Le beghine

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Silvana Panciera

LE BEGHINE Una storia di donne per la libertÃ

PREFAZIONE DI MARCO VANNINI

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Silvana Panciera

Le beghine Una storia di donne per la libertĂ

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© Il Segno dei Gabrielli editori, 2011 Via Cengia 67 - 37029 San Pietro in Cariano (Verona) Tel. 045 7725543 - fax 045 6858595 mail scrivimi@gabriellieditori.it www.gabriellieditori.it ISBN 978-88-6099-114-0 Prima ristampa Maggio 2017 Foto di copertina: © Christine Servais, Béguinage, dettaglio

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A mamma Berta e a Patri

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Sommario

PREFAZIONE di Marco Vannini 9 INTRODUZIONE 13 1. XII e XIII: i secoli d’oro

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2. UN MOVIMENTO SENZA ORIGINE, SENZA FONDATRICE, SENZA REGOLA UNICA, SENZA STORIOGRAFIA

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3. Le beghine al quotidiano

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4. La santificazione nella libertà

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5. il who’s who delle beghine

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6. I beghinaggi: oasi di riposo nel mondo turbolento degli affari

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Conclusione 107 Bibliografia 109 LESSICO

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Cronologia 118

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Prefazione di Marco Vannini

Alle origini della mistica occidentale sta un libro, il Convito di Platone. Lo afferma una donna del nostro tempo, Simone Weil, che rileva correttamente come in esso sia compiutamente tracciata la via del distacco, che è amore, e la via di amore, che è distacco. Non l’amore come legame-passione possessivo, quello delle canzonette che fa rima con “cuore”, ma l’amore come desiderio di Bene, e perciò non legame-passione, ma, anzi, terminus et finis omnis passionis, come scrive Meister Eckhart. L’amore che si muove incessantemente dal “meno” verso il “più”, e che perciò è continuamente un abbandonare, un distaccarsi, per essere qualcosa sempre più nobile e ricco, in una incessante dialettica di possesso/distacco. È l’amore che i medioevali chiameranno cortese: la (si noti bene, al femminile) fine amour di Margherita Porete; l’amore che sempre si unisce al «cor gentile», «come a la selva augello in la verzura» dei nostri poeti dello Stil Novo; l’«amor che move il sole e l’altre stelle» con cui si chiude il poema dantesco. Nel Convito platonico – il mirabile dialogo sull’amore, ovvero sulla filosofia, che è amore della bellezza, amore della verità, amore del Bene – la voce determinante, tra molte altre pure sublimi, è quella di Socrate. Ma, come tutti sanno, Socrate/Platone dichiara di parlare non per conoscenza propria, bensì per ciò che sui misteri di Amore ha appreso da una donna, Diotima, la sacerdotessa di Mantinea. Il sapere su amore viene 9


dunque dall’alto, dal divino, e una donna ne è mediatrice. Notiamo tutto ciò perché una opinione volgare, tanto diffusa quanto sciocca, suole accusare il mondo classico di maschilismo, come se ciò che concerne la società nel suo complesso si potesse senz’altro attribuire alla cultura, e alla filosofia in particolare. La stessa opinione volgare tocca poi il mondo cristiano, confondendo anche qui, arbitrariamente, il sociale – che è l’ambito del “grosso animale” platonico, tanto forte quanto stupido – con il religioso, e con lo spirituale in particolare. In realtà, da secoli nella Chiesa latina si chiude la giornata recitando il Magnificat, ovvero il canto in cui l’humilitas della ancilla è esaltata come strumento della possibilità del divino stesso di trovare spazio, di incarnarsi, e su questo registro si muovono anche alcuni dei più profondi sermoni di Meister Eckhart, ovvero della mente speculativa più alta che il mondo cristiano abbia prodotto, il quale insiste sulla necessità del fatto che l’anima sia donna, tanto vergine quanto madre, per poter ricevere e generare il divino. Con questo non si intende certo sostenere l’esistenza di un Dio “delle donne”, distinto da quello degli uomini – un concetto, questo, che avrebbe fatto sorridere tanto Eckhart quanto la sua ispiratrice Margherita Porete, e che si può sostenere solo confondendo lo psicologico con lo spirituale – ma il fatto è che queste riflessioni ci vengono per prime alla mente, pensando alla straordinaria vicenda delle beghine. Le beghine, ovvero queste mulieres religiosae senza origine, senza fondatore/fondatrice, senza regola universalmente determinata, senza storiografia, la cui vicenda gloriosa e tormentata percorre però la storia europea per molti secoli – e in modo determinante nel 10


basso Medio Evo, soprattutto nel cuore stesso dell’Europa, che è il corso del Reno. Anche se alla storia della spiritualità è ormai chiaro che proprio le beghine sono all’origine tanto della “mistica d’amore” (Minnemystik) quanto della “mistica dell’essenza” (Wesensmystik), come amano dire gli studiosi germanici – ovvero a due fenomeni che hanno segnato profondamente la cristianità – esse sono ancora in larga misura ignote al grande pubblico, e questo sorprende non poco, in un tempo, quale è il nostro, in cui si dà tanto peso al femminismo, alla storia “di genere” – insomma al rilievo che le donne hanno avuto nel corso del tempo, pur dominato dall’universo maschile. Bisogna dire innanzitutto che il primo merito di questo libro è quello di colmare una lacuna. Mancava, infatti, in italiano, un lavoro che, senza essere rivolto all’ambiente accademico, con tutto il peso dell’erudizione conseguente, informasse correttamente, in modo accessibile a tutti ma con serietà e autorevolezza, su questa complessa vicenda e questa varia realtà delle beghine, che tocca tanti aspetti – dalla storia della mistica a quella della medicina. Tempo, ambiente sociale, caratteristiche spirituali, forme di organizzazione, personalità di rilievo, svolgersi cronologico: su tutto ciò getta luce il libro che presentiamo. L’autrice si è trovata in una condizione particolarmente fortunata in proposito, potendo sommare alla cultura universitaria specifica la conoscenza profonda, sul campo, di quel mondo renano-fiammingo in cui la vicenda delle beghine – che pure ha toccato buona parte d’Europa – si è svolta fin dall’origine e ha trovato un particolare humus. Ma non si tratta soltanto di gettar luce su una parte della storia del cristianesimo, tanto interessante quanto ormai passata; no: come l’autrice nota, la conoscenza 11


del fenomeno beghinale è rilevante anche per il presente, per il nostro mondo, per la nostra società, nella quale da un lato si è compiuta – almeno in parte notevole – l’emancipazione femminile, e dall’altro sono in profonda crisi le strutture familiari tradizionali, se non addirittura quelle sociali-istituzionali più in generale. Perciò la storia di queste donne e delle loro forme di aggregazione, con la loro straordinaria sintesi di comunione e di libertà, di approfondimento spirituale e di impegno caritativo, può davvero far riflettere, non per il passato, ma per il presente e più ancora per il futuro. Per almeno due motivi dunque, uno di conoscenza storica e uno di riflessione sul presente, il libro in oggetto merita grande attenzione, insieme alla riconoscenza per chi lo ha scritto.

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Introduzione

Per meglio capire lo sviluppo e l’impatto del movimento beghinale è stato necessario situarlo, anche se per sommi capi, nel suo contesto storico. È questo lo scopo del primo capitolo, in cui sono protagonisti i mutamenti che hanno caratterizzato i secoli XII e XIII. Il movimento beghinale, invece, è presentato nei successivi quattro capitoli. Il secondo ne descrive i tratti fondamentali dalla sua composizione sociale alla sua evoluzione storica, con attenzione particolare a una delle sue caratteristiche più originali: l’assenza di una fondatrice. Il terzo capitolo offre uno sguardo sulla vita quotidiana delle beghine: le loro attività, le loro abitazioni, le libere uscite... tutte disciplinate dalle regole previste per ogni beghinaggio. Il quarto ci offre un saggio sull’originalità del movimento e delle sue intuizioni mistiche, insistendo sulla sua particolarità di fenomeno laico e soprattutto femminile. Il quinto, nel quale vengono citati brani delle loro opere, presenta alcune tra le beghine più conosciute, senza per altro dimenticare i loro più illustri ammiratori, come Meister Eckart o l’Ammirabile Ruysbroeck. Da ultimo, il sesto capitolo tratta dell’eredità visibile del movimento: i beghinaggi veri e propri, passando in rassegna le loro caratteristiche, la loro diffusione in Europa e la loro attuale situazione. Nel 1998, l’Unesco 13


ne ha riconosciuto un buon numero come patrimonio mondiale dell’umanità. Concludono il breve volume una bibliografia, un compendio storico e un lessico, che ha lo scopo di approfondire alcune parole chiave di questa intensa storia, fatta di donne invaghite della “santificazione nella libertà”.

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1. XII e XIII: i secoli d’oro

Per dare un’idea di quale fu il contesto storico della nascita del movimento beghinale, ecco un rapido ritratto dei secoli XII e XIII, che gli storici includono nel «Basso Medioevo» (mentre definiscono «Alto» il periodo dal V al XI secolo) e che costituiscono il “momento forte” del movimento, quello del suo slancio e sviluppo. Sviluppo delle città e dei borghi Già a partire dall’XI secolo si avvia in Europa un importante sviluppo demografico ed economico. Con la scoperta di nuove tecnologie, l’agricoltura migliora e la popolazione, meglio nutrita, si accresce. Si avviano nuovi scambi con l’Oriente e il commercio fiorisce, offrendo nuove possibilità per i mercati e le fiere nelle città, che ormai si sono emancipate del potere feudale. L’asse dello sviluppo diviene tipicamente urbano e le città prosperano soprattutto nei Paesi Bassi, nel Nord dell’Italia, nel territorio renano, in Provenza e nella Linguadoca. Affermazione di nuovi ceti sociali Accanto alla nobiltà urbana si forma una nuova classe sociale: la borghesia, nella quale confluiscono i contadini, i nobili rurali e gli artigiani urbani. Arricchitisi, 15


i borghesi mettono il loro denaro a disposizione delle crociate, operano transazioni commerciali con l’estero, hanno una mentalità aperta al rischio, all’interesse e all’oltremare. A partire dal XII secolo, assumono un ruolo sempre più presente anche nella gestione dell’assistenza pubblica, compresa quella degli ospedali. Pro memoria: 1a crociata: 1096-1099 2a crociata: 1147-1149 3a crociata: 1189-1192 4a crociata: 1202-1204 5a crociata: 1217-1221 Spedizione: 1227-1229 6a crociata: 1248-1254 7a crociata: 1270

guidata da Federico II guidata da Luigi IX

L’alimentazione Nel Medio Evo le abitudini alimentari sono un riflesso della società, delineano una sorta di cartografia dei rapporti sociali. Due tratti caratterizzano questo periodo storico: 1. l’alimentazione è correlata allo stato sociale, a tal punto che si deve mangiare secondo il proprio rango, a prescindere dai gusti personali; 2. la cultura generalizzata è quella della “fame”, nel senso che il pane quotidiano non è affatto scontato. Dal tipo e dalla quantità del cibo si riconosce il rango sociale di chi lo consuma. La carne, soprattutto la selvaggina, è appannaggio della nobiltà. La vita monastica, invece, in genere rinuncia alla carne, soprattutto quella dei quadrupedi, troppo ancorati alla terra. Nel16


la regola di san Benedetto, ad esempio, sono vietati. È il pesce, anche per il suo valore simbolico, a costituire la base alimentare del monaco. Solo le carni “leggere” (volatili da cortile) sono sporadicamente ammesse. Per estensione, il regime alimentare dei monaci si applica ai fedeli durante la Quaresima senza carne. I contadini si nutrono di verdure e cereali “umili”: pane nero, miglio, avena, segala e molte zuppe di verdure. L’abbigliamento Anche il modo di vestirsi definisce la classe sociale di appartenenza e a volte il mestiere (il mugnaio è tradizionalmente vestito di bianco). Per strada si incontrano due tipi di umanità; una minoranza vestita con abiti colorati: sono i nobili, i commercianti, i ricchi; e una maggioranza vestita con i colori delle fibre naturali, biancastro, grigio o bruno. La scelta del vestito è dunque un segno di appartenenza sociale, un codice di distinzione sociale che i nuovi movimenti spirituali integreranno naturalmente nelle loro regole di vita. Nuovo rapporto con la ricchezza e il denaro Nessun’altra questione preoccupa tanto quanto quella della ricchezza materiale. Si può vivere nel lusso e nello stesso tempo far valere i propri diritti a una ricompensa nell’aldilà? La Chiesa può giustificare le proprie ricchezze? La Chiesa ammette le ricchezze, ma pone la povertà a un livello superiore. Per la Chiesa solo il lavoro è autorizzato a produrre denaro. Di quest’ultimo rifiuta il commercio e cioè l’attività bancaria, e ogni produzione di denaro a partire dal solo denaro. L’usura è bandita e 17


tacciata di cupidigia: il sinodo di Reims, nel 1049, condanna senza riserve il prestito a interesse e il terzo concilio ecumenico laterano (1179) ne aggrava le sanzioni. La cupiditas, nella sua duplice accezione di avarizia (volere solo per sé invece di condividere) e di cupidigia (volere sempre di più) diviene il primo peccato capitale. Ma la prima crociata mette fine alla dipendenza dei cristiani nei confronti della finanza ebrea: l’interesse del 10-20% sarà d’ora in poi camuffato nella stipula dei tassi di cambio. È per reagire a questa consuetudine, diffusasi anche in ambienti clericali, che nascono le prime reazioni monastiche: Bruno da Colonia (scomparso nel 1101) fonda l’ordine dei certosini e, nel 1116, Robert d’Abrissel quello di Fontevraud. Nel XIV secolo i francescani istituiscono i cosiddetti Monti di Pietà, creati per combattere l’usura, con scopi solidaristici e senza finalità di lucro. Durante la Quaresima, il venerdì santo, i francescani francesi organizzano un carro con il Calvario (Mons pietatis) dove versare le offerte per costituire un fondo (è il primo patrimonio bancario della storia di cui abbiamo notizia). Grazie a questo fondo, i nuovi protagonisti dell’economia, ma anche le persone in difficoltà, possono trovare risorse mettendo in pegno dei beni personali, che in seguito possono recuperare. Continua...

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