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padre fabrizio MARIO forti
L’uomo che gioca Scritti su vecchie e nuove povertà a cura di Walter Nardon e Silvio Toniolli
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© Il Segno dei Gabrielli editori 2020 Via Cengia 67 − 37029 San Pietro in Cariano (Verona) Tel. 045 7725543 − fax 045 6858595 info@gabriellieditori.it www.gabriellieditori.it ISBN 978-88-6099-440-0 Per questa raccolta di scritti si veda la Nota ai testi Tutti i diritti riservati In copertina: Padre Fabrizio Mario Forti (foto di R. La Cara e R. Tarantello) Gli eventuali proventi dovuti ai curatori a titolo di diritto d’Autore saranno devoluti all’Associazione “Valle Aperta” (Altavalle, Trento) Stampa MIG spa (Bologna), Agosto 2020
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Sommario
Prefazione. La gioiosa inquietudine di Padre Fabrizio di Silvio Toniolli
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Introduzione. Il dialogo e la vita degli altri di Walter Nardon
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Cenni sulla vita di padre Fabrizio Mario Forti di Walter Nardon
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Parte prima
Articoli APPARSI SULLA RIVISTA «Dioratikós»
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Tu non vai in ferie? Poveraccio
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Cave canem! Attenti al cane
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Cosa farai da grande?
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Dialoghi fondamentali per l’uomo
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Balle 74 Pantalone 75 Avvenimento importante o presa per il culo?
77
Resurrezione 81 Povera donna
83
Radici di Bruxelles?
85
Presenze di speranza
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Il porco
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S. Vigil in Enneberg / S. Vigilio di Marebbe
89
Sono pazzo
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Pisciarsi addosso
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Galera 95 5
Portami via con te
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Paura suicida (l’emarginazione esiste)
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Ci siamo finalmente liberati!
101
Sullo scaffale della vita
103
L’uomo di pace è uomo di Dio
104
Gratis 106 Quaresimale 108 «Poveri cristi castrati»
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Dramma di un’anima
114
Figo o non figo, sei santo
116
1988. Uffa!
117
Disagio psichico. Dalla progettazione alla metodologia
119
Che stanco!
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Madonna donna
128
Toc, toc
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«Cagadubbi», ovvero indecisioni diarroiche
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Oportet semper orare. È indispensabile pregare sempre
133
A Roberto. E a tutti i morti della terra
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Siamo sempre in maschera
137
Faccia da schiaffi
138
Cronaca di un Fortunato
143
Che brava gente!
146
Dolly è morta. Aveva solo trentun anni
148
Fiori di oggi
149
Messaggio di pace
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Messaggio al Parlamento Europeo
151
Tempi maturi
152
No alla guerra
155
Abbiamo fatto un deserto e l’abbiamo chiamato pace
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Parte seconda L’impegno per la pace
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Diario dall’Italia alla Croazia
165
La situazione nella diocesi di Banjia Luka
170
Non parlatemi di pace
175
Messaggio di Mir Sada da Prozor
178
Mostar: «un’altra città dove regna la morte» intervento pronunciato a Mostar
179
Mir Sada: un bilancio
181
Cammino di pace nella città di Mostar
183
«In nome di Dio vi supplico» Oscar Romero ventiquattro anni dopo
187
Parte terza Lezioni e interventi sul disagio psichico
199
L’uomo che gioca
201
Scendere da cavallo. Lezione introduttiva ai volontari
216
Essere volontari. Competenze, motivazioni, peculiarità e interscambio con gli operatori
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Dall’assistenzialismo alla promozione dell’autonomia
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Affettività e sessualità. Quale espressione?
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Parte quarta Valle Aperta. Spirito originario e nuove, vecchie povertà
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Come un forestiero
267
Una musica strana
270
Di fronte ai poveri
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Dovrei preferire i manicomi, le carceri?
282 7
La nascita di Valle Aperta
290
Operatori e volontari
294
GratuitĂ come profezia di un mondo nuovo
299
Sinergie, sperimentazioni e sfide comuni
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Sentitevi appoggiati da Dio
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Reintegrare qualcuno nel consesso sociale
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Il gioco sanante
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Il Laboratorio di ricerca metodologica
316
La responsabilità verso l’altro
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Nota ai testi
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Ringraziamenti 337 Immagini 341 Congedo 347
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Prefazione LA GIOIOSA INQUIETUDINE DI PADRE FABRIZIO di Silvio Toniolli
1. «Sto studiando modalità nuove per portare speranza». Lo scriveva in una delle sue ultime e-mail. Lo stava facendo da una vita, era il suo modo di stare al mondo, fin da quando per tutti era Mario. Poi sarebbe diventato Fabrizio, frate prima e padre sacerdote poi, ma il solco era tracciato già dall’inizio. Lo testimoniano quanti l’hanno frequentato nelle fraternità cappuccine di Trento, Calavino, Tonadico, Segonzano, Terzolas e nei numerosi “cantieri” del Trentino e …del mondo in cui si è cimentato, ha giocato e consumato la sua vita: carceri, mensa della Provvidenza, dormitori, Casa Lamar, Punto d’Incontro, Valle Aperta, Stella Bianca, Sorgente ’90, le scuole del Primiero, la Piccola Opera, la Casina, l’ANNFAS di Tione, Beati i Costruttori di Pace, Giustizia Pace Ecologia dei frati cappuccini. Questi luoghi e molti altri sconosciuti ed anonimi sono stati per lui luoghi di incontro e di incrocio con tante esistenze periferiche, studiando ogni volta modi nuovi per portare speranza. Concludeva quella mail con queste parole: «Spesso mi sembra di portare acqua con una cesta, ma in fin dei conti mi dico che l’acqua che perdo innaffia il cammino. E vado avanti». Consapevole di essere una goccia nel deserto dei diritti negati, un servo inutile per dirla col linguaggio del Vangelo, ma di non poter scansare la responsabilità di essere e fare quello che era e quello che faceva. In valle di Cembra abbiamo avuto il privilegio e la fortuna di averlo fra noi per sedici anni all’eremo di Piazzo di Segonzano; ha speso fra noi e con noi l’energia e l’entusiasmo dei suoi anni di massimo vigore, dai trentatré ai quarantanove anni. A più di tre anni dalla sua morte, a più di ventun anni dalla chiusura del convento di Piazzo, alcune fortissime emozioni si sono 9
sedimentate, lasciando spazio ad una riflessione più razionale ed obiettiva sulla straordinaria avventura di questo nostro amico frate. Vorremmo definirla un’avventura umana e spirituale, ma per Fabrizio questa distinzione non vale; per lui l’umano e lo spirituale erano un tutt’uno. Era allergico al linguaggio da sagrestia, aborriva i sofismi, gli orpelli e gli ammennicoli, aveva il culto della limpidezza, anche aspra, se necessario. Era graffiante e corrosivo, ironico e irriverente, quando il suo interlocutore biascicava nel torbido o deteneva un potere istituzionale non declinato in spirito di servizio. Sapeva bene come fosse facile, anche per sé stesso, riempirsi la bocca di parole vuote. Nelle pagine che seguono troviamo abbondanti tracce del suo agire parlante, della sua azione profetica, del suo pensiero radicalmente cristiano e cristianamente radicale, del suo Gioco a tutto tondo. Lo stile comunicativo di Fabrizio non era solo verbale, era in buona parte non verbale. Aveva la dote non comune di riuscire ad esprimersi con la mente sempre connessa al cuore. Per chi l’ha conosciuto, leggendo queste pagine riemergerà la nostalgia del timbro inconfondibile della sua voce, dello sguardo sempre tarato su chi aveva di fronte, della sua parlata dialettale incalzante e spiazzante, dell’energia prorompente di ogni sua azione parlata. Le pagine che seguono sono un bagaglio prezioso di meditazioni, intuizioni, sperimentazioni, di come padre Fabrizio ha inteso giocare la sua vita, a servizio di quel Gioco mistico del Creatore a cui tutte le creature hanno uguale diritto di partecipare. Da queste intuizioni scaturisce il suo agire quotidiano e concreto, il suo stile di vita, semplice e radicale, immediatamente leggibile e comprensibile da tutti. Questa raccolta di scritti di padre Fabrizio nasce prevalentemente da quei meravigliosi sedici anni vissuti nel cuore della valle di Cembra; cuore geografico, perché il convento di Piazzo si trovava al centro della valle, ma anche cuore inteso come coscienza e sentimento dei cembrani, in buon numero conquistati e sedotti dallo spirito che animava quel convento. La rabbia e lo sgomento scatenati dalla brusca chiusura di quel10
la fraternità, nel 1998, hanno lasciato abbondanti cicatrici fra i cembrani. Fabrizio ha obbedito alla decisione dei suoi superiori ed ha lasciato Piazzo, insieme ai suoi due confratelli. Una decisione subita, non certo voluta, ma accettata senza reazioni eclatanti. «Sono un frate», questa l’essenza delle sue parole a chi si attendeva da lui reazioni di protesta. Incomprensibile Fabrizio: tanto energico a fianco di chi subiva soprusi, quanto mansueto quando toccò a lui chinare il capo. Risuona l’«Eccomi» del Salmo 39: «Si compia in me la tua volontà». Nel ’98 Fabrizio obbedì docilmente; non era la prima volta e non fu l’ultima. Ma la pillola non va addolcita. Fabrizio sosteneva da sempre che le piccole fraternità francescane, sullo stile di Piazzo, rappresentavano la più genuina attualizzazione dell’ispirazione di San Francesco. Era felice quando questa sua convinzione trovava conferme nei pronunciamenti del suo Ordine. Con la chiusura di Piazzo si poneva la parola fine a quel tipo di esperienze. Le sue convinzioni? Il suo carisma? La sua scommessa? Non poteva esserci schiaffo più doloroso. Ma evidentemente Fabrizio scrutava Oltre, o semplicemente vi si affidava: «Le vostre vie non sono le mie vie» (Isaia 55,8). Fra le Sue vie e le mie vie quanti sono i mediatori? Quanti gli interpreti? Quante le frustrazioni? Quanti gli ostacoli prevedibili, imprevedibili, insopportabili? «La mente dell’uomo pensa molto alla sua via, ma il Signore dirige i suoi passi» (Pr 16,9). È crudele e dolcissimo questo affidamento. Fabrizio aveva scelto di giocarsi la vita sul Vangelo. Se ti ho detto: «Eccomi», come posso ora sbatterti la porta? Io mi fido di Te e continuo a giocare come Tu disponi, sapendo che nel Tuo Gioco non c’è tradimento. In questi termini l’obbedienza di Fabrizio acquista un senso. Per la valle di Cembra fu un grave lutto, una privazione incomprensibile e ingiusta, ma a mente fredda è importante riconoscere il lato positivo della medaglia: per ventidue anni, sedici dei quali con Fabrizio, quella fraternità è stata un lievito potentissimo per tutta la valle, piovuto dal Cielo senza meriti e senza preavvisi. Un autentico regalo rispetto al quale si può solo rispondere con gratitudine e francescana letizia. Gratitudine per aver potuto incontrare persone povere di beni materiali, ma ricche di beni interiori. 11
Migliaia di persone, dalla valle di Cembra, ma anche da fuori valle, hanno frequentato quel luogo. Una scritta inequivocabile all’esterno della porta: «Entra, serviti di ciò che hai bisogno e se arrivano ospiti sii tu ad accoglierli con gioia e fa’ loro gli onori di casa.» La porta sempre aperta, giorno e notte, il fuoco acceso nella stufa, una credenza con la scritta: «Aprite e servitevi», un tavolo, una panca, un fiasco di vino e qualcosa da mettere sotto i denti, un frate che ti accoglie col sorriso, ti guarda negli occhi e si ferma con te. Ingredienti semplici, poveri, un setting inconsueto ai giorni nostri, ma probabilmente in perfetta sintonia col nostro bisogno spirituale più intimo. L’eremo di Piazzo è stato un radar, una calamita e un catalizzatore di pensiero, di condivisione, di animazione sociale e culturale, di azione. Da frate francescano, Fabrizio ha avuto come riferimento costante il modello del poverello d’Assisi. Era impregnato da quella spiritualità, che ha fatto sua e trasmesso nel suo stile di vita e in tutta la sua predicazione. Le pagine che seguono trasudano di riferimenti a Francesco; vedi in particolare la lezione/meditazione sull’incontro di Francesco col lebbroso, che viene riproposta a più riprese in contesti diversi. Fabrizio era tutt’altro che sprovveduto in materia di studi teologici, ma la sua fede sgorgava genuina senza complicazioni intellettuali. Ho sempre percepito in lui, in tema di fede, una semplicità e una limpidezza disarmanti. Niente a che vedere con i trattati di metafisica o con i manuali di teologia dogmatica. Per chi come me cercava conferme razionali a un sentimento istintivo e coltivato dall’educazione, l’incontro con Fabrizio era ogni volta fonte di stupore. Non c’era in lui l’inquietudine dubbiosa del filosofo o l’affannosa ricerca del biblista. Quest’ultima c’era, ad esempio, nell’altro pilastro dell’eremo di Piazzo, padre Giorgio Antonino Butterini, dotto biblista. In Fabrizio no. In Fabrizio c’era una passione, un amore “folle” per il Vangelo e per il Creatore che nel Creato si fa creatura. E c’era la premura di non profanare questa essenza. Non profanarla col linguaggio da “professionista del sacro”, non profanarlo con frasi fatte, non banalizzarlo in schemi e formule stereotipate. Per Fabrizio dimensione verticale (creatura12
Creatore) ed orizzontale (creatura-creatura) erano un tutt’uno e non potevano non esserlo. L’Altro e gli altri vanno necessariamente a braccetto. Lo schema di chi sostiene che la fede in Dio viene prima dell’impegno per un’umanità più giusta, non è uno schema applicabile a Fabrizio. La fede nel Vangelo non può essere disgiunta da un preciso impegno di giustizia sociale. Sarebbe altrettanto ingannevole etichettare Fabrizio in termini di appartenenza a un’ideologia politica. La sua visione politica trae ispirazione dal discorso della Montagna, dal Magnificat e da mille altre sollecitazioni della Buona Novella: «Io prendo dal Vangelo le cose che dico e che tento di realizzare. La forza la prendo da lì. Umanamente, tante volte verrebbe da buttare l’abito alle ortiche, se guardassi alla resa. Ma noi, siamo o non siamo dei contadini folli?» Dice di lui il professor padre Erminio Gius, suo grande amico e confratello frate: Guardando alla sua vita e al suo “sentire terapeutico”, ascoltando le sue riflessioni a commento delle Sacre Scritture, osservando il suo sapere nelle forme di porgersi come dialogante sia dell’umano come dello spirituale, posso affermare circa una sua solida formazione teologica e pedagogica. La formazione teologica, appresa negli studi classici nel Seminario maggiore di Trento, risentiva di quella letteratura affine ai principi che governavano il suo sentire antropologico ed etico. Un pensiero teologico, etico, politico, sociale, esistenziale che ha aiutato a crescere un mondo nuovo e ha garantito per tutti questi anni la pace in Europa. Pensiamo al Concilio Vaticano II, ai Papi che l’hanno pensato, cresciuto e accompagnato, agli studiosi di un umanesimo pieno e solidale, ai grembiuli che hanno accolto e amato la diversità, la povertà, la fragilità. Grembiuli come icona di identità nella quale Fabrizio si rispecchiava e della quale ne andava fiero. Fabrizio, il suo grembiule, la sua sigaretta messa in bocca al rovescio! Immagini plastiche di un uomo giusto, semplice e complesso.
Fabrizio dal punto di vista teologico trasmette la freschezza, la gioia e la speranza di quel particolare momento storico, civile e religioso. Gioia e Speranza, Gaudium et Spes come dice il Concilio Vaticano II, per individuare vie nuove della Chiesa nel mondo contemporaneo. Gioia e speranza per l’intera umanità, ma a par13
tire da chi fa più fatica. «Quando sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12,10). Non un elogio della debolezza, ma l’affermazione che la debolezza non è l’ultima parola per l’uomo. Non è il destino voluto da Dio. Tantissimi i Maestri Ideali di Fabrizio protagonisti di quella stagione; l’elenco risulterebbe troppo lungo e incompleto. Forse i versi di una poesia, appesa su una parete dell’eremo di Piazzo possono evocare la “teologia” di Fabrizio. Di tanto in tanto gliene ripetevo qualche passo e lui, immancabilmente reagiva con un sorriso e con un monito: «Taci, Grillo parlante!». David Maria Turoldo ne era l’autore, il titolo Più non abitate conventi Più non abitate conventi di pietra perché il cuore non sia di sasso! e anche voi, uomini, non fate artigli delle vostre mani. Liberi, o monaci, tornate senza bisaccia, nudi i piedi sull’asfalto. Sia il mondo il vostro monastero come un tempo era l’Europa. Abbattete i reticolati di queste città-lager, dove ognuno è cintato dal sospetto perfino del fratello – di chi sia primo ad uccidere. Una tenda vi basti a riparo dalle bufere, e Dio ritorni vagabondo a camminare sulle strade, a cantare con voi, i salmi del deserto.
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Vi basti leggere il vostro nome nel vento e nel cielo azzurro: mormorato sotto una palma nelle pause dei canti. O frate Nessuno, sei l’antica immagine di Cristo sparpagliato in ogni lembo di umanità, vessillo che ci manca… (D.M. Turoldo, O sensi miei, poesie 1948-1988, Milano, Rizzoli, 1990, p. 572)
Questo è il Dio che Fabrizio ha incarnato e annunciato, senza mai esibirlo. In questo libro, a più riprese Fabrizio affronta il tema del rapporto fra l’uomo e Dio. Ne parla in modo originale anche utilizzando la categoria del Gioco. Lo fa nel capitolo centrale del manuale di Valle Aperta dal titolo L’uomo che gioca. Il concetto di “gioco” viene esaminato nelle sue mille accezioni, su su fino alla sua natura più pura e sacra. Partendo dal gioco inteso come dinamica terapeutica nella relazione con le persone sofferenti nella psiche, giunge a parlare del Gioco di Dio, del Creatore che gioca con le creature e col creato: «Gioca Dio quando s’accinge alla creazione; ci prende gusto pure lui e in questo crea Gioco, come spirito che genera relazione». Anche i riti rientrano in questo gioco di relazioni: «Non esiste formale distinzione tra gioco e rito in quanto il rito non dovrebbe essere statico e ripetuto pedissequamente e in quanto relazione creativa compie le stesse forme di un gioco». È Gioco fra Dio e l’uomo pure la preghiera. Fabrizio, immerso a piene mani nella realtà profana, laica e mondana, con altrettanta naturalezza è immerso nella preghiera, nella liturgia, nel rito. Per molti la connessione fra i due ambiti è assente o problematica; per Fabrizio tutto appartiene al medesimo Gioco. La preghiera, in particolare: 15
conduce alla relazione piacevole perché ludica e dialogica e perché crea rapporti infiniti. I frutti che vengono generati dalla preghiera in quanto rapporto interiore profondo – gioco vero – con un Altro sono enormi modificatori della persona. In questo gioco dialogico le conseguenze sono sempre costruttive anche quando le risposte tardano a venire, o sono risposte di impegno. Auguro a tutti di farne esperienza per fruire di tali frutti!
Sono di forte impatto le parole di Fabrizio, quando racconta la sua esperienza personale di gioco/relazione con l’Altro mentre gioca/si relaziona con gli altri: Nell’attenzione all’altro, che è amore, io metto in atto il motore dell’Amore. Quell’Amore non è un amore solo mio. Quel motore non è mio. Nel momento che amo, io mi collego… Tante cose che io faccio, non avrei mai detto di arrivare a farle. Ma non è per mia capacità. Lo dico ad alta voce e non ho paura di essere smentito. Non avrei mai immaginato di riuscire a..., ma non voglio dire di più. Le situazioni che vivo, a me sembrano stranissime…. più do e più ricevo. Più amo e più sono amato. Entro in un dinamismo di Amore.
Continua....
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IMMAGINI
Fabrizio Forti negli anni anni Ottanta in Valle di Cembra. L’eremo di Piazzo, con il crocifisso scolpito da Fabrizio Forti e dai sofferenti di disagio psichico.
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