Agnus Dei - Carla Collesei Billi

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Carla Collesei Billi

AGNUS DEI a cura di Luigi Meneghelli


© Il Segno dei Gabrielli editori 2021 Via Cengia, 67 – 37029 San Pietro in Cariano (Verona) tel. 045 7725543 info@gabriellieditori.it www.gabriellieditori.it ISBN 978-88-6099-470-7 In copertina Agnus Dei, affresco, XII secolo, chiesa inferiore S. Fermo, Verona Stampa Mediagraf spa (Padova) - Agosto 2021 Foto di Beppe Menegardi. Le immagini sono pubblicate per gentile concessione di don Maurizio Viviani, parroco di San Fermo e Rustico a Verona.


AGNUS DEI



PREfazione

In verità, in verità vi dico: voi vedete il cielo aperto, e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il figlio.

Giovanni Evangelista 1,51

1. Poesia, poesie Da sempre il discorso poetico di Carla Collesei Billi sembra orientato più a oltrepassare distinzioni e barriere che a edificarle, ad aprire piuttosto che a chiudere. Non si dà mai un punto di riferimento stabile e determinato, ma un continuo richiamo, “un cielo largo a dismisura”, un crocevia di pienezze: un senso da inseguire in un posto come in un altro (e, in fondo, non importa dove). Quello che conta davvero è cercarlo, sentirlo. Qualunque luogo può essere il centro del mondo, il principio dell’esistenza. “Come Diogene anch’io / tutta la vita a cercare / sotto i muri sinopie / i segni e gli alfabeti / il dio che si nasconde...”, così si legge in una lirica della raccolta “La mia voce” (2017). Come dire che per Carla è più importante l’azione di ogni contemplazione o, meglio, che il suo sguardo non è circoscrivibile né prevedibile, se non per l’impazienza e la curiosità che sempre lo contraddistingue. Ma ciò non significa fare esperienza della distanza, viaggiare, anche solo con la fantasia, per mari e monti, ma piuttosto cercare di costruire qualcosa ai margini della distanza stessa. Un po’ come tentò di fare Cézanne con la Montagna Sainte-Victoi7


re: un inesausto sforzo per conquistare qualche millimetro di quell’immensità, trasformandola in cosa costruita e mostrando la struttura stessa del costruire. Ebbene, la poesia di Carla è pensata proprio come un discorso-percorso che si tende da una figura all’altra, lungo la grande via dei simboli, delle corrispondenze, delle analogie. Lei, come all’interno di una magica, interminabile tela, tesse i fili che vengono da forze sovrapersonali, naturali, cosmiche, per andare al di là di ciò che è soltanto qui e ora: la terra, la madre, la fecondazione, il movimento ciclico della vita, la vicinanza degli antenati, la mitologia, le “mappe non terrene”. Le vertiginose immagini che impiega Carla danno l’impressione di tendere all’infinito, alla partecipazione della parte con il tutto, alla comunione dell’individuo con il mondo. Hanno, cioè, radici profonde, echeggiano di voci che vengono dal passato o, come si può leggere, risuonano “in spazi d’anima a memoria”. Una memoria, però, non passiva, ma attiva. Una memoria che seleziona, sceglie, trasforma, in una parola, “fa storia” e apre la continuità del futuro. Di qui, il bisogno di rinnovarla, mobilitandola e innervandola in senso spirituale e quasi animistico. “Ogni risposta / ci ripartorisce”, detta un verso, e un altro “celebro … / il suo rinascimento”. Fino ad arrivare alla perentoria e ambiziosa brama di “rinominare il mondo”. Dove il prefisso “ri-” dice di uno slancio che dura, di una ripresa ostinata come se la poetessa fosse invariabilmente animata dalla speranza di accrescere la propria scoperta o di riconquistare ciò che pare sempre sul punto di sfuggirle: “come vorrei ogni cent’anni anch’io / trovare un replicante per la scena”. È una sorta di impazienza di cogliere l’essere al di là delle apparenze, di arrivare allo stupendo teatro della visione al di là della prima vista. Ma non è solo il messaggio poetico ad eccedere, a forzare i limiti dell’orizzonte, ma anche una certa idea ritmica, un particolare passo del discorso poetico: è il suono che si aggancia al senso e il senso al suono in una immensa, indefinibile copulazione. Carla, infatti, fa cadere tutti i segni di interpunzione, elimina le maiuscole, provocando un’autentica inondazione sintattico-lessicale che invade l’intero campo espressivo. Così si passa (anche all’interno di una stessa lirica) dalla forma della bal8


lata o della litania ad ampie strofe di andamento quasi narrativo, per toccare infine versi ridotti al limite estremo del congedo, della parola finale (come accade nell’ultimo Giorgio Caproni). È una voce che si scioglie, che si libera da ogni vincolo razionale e tradizionale. Essa scavalca regole e formule, versi e rime. La metrica, in Carla, cioè, non è mai un metodo o un ornamento, ma un ritmo incalzante che partecipa (anche visivamente) ai moti dell’anima. Non è solo una testimonianza, ma un battito che entra in relazione attiva e complice con ciò di cui si parla. Non è un caso che nella prima lirica de “La mia voce” si possa leggere: “è per tornare nudi / che si va / come bambini / in braccio alla parola”: è un po’ come sostenere che non c’è distinzione tra il dire e l’essere o, anche, tra il vivere e il comunicare / comunicarsi. Continua... 2. Le Sacre Rappresentazioni Intorno ai primi anni duemila Carla Collesei Billi ha l’opportunità di fare una serie di esperienze che la portano a misurarsi con un altro modo di esprimersi. Invece di frequentare solo linguaggi simbolici e immaginari, comincia a sviluppare la sua attenzione verso quello straordinario deposito di storie, personaggi, passioni che sono i Vangeli. Conosce padre Antonio Ciceri, superiore della chiesa francescana di San Bernardino che le commissiona i testi per una Sacra rappresentazione dal titolo “La passione secondo le cose”. Ne approfitta per “studiare a lungo e furiosamente”, come racconta lei stessa, testi legati alla catechesi, frequenta corsi biblici promossi dalla Fondazione Toniolo, tenuti da don Signoretto e da Antonella Anghinoni e quelli organizzati dal biblista missionario mazziano don Dario Vaona. In una parola, cerca di approfondire quella grazia che è il dialogo con Dio e sembra fare proprie le parole di San Francesco: “Nessun uomo è degno di nominarlo”. Forse è per questo che nelle poesie della “Passione” Carla fa parlare “le cose”. Lei sembra in qualche modo ritirarsi, scrivere dai margini del tempo e della vita, lasciando che ad accompagnare i passi della Via Crucis (dalle “palme della gloria”, alla Crocifissione fino al mistero e trionfo della Resurrezione) sia la voce di quelle disadorne, infime presenze che non han9


I N T R O I BO il mio sacro Dio sorella acqua così pura e chiara sole invitto angelo Le dieci parole (*)

(*) Testo per Sacra Rappresentazione 17



il mio sacro di che natura sia il mio sacro se chiedi di quale forma a quale altare che riti che preghiera a quale regola a quale offerta si conformi l’ora e quale il sacrificio e quale l’officiante e quanta la spesa e quale la resa che plachi la sete che domi la paura tutta la vita è sacra per me che tutto è amore sacerdote io al suo altare e ostia e giglio e rosa io vittima di me turibolo e ostensorio ministro al miserere il cielo per ciborio e per conforme sorte se sacra è la vita per me sacra sarà la morte

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Dio oh Dio che lingua di mortale non può dire che non si può spiegare mostrare definire immenso eterno Dio senza confine che pennello non rende né scalpello intuisce dove Ti vedo se non dentro il creato come Ti penso se non nel mio pensiero ché similmente a Te mi hai fatto a somiglianza e immagine di Vero Tu che tieni tempo e spazio in scacco fino alla fine dei giorni e della Storia e di regni e loro gloria non ti cale Tu che ci hai dato il Figlio per fratello che riscattasse col suo dolore il male Tu che ci parli per bocca dei profeti e ispiri i piccoli e gli angeli e i poeti questo alfine ho capito questo dichiaro

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