La morte buona di Giuseppe Deiana - prefazione di Vittorio Bellavite

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Giuseppe Deiana

La morte buona È possibile l’eutanasia cristiana? Le posizioni di punta dei cattolici e dei protestanti

Prefazione di Vittorio Bellavite

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© Il Segno dei Gabrielli editori 2021 Via Cengia 67 37029 San Pietro in Cariano (Verona) tel. 045 7725543 info@gabriellieditori.it www.gabriellieditori.it Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta con sistemi elettronici, meccanici o altro senza l’autorizzazione scritta dell’Editore. ISBN 978-88-6099-477-6 Stampa Mediagraf spa (Padova), novembre 2021 Progetto di copertina Gabrielli editori


Indice

PREFAZIONE di Vittorio Bellavite

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PREMESSA La ricerca di un percorso condiviso sulla sofferenza inutile

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1. INTRODUZIONE L’eutanasia eticamente responsabile

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Convergenze e divergenze nelle Chiese cristiane 27 2. L’AMMISSIBILITÀ MORALE DELLA MORTE VOLONTARIA L’idea di eutanasia responsabile nella vita e nelle opere del teologo cattolico Hans Küng

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Un pensiero organico e complesso

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Le esperienze chiave vissute in prima persona

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Il rapporto con la gerarchia della Chiesa cattolica

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Il riscontro delle associazioni pro eutanasia e l’apertura sul fine-vita 51 Dal Parlamento delle religioni mondiali alla Fondazione per un’etica mondiale: il rispetto per la vita, oltre il Giuramento di Ippocrate

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Etica universale, etica medica ed eutanasia responsabile

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Le pratiche della morte dignitosa

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L’eutanasia medica tra etica e diritto

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Autodeterminazione e responsabilità personale: la vita dono divino, ma anche compito umano

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Un mutamento di paradigma nella concezione della vita umana: un ribaltamento teorico, etico ed esperienziale

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La vita cristiana e la scelta della propria morte

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3. ALLA MORTE SEGUE L’INIZIO DI UNA NUOVA VITA Il contributo dei valdesi alla discussione su eutanasia volontaria e suicidio assistito nella prospettiva protestante

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La lezione di Bonhoeffer: la teologia della responsabilità e il valore di una testimonianza Protestantesimo ed eutanasia: i contenuti di un manifesto Significato di eutanasia e suicidio assistito, medicina palliativa e sedazione palliativa Il riferimento alla legislazione vigente in Italia, Francia, Stati Uniti e Svizzera L’eutanasia e il suicidio assistito come problema etico-religioso Il rapporto con la società e la legislazione Limiti dell’autonomia della persona e dell’azione legislativa

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4. I CATTOLICI DI BASE E L’EUTANASIA No alle posizioni rigide della gerarchia ecclesiastica, sì alla vera discussione e al confronto con il mondo laico

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Il movimento Noi Siamo Chiesa 113 Noi Siamo Chiesa dice la sua su art.580 c.p., suicidio assistito ed eutanasia. No alle posizioni rigide di Bassetti, sì all’apertura di una vera discussione 113 Le indicazioni dell’ “Evangelium Vitae” come prescrizioni assolute e totalizzanti 122 La contrapposizione tra sacralità e qualità della vita e la ricerca di una “terza via” 134 L’orientamento del cattolicesimo di base 141 Etica laica e soluzione condivise 147 Legislazioni e sentenze 151 Per un’eutanasia di ispirazione cristiana nel rispetto dei valori costituzionali 155 CONCLUSIONE L’ars moriendi per l’homo patiens 162 BIBLIOGRAFIA 168 6


Nella vita dell’uomo, per ogni cosa c’è il suo momento, per tutto c’è un’occasione opportuna. Tempo di nascere, tempo di morire. Qoelet 3,1-2

La morte è nulla per noi, dal momento che quando noi viviamo la morte non c’è, quando invece c’è la morte allora non ci siamo più noi. Epicuro, IV-III a.C.

È la fine, per me l’inizio della vita. Dietrich Bonhoeffer, 1945

Io vorrei vivere, io vorrei che tutti morissero serenamente di vecchiaia, io so che molti invocano la morte e hanno in cambio una parvenza di vita che maledicono ogni giorno. Piergiorgio Welby, 2006

Intorno alla metà degli anni Novanta del secolo scorso era favorevole a “porre termine alla vita di un malato incurabile” il 22% degli italiani, dieci anni or sono il 37%, mentre oggi il 63% delle persone. Franco Garelli, sociologo, 2020



PREFAZIONE di Vittorio Bellavite1*

Il libro di Deiana è un libro coraggioso perché non si tira indietro nel confrontarsi con franchezza con la linea dei vescovi e del Vaticano sul problema del fine vita e perché contrasta, con delicatezza, la timidezza psicologica (non altro) di ognuno di noi di fronte a qualcosa che abbiamo vissuto e viviamo come una specie di tabù, quello dell’eutanasia. Noi che su tante altre questioni siamo invece senza esitazione alcuna in conflitto, spesso aspro, con la gerarchia cattolica. Quello dell’eutanasia era una specie di confine non superabile. E invece il confine si può superare. Nella ricerca di Deiana, insieme all’orientamento di fondo, c’è una documentazione a tutto campo sulle diverse posizioni esistenti ed un ragionare pacato che conduce ad indicazioni che possono essere utili e convincenti anche per chi non si dice cristiano. Poi il libro diventa generoso perché propone di iniziare un nuovo dialogo su tutto e con tutti sperando che il terreno del confronto si allontani sia da quanto dice una parte della cultura laica (assoluta libertà di decisione del singolo sul finevita) sia da quanto ha sostenuto e sostiene la parte integralista del mondo cristiano. La generosità, peraltro, è maggiore – mi sembra – nei confronti dell’oltranzismo dei protagonisti delle campagne forsennate sul caso Welby, sul caso di Eluana e della stessa legge sul fine vita. Si arrivò a estremi di vera e propria inciviltà di cui aspettiamo ancora che ci sia chi faccia una seria autocritica. Non c’è quasi famiglia nel nostro paese che non si sia trovata di fronte a situazioni limite, a sofferenze estreme, dal malato di tumore, all’avanzare implacabile della SLA, agli esiti di incidenti stradali e via di questo passo. Le situazioni si presentano diverse sia per le fattispecie sanitarie sia per le reazioni della coscienza del malato (e anche dei famigliari). Spesso ci troviamo di fron*1 Vittorio Bellavite è coordinatore nazionale del movimento Noi Siamo Chiesa.

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te a zone grigie difficili da affrontare con categorie rigide. Ogni decisione che interpelli la coscienza deve fare i conti con il vissuto in momenti critici. Le categorie del catechismo e dei docenti delle facoltà teologiche, le affermazioni sine glossa di documenti recenti, come quello congiunto delle religioni abramitiche, non bastano. L’ideologia della vita da promuovere sempre e comunque, presenta aspetti, in circostanze date, di vero e proprio materialismo concreto, per parlare chiaro. Soprattutto nei momenti supremi dovrebbero venire in soccorso parole di misericordia e di fraternità nei confronti di chi soffre e di chi cerca di ridurre le sue sofferenze. E la coscienza non può essere ignorata. Ma, parlando del finevita, ci chiediamo perché il messaggio cristiano, come viene proposto dalla gran parte della pastorale nel nostro mondo cattolico, si dimentica di predicare apertis verbis e in modo ripetuto e appassionato le speranze della nostra fede, quelle che disse Dietrich Bonhoeffer nel momento in cui lo portavano a morte: “È la fine, per me l’inizio della vita”. Della Resurrezione non si parla. Ma si parla ancora del dolore e della sofferenza, da sopportare con pazienza, come elemento salvifico nella vita del cristiano mentre il suo possibile contrasto deve essere invece parte di una tensione più che legittima nel percorso della vita. La fede, anche quando faticosa e magari intermittente, ruota attorno alle risposte, alle grandi questioni di senso, da dove veniamo, dove andiamo, cosa facciamo per gli altri. Di ciò dobbiamo parlare. Il libro di Deiana è ricco di informazioni, opinioni e volontà di dialogo. Per esempio dove parla di laicità condivisa per affrontare nella cultura e nelle istituzioni la questione dell’eutanasia, o dove si rifà al documento delle Chiese valdometodiste e ai testi di Hans Küng e dove constata che i sondaggi d’opinione attestano un favore nei confronti dell’eutanasia ormai maggioritario. Per andare avanti c’è chi propone che il nome diventi più comunicabile, per esempio “eutanasiaserenamorte”, o altro simile, e che si pensi a contrastare il cosiddetto tanto temuto “scivolamento” che permetta di usare indebitamente la futura nuova norma a danno di soggetti del tutto marginalizzati e impotenti. Su questo punto c’è spazio per una seria discussione. E quando si parla del finevita perché non intensifichiamo tutti 10


i ragionamenti, le denunce e le proposte su come la morte si presenta nelle situazioni, così diffuse nel mondo, della fame, della guerra, della violenza, oppure dei possibili esiti di una corsa al riarmo, soprattutto nucleare?

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Premessa

LA RICERCA DI UN PERCORSO CONDIVISO SULLA SOFFERENZA INUTILE

Per ogni malato il commiato dalla vita è sempre una questione difficile da affrontare soprattutto se si è condizionati dal dolore e dalla sofferenza. Nella parte ricca del mondo le conquiste scientifiche e tecnologiche di natura biologica e medica hanno determinato l’allungamento di molto della durata media della vita, in cui la cura sembra rivolta più a procrastinare la morte, o a espungere la malattia e la sofferenza (Illich 2004), che a rendere migliore e dignitosa l’esistenza umana. Si pensi, ad esempio, all’accanimento terapeutico nello stato vegetativo persistente e condizioni affini, che pongono interrogativi profondi sulla dignità della morte e sulla decisione di determinarla autonomamente senza seguire l’andamento naturale secondo la concezione del “vitalismo ippocratico” (Mori 2008). Al fondo, comunque, c’è come questione vitale, il dilemma della morte che contrappone il laico al credente: transizione verso il nulla nel grembo della natura, o passaggio verso l’eternità nelle mani di Dio? La soluzione del dilemma va cercata nel quadro del progresso della scienza e della tecnica che hanno cambiato radicalmente il senso del morire. Perché hanno prolungato artificialmente la vita attraverso le macchine mediche e reso più problematico il passaggio finale dell’esistenza della persona. Ciò anche dal punto di vista etico e giuridico, oltre che biopolitico, che regola la cura medica ridotta spesso a prigione per il malato che si trova ad affrontare la difficile condizione della morte. Questa è rimasta come uno dei grandi tabù anche nella società contemporanea, la cui cultura dominante non favorisce una riflessione e una discussione distesa sul tema come condizione per rispondere alle domande e alle preoccupazioni delle persone relativamente al commiato dalla vita salvaguardando la dignità che si addice a ogni essere umano. Questo libro parla di uno dei temi cruciali del fine vita, quel13


lo dell’eutanasia volontaria, delle vecchie paure e delle nuove preoccupazioni relative a una realtà che non conosciamo a sufficienza, data la sua radicalità, in un mondo che punta a rimuovere la morte invece che viverla con dignità e umanità. L’approccio proposto non è tanto quello medico e giuridico, quanto soprattutto quello etico e religioso, o in generale quello dei quattro aspetti messi insieme. Un modo per fare i conti con la complessità della vita degli esseri umani leggendola nella dimensione duplice, tra terra e cielo, come ricerca del valore di una laicità condivisa da credenti e non credenti (Deiana 2021). Più specificamente della laicità dei credenti alla ricerca della risposta alla sfida della giustificazione morale dell’eutanasia volontaria, vista nella prospettiva cristiana, come eutanasia moralmente responsabile, in un’ottica critica rispetto al giudizio ufficiale delle Chiese, in particolare della Chiesa cattolica, la cui gerarchia giudica gli elementi teologico-culturali di tale giustificazione come un elenco di equivoci e di errori legati alla scelta autonoma di essere accompagnati a morire con dignità. In estrema sintesi, la prospettiva che viene proposta e che scandisce la nostra analisi, investe i due piani tradizionali dell’argomentazione, quello della pars destruens e quello della pars construens. La prima riguarda il superamento di due paradigmi contrapposti che si intende sottoporre a critica: sia la convinzione apodittica del laicista per cui la vita è solo mia, quindi il come e il quando morire lo decido io; sia la certezza assoluta del cristiano fondamentalista e intransigente che attribuisce a Dio il dono della vita, per cui solo lui la può togliere. Ora, tra i due estremi di questo genere si pone la possibilità di una terza via che afferma essere la vita un dono di Dio, ma io ne sono responsabile, soprattutto di fronte alla sofferenza disumana che è innaturale e non dipende dal progetto della creazione divina. Come ha scritto Raniero La Valle, “non c’è alcuna sofferenza che possa essere ricondotta a un compiacimento di Dio; e poiché Dio è bene, nessuna sofferenza può essere inflitta a fin di bene” (La Valle 2020) all’homo patiens. Questo, se afflitto da dolori insopportabili senza speranza di miglioramento, dovrebbe poter chiedere di essere aiutato dai medici a congedarsi dalla vita come suo diritto moralmente fondato e opportunamente regolamentato da leggi specifiche rispettose 14


della libertà umana e del senso di responsabilità che qualificano il valore di una esistenza vissuta con dignità entro i confini posti dall’etica e dalla legge. È la prospettiva che supera l’idea che non ci sia solo il decesso stabilito dalla natura e che pone, più in generale, la trasformazione del rapporto, filosofico e scientifico, tra il naturale e l’artificiale, come caratteristica strutturale della civiltà tecnologica che chiama in causa la nostra responsabilità verso le generazioni future (Jonas 1990). L’argomentazione qui proposta verte su alcuni punti di riferimento del mondo cristiano, più precisamente su tre posizioni di punta: prima di tutto, la lunga e complessa elaborazione del teologo cattolico Hans Küng, che all’argomento della possibilità dell’eutanasia cristiana ha dedicato, in un quarto di secolo, due importanti libri di rottura sul tema; in secondo luogo, la sintesi teorico-pratica condensata in alcuni documenti ufficiali: quelli della Commissione bioetica delle Chiese Battiste, Metodiste e Valdesi in Italia del 1998 e del 2017; inoltre, i documenti della sezione italiana del movimento internazionale di base Noi Siamo Chiesa (NSC), del 2019 e 2021, motivati e orientati a perseguire la riforma della Chiesa cattolica. Quindi, mondo cattolico e mondo protestante a confronto, uniti dal riconoscimento del valore di un principio comune, l’etica della responsabilità, che fa da filo rosso e legame che promuove la cultura ecumenica, riferita innanzitutto al rapporto tra cattolicesimo e protestantesimo, ma non solo. Ecumenismo e responsabilità, quindi, che costituiscono i due pilastri dell’azione e del pensiero di Dietrich Bonhoeffer, il teologo e pastore luterano ucciso dai nazisti, nell’aprile del’45, in quanto oppositore del regime totalitario hitleriano. Poco prima di essere impiccato ha lasciato scritte queste parole, che fanno al nostro caso: “È la fine, per me l’inizio della vita”. Questo è il quadro di riferimento anche in relazione al tema dell’eutanasia e alla possibilità, solamente in condizioni particolari (come nel caso del diritto all’interruzione volontaria della gravidanza), che possa essere coniugato anche in termini cristiani, liberati dalle sovrastrutture ideologiche che ne hanno condizionato negativamente il significato, sconnesso dall’arte del vivere che è anche “arte del morire”, fondato sul valore dell’autodeterminazione (debole e relativo, non assoluto e radicale). La possibilità, dunque, entro certi limiti, 15


della disponibilità della vita e dell’eutanasia cristiana, come morte buona nel senso espresso poeticamente e religiosamente da Francesco d’Assisi: “Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale”. La morte, dunque, come sorella, come compagna di viaggio nell’esistenza della persona verso “l’ultima beatitudine” (Maggi 2017 e 2015), passando per “il tempo ultimo” (Caramore 2020) che esige massima cura. Quello di Francesco è il canto di lode a Dio da tutte le creature, dal sole alla luna e le stelle, dal vento all’acqua e al fuoco come fondamentali elementi della Madre Terra, fino all’uomo, che non deve aver paura della morte fisica, la quale sarà quindi una morte felice se in vita ha saputo perdonare, sopportare le infermità e le tribolazioni e promuovere la pace. Com’è noto, la lettera e lo spirito del Cantico delle creature sono stati ripresi da papa Francesco nella lettera enciclica Laudato si’, del 2015, che pone l’urgenza della cura della Casa comune da parte di tutte le donne e gli uomini indistintamente, attraverso la pratica della giustizia ambientale strettamente connessa a quella sociale, che danno senso forte al vivere umano e civile nel nostro tempo. In questo senso la promozione della pace tra gli esseri umani, compresa la pace tra questi e la natura, costituisce una condizione per poter morire felicemente, anche nel caso di gravi condizioni di salute che richiedono scelte responsabili in riferimento alla possibile morte volontaria, nella prospettiva di un cristianesimo liberale. È una delle sfide culturali del nuovo secolo e forse del nuovo millennio, come passaggio di civiltà scandito dall’affermazione del principio di responsabilità secondo l’insegnamento biblico, per cui c’è “un tempo per vivere e un tempo per morire”. Un tempo a cui è vincolata la vita umana, che necessita di un’etica segnata dalla “fedeltà alla terra”, oltre che al cielo e alla trascendenza, come condizione per gli individui di “uscire dallo stato di minorità” e di aprirsi alle condizioni adulte del mondo, sia come credenti sia come non credenti, capaci di mettersi in gioco tra esperienze e interrogativi, tra certezze e problemi esistenziali e morali legati alla questione del morire con dignità nella società secolarizzata. Questa tende a rimuovere la morte piuttosto che avere piena consapevolezza della fase finale dell’esistenza, compresi gli interrogativi sulla vita eterna, sulla nuova esistenza 16


dopo il congedo dal mondo, sulla speranza in una vita completamente diversa, in una condizione migliore nella prospettiva della trascendenza e della dimensione dell’infinito. Ciò come esito dell’ultimo viaggio, che strappa l’uomo ai legami dell’esistenza terrena e apre a una dimensione completamente nuova, pur tra diversi esiti per credenti e non credenti in relazione alle culture dell’eutanasia come si manifestano in Italia, in Europa e nel mondo (Cavina 2015). Chi scrive appartiene alla generazione del Sessantotto, che ha demitizzato i “maestri” (Zagrebelsky 2019) nel nome dell’egualitarismo totale. Oggi, più che maestri esistono “influencer” “persuasori occulti”, “tutori” nel senso kantiano, che “si sono assunti con tanta benevolenza l’alta sorveglianza sopra i loro simili minorenni […], incapaci di valersi del proprio intelletto”, condannati a sottostare al pensiero unico. Rari sono i “liberi pensatori” che hanno saputo praticare “l’educazione del proprio spirito” (Kant 1784/1995, pp. 45-46), capaci di risvegliare le coscienze valorizzando l’inquietudine e il dubbio per rispondere alle domande di senso e alle esigenze di etica, senza timore di creare divisioni e rotture, che tuttavia mettono in atto pensieri nuovi e comportamenti innovativi. Uno di questi “maestri” è Hans Küng (19282021), uno dei teologi più acuti che ha speso la vita di intellettuale a prospettare una nuova cristianità passando per la deistituzionalizzazione della Chiesa al fine di rinnovarla, o addirittura di salvarla in un mondo globalmente secolarizzato. Qui il tema di riferimento è quello del fine vita posto da Küng nella prospettiva etico-religiosa, e riproposto entro la dimensione di un’etica laica in cui possano riconoscersi credenti, non credenti e diversamente credenti, alla ricerca di una comune responsabilità nell’affrontare le sfide urgenti relative ai limiti (Bodei 2016) posti agli esseri umani e alla loro capacità di manipolare la vita e la morte tramite gli sviluppi inarrestabili della scienza, che promettono spazi di libertà sempre crescenti nella grande trasformazione storica in atto, che chiama in causa il protagonismo etico-civile dei cittadini, rivolto a scoprire e percorrere anche le vie nuove del vivere e del morire con dignità (Englaro e al. 2016), entro la considerazione globale dell’essere umano nel mondo contemporaneo. La comprensione della tematica qui svolta si pone entro un 17


quadro concettuale costituito da alcune coppie di visioni del mondo che in genere sono viste tra loro contrapposte: la persona del laico contro la persona del credente, la sacralità della vita contro la qualità della vita, la disponibilità della vita contro l’indisponibilità della vita (Fornero 2020), concetti che delineano l’alfabeto specifico della problematica in questione. La novità dell’argomentazione proposta consiste nel tentare di superare la contrapposizione a favore della conciliazione tra le due posizioni introducendo il concetto di laicità condivisa, frutto di un motivato confronto e dialogo tra credenti e non credenti, che coinvolge anche la distinzione tra eutanasia volontaria e suicidio assistito. Il primo termine viene utilizzato per indicare il rifiuto delle cure, compresa la terapia del dolore e le cure palliative, da parte del paziente consapevole e autonomo, con particolare riferimento alla rinuncia all’accanimento terapeutico fino alla possibilità conseguente della morte, sotto controllo medico. Nel suicidio assistito il medico svolge una funzione strumentale rispetto alla volontà del malato, privo di autonomia, nel realizzare la sua decisione di porre fine a una vita ritenuta non degna di essere vissuta. Delle due modalità la prima è più restrittiva e la seconda più estensiva, comunque in entrambi i casi è centrale il ruolo del medico. Questo per dire che, pur nella distinzione, nell’immaginario collettivo i due concetti di eutanasia come buona morte e di suicidio assistito sostanzialmente si equivalgono per cui il primo è comprensivo anche del secondo per indicare la “dolce morte” richiesta e procurata da persone responsabili dal punto di vista etico e competenti in campo sanitario. Oggi, il dibattito verte soprattutto sui concetti di disponibilità e indisponibilità della vita, sostenuti il primo in campo religioso (la vita intesa come dono di Dio), il secondo in ambito laico (la vita dipendente solo dalla volontà dell’individuo). La questione è complessa e pone non pochi interrogativi: per esempio, la disponibilità e l’indisponibilità riguardano solo la propria vita di persona malata o anche quella degli altri in quanto pazienti? In entrambi i casi al centro c’è il valore della responsabilità, che in determinate condizioni consente di parlare di eutanasia responsabile come prospettiva moralmente valida sia per i non credenti che per i credenti, liberi da condizionamenti ideologici e attenti 18


ai bisogni profondi della persona, da parte di una medicina, eticamente fondata, capace di saper porre fine alle inutili sofferenze del paziente e di rendere un servizio umano a chi risulta gravemente malato e chiede di essere aiutato ad andare oltre la vita terrena. Pur nella consapevolezza che si tratta di un terreno scivoloso sia nel pensiero sia nella pratica, che pone dilemmi culturali e sollecita soluzioni giuridiche controverse in relazione alla dignità delle persone e alla vita dell’umanità nel quadro della cultura contemporanea. Perciò, la necessità di alimentare e far decollare un dibattito che superi i ragionamenti a senso unico che contrappongono in modo sterile la parte laica alla parte cattolica. Ciò al fine di far circolare diversi punti di vista entro le dinamiche di un dialogo fecondo, capace di ascoltare rispettosamente e ragionare criticamente sull’eutanasia come vera e propria “pietra d’inciampo”. È il tentativo di aprire un varco e lanciare una posizione nuova sia in ambito cattolico sia in quello laico di fronte agli scenari aperti nello spazio pubblico dalla cultura bioetica, che richiedono nuove forme di religiosità, nuove forme di umanità e nuove soluzioni normative nella vita etica anche in relazione alla contrapposizione tra scelte eutanasiche e diritti civili.

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