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Valentina Marchetti Marco Modesto
NEL SEGNO LO SPIRITO Riflessioni sulla presenza dello Spirito Santo nell’arte
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La fonte di tutte le illustrazioni all’interno del volume è Internet, ad esclusione di quelle dove è indicata direttamente nella didascalia. Si rimane a disposizione degli eventuali aventi diritto. © 2017 Il Segno dei Gabrielli editori Via Cengia 67 37029 San Pietro in Cariano (Verona) tel. 045 7725543 – fax 045 6858595 info@gabriellieditori.it www.gabriellieditori.it ISBN 978-88-6099-329-8 Stampa Il Segno dei Gabrielli editori, San Pietro in Cariano, Maggio 2017
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Indice
Prefazione
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Introduzione
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1. Lo Spirito Santo nelle raffigurazioni della trinità
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L’amore delle persone divine
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Lo Spirito Santo nell’icona della trinità
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L’umanità introdotta nella Comunione trinitaria
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In occidente…
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La croce come rivelazione dell’amore trinitario
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La “passione” dello spirito nella trinità
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Il “trono di grazia”
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La trinità nella gloria celeste
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Lo Spirito Santo, un canto d’amore nella trinità
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2. La Sapienza divina nell’iconografia orientale
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3. Lo Spirito Santo, il sorriso di Dio sulla creazione
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«In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque» (Gn 1, 1-2)
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«Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza» (Gen, 1, 26).
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«...e lo pose nel giardino di Eden perché lo coltivasse e custodisse» (Gn 2, 15)
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«Nella tua luce, Signore, vediamo la luce» (Sal 36, 10).
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Sia lode a Dio per tutto
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4. «Ma quando venne la pienezza del tempo…» (Gal 4,4)
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5. «Lo Spirito scenderà su di te» (Lc 1, 34)
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6. «L’anima mia magnifica il Signore» (Lc1,46)
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7. L’incarnazione: il capolavoro dello Spirito
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8. «Dio consacrò in Spirito Santo Gesù di Nazaret» (At 10, 38) 125 9. «Svegliati tu che dormi e risorgi dai morti»
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«Padre, perché mi hai abbandonato?».
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«Attraverso la croce è giunta la gioia per tutto il mondo»
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«... e subito ne uscì sangue ed acqua»
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«Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti»
168
« Alitò su di loro e disse: ‘Ricevete lo Spirito Santo’» (Gv 20, 22)
174
10. «Alzate le mani, li benedisse» (Lc 24, 50)
177
11. «...E tutti furono pieni di Spirito Santo» (At 2,2)
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Un’ecclesiologia visiva
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La Pentecoste nell’arte occidentale
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L’Epiclesi 206 12. L’azione santificatrice dello Spirito in Maria
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Maria, la piena di grazia
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Lo Spirito Santo nelle icone mariane
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Alcuni sguardi dell’arte occidentale sulla piena di grazia
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La Madonna dell’Umiltà
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La bellezza della figlia del Re
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Tota pulchra es Maria
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13. L’azione santificatrice dello Spirito nei Santi, maestri di vita e creatori di bellezza
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Lo spirito nelle icone dei santi
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L’Iconografia occidentale
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Conclusione Ecco la dimora di Dio con gli uomini (Ap 21, 3)
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Bibliografia
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Prefazione
In questi giorni, sfogliavo le bozze quasi definitive del volume Nel Segno lo Spirito nel quale due persone generose cercano di recuperare e sistematizzare la presenza dello Spirito di Dio nell’arte. Presenza nell’arte come segno della sua presenza nella cultura. Il saper cogliere o meno questa presenza fonda una umanità diversa e una storia popolare alternativa. Ebbene, mentre con intensità emotiva sfogliavo queste ricche pagine colme di parole e di immagini, mi è sopravvenuto nella mente e nel cuore l’incipit del capitolo 17 di Matteo che propone il grande affresco della Trasfigurazione di Gesù in compagnia di Mosé ed Elia agli occhi di Pietro, Giacomo e Giovanni. Alla loro esperienza ho associato il lavoro di ricerca di Valentina Marchetti e di Marco Modesto, ma anche lo sforzo, altrettanto impegnativo, di innumerevoli artisti, che lungo i secoli e nei più svariati luoghi e forme si sono impegnati di elevare ed affinare, nel e per il popolo, la capacità di visione e di ascolto dello Spirito mentre geme nell’intimo del creato, degli uomini e delle donne per un parto di sempre nuovi cieli e nuove terre. E dall’ascolto dello Spirito recuperare la forza di partecipare all’esperienza del parto stesso. Li condusse in disparte su un alto monte, recita il vangelo di Matteo. Perché su un alto monte? Era da tempo, forse anni, che Gesù cercava di attirare lo sguardo dei suoi discepoli indirizzandolo verso la luminosità della sua persona e dei suoi gesti. Parimenti grande era lo sforzo per far cogliere loro la vibrazione profonda del suo parlare che era sempre collegato ai suoi viscerali movimenti interiori… ma una atonicità generale scoraggiava ogni più generoso tentativo di proseguire nel dialogo. Erano come distratti da tante cose che facevano scegliere il meno piuttosto che il più verso cui il Maestro vo9
leva farli incamminare. Era necessario e drammaticamente urgente che almeno alcuni pochi sapessero entrare dentro il cammino esperienziale dello stare in compagnia di Gesù. Che fare?... su suggerimento dello Spirito di stimolare i discepoli a pregare senza mai stancarsi, Gesù invitò Pietro, Giacomo e Giovanni a salire con Lui in un’alta montagna. Cammin facendo entrarono progressivamente in un grande contemporaneo silenzio. Si sentiva solo il battito dei loro cuori. E il silenzio li rese ad ogni passo sempre più accoglienti di sé stessi e scoprirono di avere, ad ogni ulteriore passo, occhi nuovi. E una volta arrivati in vetta per un infinito attimo videro possibili cieli nuovi e terre nuove e un luminoso nuovo modo di essere insieme. E continuavo a sfogliare il volume, a leggere e contemplare figure e suoni… e mi facevo sempre più coinvolto. Mi avvicinavo a cogliere il senso più profondo del versetto 17,2 dello stesso Matteo: e fu, dallo Spirito, trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero Mosé ed Elia, che conversavano con Lui. Non fu certo una trasfigurazione a comando. Probabilmente Gesù viveva con continuità questa esperienza ogni qualvolta si recava da solo sul monte a pregare e a recuperare dallo Spirito la capacità di dialogare in profonda sintonia con i grandi profeti del suo popolo per immergersi nei segreti della sua storia e negli scenari sociali e comunitari del domani immediato. Gli apostoli avevano capito che tale splendore era la conseguenza di una convivenza storico/cosmica da Regno di Dio e vogliono affrettare le tappe per il raggiungimento di questo traguardo, tanto che Pietro auspicò ad alta voce: Signore, è bello per noi restare qui, se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosé, una per Elia. Pietro voleva raggiungere l’obbiettivo del Regno di Dio senza percorrere tutte le tappe, quasi dimenticandosi del lento camminare nel salire sulla montagna. E come aveva spinto il gruppo verso il monte lo Spirito fece risuonare come nel Giordano la voce del Padre che indicava la strada per scen10
dere dal monte e camminare sulle e nelle strade accidentate delle pianure e delle città degli uomini e delle donne, dei vecchi e dei bambini. E la voce proclamava: Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo. Mentre invito ogni lettore, dopo le mie povere e parzialissime parole, a tornare a meditare su questo episodio, sento il bisogno di ringraziare tutti gli artisti presenti in questo volume per aver messo in movimento uomini e donne, lungo i secoli, ad ascoltare ed interiorizzare i misteri del Regno di Dio e a lottare, nella pace, per il trionfo della Sua Giustizia. Parimenti ringrazio gli autori di questa ricerca per averla realizzata primieramente per mettersi, essi stessi, nella condizione di cogliere, per la propria crescita, tutte le strade percorribili per gustare lo Spirito del divino nel suo esprimersi con e nella bellezza e, successivamente, in umiltà, di partecipare tutta questa ricchezza ad altri, rimanendo chiaro a tutti che questa lettura si arricchisce attraverso l’incontro, in luoghi e tempi diversi, con persone e comunità che andavano e vanno alla ricerca di senso personale e collettivo. Grazie di cuore. Emilio Gabrielli per la Gabrielli editori
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Introduzione
Parlare dello Spirito Santo è come parlare della vita. La vita traspare dalle sue manifestazioni, è come la voce che diventa parola e l’aria che si fa respiro. Così è dello Spirito. Egli è il Signore della vita, ma la sua vita si confonde con la nostra interiorità più intima. Fra lo Spirito Santo e lo spirito della persona umana vi è convivenza e reciprocità, il suo Soffio è lo spazio infinito della vita, della gioia e della libertà, forza creatrice e rigeneratrice, tensione verso la pienezza. La sua presenza è costante, ma discreta, quasi impercettibile, si rende più facilmente evidente nelle esperienze che arricchiscono l’animo e favoriscono la crescita umana come la bellezza e lo stupore, la consolazione e il coraggio, il perdono e l’amore. Lo si può pertanto conoscere facendone esperienza personale nel proprio cuore, nella propria vita. Lo Spirito traspare sul volto e nell’agire dei Santi, si manifesta attraverso l’opera di santificazione nella Chiesa, nella bellezza della liturgia e nella forza del Vangelo annunciato alle genti. Lo si può intravvedere nei raggi di Verità diffusi nel mondo e nei frutti di carità che ovunque maturano, nel lento lievitare del Regno di Dio. Lo Spirito Santo non può avere una sua immagine, è celato da simboli a noi familiari che richiamano il movimento e il dinamismo, come il soffio, il fuoco, la luce, la colomba, l’acqua. Questi simboli impersonali indicano le caratteristiche della sua presenza misteriosa, vitale, assolutamente libera e universale. Non devono, però, far dimenticare che lo Spirito è innanzitutto Persona, semmai sono riferimenti che aiutano a comprendere che l’esistenza personale è slancio verso l’altro, superamento dell’individualità e relazione. È soprattutto attraverso queste immagini simboliche che l’arte ha cercato 13
di evocare l’azione dello Spirito nella storia della salvezza. In questo studio si terrà costantemente presente il contributo specifico dell’arte orientale e dell’arte occidentale, sarà come ‘respirare con due polmoni’, poiché le spiritualità d’Oriente e d’Occidente e le loro rispettive espressioni artistiche non sono che due dimensioni dell’unica Tradizione cristiana. Tuttavia, per cogliere e apprezzare il messaggio delle singole opere è necessario considerare la finalità che le contraddistingue. Infatti, la caratteristica più significativa dell’icona è di essere considerata un ‘sacramentale’, il sacramentale della presenza personale; non è un semplice oggetto estetico, ma un soggetto liturgico. L’arte dell’icona viene esercitata come un vero e proprio ministero che implica una preghiera intensa e un cammino ascetico di purificazione per entrare in comunicazione con colui che si desidera rappresentare. L’iconografo è guidato da regole precise e dalla spiritualità della Tradizione, quasi mai lascia la sua firma, l’opera d’arte lascia posto alla rivelazione, l’artista scompare perché l’ammirazione dello spettatore diventi preghiera e contemplazione. La venerazione delle icone o sante immagini è un dogma della fede formulato dal II Concilio di Nicea (787), il settimo Concilio Ecumenico, è quindi patrimonio della Chiesa indivisa ed è anche l’elemento più noto e diffuso della Tradizione ortodossa. Attraverso lo sguardo sulle icone dell’Oriente cristiano siamo invitati alla contemplazione, attirati nel mistero di Dio per gustarlo e lasciarci trasformare (“si diventa ciò che si contempla”). È uno sguardo a cui ci invitano anche non pochi capolavori dell’arte occidentale nella quale, però, è presente, e spesso prevalente, l’intendimento narrativo e catechetico. È un linguaggio che si affianca e fa da supporto a quello verbale allo scopo di aprire gli occhi dei fedeli alla ‘lettura’, attraverso le immagini, delle vicende della storia della salvezza, delle verità della fede cristiana o della vita della Chiesa. È un’arte nella quale l’affectus di cui spesso è impregnata, tende a coinvolgere il fedele toccando anche le corde del sentimento. Questi due sguardi sono espressione di sensibilità in parte diverse che non vanno però visti come alternativi, ma 14
piuttosto come ricchezze che lo Spirito, nella sua inesauribile e versatile creatività ha suscitato in luoghi e tempi differenti perché siano condivise. Riposare lo sguardo su queste opere d’arte può anche aiutare a guarire l’occhio disturbato, oggi, da una miriade di immagini spesso violente, volgari o banali e stereotipate che ci aggrediscono ovunque. Così pure l’ascolto della musica che autori mossi dalla fede e attenti alla divina voce dello Spirito hanno offerto alla comunità cristiana per aiutarla a vivere in profondità la liturgia (anche solo attraverso una partecipazione emotiva, interiore) ci aiuta ad elevarci verso la divina sorgente della bellezza e a guarire l’orecchio ferito da quella ‘musica’ frastornante, profanatrice dell’udito, pervertitrice del gusto e che, imponendosi ovunque, ci deruba anche di ogni momento di necessario silenzio. Non essendo nostro intendimento offrire sia pur sommari percorsi di arte sacra o di indugiare in analisi formali, nella scelta delle opere abbiamo privilegiato quelle (tra le tante) che evidenziassero la presenza della Terza Persona della Trinità e non solo grazie all’efficacia dei simboli, ma anche negli effetti percepibili sui personaggi e gli ambienti rappresentati. Non abbiamo favorito necessariamente le opere più insigni e famose, ma abbiamo scelto piuttosto alcuni esempi di creazioni artistiche che non solo ‘parlassero’ dello Spirito, ma che rivelassero un autentico afflato di fede. Abbiamo attinto soprattutto all’immenso patrimonio delle arti figurative, con preferenza data alla pittura, e alla musica, accogliendo anche alcuni echi provenienti dai repertori liturgici e poetici. La nostra ricerca è stata mossa dal desiderio di offrire a coloro che indugeranno su queste pagine una sollecitazione nel volgere maggiore attenzione verso la Terza Persona della Comunione Trinitaria per meglio conoscerla e accogliere un raggio della sua luce. E ci auguriamo che, grazie all’azione dello Spirito stesso, possano percepire, oltre il nostro modesto commento, il significato più profondo (e intuendo anche oltre) di ciò che queste opere hanno inteso esprimere. 15
La contemplazione di questi capolavori della fede ravvivi un po’ in tutti noi la nostalgia di Dio da cui noi veniamo, così come ogni bene, bellezza e sapienza, e verso cui lo Spirito ci attira. «La fede è amore e perciò crea poesia e crea musica. La fede è gioia, perciò crea bellezza» (Benedetto XVI, Catechesi all’Udienza generale di mercoledì 21 maggio 2008).
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1. Lo Spirito Santo nelle raffigurazioni della Trinità
Nella tradizione orientale L’amore delle persone divine All’interno della Trinità lo Spirito Santo è la relazione fra le relazioni, la terza relazione divina. Fa sì che l’unità dell’essere divino coincida con l’amore stesso. «Solo questo amore che avviene costituisce l’essenza della divinità, cosicché solo nelle tre relazioni divine, il Padre che ama di per sé, il Figlio che è amato e ama da sempre, e l’evento sempre nuovo dell’amore fra Padre e Figlio, che è lo Spirito, diventa ora possibile pensare la piena identità fra essenza divina e esistenza divina».1
Il mistero della Trinità fu definito dogmaticamente nel IV secolo,2 riconoscendo la distinzione-identità della natura o sostanza (usía) e della persona (hypóstasis): le tre Persone divine nel loro stesso contenuto essenziale e nella loro unità non si confondono, ma si contengono mutuamente, dando ognuna alle altre tutto ciò che ha e tutto ciò che è. È il mistero del Dio-Amore, di un misterioso scambio che avviene 1 Jüngel E., Gott als Geheimnis der Welt. Zur Begründung der Theologie des Gekreuzigten im Streit zwischen Theismus und Atheismus, Tübingen 1978, tr. di F. Camera, Dio, mistero del mondo. Per una fondazione della teologia del Crocifisso nella disputa tra teismo e ateismo, Brescia 1991, p. 486. 2 Il concilio di Nicea del 325 aveva stabilito la consustanzialità tra Padre e Figlio, il concilio di Costantinopoli del 381 ha riconosciuto la uguale divinità dello Spirito, definendo, così, il dogma trinitario.
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nel seno della divinità. L’unità divina rimanda alla persona del Padre, principio della divinità, il Figlio rivela il Padre, di cui è il Verbo e lo Spirito è il vincolo del Padre e del Figlio. Il vincolo stesso è una Persona, ciò significa che l’amore è il principio ontologico della Trinità. È la rivelazione dell’identità degli unici, dove il numero metamatematico delle tre Persone indica il «Superamento infinito dell’opposizione nella pienezza dell’amore, secondo una differenza trasparente in cui ogni Persona, lungi dall’opporsi, pone le altre. Ciascuna appare allora come un modo unico di far esistere la stessa essenza, di riceverla dagli altri e di darla in quell’“immobile movimento d’amore” di cui parla Massimo il Confessore. È una specie di danza amorosa in cui ciascuno si annulla perché l’altro esista compiutamente e, attraverso ciò, anch’egli esista pienamente!».3 Dio è l’unità infinita delle Persone in cui ognuna dà e riceve l’essenza divina in modo unico. La Trinità rivela così l’assoluto come relazione, la pienezza dell’unità che si attua nella comunione. Su questo concordano i teologi d’Oriente e d’Occidente: il Padre è la sorgente eterna dell’amore, la gratuità, il dono. Il Figlio è gratitudine, dimostra che è divino dare e divino ricevere, è divino amare ed è divino lasciarsi amare. Lo Spirito è l’Amore donato e ricevuto, colui che fa l’unità (Occidente), l’estasi di Dio (Oriente), la novità dell’amore. L’Oriente cristiano ha sottolineato la donazione del Verbo da parte dello Spirito: «La relazione tra il Figlio e lo Spirito appare come una relazione di reciproco servizio. Lo Spirito viene dal Padre nel Figlio, e manifesta il Figlio. Il Figlio nasce dal Padre nello Spirito e per mezzo di questo si manifesta. E tutti e due rivelano il Padre».4 L’Occidente, invece, ha sottolineato il dono dello Spirito dato dal Padre a nome del Figlio: «Ha contemplato il ‘movimento’ della ‘con3 O. Clément, Questions sur l’homme, Paris 1972, tr. di A. Crespi, Riflessioni sull’uomo, Milano 1991, pp. 26-27. 4 O. Clément, Sources. Les mystiques chrétiens des origines, Paris 1982, tr. di O.M. Nobile Ventura, Alle fonti con i Padri. I mistici cristiani delle origini. Testi e commento, Roma 1987, p. 70.
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sostanzialità’ divina, il movimento d’amore della Trinità che va dal Padre al Figlio, poi dal Padre e dal Figlio allo Spirito Santo che ce lo comunica».5 Lo Spirito Santo nell’icona della Trinità Nell’iconografia l’aspetto personale dello Spirito Santo è rappresentato dalle diverse tipologie della raffigurazione della Trinità. Un esempio interessante è la “Santissima Trinità” del santuario di Vallepietra (Roma), un affresco sulla roccia della grotta del Monte Autore, databile tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo, di scuola romana bizantineggiante (fig. 1). Non sono note le origini della sacra icona, ma lo stile delle altre raffigurazioni del vangelo presenti nella grotta e la dedicazione del santuario alla Santissima Trinità sono chiari riferimenti alla tradizione orientale.6 Il dipinto sarebbe apparso miracolosamente, secondo i vari racconti che spiegano le sue origini, non realizzato da mano umana, ma direttamente da Dio. L’atmosfera misteriosa che avvolge la sacra icona spiega come il santuario sia particolarmente noto come meta di numerosi pellegrini. Teologicamente è la rappresentazione figurativa del dogma della Santissima Trinità. Attraverso le tre figure identiche viene evidenziato l’aspetto trinitario di Dio: la fede nel Dio unico è la fede che si rivolge alle tre persone, infatti si legge chiaramente: “IN TRIBUS HIS DOMINUM P[ER]SONIS CREDIMUS”. Il fatto, però, che i tre personaggi siano perfettamente uguali sottolinea soprattutto l’unità divina: unico è il trono su cui le persone sono assise, uguale la veste, lo sguardo, il gesto della mano destra e il libro che copre la mano sinistra. Le tre persone si stanno accanto in una fissità e in una uguaglianza sovrumana che richiama il mistero inaccessibile di Ibid., pp. 69-70. Cfr. G. Greshake, Der dreieine Gott. Eine trinitarische Theologie, Freiburg 1997, tr. di P. Renner, Il Dio unitrino. Teologia trinitaria, Brescia 2005, p. 623. 5 6
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Fig. 1 - Santissima Trinità: affresco (inizio del XIII secolo), Vallepietra (Roma).
Dio e la sua rivelazione, indicata dal libro aperto e dal gesto della mano. Non c’è riferimento alla relazione interpersonale e neppure alla diversa e specifica relazione delle persone divine nei confronti dell’umanità, ma il pellegrino giunto davanti al grande affresco in atteggiamento di adorazione, intuisce che la rivelazione della Trinità è la rivelazione dell’amore di Dio per l’uomo, rappresenta la fecondità inesauribile dell’Unità e l’Unità il carattere di semplicità indivisibile la cui potenza unificatrice riunisce le nostre alterità. Un’altra tipologia per rappresentare la Trinità è data da “I tre visitatori di Abramo”. Pur salvaguardando l’unità di Dio, le tre persone divine hanno una loro identità e una funzione specifica. Già nei primi secoli del cristianesimo il racconto della visita ad Abramo dei tre misteriosi pellegrini (Genesi 20
Fig. 2 - Ospitalità di Abramo, Mosaico (430 c.) di Santa Maria Maggiore a Roma.
18,1-15) è considerato una teofania trinitaria. In un mosaico di S. Maria Maggiore a Roma (IV secolo, fig. 2), l’episodio è rappresentato su due piani: i personaggi posti in alto richiamano il carattere misterioso e celeste della visita, i tre ospiti 21
seduti a tavola hanno le teste parallele, alla stessa altezza;7 un elemento significativo è il diverso movimento delle mani: rispetto agli altri due pellegrini, quello di destra ha la mano rivolta verso il basso. Lo stesso episodio si trova nella chiesa di S. Vitale a Ravenna, dove l’angelo di destra è leggermente staccato dagli altri due e ha un portamento quasi autonomo. Anche in questo meraviglioso mosaico (VI secolo, fig. 3) i tre pellegrini hanno la stessa altezza, si distinguono per la posizione delle mani. La ricchezza di particolari presenti in questi mosaici – lo stesso episodio è raccontato anche nel bellissimo mosaico del Duomo di Monreale (XII-XIII secolo) – evoca soprattutto un evento storico; infatti l’Ospitalità di Abramo è inserita nel ciclo degli episodi dell’Antico Testamento, come rappresentazione visiva del testo sacro. È con l’icona della Trinità (fig. 4), eseguita nel 1425 circa dal monaco A. Rublëv e riconosciuta dal ‘Concilio dei Cento Capitoli’ come modello di tutte le rappresentazioni della Trinità che prevale l’aspetto dogmatico e la Trinità è espressa come evento relazionale. L’iconografo A. Rublëv ricevette l’incarico di dipingere l’icona della Trinità da S. Nicone, discepolo di S. Sergio di Radonež, (1313 circa - 1392) in suo ricordo, diciassette anni dopo la sua morte, per la cattedrale della Trinità di Zagorsk. S. Sergio aveva dedicato la sua chiesa alla Trinità, ma si era soprattutto lasciato avvolgere dal suo mistero attraverso la contemplazione e la preghiera incessante, si era inoltre impegnato a trasmettere il messaggio di unità e comunione del modello trinitario anche nell’impegno civile e politico. L’icona è quindi espressione della fede e della profonda spiritualità dei monaci russi, richiama il Simbolo niceno-costantinopolitano e la festa liturgica dello Spirito Santo, che la Chiesa bizantina celebra il lunedì di Pentecoste. I particolari sono ridotti all’essenziale, mancano le figure di Abramo e Per quanto riguarda la rappresentazione della visita degli angeli ad Abramo, si possono individuare tre canoni iconografici fondamentali: il gruppo isocefalo, la composizione piramidale e l’impostazione piramidale della mensa. 7
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Fig. 3 - OspitalitĂ di Abramo e il sacrificio di Isacco, Mosaico bizantino, sec. VI, San Vitale, Ravenna.
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Sara, non restano che le tre persone divine in silenzio attorno alla mensa-altare. Gli elementi della scena diventano simboli, alla concezione storica si sovrappone una interpretazione teologica e una struttura geometrica invisibile lascia intuire l’intenzione dell’iconografo di rappresentare la Trinità nel suo movimento d’amore. L’uguaglianza perfetta degli angeli è così fortemente espressa che non esiste regola per definire la Persona divina rappresentata sotto la figura di ciascun angelo; si potrebbe scambiare un angelo per l’altro, prova ne è la difficoltà riscontrata dagli studiosi dell’icona di associare le Persone della Trinità all’angelo corrispondente. La differenza è data dall’atteggiamento di ciascuno verso gli altri.8 Gli scettri identici, segni del potere regale di cui è dotato ciascun angelo sottolineano l’unità di Dio e la perfetta uguaglianza delle tre Persone. Lo Spirito Santo è generalmente individuato nell’angelo di destra, che si staglia sullo sfondo delle rocce a gradini. Persona invisibile della Trinità, Egli si identifica quasi completamente con la vita divina e con le sue manifestazioni, assicura una sorta di circolazione di gioia e di amore tra Padre e Figlio, costituisce l’ipostasi di tale amore e di tale gioia. Il colore blu della tunica indica il cielo e la divinità, il mantello è verde, come la vegetazione e come il colore della fecondità, della vita e della speranza che sempre apre nuovi orizzonti. «Sembra stia per mettersi in cammino ed iniziare la missione, che gli altri due gli affidano: il capo e le spalle sono chine verso i due che gli stanno davanti; la direzione del suo sguardo interseca, a metà, la retta che congiunge i loro sguardi; è sul punto di alzarsi, poggiandosi sulla sua gamba sinistra e reggendosi con il bastone tenuto dal braccio libero, per “dare un colore” al suo clavo, appena tratteggiato sulla sua spalla azzurra, ossia per compiere la 8 Cfr. P. Evdokimov, L’art de l’icone. Théologie de la beauté, Paris 1972, tr. di P.G. Da Vetralla, Teologia della bellezza. L’arte dell’icona, Cinisello Balsamo (Milano) 1990, pp. 233-243.
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Fig. 4 - La Trinità, A. Rublëv, 1422-1427, Galleria Tret’jakov, Mosca. (Fonte: M.G. Muzj, Trasfigurazione, p. 163).
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segreta missione che i due, di comune accordo, gli stanno significando. La mano destra si solleva dalla mensa, però non per benedire ma, forse, per raccogliere la benedizione che gli sta donando l’angelo di sinistra».9
La roccia dietro l’angelo indica una teofania, ciò che l’icona rappresenta rimane un mistero che trascende la nostra possibilità di vedere. Diversa è la lettura che propone il teologo G. Greshake, secondo cui lo Spirito Santo è identificato con la figura centrale, “che riassume la Trinità”. L’atteggiamento dello sguardo invita lo spettatore ad entrare in un movimento circolare, quasi trasportato nel vortice dell’amore delle persone divine: «Osservandolo, non si può per così dire restare fermi su di lui, ma si è coinvolti in un movimento: il suo capo reclinato e i suoi occhi tutti rivolti verso la figura sulla sinistra indicano il Padre. Questi a sua volta – un po’ meno inclinato – torna a guardare verso di lui ma soprattutto verso la figura sulla destra, cioè il Figlio. Questo da parte sua rivolge – con lo stesso ritmo – la propria testa e i propri occhi verso il Padre. Da qualunque figura si cominci ad osservare, si viene comunque spinti ad un movimento circolare che non finisce mai e che rimanda alle altre due figure».10
Individuando lo Spirito Santo nell’angelo centrale, Greshake legge anche la diversità di formulazione del Credo della Chiesa d’Oriente e della Chiesa d’Occidente: «Conformemente al rifiuto del Filioque da parte della Chiesa orientale la figura corrispondente allo Spirito Santo non guarda il Padre e il Figlio, ma insieme al Figlio – e con medesima riverenza – il Padre».11 Secondo questa interpretazione l’angelo-Spirito si trova sopra il calice entro il quale si trova l’agnello immolato e il gesto della mano diventa un gesto epicletico-consacratorio. S. Babolin, Icona e Conoscenza. Preliminari d’una teologia iconica, Noventa Padovana 1990, p. 281. 10 G. Greshake, Il Dio unitrino, cit., p. 627. 11 Ibid., p. 627, nota n. 20. 9
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