P refazione di Giuseppe Antonio Rubio
Giuseppe Zanardini, come antropologo, si interessa della cultura e di tutto ciò che riguarda la convivenza e la struttura della società; ma il suo interesse non è tanto per la cultura delle élite o dei media, quanto per la cultura che nasce dall’osservazione della vita e degli avvenimenti. La vita gli ha insegnato che l’indigeno “arandú” (saggio), personificato nello sciamano Nyben, è un essere reale che sa scoprire, “nel sussurro delle foglie della foresta, nel volo e nel canto degli uccelli”, il senso della vita e la ragione della propria esistenza. Questa concezione dell’antropologia, come osservazione permanente della natura al servizio degli interessi e dell’organizzazione di una comunità, è fondamentale per la comprensione del romanzo. Raul, con il passare del tempo, si è così immerso nell’ambiente ecologico e sociologico che lo circonda, che vede la necessità intellettuale e religiosa di ripensare le sue convinzioni e i suoi modi di intendere la propria identità. Raul è un esempio di onestà intellettuale che contrasta con tutto ciò che siamo spesso abituati a vedere e sperimentare. Questo libro va letto prendendo come riferimento tutti gli scritti precedenti di Giuseppe Zanardini. È ciò che, nella linguistica moderna, è noto come “intertestualità” e che Julia Kristeva1 così descrive brevemente: “Tutto il testo è l’assorbimento o la trasformazione di altri testi”. Non possiamo dimenticare che, quando parliamo o scriviamo, ci riferiamo ad altri testi. Penso che questo romanzo sia un riassunto di 1
Kristeva J. (1969), Semeiotiké. Ricerche per una semanalisi, Feltrinelli, Milano 1978, p. 109.
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