Giuseppe Zanardini, Dio parla nella selva

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1. nella collina degli indios

Il grande sciamano Nyben era irrequieto e i fulmini creavano un’atmosfera di incertezza; gli indigeni stavano aspettando un temporale con piogge abbondanti che dissetassero la foresta, colpita da una grave siccità. I ruscelli e le sorgenti delle montagne si stavano prosciugando e gli abitanti del villaggio dovevano approvvigionarsi di acqua in un fiume più grande, a due ore di distanza. Nyben e i suoi sciamani ausiliari avevano eseguito pratiche specifiche per attirare la pioggia attraverso rituali compiuti lontano dal villaggio, in luoghi segreti nella foresta in modo che nessuno potesse assistere. Quel giorno Nyben si era svegliato sopraffatto da un cupo presagio causato da un sogno; il fuoco nella sua capanna era inspiegabilmente spento, nonostante gli abbondanti pezzi del legno curupay che la sera aveva messo sul focolare. Con pazienza lo accese di nuovo, mise il bollitore, mescolò la yerba mate con foglie di moringa e al fischio del bollitore si sedette sul suo apyka, uno sgabello di legno dal profondo significato culturale. Lentamente versò l’acqua nella guampa godendosi il caldo mate. Nyben aveva tre mogli e numerosi figli e figlie che vivevano nel villaggio; lui, essendo uno sciamano, conduceva una vita austera e isolata, in una piccola capanna di legno che si era costruito in mezzo agli alti alberi della giungla. Si trovava nei pressi di un minuscolo ruscello di acqua cristallina che sgorgava da una grotta di pietre decorate con incisioni rupestri e disegni, realizzati dai primi abitanti di almeno seimila anni fa. Queste grotte, numerose nelle colline della regione, erano state rifugi e abitazioni per le popolazioni emigrate dall’Asia decine di migliaia di anni fa. 15


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