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Meditazioni cristocosmiche. 4
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pregare con
Sorella Maria dell ’E remo francescano di Campello sul Clitunno
con documenti inediti
a cura di Antonio Gentili
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Š Il Segno dei Gabrielli editori, 2016 Via Cengia, 67 - 37029 San Pietro in Cariano (Verona) tel. 045 7725543 - fax 045 6858595 mail info@gabriellieditori.it www.gabriellieditori.it ISBN 978-88-6099-292-5 Stampa Il Segno dei Gabrielli editori, Aprile 2016 Progetto grafico copertina Lucia Gabrielli Disegni di Carlotta Gentili
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Sorella Maria
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Ringraziamenti
Nella ricorrenza dei novant’anni della nuova vita dell’Eremo francescano di Campello sul Clitunno (22 luglio 1926-2016), siamo liete di offrire agli amici e alle amiche della Comunità, e a quanti ci avvicinano oggi, queste pagine, in cui sono raccolte, a disposizione di tutti, le parole essenziali della preghiera e della vita spirituale di Sorella Maria. Vi si possono cogliere l’aspetto più profondo e la continuità di un’esperienza che sfida il tempo e le sue alterne vicende. Noi, Sorelle della Comunità dell’Eremo, esprimiamo un sentito ringraziamento a Luciano Mazzoni, padre Antonio Gentili, Adriana Giussani, Carlotta Gentili e a quanti altri hanno collaborato alla realizzazione del testo, testimoniandoci vicinanza e solidarietà. Il loro affetto, la simpatia e la comunione spirituale da tempo ci accompagnano in questa “via del cuore”, non ordinaria, nata nel cuore di Sorella Maria, a partire da quel 24 aprile 1919 in cui iniziò la “Vita Nuova”, scegliendo la via di “un più ampio respiro”. Questa è divenuta, per Grazia del Signore, anche la nostra via. Le Sorelle dell’Eremo francescano 24 aprile 2016
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La campana “Nostalgica” che scandisce i tempi della preghiera e saluta gli ospiti all’arrivo e alla partenza.
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Introduzione
Un punto di vista femminile e laico su Sorella Maria e le Allodole Adriana Giussani
Conoscere la Comunità delle Sorelle dell’Eremo francescano di Campello è un’esperienza intensa, appagante ma difficile da sintetizzare in poche battute. Coinvolge, interpella, stupisce, lascia il segno, pone domande e suggerisce risposte, stimola alla ricerca interiore e sollecita alla dimensione comunitaria. Ti chiedi subito chi abbia voluto quel luogo e quel tipo di vita, chi abbia dato energia, orizzonti, senso; entri così nella dimensione che connota quel luogo, quella vita e conosci il pensiero e il sentire di Sorella Maria, che lo ha voluto con intuizione profetica e con la tenacia che supera ogni ostacolo. Già all’ingresso nell’Eremo le sue parole ti arrivano attraverso i cartelli di legno su cui sono incise, ma il più immediato contatto con la realtà di questo luogo di pace, preghiera e lavoro è il sorriso delle Sorelle, che ti accolgono con il calore che ognuno vorrebbe. Quando poi entri nella cappella, visitata da san Francesco stesso, la preghiera di intercessione ti cattura, ti spalanca una visione diversa dell’orazione che non può lasciarti indifferente: le Sorelle si alternano nell’evocare nomi di donne, uomini, bambini che soffrono nel corpo e nello spirito, che vivono in ogni luogo vicino o lontanissimo e in ogni nome si cela una storia, che 9
viene affidata alla misericordia del Padre, all’intercessione della Vergine da parte di ciascuno dei presenti, che condividono un silenzio carico di energia e di spiritualità. Lì senti veramente il mondo con tutte le sue urgenze, drammi, angosce, lì avverti che ci si affida, che nulla è scontato, rituale, formalistico e l’orante capisce che «la preghiera è la grande forza, possente quanto l’amore, perché viene dall’amore». Lì ti rendi conto che la pace, la salute del corpo e la salvezza dell’anima, il perdono, il tempo, il lavoro, la fede sono parole incarnate, non solo proclamate; lì senti che vita interiore ed esperienza concreta sono in una mirabile sinergia e armonia. Sorella Maria è presente non soltanto nelle parole, ma negli atteggiamenti e nelle modalità oranti, che lei stessa ha testimoniato e raccomandato. Pregare con le Allodole, ho pensato, ha la levità e la grazia del volo, ti pare di librarti e di raggiungere il cielo, ma non dimentichi di essere radicato sulla terra, in un tempo che sembra coniugare passato e presente. Si avverte subito che la preghiera permea la vita delle Sorelle, perché non segue schemi e formule, ma risponde a un bisogno profondo di contatto con il Signore e con il prossimo, che è aiutato, sostenuto, corroborato dall’orazione costante. Mi hanno colpito alcune frasi che Sorella Maria ha scritto, perché rivelano la sua fede autentica nel Dio della vita, la sua straordinaria sensibilità poetica, la sua apertura a ogni essere, quella dimensione “cosmica” che nelle varie esperienze dell’esistenza ha saputo testimoniare. Sono parole che dicono la potenza e insieme la dolcezza del pregare, che parlano della preghiera come di una realtà viva, come dimensione di corporeità e di contemplazione: «forza cosmica», ma anche «re10
spiro dell’anima, sospensione dinanzi al mistero, gemito sulla sorte umana». Rileggere le sue affermazioni, riferite da sorella Jacopa, dà emozione e quasi brivido, perché si percepisce che la preghiera è un tutto, è tutt’uno con la vita: «Una preghiera non va mai perduta. Adoperiamo per la preghiera il cuore, la mente, il lavoro, la sofferenza, l’umiliazione, la gioia…». Ci si rende conto che sono autentiche queste parole, anzi che è quasi tangibile la forza che scaturisce da una simile vita di preghiera: chi ne beneficia percepisce di essere accompagnato, sostenuto e sorprende sentirsi domandare, a distanza di tempo, notizie delle persone care per cui si è chiesto di pregare. Ancora oggi le Sorelle vivono così la realtà orante e chi ha il “dono” di poterla condividere con loro, anche per una sola volta, si sente trasportato in un orizzonte diverso e avverte che veramente si può parlare di dono e pare che il tempo sia sospeso. È ancora Sorella Maria a dircelo: «Quando il Signore, per l’intercessione della Madre sua, ci concede dono di preghiera, il tempo non esiste più». Raramente le affermazioni teoriche o dottrinali si calano così a fondo nella nostra vita e difficilmente esse trasformano, vivificano, illuminano mente e cuore: le citiamo spesso, magari le condividiamo, le apprezziamo, ma non riusciamo a viverle in pienezza. Invece nell’Eremo questo avviene e i pensieri che hanno guidato la vita di Sorella Maria e delle sue seguaci hanno anche per noi valore, senso, forza propulsiva. Sperimentiamo la tenerezza, la consolazione che vengono dall’incontro, dal dialogo, dalla preghiera delle Sorelle; sappiamo che la loro perseveranza, la loro sobrietà di vita, la loro fraternità sono condizioni che favoriscono, anzi che sostanziano il loro pregare. 11
Chiedere l’avvento del regno di Dio e di accettarne la volontà, domandare anche il pane quotidiano, il perdono delle colpe, la liberazione dal male lì ti sembra un vero dialogo con il Signore e con i fratelli: infatti la predilezione del Padre Nostro come preghiera è ben motivata da Sorella Maria. Le ragioni sono diverse: essa sa farci conoscere il pensiero di Gesù, ci mette in comunione con Lui, è preghiera collettiva di figli che chiedono perdono, pace, pane. Anche i Salmi le erano cari, perché esprimono la lode di tutte le creature e il paragone con il volo dell’allodola o con lo scorrere di un fiumicello è un tocco di poesia pregno anche di verità teologica. Il segno di croce, da fare con grande consapevolezza del mistero che rappresenta, è definito in modo originale con l’espressione “cosmico” tanto cara alla fondatrice, o se si preferisce all’iniziatrice, dell’Eremo. «Piantata verso gli inferi, con il suo sforzo verso il cielo e con le braccia tese verso l’oriente e l’occidente… è eccelsa la croce». Non mancano espressioni significative e pregnanti riferite al Rosario, che Sorella Maria dice di voler amare «fino all’estremo e oltre», perché vi avverte un potere misterioso e miracoloso. Con tutto ciò la preghiera più carica di forza e di autenticità all’Eremo rimane quella di intercessione: ai visitatori, individualmente o collettivamente, essa lascia un senso profondo di dolcezza e appagamento interiore, un desiderio di ritornare, perché, appena esci da quella chiesa e da quella casa, intuisci che qualcosa ti è dato, che ti accompagna il sorriso dell’anima insieme alle Sorelle, che giungono con te fino al cancello e restano a vederti partire. Mi sono chiesta le ragioni di questo senso di nostalgia e forse la risposta è che lì la preghiera fortifica la 12
Premessa
Se ripercorriamo in chiave spirituale la straordinaria avventura di Sorella Maria, la Minore come amava chiamarsi, emerge con chiarezza la dimensione orante della sua esistenza. La preghiera ne costituiva il respiro ed esprimeva il suo amore. Preferiva definirla non tanto un atto, quanto uno stato. Apprezzava il silenzio quale prima forma della religiosità e la solitudine condizione indispensabile per svegliare il cuore, ridestandone l’attenzione così da coltivare il senso costante della presenza divina. Per mantenere il cuore in un incessante stato di ascolto interiore, giudicava indispensabile quella vigilanza che costituisce il dovere più intransigente di un’anima orante, così che la consapevolezza e il raccoglimento esprimano tutta la loro forza a sostegno della preghiera e della vita. In questo contesto acquista pieno significato, non meno che pienezza di efficacia, il culto liturgico, che Sorella Maria voleva fosse impregnato di tenerezza, nonché la pratica sacramentale, intesa nella più ampia accezione del termine. Sacramenti, infatti, non sono unicamente quelli racchiusi nel numero settenario, ma sacramento è il creato, sacramento l’amicizia, sacramento l’altro – quali che ne siano l’origine, la cultura, la fede, le condizioni di vita – considerato metro del giudizio divino: «…L’avete fatto a me!». Di qui l’importanza straordinaria che Sorella Maria, insieme alle sue sorelle, attribuiva alla preghiera di intercessione. Una preghiera che per lo più nasce da quelle condizioni di sofferenza, 17
sia essa fisica, psichica o morale, che per la Minore rappresentavano l’introduzione alla vera cattolicità. Il desiderio di un più ampio respiro che le ispirò l’avventura dell’Eremo, maturò in lei una visione “sconfinata” (ossia senza confini e quindi genuinamente “cattolica”!) dell’esperienza religiosa, intesa alla stregua di comune denominatore e punto di incontro delle creature umane, e nel contempo ne dilatò lo sguardo sul mondo e sulla storia avvolti in una dimensione cosmica. Ricorrono con frequenza sotto la sua penna termini contrassegnati da un simile aggettivo: fraternità cosmica, messa cosmica, rosario cosmico, lode cosmica, per non parlare della croce come segno cosmico in cui convergono l’umano e il divino, fisicità e spiritualità. «Sentire in modo cosmico» sembra un imperativo della cultura moderna (così Nietzsche, Frammenti postumi, 1881-82, 11/7), imperativo che ritorna nelle riflessioni di padre Giovanni Semeria (1867-1931), là dove afferma – siamo nel 1906 – che «la dimensione cosmica del Logos-Gesù non è più considerata nella nostra pietà popolare; spicca invece la sua funzione morale». La Minore conosceva il barnabita attraverso le sue conferenze e gli attribuisce il primato delle proprie frequentazioni sacerdotali. Così ne scriveva a Pio XII il 21 giugno 1942: «…Ho avuto ed ho il viatico santo dell’amicizia» di sacerdoti. «Fra questi Giovanni Semeria, che mai potrò dimenticare».*
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* Il legame che univa Sorella Maria al barnabita è documentato dalla lettera che indirizzò il 12 marzo 1932 a padre Giovanni Minozzi nell’anniversario della morte del “Padre degli orfani”. «Venerato Fratello, siamo nei giorni che le ricordano strazio, che rinnovano tutto lo strazio per la perdita dell’Amico e del Padre. Io pure sento con Lei, o, se è troppo dire, ho pena profonda pensando a Lei, e ricordando il Carissimo che abbiamo perduto, e che nella sua bontà era come il pane per tutti. Avevo conosciuto Giovanni Semeria fin da giovinetta a Torino, mentre egli teneva una conferenza nell’aula universitaria. Durante la guerra mio fratello, generale Pignetti, allora al Comando Supremo a Udine, era spesso con lui, e me ne scriveva. In seguito io stessa potei avvicinarlo ripetutamente. Nell’estate del ’19 ero nella valle d’Aosta, e il venerato Amico aveva desiderato vedermi ed io ero accorsa con una compagna. Alla stazione di Pont St. Martin egli saliva in side-car per andare a Gressoney. Gli avevo portato del caffè caldo in un termos, e lo gradì molto. Era accompagnato da un prete, forse Lei, don Minozzi. Poi l’ho rivisto a Issime, nel ’29, dove io ero di passaggio, e malata. È stata una dolcezza profonda quell’ultimo incontro. Egli teneva una conferenza nell’albergo d’Issime. Era solo, e mi sembrava, rivedendolo dopo 10 anni, che avesse una bellezza d’espressione più intensa. Ricordo che gli avevamo portata una certa torta che chiamiamo “dell’agape”, e gli fece piacere. L’anno scorso nel marzo ecco d’un tratto la notizia angosciosa. Io avrei voluto sapere e sapere. Ma pensi che solo nell’ottobre potei avere la loro Rivista mensile, aprile-maggio, dove Lei ha raccontato, e ci ha fatto partecipare così intensamente. Dio, che cuore è il Suo, don Minozzi, e quanto Lei ha amato quel Carissimo! 19
Sia benedetto! Noi siamo un piccolo gruppo francescano, non monache, oh no, neanche “suore” nel senso specifico della parola: solo un manipolo di umili donne, quasi tutte orfane e di diverse regioni d’Italia, che viviamo insieme volendoci bene come sorelle, e cercando di essere le piccole sorelle di tutti vicino e lontano. Abitiamo un vecchio eremo solitario sul monte che sovrasta il Clitunno (Trevi-Umbria). In questo momento siamo a Spoleto per passarvi l’inverno lassù troppo rigido, ma appena possibile ritorneremo alla nostra rocca, dove, un po’ da ogni parte del mondo, vengono pellegrini a sostare presso la semplicità antica del luogo e della nostra vita fraterna. Noi lavoriamo per vivere, e accogliamo sempre. Dobbiamo tanto alle esperienze diverse che ci portano i fratelli di diverse razze e mentalità religiose: cerchiamo imparare da tutti, con un senso di fraternità riverente. Le ho detto di noi: ci ricordi in Domino, ci benedica. Noi non potremmo non pensare a Lei avendo memoria di Giovanni Semeria. Devotissima Sorella Maria».
Dopo aver tratteggiato con rapidi cenni la figura e l’opera di Valeria Pignetti (che prese poi il nome di Sorella Maria) nel capitolo “Noi preghiamo”, si offre uno Sguardo d’insieme su tre aspetti qualificanti della sua testimonianza (il silenzio, il sacrum facere, l’agape), per poi affrontare in successivi capitoli gli insegnamenti che si possono ricavare in ordine alla preghiera. Questi i capitoli: 1. Il silenzio e la parola 2. La solitudine 3. Il raccoglimento 4. La preparazione alla preghiera 5. La preghiera 6. La contemplazione all’aperto 20
7. Il segno della croce 8. Il Padre nostro 9. La liturgia 10. La messa 11. Il sacramento eucaristico 12. I sacramenti 13. La salmodia 14. Il rosario 15. Il Lucernario 16. La preghiera di intercessione Dopo un commento di Ermes Ronchi sulla preghiera di intercessione praticata nell’Eremo, vengono riportate alcune preghiere scritte dalla Minore e l’Addio di Sorella Maria. Il suo linguaggio è al femminile, stante la comunità cui si rivolgeva e noi lo rispettiamo. I testi di Sorella Maria sono stati attinti prevalentemente da Sorella Maria parla (Pro manuscripto), Campello 1991 e dalla “Raccolta di pensieri a cura di Giovanni Vannucci”, pubblicata con il titolo Sorella Maria, Campello 2003, mentre per un’inquadratura generale rimandiamo a Roberto Morozzo della Rocca, Maria dell’Eremo di Campello. Un’avventura spirituale nell’Italia del Novecento, Milano 1998. Segnaliamo infine gli Atti del Convegno celebratosi a Trevi (PG) nel 50° della morte di Sorella Maria e raccolti, a cura del Morozzo, in Maria di Campello. Un’amicizia francescana, Brescia 2013. Ci siamo infine avvalsi della consulenza e della revisione delle Sorelle attuali eredi del carisma della Minore, che ringraziamo vivamente.
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All’ingresso: “Ancilla Domini”.
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“Noi preghiamo…”
«Sorella Maria raccomanda di essere pronte alla preghiera, che è il lavoro per il quale il Padre ci mantiene. E ci fa riflettere sulla potenza della preghiera». (Sorella Jacopa)
A ridosso delle Fonti del Clitunno – così il senatore romano Plinio il Giovane (61-112) informava un amico – «sorge un modesto colle rimboschito e ombreggiato da annosi cipressi». Già probabile meta di eremiti cristiani provenienti dal vicino Oriente, fu sede di un cenobio benedettino (da cui il nome di Colle di san Benedetto) e infine passò ai seguaci di san Francesco (una grotta al suo interno ne ricorda la presenza), i quali vi dimorarono dal 1300 fino alle soppressioni del 1800. Dopo un primo sopralluogo compiuto nel 1923 e il successivo acquisto nel 1924, Valeria Pignetti si stabilì all’Eremo di Pissignano con alcune sorelle a partire dal 22 luglio del 1926. Nata a Torino il 25 gennaio 1875, nel 1901 entrò tra le Francescane Missionarie di Maria con il nome di Maria Pastorella. Dal 1915 al ’19 operò presso l’Ospedale anglo-americano di Via Nomentana a Roma, dove conobbe Ernesto Buonaiuti (1881-1946), che ne favorì il proposito di promuovere una fraternità di donne, laiche, eremite, francescane. Il 24 aprile 1919 uscì, con il consenso di Benedetto XV, dalla Congregazione cui apparteneva e, dopo varie peregrinazioni, dal 1922 al ’26 si stabilì a Poreta (Spoleto), per poi rag23
giungere il non lontano Colle di san Benedetto. Morì, circondata dalle sue discepole, il 5 settembre 1961 a 86 anni e venne sepolta, insieme ad altre sorelle, nel Cimitero adiacente l’Eremo. Il carisma di Sorella Maria, «perla nascosta della Chiesa italiana» (Giuseppe Alberigo), avrebbe continuato nel tempo a irradiarsi senza soluzione di continuità, ma nella discrezione e nella “sobrietà interiore” che caratterizzano tutte le iniziative guidate e sorrette dallo Spirito santo. Tant’è vero che a chi le domandava «Che resterà di noi?», era solita rispondere: «L’eco di un canto di allodola in un cuore che l’ha ascoltata». Sorella Maria considerava «sacra la religiosità del cuore, l’unica necessaria: seguo la via del cuore, un cuore che accoglie cielo, terra e inferi» e di conseguenza considerava «l’Eremo il luogo dove ogni patria ha il suo altare, ogni religione il suo diritto di asilo». Sorella Maria amava definirsi “panica” nel senso del termine greco che indica totalità. Ella abbracciava ogni realtà terrena e celeste, naturale e soprannaturale, personale e cosmica e ravvisava nella preghiera una sorta di collante universale. «Io, dovunque si prega, mi sento all’unisono. Per me vi è un unico assoluto; chi prega in sincerità si avvicina a questo assoluto». Questa era la visione che Sorella Maria nutriva dell’esperienza orante vissuta nell’Eremo: «La preghiera non è soltanto il recitare formule e meditarle, ma è il senso costante della presenza di Dio, il fare tutto con coscienza desta, tremante». Non solo, ma la preghiera assume dimensioni planetarie:
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«Noi preghiamo per i lontani, noi cerchiamo di renderli presenti tra noi, penetrare col cuore nella loro vita. Vogliamo seguire con la preghiera i viandanti di terra, del mare e del cielo! Vogliamo penetrare con pietà bruciante nei luoghi dell’infamia e del dolore! Vogliamo accostarci riverenti agli oppressi, ai tormentati, agli stanchi, ai soli, cercando di crescere nella consapevolezza e nella venerazione del peso di ogni vita. Vogliamo aiutare quanto Dio ce ne dà grazia, con la vigilanza del cuore, con la preghiera incessante, con l’amore che non si stanca mai... E vogliamo partecipare alla gioia, alla gioia dei nostri cari, che è nostra, alla gioia di tutti; vogliamo ottenere un raggio di gioia e di speranza, e la salute e la pace... Vogliamo servire la vita...». Sorella Maria riteneva «il cristianesimo una dottrina d’innamoramento» e, ben consapevole della sua duplice anima, affermava: «Io sono dell’Oriente, perché l’Occidente mi fa paura». Di qui la ricerca della «pura semplicità» nel pensare, nel sentire e nel vivere, coltivando «purezza, sincerità e umiltà». Paragonava la propria vita e quella delle compagne – ebbe a definirle “pochelle”! – al canto dell’allodola, a cui «il Signore dà il chicco attraverso la natura», che ella considerava, sulla scorta di san Bonaventura, la «prima Bibbia». L’ingresso alla clausura dell’Eremo porta tuttora la scritta: «Laudat alauda Deum / dum sese extollit in altum, / dum cadit in terram. / Laudat alauda Deum; Loda l’allodola Dio, quando si solleva in alto e quando cade a terra; loda l’allodola Dio». 25
Sorella Maria aveva infine della Chiesa una visione decisamente “cattolica”, ecumenica ante litteram. Scrisse: «Per me la Chiesa è la società dei credenti. Ogni credente sincero fa parte dell’anima della Chiesa; è il concetto cattolico per eccellenza. Dunque non soltanto con un fratello cristiano, ma con un fratello israelita o pagano io mi sento in comunione spirituale, se egli crede e spera e ama. Con quelli poi tra i fratelli che cercano Cristo con sincerità e desiderio, io sento che “siamo un solo pane in Lui” e credo che tanto più siamo cristiani, quanto più uniti; anzi, condizione indispensabile» per considerarsi tali. «Ne vengono di conseguenza il rispetto scambievole, il “prevenirci con l’onore”, ecc. Non saprei dunque non aderire dal profondo dell’anima a qualsiasi sincero desiderio e sforzo per raggiungere una maggiore unione fra i cristiani» e – aggiungiamo noi – fra tutti i credenti. Possiamo considerare sintesi della spiritualità della Minore l’ancoraggio a Cristo espresso con questo pensiero: «Vedere Cristo! È l’anelito più bruciante del cuore. Oh! Gesù, il tuo volto ch’io venero nascosto sotto le specie del Pane, fa’ che un giorno, rimosso il velo, possa contemplare liberamente in cielo. Questa visione di Gesù, del suo tipo unico, della sua Innocenza e Passione, io la ricerco di continuo, la ricercherò fino all’estremo, lungo il cammino della purificazione. La cerco sotto il velo del Pane, in memoria sua. La cerco sotto il velo del Vangelo, ove raggi di luce rapiscono l’anima fuori della prigione; e oscurità pesanti la rendono oscillante e incerta. La cerco sotto il velo dell’Innocenza, nei pargoli. 26
Sotto il velo della Passione, nei patimenti e nella abnegazione dei fratelli. La cerco sotto il velo della Natura Madre: il grano, la vite, gli olivi, il monte, il mare, i gigli, gli uccelli, l’agnello, la pietra, il legno, le spine: ogni creatura è come segnata dall’impronta sua... rivela quasi un raggio della sua bellezza invisibile».
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Viale d’ingresso. Sullo sfondo l’Eremo.
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Uno sguardo d’insieme: silenzio, sacrificio, agape
Ci sembra utile offrire in sintesi gli insegnamenti-base di Sorella Maria, che ruotano intorno ai classici poli dell’interiorità e della missione. Quanto all’interiorità, ella considerava la preghiera come «approdo dell’anima nella regione dell’Amore». In merito alla missione, scriveva: «Mentre con il corpo siamo qui nell’Eremo, con il cuore si deve andare sino ai confini del mondo». La spiritualità dell’Eremo da lei fondato gravita intorno a tre poli: silenzio, sacrificio (come “sacrum facere”, conferire – e riconoscere – sacralità), agape. 1. Silenzio. Il silenzio è via alla conoscenza di sé, alla guarigione interiore, alla comunione con Dio. Approfondiamo questo triplice aspetto: - stabilirsi nel silenzio è come far sedimentare il mondo interiore: l’anima si fa trasparente e pura e le negatività possono manifestarsi ed essere spazzate via; - il silenzio è guaritore, perché ci consente di svelenire l’anima dagli attaccamenti sbagliati, dalla sensualità, dai risentimenti; - il silenzio ci consente di ripartire da zero, offrendoci all’azione divina che ci ri-crea con le due mani del Verbo e dello Spirito, e quindi ci fa penetrare nel mistero della Trinità. Ogni pensiero-sentimento che non è Dio o non conduce a Dio durante la preghiera... è come se chiudessimo la porta in faccia al Signore che bussa alla porta del cuore. 29
2. Sacrificio/sacrum facere. Sacrificio inteso come manifestare o restituire sacralità, implica che tutto in noi e fuori di noi (persone, avvenimenti, cose) rivesta uno spessore sacro. Ciò comporta spesso sacrificio, nel senso che chiede purezza di intenzioni, distacco dal proprio egocentrismo, accettazione delle diversità e delle avversità, umiltà. Ripensiamo, raccogliendoci in preghiera, a tutto ciò che riguarda la nostra persona (il suo presente, la sua storia, il suo corpo, il lavoro, le condizioni di salute, la gioia, il dolore, la morte, la vita di fede, ecc.), i rapporti con gli altri (l’amore, l’amicizia, ecc.), gli avvenimenti che segnano la nostra esistenza, tristi o lieti, e infine le cose: il creato, i beni di cui disponiamo, gli alimenti, ecc. Ripensiamo a quest’insieme di realtà alla luce del sacrum facere. Sorella Maria ravvisava in esso «l’essenza della religione» e ne coglieva nella Messa l’aspetto qualificante sotto il profilo cristiano. Qui sta l’essenza della «Messa senza fine: la Messa divenuta vita della nostra vita». Tutto infatti si trasforma in oblazione a Dio; tutto viene “transustanziato” in lui. 3. Agape. È il termine greco che indica l’amore oblativo, di pura benevolenza; l’amore che si fa dono, perdono, abbandono. Poniamoci sotto il diretto irraggiamento dell’amore, per radicarci nella carità e bruciare nella carità tutto quanto fosse di segno contrario. «L’agape è il punto centrale della nostra disciplina religiosa. Dobbiamo giungere a essere un cuore solo per l’amore e la comune passione… Questo dovrebbe essere l’ufficio dell’agape. Che cosa c’è di più sacro che prendere il pane insieme… Che cristiani siamo se non abbiamo il senso dell’agape?». L’agape si costruisce attraverso una rigorosa disciplina e approda alla pace. «Comunione, pace, metanoia: 30
sono tre grandi cose sante cui aderiamo e per cui siamo riunite; ne siamo coscienti? Sono necessarie per giungere al Regno di Dio e al Regno dei Cieli in cui ci ritroveremo». «Il Regno dei Cieli! Il Cielo! Bisogna giungere a creare il Cielo attorno a noi! Bisogna a ogni costo seminare la gioia, giungere a rasserenare, a offrire la pace! Questo è sollevare il velo che ci nasconde la realtà celeste! Questo è essere già creatura del Cielo! Il Regno, dobbiamo camminare ogni giorno, ogni giorno... e volerlo raggiungere fino dalla terra, perché se non lo realizziamo intra nos, non potremo sperare di entrare nel Regno dei Cieli... Dobbiamo realizzare il Regno in una sconfinata comunione». «La pietà del cuore è alimentata in noi dal desiderio di riparare umilmente, se in qualcosa abbiamo recato pena o turbato la pace; di scusare sempre, di compatire sempre chi cade, di mettere la goccia d’olio sul bruciore di una irritazione». «Questa è la nostra penitenza: del vegliare di continuo su noi. Ogni sforzo che compiamo su noi, dentro di noi, si ripercuote non solo intorno a noi, ma lontano lontano lontano. Un atto di amore regge il mondo».
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La chiesina dell’Eremo.
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Il silenzio e la parola
Il silenzio non è il tacere, ma il riordinamento di sé stessi in modo da poter dominare qualsiasi espressione del proprio essere, mentale o emozionale che sia. La sua radice è quindi la pacificazione del sentire e del pensare. «Il silenzio: guardiano del mio animo». «Da dove cominciare per correggere noi stessi? Dal silenzio, mi risponde la voce interiore più profonda. Vi è un silenzio che dobbiamo a ogni costo creare in noi; silenzio d’ogni pensiero di amarezza verso altrui e verso noi stessi. L’amarezza è un veleno. Poco alla volta ci intossica, ci toglie la vita, ci raggomitola, c’immiserisce». «Ve ne supplico, e vorrei mettermi in ginocchio dinanzi a ognuna di voi: sappiate vincere la vostra amarezza interiore, sia quella che viene da un sentimento verso altrui, sia quella che viene dallo scoramento di noi stessi. Bisogna a ogni costo creare in noi questo silenzio». «Se sapremo giungere a dire: “Eccola nella pace tutta la mia amarezza” (Cantico di Ezechia: Is 38,17), dal silenzio interiore giungeremo a quel sacramento che è il silenzio esteriore dell’Eremo. Silenzio d’ogni parola inutile, contraddicente, senza sale, senza rispetto, senza amabilità, senza limpidezza assoluta». 37
«Silenzio nel tempo e nei luoghi stabiliti, per venerazione verso l’Eremo, per custodire il fuoco sacro del raccoglimento e della pace, per temprare il nostro carattere che ha tale bisogno d’una disciplina ferma e leale». «La virtù del silenzio ci insegna a tacere e ci insegna a parlare. Accresce i pensieri meditativi. Con il tono sommesso si serve alla pace. Aiuta a risparmiare il tempo. Gesù ha detto: “Sia il vostro parlare sì sì, no no”…». «Bisogna giungere a essere quelle che dobbiamo essere. Ogni disattenzione o negligenza, o sciocchezza, o disordine diminuiscono il nostro vigore spirituale e c’impediscono di creare in noi e attorno a noi quello spirito religioso che è lo scopo per cui stiamo insieme». «Occorre che in tutte entri il concetto che il silenzio è uno dei doveri che abbiamo accettato: impegno assolutamente grave da cui dipende la nostra giornata, la nostra vita religiosa, la formazione del nostro carattere, il fuoco sacro che dobbiamo custodire. Senza silenzio l’Eremo non potrebbe sussistere, né dare la pace vicino e lontano». «Per alcune invece il silenzio è qualcosa di più o meno facoltativo. Si vorrebbe giungervi, ma il coraggio manca, e le occasioni esteriori sembrano un impedimento. Ciò non è giusto né leale, ed è tempo che ci riformiamo a questo riguardo. Pure ognuno di noi ha, se non volontà risoluta, almeno un filo di buona volontà. Mettiamolo oggi in grembo a Maria, e chiediamole di renderlo tenace, resistente». «Via, via, via le parole inutili, senza sale, senza grazia, senza tono minore, senza rispetto. Via, via, via quella 38
deplorevole abitudine di adoperare venti parole quando due sono sufficienti; e di parlare non a bassa voce per le scale, i corridoi, ecc. ». «Via, via, via tutto ciò che è vecchio, insulso, indegno della santità di vita cui siamo state chiamate». «La nostra disciplina è come una corazza, ci corrobora e ci custodisce. E il silenzio, punto essenziale della nostra disciplina, ci deve essere guardiano: ossia dominarci e vegliarci». «Solo se rivestiamo la corazza potremo resistere alle insidie; e solo il silenzio ci insegnerà a rivestire la corazza». «In modo speciale l’ora del silenzio che precede il tramonto, vi dobbiamo singolarmente tenere, creature mie: è vespero e compieta; è ricordo e preparazione all’eucaristia; è un raccogliere il frutto del declinare del giorno, mentre andiamo al nuovo giorno». «Dall’ora del silenzio che precede il tramonto dipende la preghiera comune, dipende l’agape, dipende la veglia che pur deve avere la sua nota sacra. Dipende il riposo della notte, in cui possiamo ricevere benedizione e lezione attraverso il sonno. Dipende il nostro risveglio. Dipende il primo saluto a Maria, e il saluto alla Croce, dipende la particella di Pane celeste che dovremo mendicare vicino all’Altare, dipende il compito quotidiano e il nostro servizio d’amore alla vita e verso ogni essere vivente». «Il silenzio è un nostro grande mezzo di custodire il “fuoco sacro”..., forza vivificante che prepara la paro39
la, la preghiera... Più saremo silenziose e solitarie, più il pane di vita ci nutrirà, e ciò crescerà la fame di Lui». «Quando considero cosa sia la grazia del silenzio, è come se il Cielo si avvicinasse, perché nel silenzio comunichiamo col Cielo, con Dio, con le memorie sante. Di quanto ci priviamo nel molto parlare! Un luogo dove, in alcune ore, ci sia questo, è già oltre la terra». «Parlare con Dio è la vita, per me è la vita naturale». «Il silenzio fra noi è aiuto; ma non basta se non giungiamo alla virtù del silenzio. Bisogna giungere a tranquillare lo spirito, i movimenti, la notte, il giorno... Lo sforzo per tranquillare noi stesse è un sacrum facere... Coltivare la pianticella del silenzio nelle parole, nel tono, nella brevità, e nella quiete dei movimenti». «Il chiudersi nel silenzio è un momento grave. Stamani nel corridoio, accoglievo in me fino alle radici del mio essere questa virtù del silenzio; cosa unica nel mondo, dove si parla per il lavoro, per il bene, l’apostolato, che dovrebbe essere preparato col silenzio. Noi che abbiamo il privilegio di non dover servire con le parole prima delle 9, come dovremmo essere grate! ... Un luogo ove si può raccogliere la voce del silenzio ... racchiude la benedizione del cielo, della terra e degli abissi». «Il silenzio è una realtà sacra dell’universo. Si deve osservare sia nelle ore stabilite, sia con l’astenerci da parole tristi, parole inutili». «È sempre inutile chiacchierare, è sempre utile pregare ... Prima forma del nostro rito religioso è il silenzio». 40
«La disciplina liturgica, pur così vivificante, e lo stesso sacrum facere che prepara la nostra purificazione e l’armonia attorno, non avrebbero significato senza il carisma del silenzio ch’io raccomando oltre tutto all’anima mia e a voi». «Il silenzio non è la taciturnità, ma l’imparare a parlare, imparando da tutti, anche dai peccati ... Se non siamo preparate dal silenzio, come potremo essere pronte a dire la parola temperata, opportuna, che serve alla pace?». «...Anche una parola può uccidere! Vigiliamo perché una nostra parola non tolga pace, non dia cattivo esempio, non tolga fiducia». «San Saba era un monaco, abate di un antico convento; era nota la sua dolcezza con cui calmava gli animi. Con una parola si può pacificare un cuore, si può sostentare, edificare, consolare; ma con una parola possiamo anche turbare, ferire, distruggere un qualcosa ... Se pensassimo all’uso delle nostre parole, quanto da correggere!». «L’attenzione a rispondere bene quando siamo interrogate è un atto religioso, biblico». «Prima di dire una parola bisogna essere sicuri che questa parola vive dentro di noi». «Impariamo la esattezza scrupolosa nelle nostre parole, l’attenzione a non diminuire, a non esagerare, perché diminuendo o esagerando si cade facilmente nell’ingiustizia». 41
«“Et Verbum caro factum est”. Il Verbo, cioè la parola, si è fatta carne, cioè vita. Ogni giorno all’Angelus ripetiamo questa verità del Cielo e dell’abisso. Oh! se ognuna di noi volesse comprendere il suo debito verso la parola e sentirsene responsabile! La parola imprudente, stolta, dura, fredda, “getta costernazione”, dice la Bibbia. La parola umile, chiara, leale, rispettosa, fraterna, accresce la vita. Ne siamo convinte? Ricordo il proverbio indiano: “Chi vuole giungere alla virtù del silenzio, si guardi allo specchio della parola”». «La taciturnità: il sapere tacere a tempo, adoperare meno parole. Il Poverello chiama il rumore, insolente. ... Per amore di taciturnità si devono a volte tacere anche parole buone. Ma la taciturnità non deve essere un muro; quel che può servire, aiutare, si deve dire, ma con brevità di parole». «Mi ricordo sempre della vita del beato Pier Pettinaio, come lo chiama Dante (Purgatorio, XIII,127-128), un terziario francescano che vendeva pettini. Questi aveva voluto correggere se stesso dall’abitudine, così comune in tutti, del troppo parlare, dell’adoperare troppe parole per dire qualche cosa di necessario, di utile; e dice egli stesso di avere impegnato quattordici anni in questo sforzo dell’abituarsi a tacere e a parlare convenientemente. Ora, se un uomo amabile, pio, ha impiegato quattordici anni per cercar di vincere in se stesso il difetto di parola, quanto più non dovremo impiegare noi, e quanta maggior forza! Ma non dobbiamo scoraggiarci. È giusto che ci affatichiamo per giungere a possedere un tale bene quale è la virtù, la forza. ... A ogni virtù, a 42
ogni forza, è congiunto un bene proprio di questa stessa virtù. Per esempio, se consideriamo la virtù del silenzio, oh come comprendiamo che è congiunto a questa virtù, a questa forza, una specie di bene, forse uno dei maggiori beni che siano al mondo, perché è il bene che ci dà maggior dominio su noi stessi». «Chi non vuole affaticarsi per imparare a tacere, per imparare a parlare, con l’andare degli anni, con l’indebolirsi della sua mente, il suo difetto di parola cresce, diventa fastidioso per gli altri». «Voglio benedire il tuo proposito, che è pure il mio: imparare a tacere, perché se non altro è un’arma disarmante, come tu dici deliziosamente, ed è comunque, oltre tutto, un preparare la pace e un preparare la parola, o almeno un approfondirne la responsabilità sacra e terribile». «Se ci proporremo di non turbare con la parola, un moto scomposto, una durezza, sarà segno che il Cristo ci domina. Chiediamo a Maria l’aiuto per non turbare». «Non basta conservare quiete interiore; avere turbato è mancanza più grave che turbarci interiormente». «“Turbamento e pace” (Sal 6): c’è tutta la vicenda umana. Consideriamo il turbamento interiore... è l’abisso. Dipende da noi in parte dare alleviamento col nostro silenzio, con una preghiera, perché il turbamento di chi ci è vicino passi a noi, il nostro fardello non ne sarebbe aggravato, vorremmo vivere e benedire la vita solo per questo». 43
Indice
Ringraziamenti
7
Introduzione Un punto di vista femminile e laico su Sorella Maria e le Allodole Adriana Giussani
9
Premessa
17
“Noi preghiamo...”
23
Uno sguardo d’insieme: silenzio, sacrificio, agape
29
Una lettura meditativa
33
Il silenzio e la parola
37
La solitudine
45
Il raccoglimento
47
La preparazione alla preghiera
51
La preghiera
53
La contemplazione all’aperto
63
Il segno della croce
65
Il Padre nostro
67
La liturgia
69
La messa
71
Il sacramento eucaristico
75
I sacramenti
79 139
La salmodia
81
Il rosario
83
Il Lucernario
85
La preghiera di intercessione
89
Una testimonianza - Ermes Ronchi
89
Preghiere
93
L’Addio di Sorella Maria
105
Ricordo di Sorella Maria composto alla sua morte dalla
Comunità
107
Appendice
111
1. “Caste puelle” - Mario Sensi
113
2. Evitare o frequentare? - Antonio Gentili
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Proselitismo protestantico?
122
Il rapporto con Buonaiuti
127
3. Esperienze dell’Eremo - Adriana Giussani
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Santità al femminile
130
Un’attesa lunga... un anno!
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Meditazioni cristocosmiche - piano della Collana Luciano Mazzoni Benoni, Meditare con Pierre Teilhard de Chardin verso il Cristo piÚ grande Luciano Mazzoni Benoni, Meditare con Raimon Panikkar. Come presi per mano Luciano Mazzoni Benoni, Il corpo liberato. Meditare con le energie femminili Antonio Gentili (a cura di), Pregare con Sorella Maria *** Antonio Gentili (a cura di), Liturgia cosmica. Creature elementi colori celebrano l’eucarestia con le parole di Teilhard de Chardin * * * In preparazione - Meditare con... Efrem il Siro Origene Hildegard von Bingen Rudolf Steiner Henri Le Saux e altri Per contattare il Curatore: luciano.mazzoni@digilan.it
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