette a una minoranza di vivere in un paradiso fiscale e sottopone la maggioranza a una dittatura dell’imposta» (Curzio Maltese, il Venerdì di Repubblica, 27 luglio 2012). Sull’operato dei governi Berlusconi e Monti si rimanda alla Postfazione di don Paolo Farinella.
PREMESSA - 19
dossi e non: la domanda, l’offerta, il prezzo, la minimizzazione dei costi e la massimizzazione dei profitti, ma anche la delocalizzazione, l’evasione-elusione fiscale, la speculazione finanziaria) che non lasciano spazio a scopi diversi quali la giustizia sociale o la salvaguardia dell’ambiente. Un attore prepotente che, ad esempio, riesce a imporre il pareggio di bilancio8 come se lo Stato fosse un’impresa e non un soggetto con obiettivi più elevati della contabilità aziendale (la redistribuzione della ricchezza, la riduzione delle disparità sociali, l’aiuto alle persone più deboli, tanto per citarne alcuni). Si potrà obiettare che queste affermazioni ricalcano gli slogan (spesso improduttivi) dei movimenti di piazza (dagli statunitensi di «Occupy Wall Street» ai messicani di «Yo soy 132» fino agli «Indignados» spagnoli)9. Tuttavia, come spesso accade, la realtà supera qualsiasi fantasia. Lo dimostra la cancelliera tedesca Angela Merkel quando parla della necessità di «una democrazia conforme al mercato»10. O le incredibili cifre di una ricerca scientifica in cui si dimostra che il mondo è dominato da un gruppo di 147 compagnie transnazionali, 50 delle quali operanti nella finanza e nelle assicurazioni11.
Il ruolo della Rete e quello dell’indignazione Schiacciato tra Stato e mercato, l’individuo non è stato finora salvato – a dispetto di una diffusa vulgata – dalla rivoluzione tecnologica e digitale in particolare. Ad esempio, si enfatizza spesso il ruolo avuto dalle tecnologie digitali nelle «rivolte mediorientali»12, dimenticando le responsabi8 Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Legge costituzionale 20 aprile 2012 n. 1, il principio del pareggio di bilancio è entrato nella Costituzione italiana, andando a modificare l’articolo 81. 9 I cantori della globalizzazione si adontano per le critiche. Scrive Pierluigi Battista: «Oggi un fronte politico e psicologico multiforme e variegato (...) vede nella “globalizzazione” la fonte di ogni disagio e di ogni ingiustizia. Quando la globalizzazione non porta, come negli anni passati, diffusione della ricchezza, sviluppo e progresso sociale, viene considerata la causa di tutti i mali, la radice di tutti gli squilibri. E la polemica contro i sacerdoti della globalizzazione – le “oligarchie economiche”, il “potere finanziario”, la “tecnocrazia”, le “élites” – diventa motore di un risentimento sociale potentissimo e di una critica feroce nei confronti degli ordinamenti che in qualche modo richiamano la cultura e la mentalità dell’ “Occidente”». Le virgolette sono di Battista. L’articolo prendeva lo spunto dalla nuova vittoria elettorale di Hugo Chávez, commentata con toni tragici («Chi dà una mano al Caudillo», Corriere della sera, 9 ottobre 2012). 10 Testuale, in lingua tedesca: «Marktkonformer Demokratie». 11 Stefania Vitali, James B.Glattfelder e Stefano Battiston, The network of global corporate control, Politecnico Federale di Zurigo (Eth Zürich), 19 settembre 2011. Il testo in Pdf è reperibile sul web. 12 Su tecnoentusiasmo, internetcentrismo, partecipazione «online» versus partecipazione «offline» si veda il sito www.ippolita.net. Ippolita è un gruppo di ricerca sulla Rete
20 - NELLE MANI DI GOLIA
lità della Rete nell’attuale crisi economica. Ricordiamo che, attraverso il web, l’economia finanziaria è divenuta il mostro acefalo di questi anni13. Con un clic del mouse si possono provocare cataclismi14. La Rete inoltre fornisce tutte le informazioni e gli strumenti per spostare imprese e capitali nei paradisi fiscali, probabilmente la più vergognosa, ingiusta e ipocrita tra le invenzioni del capitalismo neoliberista15. Secondo alcuni studi, almeno 21 mila miliardi di dollari sarebbero depositati in paradisi fiscali, un valore quasi pari al Pil di Stati Uniti e Giappone16. La persona umana con i suoi diritti (e doveri) rimane dunque il soggetto più debole, che tratta con gli altri attori in condizioni di oggettiva inferiorità. Ebbene, per leggere e provare a interpretare la realtà complessa e cangiante dei diritti umani nel mondo odierno, questo Saggio ha ospitato il pensiero e le analisi di professori universitari, studiosi, giornalisti e preti di frontiera17. Ogni autore ha descritto uno specifico aspetto dei diritti, avendo cura di farlo con obiettività, chiarezza e competenza. Ma anche con il cuore. Questo è un libro in cui l’indignazione è benvenuta. Sia quando si tratta di difendere l’acqua come bene comune, sia quando occorre affermare i diritti dei popoli indigeni o delle persone non eterosessuali. «L’indignazione – per dirla con le parole del gesuita José Ignacio Gonzáles Faus – non è ira né odio né violenza. È la reazione che sorge spontaneamente quando ci si avvicina con il cuore agli esclusi della terra e si diventa consapevoli del modo in cui vengono trattati»18. Tutti gli autori hanno contribuito in maniera gratuita, sottraendo tem-
e le tecnologie digitali. 13 Un confronto tra economia reale (misurata dal Pil) ed economia finanziaria (i famosi «mercati»): nel 2010, il Pil mondiale è stato di 64 mila miliardi di dollari, mentre l’economia finanziaria valeva 857 mila miliardi di dollari, ovvero 10 volte di più. Una chiarissima infografica è stata pubblicata dal mensile «Altreconomia» nel febbraio 2012. 14 Si pensi, ad esempio, alle «transazioni ad alta frequenza» (high frequency trading), che – con l’aiuto di sofisticati algoritmi – consentono di svolgere migliaia di operazioni al secondo, a mero scopo di lucro. 15 Ne è un esempio significativo il sito www.paradisifiscali.org, di proprietà della O.p.m. Corporation di Panama. Al riguardo si legga Paradisi perduti. Perché i paesi offshore stanno affossando l’economia mondiale, un esemplare opuscolo di Andrea Baranes e Luca Manes, «Altreconomia», novembre 2010. 16 James S. Henry, The price of offshore revisited. New estimates for missing global private wealth, income, inequality, and lost taxes, luglio 2012. Uno studio che evidenzia chi deve pagare «le virtù del libero mercato» (o della «rivoluzione liberale»). Il rapporto è scaricabile dalla Rete. Si veda: www.taxjustice.net. 17 Una frontiera intesa non tanto dal punto di vista geografico quanto ideale. 18 Quaderno n. 177 di «Cristianesimo e giustizia»: Il naufragio della sinistra. Stralci della relazione di José Ignacio Gonzáles Faus sono stati pubblicati dal quindicinale «Adista» del 31 marzo 2012. Il lavoro completo è scaricabile in formato Pdf dal sito: www. cristianismeijusticia.net.
PREMESSA - 21
po ed energie alle loro attività. La maggioranza di essi non sarebbe stata facilmente contattabile se non ci fosse stata – finalmente un pregio – la Rete (che, tra l’altro, nel 2011 è stata dichiarata diritto umano dall’Onu19). A tutti loro va il mio più sentito ringraziamento. Proprio per la sua caratteristica di opera collettiva, questo lavoro non ha trovato editori importanti e di conseguenza avrà una distribuzione fondata più sul volontariato che sui canali commerciali.
Le parole e i fatti D’altra parte, in Italia si pubblicano 57.000 titoli all’anno20 (esclusi ebook e self- publishing)21, ma la gran parte di essi si perde per strada. Considerate queste condizioni, perché dunque pubblicare Nelle mani di Golia? Pur nella consapevolezza dei limiti oggettivi di questo volume, rispondo utilizzando le ultime due motivazioni delle quattro registrate da George Orwell nel suo saggio Perché scrivo22: l’«impulso storico»23, definito come il «desiderio di vedere le cose come stanno, di portare alla luce dati di fatto veri e conservarli a beneficio della posterità»; e lo «scopo politico»24, inteso come il «desiderio di spingere il mondo in una certa direzione, di modificare l’altrui concezione del tipo di società alla quale bisogna tendere». Da ultimo, è importante ricordare che i diritti d’autore derivanti dalla vendita di questo volume andranno – per intero – all’«Asociación de desarrollo solidario “Yachay Wasi”»25. Si tratta di un progetto in essere a Tablada del Lurín, alla periferia sud di Lima, in Perú. Qui, da anni, Nancy 19 «Poiché Internet è diventato uno strumento indispensabile per ottenere una serie di diritti umani, combattere le disuguaglianze e accelerare lo sviluppo ed il progresso umano, assicurare l’accesso universale alla Rete dovrebbe essere una priorità per tutti gli Stati». Frank La Rue, relatore speciale Onu per la promozione e la protezione del diritto alla libertà d’opinione e d’espressione, giugno 2011. 20 Per un totale di 208 milioni di copie stampate. I dati, forniti dall’Associazione italiana editori (Rapporto 2011), si riferiscono al 2010. Si legga anche: Raffaella De Santis e Dario Pappalardo, La scrittura non paga, in «la Repubblica», 2 novembre 2010. 21 Rispetto a e-book e libri self-publishing si legga: Raffaele Simone, L’era di You book, in «la Repubblica», 4 dicembre 2011. E ancora: Fabio Gambaro, Chi ha paura dell’e-book. Come far convivere carta e digitale, in «La Repubblica», 20 agosto 2012. 22 George Orwell, Why I Write, Londra 1946. Il testo in lingua originale è reperibile sul web. 23 Testuale: «Historical impulse. Desire to see things as they are, to find out true facts and store them up for the use of posterity». 24 Testuale: «Political purpose. Desire to push the world in a certain direction, to alter other peoples’ idea of the kind of society that they should strive after». 25 Si veda: www.perusolidario.org. Altre informazioni sono reperibili nella pagina dei ringraziamenti, alla fine del Saggio.
22 - NELLE MANI DI GOLIA
Ortiz e Gianni Vaccaro aiutano i migranti provenienti dalle zone interne del Paese, povere o poverissime. L’associazione si prodiga per assicurare la salute alle persone e l’educazione ai loro figli. Ecco, contribuire, pur in maniera minimale, a soddisfare due diritti fondamentali come quelli alla salute e all’istruzione è per questo libro il più ambito dei successi. Un modo concreto per andare oltre le parole. Oltre l’indignazione. Paolo Moiola
INTRODUZIONI - 23
Introduzioni PROCLAMATI E VIOLATI
«Tirannide indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d’impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo». (Vittorio Alfieri, Della Tirannide, 1777) «“Mangia e bevi!”, mi dicono: “E sii contento di averne”. Ma come posso io mangiare e bere, quando quel che mangio, a chi ha fame lo strappo, e manca a chi ha sete il mio bicchiere d’acqua?». (Bertold Brecht, A coloro che verranno, 1938) «Io, uomo di colore, non voglio che una cosa: che mai lo strumento domini l’uomo. Che cessi per sempre l’asservimento dell’uomo da parte dell’uomo». (Frantz Fanon, Il negro e l’Altro, 1965)
24 - NELLE MANI DI GOLIA
INTRODUZIONI - 25
Una vista da Sud
se MANCA una «cultura dell’ascolto» di Paolo Pagliai È difficile dire con certezza se i diritti umani siano o meno l’eredità più grande e importante del Novecento. Una cosa è certa però: il «secolo breve» ci ha lasciato quella coscienza dei diritti che aveva iniziato a formarsi, quasi a istituzionalizzarsi, nella seconda metà del XVIII secolo, senza però affermarsi ancora come valore assoluto ed emancipato dalla sfera liberale dei «diritti dei cittadini». Sarebbero stati necessari due conflitti mondiali, decine di milioni di morti, un paio di bombe atomiche, la pianificazione a tavolino e a mente fredda dello sterminio sistematico di interi popoli, tutte le teorie eugenetiche per procreare bambini biondi e muscolosi, perché i diritti umani divenissero, agli occhi di mezzo mondo, un valore in sé e inalienabile, ben al di sopra di tutti gli altri diritti. Oggi i diritti umani sono un «patrimonio collettivo» divenuto per molti un semplice «luogo comune». Molti infatti vi si ritrovano ma pochi, pochissimi hanno gli strumenti intellettuali per mantenere aperta la riflessione su di essi. Non è uno scandalo, dunque, affermare che anche per quanto riguarda i diritti delle donne e degli uomini, la cristallizzazione dei principi non fa altro che indebolire gli effetti di quegli stessi principi. Questo secolo in fasce ci insegna, coi fatti, che una metà del mondo non condivide pienamente l’impianto dei diritti umani perché essi appaiono, oggi piú che mai, l’emanazione culturale non dell’intera umanità, ma di una sua parte, quella caratterizzata dalla cultura occidentale, per secoli – paradossalmente rispetto ai diritti umani da essa elaborati – dominante e colonialista. Ciò non significa che i diritti umani siano da disapprovare, ma che non può essere lasciata da parte la questione urgente della condivisione del loro patrimonio. Non possiamo partire, in altre parole, dal pericoloso presupposto che una parte dell’umanità (noi) abbia ragione e l’altra no; che noi stiamo dalla parte della civiltà e gli altri da quella della barbarie. Questa sorta di complesso di superiorità culturale da parte dell’occidente suona come un ossimoro davanti alle buone intenzioni dei diritti. «Noi stiamo dalla parte della ragione, gli altri da quella del torto. Noi siamo civili, gli altri lo diventeranno quando saranno come noi. Noi sappiamo cos’è la libertà, gli altri arrivano a mala pena a sognarla, sempre
26 - NELLE MANI DI GOLIA
che siano capaci di sognare la nostra, l’unica possibile». È per questo che formiamo i loro leader nelle nostre università, li facciamo a nostra immagine e somiglianza, perché auspichiamo che il loro mondo diventi un clone del nostro – come recitava un film di Clint Eastwood della fine del XX secolo – un mondo perfetto1. Tutto questo rischia di suonare come un controcanto stonato, una contraddizione in termini. Se non siamo capaci, infatti, di riflettere permanentemente sulle cose, come possiamo pretendere che gli altri – quelli che non hanno partecipato al dibattito, gli spettatori, spesso gli «ultimi» – le accettino come proprie? Forse non è un eccesso di zelo accademico ricordare che, quando si firmò la Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo, molte delle nazioni della terra erano ancora province e territori degli imperi, già allora moribondi, di quelle «vecchie» potenze che si facevano ambasciatrici del codice sacrosanto dei diritti. Con che faccia, poi, quelle potenze fossero capaci di farsi portatrici della «buona novella», mentre violavano quotidianamente gli stessi principi che dicevano di voler difendere, è a tutt’oggi un mistero. Mentre non è un mistero che tutti i popoli esclusi allora dal gioco delle parti, costituiscono oggi quel Terzo Mondo che a fatica riesce ad applicare il codice universale dei Diritti umani considerato dai piú granitico e inalterabile. Essi fanno fatica per varie ragioni, nessuna di per sé pienamente giustificante, ma tutte insieme sufficientemente numerose da aprire in noi almeno uno squarcio di incertezza e smarrimento, il dubbio del fallimento di un progetto di giustizia che poco piú di sessant’anni fa appariva vincente quanto inevitabile. Sono Paesi, quelli nati dall’implosione degli imperi coloniali, che – da una parte – hanno problemi ben piú grandi e urgenti della garanzia dei diritti umani, e – dall’altra – utilizzano codici, alfabeti, sensi e significati totalmente distinti dai nostri, per leggere la realtà quotidiana, per affrontarne le sfide e, conseguentemente, rispondere ai quesiti che pone. Paradossalmente, proprio all’apice dei processi di globalizzazione, abbiamo «scoperto» che il mondo è vario, che non tutta la gente pensa con la stessa testa, che esitono altre religioni, altri princípi, altre emergenze e «altre giustizie». Rifiutarci di guardare in faccia la diversità conclamata del mondo, sarebbe di per sé una violazione di tutti i diritti. La questione si complica ulteriormente se prendiamo in considerazione lo stato di salute dei diritti umani negli stessi Paesi, cosiddetti, occidentali. Quelli, per intenderci, che li hanno, dapprima proposti, poi firmati, e infine diffusi in ogni parte del mondo.
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Clint Eastwood, A perfect world, 1993.
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I ricchi, i poveri e i fili spinati del diritto Verrebbe quasi da dire che a parole siamo tutti bravi, ma nei fatti mostriamo tutti i limiti della nostra retorica. Sí, perché in Europa, cosí come in America, la battaglia per il rispetto dei «sacrosanti» diritti delle donne e degli uomini, è quotidiana, fatta di successi provvisori e sconfitte cocenti. Come in uno spietato gioco degli specchi, giorno per giorno, appare sempre piú chiaro che, se per i ricchi non ci sono problemi, per i poveri è la povertà stessa a violare tutti i diritti, senza distinzione. Diventa cosí effimera, solo per fare un esempio, la proclamazione del diritto di ogni essere umano «di lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio Paese» quando vuole, se ogni singolo Stato si sente a sua volta in diritto di emanare leggi che discriminano tra chi può e chi non può entrare nel proprio territorio, limitando necessariamente la libertà di movimento, (giacché si lascia il proprio Paese per andare, ovviamente, in un altro) e decretando spesso il rimpatrio forzato o l’espulsione immediata degli indesiderati. Visto da lontano, dunque, il nostro pianeta appare il triste teatro dei ricchi che circondano i poveri con i nuovi fili spinati del diritto: permessi di soggiorno, competenza linguistica, sussistenza economica, contratto di lavoro, carta di credito, conto in banca e quanti piú steccati si possano immaginare per mantenerli lontani con la loro fame. In barba a tutte le dichiarazioni di principio. Per non parlare del diritto al lavoro: un’autentica chimera nel mondo dei contratti a tempo determinato, delle nuove limitazioni al diritto di sciopero, delle riforme in senso riduttivo dello Stato sociale. Tutto ciò che abbiamo scritto fin’ora è scontato, la descrizione di un mondo normale che agisce in modo normale: la realtà è l’unica misura delle cose, e con essa, giustamente, si misura anche la «consistenza» dei diritti umani. Ma non possiamo arrenderci all’evidenza, non possiamo accettare passivamente che i diritti delle donne e degli uomini siano secondari rispetto alle esigenze del mercato, delle imprese, delle borse, della finanza. Tutti mostrano di avere esigenze piú importanti dei diritti umani, e in nome delle prime si giustificano quasi tutte le violazioni dei secondi. Quanti diritti vengono violati ogni giorno in nome dell’energia, della produttività e della libera circolazione dei capitali? «Ammazza più il petrolio che il cannone» non è un modo di dire; distruggiamo il pianeta per salvaguardare il mercato in nome della garanzia dei posti di lavoro, usando in questo modo il tema del diritto al lavoro come uno strumento per giustificare la violazione di mille altri diritti. In nome del mantenimento del posto di lavoro si limitano i diritti di sciopero, di assistenza, di previdenza e di sicurezza, si ridimensionano le conquiste dei lavoratori, si minimizzano gli effetti dell’inquinamento sull’ambiente.
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I lettori europei, scoprendo queste righe, forse si sentiranno offesi: «Come? Noi, i difensori dei diritti umani, i cittadini privilegiati delle ricche e solidali democrazie dell’Unione, i protagonisti assoluti delle operazioni di pace nel mondo, noi, gli abitanti delle patrie del volontariato, dell’associazionismo, dell’impegno politico e sociale, noi non avremmo un livello di giustizia tale da giustificare il nostro orgoglio?!» Noi stessi, mentre scriviamo queste pagine ingenerose, ci sentiamo feriti. Eppure, qui non si tratta di «generosità», ma di realismo. Pensavamo di aver sconfitto la povertà, e l’avevamo semplicemente messa fuori dalla porta. Ovvero, eravamo diventati tutti un po’ piú ricchi, sospingendo la povertà lontano dai nostri confini, chiudendo gli occhi davanti al fatto che, a fronte della nostra «nuova» ricchezza, si aggravava la «vecchia» povertà degli altri. Poi gli altri, approfittando delle nuove rotte del mondo della globalizzazione, sono venuti a bussare alle nostre porte e con sé hanno portato tante cose, anche la loro povertà, un autentico promemoria per ricordarci che la violazione dei diritti stava proprio lí davanti ai nostri occhi, intatta. Ecco, come vedete i diritti umani sono costantemente oggetto della riflessione. Riflettere a tutti i costi è ciò che ognuno dovrebbe fare. Sempre. Lo facciamo noi quando veniamo chiamati a scrivere un’introduzione a un libro che di questo parla, dei diritti inalienabili delle donne e degli uomini, e lo facciamo, essenzialmente, perché lo sentiamo come una necessità impellente, perché le notizie di ogni giorno ci spingono a rompere con tutte le nostre certezze per ricostruire costantemente i legami tra noi, la nostra cultura e il nostro contesto quotidiano. La pace portata nel mondo e per il mondo con le bombe e le mitragliatrici, la giustizia fatta valere a suon di botte, il lavoro tolto, offerto e nuovamente tolto, secondo gli indici di una borsa di valori che non sono certamente quelli che animarono i firmatari della Dichiarazione del 1948, ci obbligano – moralmente e professionalmente – a rivedere continuamente il nostro rapporto con i diritti umani. Dunque, siamo in molti oggi a riflettere sui diritti umani, lo fanno tutte quelle donne e tutti quegli uomini che, in giro per il mondo, quotidianamente, mettono in dubbio quello che viene loro venduto come oro colato, come il vangelo di una nuova religione rivelata, una religione laica che fa calare dall’alto il senso e il significato dei diritti umani. Ecco, in queste condizioni di vero e proprio fondamentalismo conservatore, mai disposto alla discussione, sempre chiuso di fronte ad ogni accenno di critica, quanto mai timoroso in presenza di ciò che non comprende perché non conosce, in queste condizioni di «non-dialogo» – perché sulle cose sacrosante (sacre e sante) non c’è niente da dialogare –, il dubbio che qualcosa non funzioni come dovrebbe, si fa sempre piú presente. Infatti, quando i
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diritti umani diventano un punto di incomprensione tra le persone e tra i popoli, una vera e propria ragione di conflitto, a volte insanabile, sorgono spontanei i dubbi sulla loro funzione universale.
Il valore della diversità Lo abbiamo già scritto: qui non è in discussione il valore della Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo, ma la preclusione al dialogo, quella peculiare tendenza del mondo occidentale a non voler condividere le decisioni con gli altri. Il XX secolo ci ha lasciato un’eredità pesante non solo perché il rispetto e la difesa dei diritti delle donne e degli uomini rappresentano un compito difficile e permanente, ma anche – se non soprattutto – perché i tempi sono finalmente maturi per riscrivere tutti insieme quella carta fondamentale, ascoltando tutte le voci e permettendo a tutti la libera espressione e la condivisione. Alle soglie del terzo millennio dovremmo tutti dare una grande dimostrazione di civiltà, tutti, nessuno escluso. Per questo, l’eredità è pesante. Perché si tratta di ascoltare gli altri senza pregiudizi e la nostra, ancora una volta paradossalmente, non è la civiltà dell’ascolto. Si tratta di riconoscere la «diversità» come un valore e la nostra è una civiltà che ha una paura terribile di tutto ciò che è diverso. Si tratta di riconoscere nell’«altro» la nostra stessa autorità morale e di essere capaci di sederci, insieme agli altri che non pensano come noi, per dare vita a un discorso condiviso. Questo esercizio ha un nome, si chiama «pace», e ultimamente la nostra civiltà ha dimostrato che con gli altri, i diversi, è capace di fare una cosa soltando: la guerra. Ecco, vivere e lavorare oggi in un luogo privilegiato come un’università dove si studia la filosofía e dove il pluralismo occupa un posto essenziale tra tutte le nostre preoccupazioni, girare per i corridoi dove studenti, docenti e ricercatori danno continuamente un senso alle parole, dialogano, discutono e non sempre raggiungono un accordo, stare in un luogo dove ognuno sa – indistintamente – che tutti i sensi e tutti i significati, costruiti nel rispetto dell’altro, agli occhi dell’altro hanno un valore inalienabile; vivere pienamente e liberamente il diritto a pensare con la propria testa, a sentire con il proprio cuore e a camminare con i propri piedi, ci porta come studiosi dei diritti umani, della memoria e della pace, non a una povera trasmissione di un codice, per quanto lodevole, ma a un’autentica riflessione sulle donne, sugli uomini e sui loro diritti. Diritti solidi, ma non rigidi. Forti, ma non violenti. Inamovibili, ma non immobili. Nostri, ma anche – se non soprattutto – degli altri.
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Nei panni degli altri Leggendo questo libro prezioso e non scontato, l’invito allora è ad aprirsi con la stessa disponibilità intellettuale e d’animo. L’invito a mettersi nei panni degli altri. Mettersi gli occhi degli altri e guardate il mondo, permetterà di vederlo diverso da come lo si è sempre visto. Mettersi il naso degli altri, permetterà di sentire odori insopportabili che prima sembravano profumi. Mettersi le mani degli altri permetterà di toccare ciò che prima si considerava intoccabile. Insomma, fare la pace e non limitarsi a parlarne. I diritti verranno da sé. Paolo Pagliai Preside della Facoltà di Lettere e Filosofía «Università del Claustro de Sor Juana», Città del Messico
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Una vista da Nord
Il disprezzo per il debole di Giuliano Pontara Nell’«età dei diritti», i diritti umani esistono in quanto sono posti da un corpo di leggi internazionali sancite attraverso Trattati e Patti ratificati dalla maggioranza dei Paesi. Con tutti quelli oggi esistenti c’è il rischio di una «inflazione di diritti», che (oltre a mettere in secondo piano i doveri) facilita l’uso retorico del loro linguaggio a copertura di politiche che, in realtà, ne comportano massicce violazioni. Forse, continuando a parlare di diritti, si fa il gioco di chi, usandone la retorica, li viola. Forse sarebbe meglio insistere su esigenze di benessere generale, equità, solidarietà, come ai tempi in cui le socialdemocrazie scandinave realizzavano il modello più avanzato di Stato del welfare: un modello di Stato, oggi estinto o sempre più limitato (anche negli stessi Paesi scandinavi), in cui i diritti fondamentali – civili, politici, economici – sono stati più largamente realizzati. Già anni or sono, Noam Chomsky metteva in luce il nesso tra retorica dei diritti e violazioni di essi: in modo particolare rilevava che quanto più gli Usa, specie nella loro politica internazionale, invocavano la tutela dei diritti, tanto più in realtà li violavano. Come appare dai contributi inclusi in questo saggio, l’osservazione di Chomsky non ha perso di attualità, ed è valevole anche in relazione a tanti altri Stati che hanno ratificato Patti e Convenzioni sui diritti umani. Le violazioni più massicce, e le minacce di ulteriori massicce violazioni, di diritti, sono costituite dalla guerra e dalla globalizzazione in chiave neoliberista, praticata anche dalla Cina che si autodefinisce Paese comunista. Le «nuove» guerre (cosiddette «contro il terrorismo») sono la forma estrema di terrorismo armato: come quelle del secolo scorso, comportano la sistematica e massiccia violazione, diretta o collaterale (per le vittime non fa alcuna differenza), di diritti basilari (alla vita, alla salute fisica e mentale, a un ambiente vivibile) di milioni e milioni di innocenti – a cominciare dai bambini – presenti e futuri (i diritti delle generazioni future non figurano bene tra le varie «generazioni» di diritti). La guerra è tortura continua (fisica e psichica) elevata a sistema e praticata su base industriale. Le torture perpetrate nelle carceri di Guantanamo, Abu Ghraib, e in tante altre prigioni del pianeta, incluse quelle italiane, non sono l’opera di un certo numero di «mele marce»: sono parte integrante di un «siste-
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ma» strutturalmente violento e di un modo di vedere il mondo come teatro di una spietata lotta per il dominio assoluto, dove l’unico «diritto» è quello del «vincitore», due componenti essenziali della Weltanschauung nazista. La globalizzazione dell’economia in chiave neoliberista, acceleratasi dopo la fine della guerra fredda, è coincisa con un rapido e sempre più invadente processo di privatizzazioni, in nome di un diritto sempre più illimitato di proprietà e nell’ambito di un mercato deregulated che nutre e opera attraverso strutture che a loro volta creano nuove forme di schiavitù, sfruttamento (anche quello dei bambini), fame, miseria, morti precoci e disuguaglianze tra quelli che hanno sempre di più e quelli che hanno sempre di meno. Il disprezzo per il debole – anche questa una componente essenziale dell’ideologia nazista – è connaturato all’ideologia e pratica del «libero mercato», come al nuovo razzismo nei confronti dei «migranti». I deboli del mondo, i «malformati», «gli etnicamente impuri», coloro che vivono nella miseria più nera, coloro che non hanno potere contrattuale e potere di acquisto (ivi comprese le generazioni future) non contano, non hanno valore, possono essere trattati alla stregua di cose. Guerre terroristiche e globalizzazione in chiave capitalista (con le sue ricorrenti e sempre più gravi e durature crisi che colpiscono immancabilmente i più deboli) minacciano un’età dei «rovesci». La grande sfida è fare fronte a queste minacce. Giuliano Pontara Università di Stoccolma