il paesaggio dell’uomo MALGHE, ALPEGGI E ZOOTECNIA DA PROBLEMA ECOLOGICO A RISORSA Un progetto per Bagolino
il paesaggio dell’uomo MALGHE, ALPEGGI E ZOOTECNIA DA PROBLEMA ECOLOGICO A RISORSA Un progetto per Bagolino
FEASR - Programma di Sviluppo Rurale 2007-2013 Regolamento (CE) 1698/2005 Asse IV – Misura 421 Progetto di cooperazione transnazionale: LANDSARE / Landscape ARchitecture in European Rural Areas: a new approach to the local development design referente per GAL GardaValsabbia: arch. Laura Brugnolli Progetto grafico di Laura Brugnolli. In copertina “Bagolino” ottobre 2013
GAL-GARDAVALSABBIA scrl Via Brunati 9 | 25087 Salò (BS) | Italy www.gal-gardavalsabbia.it
La ricerca affronta nuovi scenari per la trasformazione e futura valorizzazione dell’agricoltura di montagna, focalizzandosi sul caso specifico del Comune di Bagolino. Un paesaggio costruito dall’uomo che necessita di nuove visioni strategiche e di ritrovare l’equilibrio con la natura.
INTRODUZIONE agricoltura di montagna e paesaggio
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Il presente documento intende individuare dinamiche e criticità per offrire proposte progettuali per lo sviluppo delle attività economiche legate al paesaggio alpino e per la valorizzazione e la salvaguardia del paesaggio, sia come obiettivo finale del progetto sia come reale promozione di azioni di strategia territoriale. In quest’ottica ambiente, paesaggio e produzione necessariamente trovano convergenza in una linea strategica territoriale che prevede ricadute progettuali specifiche. In particolare questo documento affronta il tema della produzione lattiero - casearia in alpeggio come elemento di sviluppo economico di un territorio montano basato sul legame inscindibile tra qualità del prodotto e qualità del paesaggio di produzione. La soluzione progettuale qui proposta intende essere risoluzione delle problematiche riscontrate, soprattutto di tipo ambientale e di rispetto delle normative. Questa esperienza che si vuole costruire intende anche creare rete con iniziative analoghe già in corso volte a valorizzare l’approccio associativo e collaborativo a sostegno dell’agricoltura di montagna. La zona di progetto è l’Alta Valle Sabbia e in particolare il territorio di Bagolino, che ha una lunga tradizione nell’allevamento legato alla produzione di latte e soprattutto di formaggio. L’attuale attività zootecnica nel Comune di Bagolino coinvolge circa 50 famiglie e circa il 97% dei produttori locali è raccolto nella cooperativa Valle di Bagolino, unica cooperativa che produce il formaggio Bagoss, formaggio di montagna tipico di Bagolino, la cui provenienza è, appunto, certificata dalla cooperativa. È prodotto secondo metodi tradizionali praticati da secoli, con le mandrie che in estate lasciano le consuete stalle per andare in alpeggio. Il formaggio Bagoss viene prodotto secondo un disciplinare di produzione ed è presidio Slow Food.
bovini
per la produzione di latte
ettari di prato dato estrapolato da interviste aziendali
famiglie occupate nelle aziende zootecniche locali
MALGHE
sul territorio del Comune di Bagolino
KMQ DI TERRITORIO porzione di territorio che comprende l’85% delle stalle
COOPERATIVA VALLE DI BAGOLINO con il 97% dei produttori locali
presidio slow food il formaggio Bagoss
OBIETTIVI nuove prospettive e metodologie
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L’obiettivo del progetto è dare nuova prospettiva all’agricoltura di montagna, riuscendo a trasformare l’attuale produzione in un ciclo virtuoso in cui le problematiche, soprattutto di tipo ambientale e paesaggistico legate alla produzione, divengono occasione importante di sviluppo. In particolare si intende evidenziare l’insicindibile legame tra il paesaggio montano e l’attività agro silvo pastorale dell’uomo. Il progetto si fonda infatti sulla convinzione che la qualità del territorio e del paesaggio siano obiettivi fondamentali che possono essere raggiunti grazie all’innovazione tecnologica a supporto delle attività presenti sul territorio stesso. Le attività produttive legate al reale “sfruttamento” del territorio, come le attività agro silvo pastorali, contribuiscono al mantenimento del paesaggio alpino e prealpino caratterizzato dalla presenza di pascoli e prati a loro servizio. Promuovere e mantenere l’attività zootecnica consentirà di salvaguardare il paesaggio ad essa correlata, contrastando le tendenze in atto, riscontrate
anche nella pianificazione ai correlate alla struttura del vari livelli (Regionale, Provinlago, che per cause dovute ciale e di Comunità Montana), ad azioni antropiche (eccome l’avanzamento del cessiva presenza di nutrienti bosco a danno di aree un nelle acque), con particolare tempo destinate a prato e riferimento alle attività indupascolo e la flessione delle striali e agricole nei dintorni attività agro-silvo-pastorali del lago. che stanno vivendo un moUna corretta gestione dell’atmento di forte crisi, in partico- tività zootecnica, in rispetto lare il settore dell’alpicoltura. alla Direttiva Nitrati, e con Ulteriore obiettivo è quello attenzione particolare anche di legare il mantenimento alla presenza dell’azoto e del delle attività silvo pastorali fosforo, può senza dubbio in montagna al generale agevolare il processo di “rigemiglioramento della quanerazione” del lago. A questo lità ambientale, facendo proposito, si farà riferimento riferimento soprattutto allo alle Indagini Ecologiche sul stato delle acque ma anche Lago d’Idro svolte all’interal generale mantenimento di particolari habitat imprescindibilmente legati alle attività dell’uomo in montagna. considerata nella Direttiva Nitrati Il
dalla
SINGOLA AZIENDA al
SISTEMA TERRITORIALE considerato in questo progetto
progetto pone particolare attenzione allo stato delle acque. In particolare, il Lago d’Idro versa da anni in una situazione critica, sia per cause strettamente
no del Progetto Europeo Silmas (“Sustainable Instruments for Lake Management in the Alpine Space”), che in due anni di ricerca hanno
delinato un quadro chiaro e completo relativo allo stato di qualità del lago e ha indicato quali azioni porre in essere per consentire il miglioramento della qualità delle acque e dell’ecosistema lacustre. Le indagine condotte hanno consentito di rilevare l’influenza delle pressioni locali sullo stato di salute del lago, soprattutto nei carichi di azoto e fosforo che provengono dai corsi d’acqua che si riversano nel lago (fiume Chiese e torrente Caffaro in particolare). I torrenti che scorrono nel Comune di Bagolino e che sono sinergici all’attività zootecnica sopra descritta, confluiscono proprio (direttamente o indirettamente) nel Lago d’Idro. La rispondenza alla Direttiva
Nitrati da parte delle aziende non si configura più solo come la possibilità di continuare l’attività economica, ma di iniziare azioni mirate per la risoluzione del problema ambientale legato al lago. In particolare, sono stati indicati come indispensabili approfondimenti specifici, per definire alcune “misure a breve termine”, come uno studio di appronfondimento sui carichi esterni di fosforo e azoto, che provengono in larga parte dal fiume Chiese, ma anche dal torrente Caffaro, per poter così prevedere eventuali interventi di abbattimento di fosforo e azoto. Con le nuove norme comunitarie in materia di ambiente, in particolare la direttiva comunitaria 91/676/
CEE, denominata “direttiva Nitrati”, viene limitato lo spargimento dei reflui zootecnici e ne viene regolamentata l’utilizzazione agronomica. Questa norma è il riferimento normativo a livello comunitario per la protezione delle acque e del suolo dall’inquinamento causato dai nitrati provenienti da fonti agricole. Tale normativa, recepita dalla successiva normativa italiana tramite il decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152 e il decreto ministeriale 7 aprile 2006, impone l’individuazione di “Zone Vulnerabili da Nitrati di origine agricola” (ZVN), nelle quali è introdotto il divieto di spargimento dei reflui degli allevamenti oltre un limite massimo annuo di 170 kg di azoto per ettaro,
per limitare l’inquinamento di suolo e soprattutto delle acque. L’Alta Valle Sabbia, ed in particolare il Comune di Bagolino, non rientra tutt’oggi nelle aree a rischio, ma bisogna tenere conto che la mappatura delle Zone Vulnerabili è in corso di aggiornamento. Inoltre, la maggior parte delle aziende zootecniche sul territorio non rientrano in tale indirizzo normativo, poichè di piccole dimensioni. Nel caso di studio il rispetto della Direttiva Nitrati rappresenta un potenziale futuro rischio per il mantenimento dell’attività agricola di montagna e non una pressione odierna. Questo progetto intende affrontare l’attività zootecnica nel suo insieme, non considerandola solamente come una serie di singoli elementi (le singole aziende) ma come un unico grande fattore economico-territoriale, come importante tassello identitario del paesaggio alpino e come elemento che non solo insiste su un territorio (e su un paesaggio), ma che ne è stato elemento modificatore e in certi aspetti creatore. Questo progetto infatti si basa sulla convinzione che il
paesaggio è un corpo vivo che si evolve nel tempo, la cui attuale configurazione è il risultato dell’ ambiente naturale e della società e che in questo senso bisogna guidare un cambiamento sostenibile (energetico, ecologico, sociale) e assumere la sostenibilità come criterio per le trasformazioni future. In questo senso è indispensabile un approccio multidisciplinare, che vede il progetto come azione collettiva, e un approccio transcalare, in grado di considerare le diverse scale del paesaggio e di analizzare i diversi rapporti tra esse. Nel progetto saranno sempre in primo piano i valori sociali, letti come fattori di impostazione del progetto e come esigenze emergenti. A questo proposito, si inverte il senso della Direttiva Nitrati. Non si tratta di valutare la situazione della singola azienda, ma di fotografare la
situazione territoriale, per trovare soluzioni comuni e soprattutto riproducibili. Questo approccio trova una sua coerenza con la realtà dell’attività agricola di montagna, solitamente costituita da tante piccole aziende, radicate sul territorio, e non dalle grandi realtà, tipiche invece della pianura. Piccole aziende che, da sole, difficilmente riescono ad innovarsi secondo una strategia complessiva. La Direttiva Nitrati in
PAESAGGIO COME CORPO VIVO che si evolve nel tempo
CAMBIAMENTO SOSTENIBILE
APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE APPROCCIO TRANSCALARE queVALORI SOCIALI sto senso non tiene conto della differenza tra l’agricoltura intensiva “di pianura” e quella
tradizionale “di montagna”. Questo progetto diventa occasione per una riflessione di carattere più ampio, che include non solo aspetti paesaggistici ed ecologici ma anche occupazionali e produttivi. Infatti il progetto mira ad uno sviluppo economico inscindibile da una innovativa ed ecologicamente sostenibile gestione dell’ambiente e del territorio, considerando le risorse ambientali il punto di forza delle aree rurali e montane, dalle quali avviare processi di sviluppo. Il progetto che si intende avviare si propone di concorrere al miglioramento delle condizioni del comparto agro-zootecnico, progettando e applicando modelli di gestione e sviluppo multifunzionale delle aziende a vocazione zootecnica.
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UN PROGETTO PILOTA la replicabilitĂ del progetto nelle alpi e in europa
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Il tema della connessione tra agricoltura di montagna e paesaggio non si restringe al solo territorio di studio, bensì l’agricoltura riveste ancora una funzione importante e soprattutto identitaria del territorio delle Alpi. Ne è testimonianza la Convenzione delle Alpi, convenzione internazionale intesa a realizzare la protezione e lo sviluppo sostenibile dell’arco alpino. La Convenzione delle Alpi, firmata a Salisburgo il 7 novembre 1991 da Austria, Francia, Germania, Italia, Svizzera, Liechtenstein e UE e successivamente da Slovenia e Principato di Monaco, ha come obiettivo di creare e garantire una politica comune per l’Arco alpino, visto come un territorio sensibile e portatore di valore e di qualità, le cui dinamiche e complessità non corrispondono con le frontiere degli Stati nazionali, necessitando invece di un’azione coordinata degli interventi. I campi entro i quali sono previste misure specifiche vanno dalla pianificazione territoriale all’energia, e attenzione è posta anche all’agricoltura di montagna, alla quale è dedi-
cato uno specifico “Protocollo di attuazione” della Convenzione delle Alpi. Infatti, sull’intero arco alpino i paesaggi colturali che possono intendersi come “tradizionali” sono ormai sempre più rari e “l’interesse della società per conservare e ricostituire questi spazi vitali cresce costantemente. Non solo per motivi socio-culturali, ma anche per motivazioni economiche è in corso un ripensamento e una rivalutazione dell’utilizzo del territorio nelle aree di montagna. Per l’agricoltura di montagna in futuro sarà sempre più importante e necessario non assumere le strutture e le pratiche culturali delle aziende convenzionali di grande estensione, quanto piuttosto dedicarsi allo sviluppo e alla promozione di nicchie di produzione con elevati standard di qualità e marchi per prodotti e servizi che soddisfino i criteri della sostenibilità.” (dal sito di Cipra – osservatorio ufficiale della Convenzione delle Alpi http://www.cipra.org)
Il mantenimento e l’incentivazione della gestione economica del paesaggio rurale tradizionale e di un’agricoltura sostenibile (“adatta ai siti e compatibile con l’ambiente” dal Protocollo di attuazione della Convenzione delle Alpi nell’ambito dell’agricoltura di montagna”) è una responsabilità e un obiettivo comune a tutto il territorio alpino ed
lombardia
[Bagolino]
alpi
[Convenzione delle Alpi]
europa
[le Alpi come modello in Europa] europeo. Questo, in considerazione del significato che l’agricoltura di montagna ha sempre rivestito nello spazio alpino, dando un indispensabile contributo allo sviluppo economico come mezzo di sostenta-
mento fondamentale, ma anche come strumento per il mantenimento in futuro degli insediamenti montani, dell’approvvigionamento alimentare, delle produzioni tipiche di qualità e come importantissimo fattore per la conservazione e la cura del paesaggio rurale. “Le Alpi sono particolarmente indicate ad essere un modello in ambito europeo per una concezione regionale di un’economia sostenibile. Il concetto di sviluppo sostenibile si prefigge la costituzione di cicli economici ed ecologici equilibrati e ragionevoli, che rappresentano il nucleo di un’economia sostenibile. La regione alpina è quindi in un certo senso predestinata a svolgere un ruolo da battistrada nella direzione dello sviluppo sostenibile in Europa. A causa delle particolari condizioni naturali, gli errori di gestione in un’area ecologicamente sensibile come le Alpi hanno conseguenze più rapide e catastrofiche rispetto alle regioni di pianura. Sono quindi necessari interventi correttivi più tempestivi e una
prevenzione più accurata. Anche nell’elaborazione di una concezione convincente di economia sostenibile, le Alpi possono assumere un ruolo di primo piano. Le esperienze di modalità di un agire adeguato alla natura si sono conservate più a lungo sulle Alpi, per cui gli adattamenti necessari, nell’ottica di uno sviluppo sostenibile, possono spesso essere attuati più facilmente. Inoltre forme di gestione dell’economia adattate alla natura contribuiscono anche alla cura e alla conservazione del paesaggio culturale tradizionale. Un agire sostenibile significa qualcosa di diverso, secondo le condizioni delle diverse situazioni: regioni densamente abitate, aree rurali, località turistiche o aree di montagna disabitate. In questo senso uno sviluppo sostenibile si deve adeguare alle diverse condizioni naturali e culturali.” (dal sito di Cipra – osservatorio ufficiale della Convenzione delle Alpi - http://www.cipra. org) L’interesse a livello europeo al rilancio all’agricoltura di
montagna può trovare ampie giustificazioni in una prospettiva in grado di legare l’agricoltura di montagna al mantenimento della biodiversità ambientale e del paesaggio colturale, prendendo le distanze da soluzioni che prevedono azioni meramente economiche secondo logiche di scala che non sono proprie della montagna bensì delle aree di pianura in cui domina l’agricoltura intensiva. Una pratica comune sulle Alpi, quella dell’agricoltura di montagna, che affonda le sue origini nel Neolitico e che, ai nostri giorni, vede modelli di gestione differenti ma sempre improntati all’allevamento di bestiame secondo criteri di nomadismo verticale e, solo in casi particolari, orizzontale. Con l’espressione ‘nomadismo verticale’ si intende indicare quel tipo di nomadismo che utilizza le variazioni altimetriche per reperire i pascoli utili al bestiame allevato. Da qui, la colonizzazione delle Alpi procedette su due livelli: in basso con la costruzione dei nuclei abitativi rurali e in alto con la creazione e
lo sfruttamento delle ampie e fertili praterie naturali. Un’attività che rimase sempre di sussistenza alle popolazioni che vivevano in montagna e che non conobbe mai un vero e proprio sviluppo, ma che vide una diffusione enorme in tutta la zona alpina. Un’attività che ha trasformato il paesaggio alpino: ampi spazi ricoperti da foreste spontanee sono stati trasformati in prati, pascoli alberati e campi, nonchè in boschi coltivati. Un paesaggio che,
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come verrà spiegato nei capitoli successivi, si modificava rispetto alle esigenze produttive e di sussistenza e sviluppo delle popolazioni che vivevano sulle Alpi e che ha portato alle generazione di importanti paesaggi identitari in cui natura, agricoltura, paesaggio, società e cultura si intrecciano. “La storia economica e sociale delle diverse regioni alpini ha contribuito a produrre paesaggi in continua evoluzione, favorendo la
costruzione di micro-identità locali in continua trasformazione” (Annibale Salsa, atti del convegno “Agricoltura e paesaggio nell’arco alpino”). Il modello produttivo riscontrabile in tutto l’arco alpino prevede, dunque, un’articolazione in senso verticale e una produzione di tipo famigliare. I livelli che si possono individuare sono sostanzialmente tre:
Fondovalle e i versanti di altimetria inferiore luogo degli insediamenti permanenti, delle colture agrarie e dei prati a fieno, dove le famiglie risiedevano dall’autunno alla primavera, lavorando i campi, e dove erano situate le stalle.
Il maggengo un livello intermedio caratterizzato da insediamenti temporanei e dalla presenza di prati e pascoli. Qui la famiglia e il bestiame sostavano solo in primavera e in autunno per il tempo necessario alle operazioni di fienagione e di pascolamento e al consumo delle scorte di foraggio accumulate nell’anno precedente.
L’alpeggio o malga il livello più alto, dove il bestiame veniva condotto nella stagione estiva per utilizzare i pascoli di alta quota.
A questi livelli sono collegati spostamenti “in verticale” di intere famiglie, che seguivano il bestiame e la produzione ai vari livelli, e ogni livello è provvisto di strutture e infrastrutture di riparo e dimora per l’uomo e per il bestiame e di produzione. Un modello insediativo, di produzione e di trasformazione del territorio che vede oggi situazioni locali differenti, soprattutto legate al regime di proprietà di boschi, pascoli, malghe ed alpeggi che si
sono modificati nel tempo: vi sono regioni alpine in cui la maggior parte delle malghe è di proprietà pubblica (come nella Provincia di Trento) e, situazione più complessa, zone in cui la proprietà è frantumata in piccoli possedimenti privati (come appunto a Bagolino). Se il paesaggio agricolo alpino ha origini e struttura comune, oggi ci troviamo a registrare anche dinamiche comuni in tutto l’arco alpino e nell’intera Europa, come
il forte arretramento dell’agricoltura di montagna con effetti preoccupanti sul paesaggio, che corre il rischio di una banalizzante omologazione, o il fenomeno del rimboschimento delle aree un tempo destinate ai prati e ai pascoli. Un paesaggio creato dall’uomo che si sta nel tempo rinselvatichendo a ritmi sempre più veloci. Con il rischio per l’intera montagna alpina di perdere non solo l’appeal turistico, ma anche la sua biodiversità.
PAESAGGIO come corpo vivo in continua evoluzione
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La Convenzione Europea del Paesaggio adotta nell’articolo 1 alcune definizioni, tra cui quella di paesaggio: “Paesaggio” designa una determinata parte di territorio, cosi come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali c/o umani e dalle loro interrelazioni. In questa definizione si intersecano due tracce per identificare il paesaggio: • “Paesaggio” designa una determinata parte di territorio, cosi come è percepita dalle popolazioni” - secondo questa traccia bisogna indagare il modo in cui è percepito dalle popolazioni, rinviando al tema dell’immaginario collettivo, delle memoria visiva e dell’identità. • “Paesaggio” designa una determinata parte di territorio (…), il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali c/o umani e dalle loro interrelazioni” – secondo questa traccia
il paesaggio si configura anche e soprattutto secondo le attività umane e i fattori naturali che lo modellano. La nuova concezione di paesaggio introdotta nella Convenzione introduce l’aspetto antropico, ribaltando la concezione romantica legata al vedutismo e alle immagini da cartolina e considerando il paesaggio un tutt’uno in cui gli elementi che lo costituiscono vivono delle proprie interrelazioni. Il campo di applicazione viene esteso, non facendo distinzione tra i paesaggi definiti “eccezionali” rispetto ai paesaggi della “vita quotidiana” o “degradati”. «Essa comprende i paesaggi terrestri, le acque interne e marine. Concerne sia i paesaggi che possono essere considerati eccezio-
nali, sia i paesaggi della vita quotidiana sia i paesaggi degradati.» (art. 2). Tutto diventa paesaggio; l’interesse non è solo in direzione di qualità culturali, artificiali o naturali. Il modo di approcciare al paesaggio parte dalla conoscenza dei luoghi, del loro stato attuale e delle trasformazioni che si sono succedute e di quelle in atto; non si propone un atteggiamento di mera salvaguardia e difesa del paesaggio e delle sue peculiarità, ma si propone di guidare consapevolmente le trasformazioni nella direzioni di dare maggiore qualità al territorio e agli spazi del vivere. È il riconoscimento di un paesaggio che si trasforma, che è in divenire: si modifica in rela-
Paesaggio designa una determinata parte di territorio, cosi come percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dalla azione di fattori naturali e umani e dalle loro interrelazioni.
zione a diversi fattori, naturali ma soprattutto umani. Il paesaggio diventa un qualcosa di sensibile alle trasformazioni, non statico ma bensì dinamico, comportando così un’importanza sempre maggiore delle politiche di gestione continua nel tempo delle trasformazioni. Il tema dello sviluppo sostenibile diventa centrale dunque, insieme al tema della cooperazione internazionale e transfrontaliera «a livello locale e regionale, ricorrendo, se necessario, all’elaborazione e alla realizzazione di programmi comuni di valorizzazione del paesaggio» (dalla Convenzione Europea sul Paesaggio), incentivando la reciproca assistenza, lo scambio di informazioni, di esperienze e di attività di ricerca in materia di paesaggio. Il paesaggio di oggi è, dunque, anche il risultato delle attività dell’uomo che si sono succedute nei secoli ed è proprio per questo che qualsiasi intervento, anche e soprattutto sul paesaggio, non può essere fine a se stesso, ma necessariamente
deve essere sostenuto da attività economiche sul territorio che perdurano nel tempo. Non è possibile pensare di conservare e mantenere il paesaggio con semplici azioni di salvaguardia; tali azioni devono essere introdotte solo per gli aspetti significativi e di particolare pregio patrimoniale (con azioni sostanzialmente vincolistiche), ma quando si interviene su un sistema più complesso, fatto di relazioni e di differenti livelli, bisogna agire con strategie gestionali, correlate alle attività economiche che hanno generato quel paesaggio. Una problematica che negli ultimi decenni si sta riscontrando è l’abbandono dei paesaggi rurali di valore storico proprio per la scarsa convenienza economica delle attività produttive che vi insistono. Al contempo si segnala un sempre maggior interesse nei confronti del turismo rurale, che rappresenta un segmento in crescita e con interessanti opportunità di sviluppo. Il fattore su cui si fonda il turismo rurale sono forme di fruizione meno massificate e più attente ai valori
della natura, della cultura, dell’enogastronomia, della campagna in senso lato. Questi elementi che il turista attento ricerca nei territori che visita, che sono anche strutture del paesaggio, sono gli stessi sui quali si deve basare un’attenta progettazione e la generazione di strategie coerenti con lo sviluppo sostenibile del territorio. Il paesaggio dunque non deve essere un “museo all’aria aperta”, ma deve essere correlato alle attività economico-produttive del territorio, poiché il paesaggio stesso è il risultato dell’azione antropica dettata da esigenze di sostentamento e sviluppo. Non bisogna bloccare questa tendenza, ma indirizzarla verso uno sviluppo e una trasformazione consapevoli e sostenibili.
I LIVELLI DI PROGETTO i layer per la definizione del sistema territoriale
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Unità di Paesaggio individuazione dell’unità di paesaggio caratterizzanti il territorio di Bagolino in relazione alle attività legate al comparto zootecnico e all’alpicoltura. STALLA, ALPEGGIO, CONNESSIONI VERTICALI.
[Bagolino] Sistema degli Alpeggi e delle Malghe in rapporto alla Rete Natura 2000 come vetrino per la lettura della biodiversità e dei fenomeni in atto; LE MALGHE E GLI ALPEGGI GLI ALPEGGI E I PASCOLI NELLA RETE NATURA 2000
Sistema del bosco in rapporto alla Rete Natura 2000 come vetrino per la lettura della biodiversità e dei fenomeni in atto; L’AVANZAMENTO DEL BOSCO A DANNO DEL PASCOLO I BOSCHI NELLA RETE NATURA 2000
Sistema dell’Acqua
e del suo sfruttamento a fini economici ed energetici; RETE IDROGRAFICA SFRUTTAMENTO ENERGETICO LA TROTICOLTURA L’ACQUA MANIVA
UNITÀ DI PAESAGGIO il pascolo a bagolino
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L’attività zootecnica nel Comune di Bagolino è organizzata nel consueto sistema “alpino” verticale di relazioni tra le stalle e i pascoli, luogo di permanenza e produzione invernale, e le malghe e gli alpeggi (l’alpicoltura), meta della transumanza per il periodo estivo. La presenza dei pascoli, degli alpeggi e delle malghe è strettamente correlata al “benessere economico” delle attività zootecniche che li tengono in vita. Le stalle di fondovalle si
svuotano nel periodo primavera / estate, in cui tutte le vacche presenti nelle stalle a Bagolino vengono trasportate in alpeggio. Trascorrono in alpeggio circa 100 giorni l’anno. Il settore zootecnico attualmente risulta in forte crisi, ma, nonostante l’abbandono di tale attività, l’alpicoltura ha saputo reinventarsi, assumendo nuove funzioni che vanno oltre alla produzione alimentare (latte e formaggi), svolgendo un importante
ruolo ecologico e sociale, di valenza paesaggistica, biologica e protettiva. In “Alpeggi e Pascoli in Lombardia” si individua come “l’alpicoltura ha oggi assunto una molteplicità di funzioni di cui beneficia l’intera collettività. Pur rimanendo, infatti, un’attività economica, essa svolge un importante ruolo ecologico e sociale. Questa multivalenza si esprime attraverso quattro principali funzioni”:
1. Funzione produttiva / Nei sistemi zootecnici montani i pascoli forniscono un contributo insostituibile per l’alimentazione estiva del bestiame domestico, concorrendo ad abbattere i consumi energetici e i costi per la produzione di carne e latte. Il foraggio, molto nutritivo e ricco di aromi e profumi, consente la produzione di latticini tipici, dalle prerogative organolettiche inimitabili. 2. Funzione paesaggistica / L’alpicoltura mantiene aperto e ordinato lo spazio, contrastando l’avanzata della brughiera e del bosco. Ne derivano benefici in termini di fruibilità turistica, in virtù dell’aumento del valore estetico del paesaggio, della durata dell’innevamento utile ai fini sciistici e delle opportunità per attività escursionistico-ricretive estive, agevolate e promosse queste anche dalle strutture ricettive e dal richiamo esercitato da una realtà ricca di fascino come la malga. 3. Funzione biologica / L’attività pastorale amplia il mosaico delle specie e delle comunità che costituiscono il sistema vegetale alpino, favorendo anche la presenza di specie animali, in particolare dell’avifauna selvatica. Viene così garantita un’alta biodiversità, ossia un’elevata ricchezza di forme di vita. 4. Funzione di protezione dei versanti / Il manto erboso pascolato trattiene, meglio di una cotica indisturbata, la coltre nevosa, riducendo i rischi di slavine, sempre elevati su pendii scoscesi. La presenza dell’uomo permette inoltre un monitoraggio costante del territorio e la sua minuta e diffusa manutenzione attraverso gli interventi di buona pratica alpicolturale.
L’unità di paesaggio legata all’alpicoltura è un insieme complesso di strutture di paesaggio che dialogano tra loro a più livelli. Il livello del fondovalle è costituito dalla stalla (la sede dell’azienda zootecnica), dal nucleo rurale di fondovalle dove è posizionata (Bagolino) e dai pascoli di fondovalle. Il livello della montagna, invece, è costituito dalla malga e dai suoi annessi rurali (come abbeveratoi), dai prati di media e alta montagna. Il bosco è la matrice unificatoria di tutta l’unità di paesaggio: ne configura e ne caratterizza i bordi. I vari livelli sono collegati dal sistema della viabilità e dall’idrografia, che costituisce la connessione verticale “naturale” dell’unità di paesaggio. Questa unità è inoltre connaturata da “stagionalità”, seguendo i ritmi della normale configurazione dell’attività agricola di montagna, che nei mesi estivi si sposta dal fondovalle alla montagna.
CENTRO ABITATO RURALE
PASCOLI DI FONDOVALLE
STRADE CARRABILI di collegamento tra fondovalle e versanti
ALPEGGIO superficie a prato + arboratura puntuale interna + “bordo” (ecotono) (+ strutture/architetture legate alla permanenza estiva)
RETICOLO IDROGRAFICO sistema di connessione
l' unita di paesaggio [il pascolo e l’alepggio e le relazioni verticali]
IL SISTEMA DEGLI ALPEGGI E DELLE MALGHE le zone natura duemila come vetrino
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ZPS Parco Naturale Adamello
SIC Pascoli di Crocedomini Alta Val Caffaro
ZPS Val Grigna ZPS Val Caffaro
centro storico
ZPS Val Caffaro
espansione urbana pascoli e prati permanenti / alpeggi idrografia principale idrografia secondaria Lago d’Idro rete Natura 2000 (ZPS e SIC) malga confine Comune di Bagolino
LAGO d’IDRO
Gli alpeggi strutturano un esteso e complesso sistema territoriale, generati e plasmati dalle necessità pascolive nei secoli scorsi, e che oggi vedono affiancarsi alla loro primaria e fondamentale funzione produttiva, funzioni ambientali, paesaggistiche, turistiche, storicoculturali, etc.. “L’alpeggio è quindi un ambito territoriale ed economico con un grande punto di forza costituito dalla sua multifunzionalità, sebbene la sua sopravvivenza dipenda proprio dal mantenimento della funzione produttiva, che in secoli di attività
dalle
Alpeggi di Regione Lombardia). Negli alpeggi si riconosce il valore di tutte quelle aree nelle quali la secolare presenza dell’uomo e delle sue attività tradizionali ha permesso il mantenimento di un equilibrio tra attività antropiche e natura. A queste aree, infatti, sono legate numerose specie animali e vegetali ormai rare e minacciate per la cui sopravvivenza è necessaria la prosecuzione e la valorizzazione delle attività tradizionali, come il pascolo e l’agricoltura non intensiva. A questo proposito, si intende fornire un quadro complessivo della biodiversità che possiamo trovare nei pascoli di Bagolino, facendo riferimento alla rete Natura 2000 e agli Habitat relativi. Natura 2000 è il principale strumento della politica dell’Unione Europea per la conservazione della biodiversità. Si tratta di una rete ecologica diffusa su tutto
zone natura 2000
[Habitat e tendenze in atto] al
PASCOLO "TIPO"
[valori naturali e paesaggistici] ha trasformato il paesaggio di montagna e dato solide radici alle tradizioni e alla cultura delle popolazioni montanare”. (dal Piano Regionale degli
il territorio dell’Unione, istituita ai sensi della Direttiva 92/43/ CEE “Habitat” per garantire il mantenimento a lungo termine degli habitat naturali e delle specie di flora e fauna minacciati o rari a livello comunitario. La rete Natura 2000 è costituita dai Siti di Interesse Comunitario (SIC), identificati dagli Stati Membri secondo quanto stabilito dalla Direttiva Habitat, che vengono successivamente designati quali Zone Speciali di Conservazione (ZSC), e comprende anche le Zone di Protezione Speciale (ZPS) istituite ai sensi della Direttiva 2009/147/CE “Uccelli” concernente la conservazione degli uccelli selvatici. Le aree che compongono la rete Natura 2000 non sono riserve rigidamente protette dove le attività umane sono escluse; la Direttiva Habitat intende garantire la protezione della natura tenendo anche “conto delle esigenze economiche, sociali e culturali, nonché delle particolarità regionali e locali” (Art. 2). La Direttiva riconosce il valore di tutte quelle aree nelle quali la secolare presenza dell’uomo e delle
sue attività tradizionali ha permesso il mantenimento di un equilibrio tra attività antropiche e natura. Nello stesso titolo della Direttiva viene specificato l’obiettivo di conservare non solo gli habitat naturali ma anche quelli seminaturali (come le aree ad agricoltura tradizionale, i boschi utilizzati, i pascoli, ecc.). Un altro elemento innovativo è il riconoscimento dell’importanza di alcuni elementi
del paesaggio che svolgono un ruolo di connessione per la flora e la fauna selvatiche (art. 10). Le zone Natura 2000 vengono in questo caso prese come vetrino, cioè come caso esemplare di compresenza di habitat protetti e, nel nostro caso, faremo prevalente riferimento alle formazioni erbose che compongono gli alpeggi. Le zone Natura 2000 vengono dunque prese come modello di riferimento per
valutare la possibile configurazione del “pascolo tipo” della zona di Bagolino. Infatti, nei siti Natura 2000 sono riscintrati non solo eccezionali habitat ma anche tendenze in atto, che vengono monitorate e controllate dall’ente gestore, responsabile anche di operare interventi per il mantenimento degli habitat presenti. Proprio per questo, sono le porzioni di territorio di cui si posseggono maggiori informazioni.
[Comune di Bagolino]
22 malghe
con
5.240 ha
01 01
[superficie totale]
03
21
2.601 ha
20
[superficie pascoliva]
03
19
18 17
02
02
04 16
04 05
15 06
05 14 13
07
12
08
09 06
11 07
10 BAGOLINO
08
22 09
01
MALGA VAIMANE
12
MALGA BRUFFIONE BASSO
13
superficie totale _ 305.54 ha superficie a pascolo _ 105.9 ha
MALGA DASDANA - CASCINA VECCHIA superficie totale _ 82.05 ha superficie a pascolo _ 63.23 ha
03 02
superficie totale _ 352.52 ha superficie a pascolo _ 130.62 ha
03
MALGA BRUFFIONE ALTO superficie totale _ 260.76 ha superficie a pascolo _ 175.81 ha
04
05 08
MALGA SCAIE
superficie totale _ 365.2 ha superficie a pascolo _ 159.13 ha
05
MALGA VAL BONA
superficie totale _ 312.29 ha superficie a pascolo _ 223.05 ha
09 06
MALGA DOLO’ BASSO
superficie totale _ 194.64 ha superficie a pascolo _ 105.05 ha
07
MALGA DOLETTEN
superficie totale _ 211.58 ha superficie a pascolo _ 92.21 ha
08
MALGA VELLELUSSO ALTO superficie totale _ 210.26 ha superficie a pascolo _ 96.18 ha
09
MALGA CRUNE - VAL MARZA superficie totale _ 74.8 ha superficie a pascolo _ 55.64 ha
10
MALGA MANIVA - SETTE VENTI superficie totale _ 151.87 ha superficie a pascolo _ 140.51 ha
11
MALGA ZOCCHI
superficie totale _ 245.76 ha superficie a pascolo _ 97.44 ha
MALGA MANIVA - DASDANA BUSA superficie totale _ 332.81 ha superficie a pascolo _ 151.19 ha
14
MALGA BAGOLIGOLO
superficie totale _ 210.26 ha superficie a pascolo _ 96.18 ha
15
MALGA VAIA
superficie totale _ 740.04 ha superficie a pascolo _ 409.68 ha
16
MALGA BROMINO
superficie totale _ 370.96 ha superficie a pascolo _ 80.09 ha
17
MALGA RONDENINO
superficie totale _ 245.09 ha superficie a pascolo _ 191.85 ha
18
MALGA MIGNOLO
superficie totale _ 132.91 ha superficie a pascolo _ 73.63 ha
19
MALGA DORIZZO ALTO superficie totale _ 123.42 ha superficie a pascolo _ 29.45 ha
20
MALGA SANGUINERA
superficie totale _ 104.54 ha superficie a pascolo _ 13.34 ha
21
MALGA MISA
superficie totale _ 135.46 ha superficie a pascolo _ 40.39 ha
22
MALGA DOSSO ALTO
superficie totale _ 77.7 ha superficie a pascolo _ 71.13 ha
1.238 ettari ZPS Val Caffaro La ZPS Val Caffaro ricopre i territori di due Foreste di Lombardia, Alpe Vaia e Anfo-Val Caffaro, occupando una superficie complessiva di 1.238 ettari, in comune di Bagolino (BS). Pur ricadendo nello stesso comprensorio territoriale, la Valle del Caffaro, le due Foreste hanno caratteristiche molto differenti. Il sito è stato classificato come Zona di Protezione Speciale nel 2004 e inserito tra i Siti della regione biogeografia “Alpina”. La ZPS Val Caffaro annovera al suo interno 22 Habitat di interesse comunitario.
La ZPS nella foresta Alpe Vaia
La ZPS nella foresta Anfo-Val Caffaro
Si estende per 727 ettari, in un suggestivo ambiente di media e alta montagna prealpina, tra la quota di 1150 m e 2250 m s.l.m., all’interno della testata della Valle Vaia che è solcata dall’omonimo torrente, un affluente di destra del torrente Caffaro. La parte settentrionale e centrale dell’area, formante un’ampia conca coronata dalla Punta Setteventi (2250 m.), dai Corni Setteventi e dal M. Molter (2202 m), corrisponde ad un antico circo glaciale la cui concavità principale è occupata dal laghetto di Vaia (1910 m). Al di sotto dei 1700 m. la morfologia si fa fortemente acclive e la valle diviene più incisa. La parte più scoscesa si ritrova nella porzione meridionale e coincide con la “Costa Segaboli di Masnade”, lungo la valle Dasdana che a sua volta confluisce nella Valle Vaia a 1100 m. s.l.m., demarcando il limite inferiore della ZPS in questa porzione di territorio. Con 295 ettari, le praterie e i pascoli sono la componente ambientale più rappresentata del Sito.
Si estende su 511 ettari, a ovest del Lago d’Idro. La quota più bassa è a 455 m, la più alta a 1770 m slm. Il perimetro è frastagliato e l’area è suddivisa in più porzioni separate. Due grandi aree omogenee per grandezza, acclività e altimetria, corrispondenti al versante destro della Valle della Berga e alla Valle del Rio di Levras, sono unite a strisce di territorio digitiformi che ripercorrono alcuni impluvi e crinali delle due valli. Il paesaggio della Foresta è caratterizzato da versanti ripidi, a volte scoscesi, con notevoli affioramenti rocciosi che danno vita a morfologie dolomitiche con falesie e pinnacoli.
HABITAT / 4060 / 4070 / 6150 / 6170 / 6210* / 6230 / 6430 / 6520 / 7140 / 9140
1.591 ettari ZPS Parco Naturale Adamello La ZPS del Parco Naturale Adamello è posta nella Lombardia Orientale, e si estende su di un territorio di 21.724 ha, includendo 7 aree differenti tra loro disgiunte. Di queste solamente la più meridionale è stata considerata per il progetto in questione. Quest’area, infatti, è la più vicina delle sette e la sola orograficamente contigua col bacino del Cáffaro. L’area in oggetto, è posta tra il passo di Croce Domini e la zona Lago della Vacca – Cornone di Blumone. La sua estenzione è di 1.591 ha, altitudinalmente compresi tra i 2.673 m del M.te Frerone ed i 1.570 m del versante orografico destro dell’Alta Val Cáffaro, ed include i territori compresi tra il M.te Frerone e il M.te Mattoni, ovvero le alte valli di Campolaro, Stabio e Cadino. Si tratta di una zona prevalentemente alpina o subalpina, il cui territorio, posto per ben il 75% al di sopra dei 2000 m., è occupato per lo più da habitat rocciosi e da formazioni erbacee naturali e seminaturali. L’area è vulnerabile soprattutto all’eccessiva pressione antropica causata dalla presenza di itinerari escursionistici. Non è da sottovalutare, però, anche il bracconaggio che in passato ha causato forti decrementi nelle popolazioni di animali selvatici. La ZPS Parco naturale Adamello è completamente compresa all’interno del SIC “Pascoli di crocedomini – Alta Val Cáffaro”.
HABITAT / 4070 / 6150 / 6170 / 6230 / 6430 / 7140 / 9410 / 9420
4.603 ettari SIC Pascoli di Crocedomini - Alta Val Caffaro Il SIC dei Pascoli di Crocedomini – Alta Val Cáffaro oltre a comprendere la ZPS Parco Naturale Adamello, si estende a Sud e ad Est, includendo le zone comprese tra la ZPS stessa e i confini meridionali ed orientali del Parco Naturale Regionale omonimo. Il SIC, pertanto, risulta completamente tutelato anche come Parco Naturale Regionale. Planimetricamente l’area si estende su 4.603 ha, ed è costituita dai territori delle Medie e Alte Valli dello Stabio, Campolaro, Cadino e Cáffaro. La massima quota raggiunta è quella di 2.674m, mentre quella minima è di 1.331 m; il territorio è pressoché equamente ripartito al di sopra ed al di sotto dei 2.000 metri. Il Sito risulta di grande importanza naturalistica, in quanto è caratterizzato dalla presenza di diversi tipi di habitat di interesse comunitario che, nel loro complesso, rappresentano un unicum vegetazionale di grande significatività. Sono, inoltre, presenti numerose specie rare e/o endemiche. Il Sito è anche di rilevante importanza per la nidificazione, la sosta e/o lo svernamento di specie di uccelli protette o in forte regresso e/o a distribuzione localizzata sulle Alpi. I principali fattori di vulnerabilità dell’area derivano dalla presenza della strada statale 345 che determina elevate pressioni antropiche, favorite anche dalla morfologia generale e dalla presenza di itinerari escursionistici. Sono presenti anche alcune piste da sci che hanno determinato interventi di sistemazione ed alterazione morfologica.
HABITAT / 6170 / 6210* / 9410
2.873 ettari ZPS Val Grigna La ZPS Val Grigna si estende per 2.873 ettari, nella Foresta Regionale omonima, nei Comuni di Bienno, Berzo inferiore, Bovegno, Esine e Gianico, in Provincia di Brescia. Il sito è stato classificato come Zona di Protezione Speciale nel 2004 inserendosi tra i Siti della regione biogeografia “Alpina”. Si tratta di un’area montana prealpina posta al centro di un ampio comprensorio a cavallo tra la Val Camonica e la Val Trompia, nel cosiddetto Massiccio delle Tre Valli, e compresa tra la quota minima di 1000 m e quella massima di 2207 m s.l.m.. L’area è suddivisibile in tre grandi settori geograficamente distinti e convergenti al centro, al Monte Crestoso (2207 m). Il primo, nella porzione settentrionale, comprende la Val Grigna, propriamente detta, e la Val Gabbia. Il secondo settore, ad occidente, ospita la Valle dell’Inferno che contiene quattro circhi glaciali: Rosello, Roselletto, Rosellino e Val di Fra. Il terzo settore, nella parte meridionale, interessa, infine, il comparto pascolivo di Cigoleto. Incastonata in un affascinante paesaggio di media e alta montagna, di grande valore naturalistico, la Val Grigna possiede un’ampia superficie boscata (1.660 ettari circa, oltre il 50% della superficie totale), estese radure a pascolo ed arbusteti a costituire dieci alpeggi (Stabil Fiorito, Stabil Fiorito e Poffe di Stabil Solato, Cigoleto, Rosellino Roselletto Val di Frà, Rosello, Faisecco, Valle dell’Orso, Campolungo, Val Gabbia, Scandolaro), nonché ghiaioni e rupi che rappresentano i cosiddetti “improduttivi”. Nel Sito sono presenti anche le torbiere, che rappresentano la traccia storica del lento e progressivo interramento dei laghetti glaciali. Nonostante le loro ridotte superfici, il sistema delle torbiere in Val Grigna costituisce uno degli elementi di maggior pregio per l’intera ZPS, con la presenza di specie rare e stenoecie (capaci di sopravvivere solo entro specifiche e limitate condizioni ecologiche), indicatrici di acque oligotrofiche acide. La torbiera più estesa in Val Grigna si trova in località Rosellino.
HABITAT / 6150 / 6230 / 6430 / 7140 / 9110 / 9410 / 9420
Categoria 61 formazioni erbose naturali Habitat 6150 Formazioni erbose boreo-alpine silicee
Praterie acidofile, talvolta discontinue, di quota elevata e/o di stazioni a prolungato innevamento, dell’arco alpino, e assai raramente dell’Appennino settentrionale, sviluppate su suoli derivanti da substrati silicatici o decalcificati. Esse comprendono curvuleti, festuceti, alcuni tipi di nardeti ipsofili e vallette nivali del Salicion herbaceae. DISTRIBUZIONE. Habitat molto diffuso che interessa tutte le Foreste di Lombardia a substrato siliceo, in particolare con am-
pie estensioni alle quote più elevate. Per composizione, si spazia dai curvuleti alle praterie aride a Festuca varia o Festuca rubra. Analogamente si spazia da stazioni francamente alpine o rupestri a stazioni secondarie (favorite dal pascolo) in fascia montana. La generale riduzione del carico di pascolo provoca estese invasioni arbustive soprattutto alle quote meno elevate; ciò ha provocato la quasi totale scomparsa dell’habitat dalla Foresta di Legnoli. INDICAZIONI GESTIONALI. Il pascolo se da un lato ritarda l’affermazione degli arbusti, deve comunque essere correttamente gestito, in quanto un carico localmente eccessivo può banalizzare la flora e favorire le specie nitrofile. Interventi che comportano movimenti di terra in alta quota rischiano di innescare processi erosivi, difficili poi da rimarginare (Lasen, 2006). Nel caso di interventi di ripulitura dagli arbusti e ripristino, va data pri-
orità alle zone di bassa quota contigue ai pascoli pingui o ai nardeti. Nelle aree di maggior quota o rupestri andrà favorito prioritariamente il pascolo degli ungulati selvatici. INDICATORI PER IL MONITORAGGIO. La presenza di un numero elevato di specie erbacee e di una ricca e diversificata entomofauna deve essere interpretata come indice di un buon stato di conservazione.
Habitat 6170 Formazioni erbose calcicole alpine e subalpine
Praterie alpine e subalpine, talvolta anche discontinue, comprese le stazioni a prolungato innevamento, (vallette nivali, dell’Arabidion caeruleae) delle Alpi e delle aree centrali e meridionali degli Appennini e sviluppate, di norma, sopra il limite del bosco, su suoli derivanti da matrice carbonatica (o non povera di basi). Talvolta anche sotto il limite della foresta nel piano altimontano e nelle forre umide prealpine (seslerieti di forra) eccezionalmente anche a 300-500 m di quota. DISTRIBUZIONE: Habitat molto diffuso che interessa tutte le Foreste di Lombardia a substrato carbonatico, in ambiente di tipo
prealpino. Per composizione si spazia dai firmeti (in tracce presso ai crinali), ai seslerieti, alle praterie magre con elementi di brometo o di nardeto (vedi 6210 e 6230, rispettivamente in stazioni calde o su suoli in acidificazione). Come per le praterie alpine su silice si spazia da stazioni francamente alpine o rupestri a stazioni secondarie (favorite dal pascolo) in fascia montana. La generale riduzione del carico di pascolo provoca estese invasioni arbustive soprattutto alle quote meno elevate. INDICAZIONI GESTIONALI: Il pascolo estensivo, principalmente bovino, ma anche ovino, può contribuire a
mantenere o ad arricchire la biodiversità (Lasen, 2006). Un carico eccessivo, anche localizzato, può però banalizzare la flora e favorire le specie nitrofile. Interventi che comportano movimenti di terra in alta quota rischiano di innescare processi erosivi, difficili poi da rimarginare. Nel caso di interventi di ripulitura dagli arbusti e ripristino, va data priorità alle zone di bassa quota. Nelle aree di maggior quota o rupestri andrà favorito prioritariamente il pascolo degli ungulati selvatici, lasciando l’habitat alla libera evoluzione (Masuti, Battisti, 2007).
Categoria 62 formazioni erbose secche seminaturali e facies coperte da cespugli Habitat 6230 Formazioni erbose a Nardus, ricche di specie, su substrato siliceo delle zone montane (e delle zone sub-montane dell’Europa continentale)
Praterie chiuse mesofile, perenni, a prevalenza o a significativa partecipazione di Nardus stricta, localizzate in aree pianeggianti o poco acclivi, da collinari ad altimontano-subalpine, delle Alpi e degli Appennini, sviluppate su suoli acidi, derivanti da substrati a matrice silicatica,
o anche carbonatica, ma in tal caso soggetti a lisciviazione. DISTRIBUZIONE: Diffuso e relativamente comune in tutti i siti a substrato silicatico. Più raro e localizzato in fascia prealpina su substrati carbonatici o marnosi, dove assume un grande interesse per la differenziazione floristica che comporta, introducendo un contingente di specie acidofile nel generale contesto delle praterie basifile. Si presentano generalmente nelle aree di tensione tra pascoli pingui e brughiere pascolate, oppure in prossimità delle torbiere. INDICAZIONI GESTIONALI: Le variazioni di composizione floristica sono principalmente determinate da modalità gestionali piuttosto che da fattori naturali (Lasen, 2006). Favorevole al mantenimento è un pascolo non troppo intensivo che ne impedisce
l’evoluzione verso la brughiera (zone più asciutte e ventose) o il bosco di conifere (abete rosso, pino silvestre). Un eventuale sfalcio a mosaico contribuisce ad aumentare il numero di specie presenti nel popolamento. Eventuali interventi diretti di manutenzione e ripristino andranno concentrati nelle foreste di bassa quota in cui è notevole l’interesse scientifico associato ad aspetti didattici e fruitivi (Costa del Pallio). INDICATORI PER IL MONITORAGGIO: I parametri climatici legati all’altitudine elevata dei siti e le caratteristiche stazionali, quali la presenza di ghiaioni e rocce affioranti, tendono a rappresentare condizioni ecologiche piuttosto specifiche, operando quindi una selezione rispetto all’invasione di specie alloctone e non coerenti con la situazione locale. La presenza di un numero elevato di specie erbacee deve essere interpretato
come indice di un buon stato di conservazione. Per quanto riguarda le formazioni arbustive buoni indicatori sono la continuità della copertura vegetale (intesa come superfici non puntiformi, ma meglio se con struttura a mosaico) e un’alta diversità specifica in Insetti, Aracnidi e Molluschi Gasteropodi. Talvolta sono presenti endemiti a distribuzione puntiforme (ad esempio, Carabus cychroides, che è un elicofago specializzato). A livello di fauna superiore buoni indicatori di qualità sono i Galliformi alpini che frequentano le zone aperte (Fagiano di monte, Pernice bianca e Coturnice) e la lepre variabile (Lepre bianca). elevato di specie erbacee e di una ricca e diversificata entomofauna deve essere interpretata come indice di un buon stato di conservazione.
Habitat 6210 (*) Formazioni erbose secche seminaturali e facies coperte da cespugli su substrato calcareo (Festuco-Brometalia) (*stupenda fioritura di orchidee)
rie abbandonate e/o percorse da incendio, generalmente su pendici ripide, in fasi più o meno avanzate di arbustamento.
Praterie polispecifiche perenni a dominanza di graminacee emicriptofitiche, generalmente secondarie, da aride a semimesofile, riferibili alla classe Festuco-Brometea, talora interessate da una ricca presenza di specie di Orchideaceae ed in tal caso l’habitat è considerato prioritario. DISTRIBUZIONE: Habitat ben distribuito nei siti prealpini su substrato carbonatico, in stazioni calde e ben esposte di media e bassa quota. Di particolare interesse i prati e i pascoli ancora utilizzati e le aree più aride e rocciose (xerobrometi) con dinamica vegetazionale naturalmente molto lenta. Naturalisticamente meno interessanti e più problematiche da un punto di vista vegetazionale sono le prate-
INDICAZIONI GESTIONALI: In assenza di cure l’habitat è destinato ad essere progressivamente sostituito da comunità arbustive ed arboree. Favorevoli alla conservazione sono le falciature e il pascolo estensivo (soprattutto ovicaprini ed equino). E’ importante il mantenimento in assenza di concimazioni (Lasen, 2006). Consigliabile lo sfalcio tardivo (metà luglio – agosto) per rispettare i tempi di fruttificazione delle orchidee e la nidificazione delle specie ornitiche correlate (es. Calandro e Coturnice). INDICATORI PER IL MONITORAGGIO: In questo contesto, per la componente floristica e per quella faunistica (soprattutto Lepidotteri), rappresentano sicuri elementi di pregio sia l’elevato valore di biodiversità sia la coerenza del mosaico reale con quello potenziale.
Categoria 64 praterie umide seminaturali con piante erbose alte Habitat 6430 Bordure planiziali, montane e alpine di megaforbue idrofile
tollerare elevati livelli di nutrienti e di rigenerarsi in seguito a modificazioni spaziali determinate dalla normale dinamica fluviale. E’ opportuno l’abbandono all’evoluzione naturale, provvedendo eventualmente all’eliminazione di specie legnose invasive. INDICATORI PER IL MONITORAGGIO Presenza di specie guida della fitocenosi, riferite al manuale degli habitat di interesse comunitario e sue interpretazioni locali.
Comunità di alte erbe a foglie grandi (megaforbie) igrofile e nitrofile. DISTRIBUZIONE Habitat che si sviluppa, in prevalenza, al margine dei corsi d’acqua e di boschi igromesofili, distribuito dal piano basale a quello alpino. INDICAZIONI GESTIONALI: Stadi legati alla dinamica del bosco. In quota, l’habitat colonizza radure liberate da tagli, schianti o slavine. Lungo i corsi d’acqua ha la capacità di
Categoria 65 formazioni erbose mesofile Habitat 6520 Praterie montane da fieno
Praterie mesofile, più o meno pingui, montano-subalpine, ricche di specie. Di norma falciate, ma talvolta anche pascolate in modo non intensivo. Prevalgono elementi di Poo-Trisetetalia ai quali si associano, talvolta, componenti di Nardetalia, Seslerietalia e/o Festuco-Brometea. DISTRIBUZIONE Nelle Foreste Regionali si localizzano presso i nuclei abitati o nelle pertinenze degli edifici del demanio. Talvolta i prati sono semiabbandonati o trasformati in pascoli,
quindi a rigore non più riferibili all’habitat definito dalla direttiva europea. INDICAZIONI GESTIONALIFavorevoli alla conservazione, sono le falciature regolari e i turni di pascolamento (una falciatura/anno ed un turno di pascolo in tarda estateautunno), nonché bassi livelli di concimazione organica. In assenza di sfalcio si assiste alla graduale riaffermazione del bosco (faggio e altre latifoglie in ambiti oceanici, abete rosso in ambiti continentali). Le utilizzazioni intensive provocano degrado e banalizzazione del corteggio floristico nonchè un aumento delle specie nitrofile (Lasen, 2006). Sono ambienti importanti per numerose specie faunistiche legate ad aree aperte ed erbose (es. Re di quaglie). Per ridurre la mortalità dei Vertebrati durante i tagli con mezzi meccanici, occorre eseguire i tagli da un lato verso l’altro dell’appezzamento o dall’interno verso l’esterno; mai dall’esterno verso l’interno (Masutti e Battisti, 2007).
INDICATORI PER IL MONITORAGGIO Rilievi fitosociologici per accertare la conservazione degli erbai polifiti e la variabilità delle specie presenti, nonché la struttura non troppo fitta, condizione essenziale per la frequentazione di questo habitat da parte di una specie proritaria come il Re di quaglie o la Quaglia stessa. Utile anche il monitoraggio delle comunità di Ortotteri. Popolazioni residue di lagomorfi (Lepus sp.) sono indicatrici di buona valenza ambientale laddove non siano il risultato di immissioni recenti od episodiche.
Categoria 71 torbiere acide di sfagni Habitat 7140 Torbiere di transizione e instabili
Comunità vegetali che formano depositi torbosi e tappeti flottanti, in acque da oligotrofiche a mesotrofiche, nelle quali la componente ombrotrofica e quella minerotrofica (della falda) si mescolano, poichè le superfici colonizzate sono prevalentemente piatte o ondulate, ricche di piccole depressioni, con un grado di umidità variabile. La vegetazione è rappresentata da popolamenti di sfagni e altre briofite, accompagnate da più o meno abbondante vegetazione di Rynchosporion e Caricion lasiocarpae.
DISTRIBUZIONE: Habitat raro nelle Foreste Regionali, dove si presenta tra la fascia altitudinale montana e quella alpina. Alle quote più elevate le torbiere di transizione si impoveriscono di sfagni e assumono sempre più l’aspetto di torbiere basse. Spesso si riscontrano situazioni di progressivo interramento e/o prosciugamento (talvolta anche per drenaggi artificiali), con vegetazioni di transizione ai nardeti o alle formazioni arboree e arbustive, per i siti posti a quote comprese entro il limite della vegetazione forestale. INDICAZIONI GESTIONALI: Le torbiere costituiscono uno stadio intermedio tra gli specchi d’acqua libera e il prato umido. Sono un habitat molto vulnerabile e sensibile agli apporti di nutrienti, al calpestio e alle captazioni idriche effettuate nelle adiacenze. La naturale dinamica di vegetazione comporta, in tempi medio–lunghi, il progressivo interramento e l’ingresso di
entità meno igrofile. Il pascolo, se non sporadico, può creare notevole disturbo e abbassare la qualità della composizione floristica; d’altra parte se sporadico ed occasionale può contribuire al ringiovanimento ed al mantenimento dell’habitat in situazioni di inarbustamento, come anche eventuali utilizzazioni a sfalcio. INDICATORI PER IL MONITORAGGIO: Per le torbiere meglio conservate, l’elevato valore del rapporto tra briofite e spermatofite (relativamente al numero di specie) è indice di buono stato di conservazione. Anche in termini di biomassa, elevati valori di briofite sono da considerare positivamente, così come la presenza di elementi specializzati (es. Agonum alpestre), nelle torbiere di alta quota. Anfibi tipici come Salamandra atra o le rane rosse caratterizzano in senso positivo torbiere di area alpina ben conservate. Anche la Lucertola vivipara spesso frequenta tali aree.
IL SISTEMA DEL BOSCO composizione e tendenze in atto
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bosco confine bosco pascolo idrografia principale idrografia secondaria Lago d’Idro rete Natura 2000 (ZPS e SIC) confine Comune di Bagolino
LAGO d’IDRO
Il Piano di Indirizzo Forestale della Comunità Montana Valle Sabbia evidenzia come tendenza in atto il fenomeno dell’avanzata del bosco e della scomparsa di aree aperte. Le cause, prevalentemente economiche, che
01 02
hanno portato al progressivo abbandono dell’interesse verso la risorsa legnosa e verso la montagna stessa, che si traducono poi nell’abbandono colturale del bosco e nella sua conseguente espansione, sono:
Scarsa convenienza economica alla gestione forestale rispetto ad altre realtà occupazionali; Spostamento delle popolazioni dalle zone di montagna a quelle di pianura;
03
Impiego di combustibili diversi dalla legna da ardere;
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Contrazione delle attività agricole e zootecniche in montagna;
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Aumento del costo della manodopera in misura superiore all’aumento del valore del materiale legnoso;
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Scarsità di manodopera forestale
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Carenza di infrastrutture viarie forestali e conseguenti elevati costi di esbosco;
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Assenza di una efficiente filiera foresta-legno ovvero di un sistema di mercato razionale e organizzato.
L’avanzamento del bosco sulle aree ex-prative ed expascolive, avviene prevalentemente a quote superiori, dal piano collinare-montano a quello altimontano. Il fenomeno avviene a danno di terreni ex-prativi ed ex-pascolivi una volta utilizzati appunto per il pascolo e per lo sfalcio. Le specie arboree che invadono tali spazi aperti sono costituiti nelle medie quote e su prati mediamente fertili sono il faggio, l’acero e il frassino. Nelle aree sommitali la diffusione è invece di cenosi a pino mugo e abete rosso, ma anche faggio, derivanti da popolamenti esistenti a ridosso delle aree pascolive. I prati e i pascoli sono elementi fortemente caratterizzanti il paesaggio della montagna e delle valli prealpine. All’interno dell’omogeneità visiva data dalle estese coperture boschive, le porzioni di prati e pascoli costituiscono, infatti, un elemento paesistico di grande rilevanza. Oltre ad individuare la sede, periodica o stabile, dell’insediamento umano contribuiscono a diversificare i caratteri del paesaggio di versante individuando le aree
di più densa antropizzazione montana e stabiliscono connotazioni di tipo verticale fra fondovalle ed alte quote, in relazione ai diversi piani altitudinali. Si distinguono le seguenti tipologie peculiari:
Prati-pascoli di mezzacosta aree ubicate in posizione mediana lungo il versante di una valle alpina o prealpina, tra i 1000 e i 1600 metri, generalmente circondate da boschi; vi sosta il bestiame nella stagione primaverile, durante gli spostamenti tra i pascoli d’alta quota (alpeggi) e il fondovalle. Prati e pascoli di fondovalle aree ubicate nei fondovalle alpini e prealpini, tra i 300 e i 1000 metri, utilizzate prevalentemente a sfalcio periodico o a sfalcio e pascolo (prati-pascoli).
pascolo ieri
[anni cinquanta]
pascolo OGGI
[duemiladodici]
SINTESI VISIVA le conseguenze del progressivo abbandono dell’agricoltura di montagna in
64 kmq
[nel Comune di Bagolino]
Categoria 40 lande alpine e boreali Habitat 4060 Lande alpine e boreali
Formazioni di arbusti bassi, nani o prostrati delle fasce alpina, subalpina e montana dei rilievi montuosi eurasiatici, dominate in particolare da ericacee e/o ginepro nano. In Italia è presente sulle Alpi e sull’Appennino. Si sviluppa normalmente nella fascia altitudinale compresa fra il limite della foresta e le praterie primarie d’altitudine ma, in situazioni particolari, si riscontra anche a quote più basse. Questo habitat, sulle Alpi, è certamente tra i più diffusi e ben rappresentati poiché include sia i rodoro-
vaccinieti acidofili (Rhododendron ferrugineum, Vaccinium sp.) che i rodoreti basifili (Rhododendron hirsutum, Rhodothamnus chamaecistus), i tappeti di azalea nana (Loiseleuria procumbens), le formazioni a ginepro nano (Juniperus communis subsp. alpina), quelle a ginestra stellata (Genista radiata), ad uva ursina (Arctostaphylos uva-ursi) dei crinali ventosi e, infine, quelle a camedrio alpino (Dryas octopetala), qualora non ricondotte all’habitat 6170 “Formazioni erbose calcicole alpine e subalpine”). Le numerose cenosi che confluiscono in questo tipo svolgono un ruolo essenziale sia per l’impronta che conferiscono al paesaggio vegetale, sia per il ruolo di protezione dei suoli e dei versanti. DISTRIBUZIONE: Nelle Foreste Regionali alpine, soprattutto su substrato silicatico, è un habitat comune. Si tratta, invece, di una presenza particolare e
preziosa nei siti prealpini e di bassa quota, quali Monte Resegone e Val di Scalve. INDICAZIONI GESTIONALI: Formazioni stabili e poco vulnerabili. In ambiti d’alta quota e in presenza di ampie estensioni, lasciare alla libera evoluzione. La pastorizia al margine non incide sostanzialmente, a meno che non si prospetti un consistente aumento del carico (Lasen, 2006). Il pascolo intensivo può limitare, infatti, l’estensione dell’habitat, favorendo le specie erbacee a scapito di quelle legnose; se sporadico può invece contribuire a garantire condizioni di variabilità delle cenosi. Nelle Foreste Regionali si pongono sostanzialmente due casistiche: in area prealpina e di bassa quota è necessario uno sforzo per la conservazione e la valorizzazione didattica dell’habitat. In area alpina spesso l’estensione di questo habitat (legata allo scarso utilizzo pastorale) può pregiudicare la conser-
vazione di cenosi erbacee anche di elevato pregio (ad es. nardeti prioritari). INDICATORI PER IL MONITORAGGIO: La presenza di un numero elevato di specie erbacee deve essere interpretato come indice di un buon stato di conservazione. Buoni indicatori sono la continuità della copertura vegetale (intesa come superfici non puntiformi, ma meglio se come struttura a mosaico) e un’alta diversità specifica in Insetti, Aracnidi e Molluschi Gasteropodi. Rilevante la presenza di endemiti alpini o elementi boreo-alpini. A livello di fauna superiore, buoni indicatori di qualità sono i Galliformi alpini che frequentano le zone aperte (Fagiano di monte, cotrunice, Pernice bianca) e la Lepre variabile (Lepre bianca).
Habitat 4070 Boscaglie di Pinus mugo e Rhododendron hirsutum (MugoRhododendretum hirsuti)
Arbusteti prostrato-ascendenti densi, alti 2-3 (5) m, in cui la specie dominante è Pinus mugo (P. mugo subsp. mugo), il cui portamento dà origine a formazioni monoplane con sottobosco ridotto e costituito da ericacee arbustive basse (rododendro irsuto, rododendro nano, erica) e poche erbacee. Comunità tipiche di versanti detritici calcarei, è una delle espressioni più caratteristiche del paesaggio subalpino dolomitico e delle Alpi sudorientali, ma le mughete si possono riscontrare anche a quote più basse, spesso in prossimità delle aste torrentizie che favoriscono la discesa del pino mugo. Tollera frequenti e repentine variazioni delle condizioni di umidità (suoli a drenaggio molto rapido, sog-
getti a ruscellamento, talora sovralluvionati, ma anche con evidenti fenomeni di siccità estiva) e di temperatura (forti escursioni termiche diurne, innevamento prolungato). L’eventuale successione da stadi più primitivi (nettamente basifili) a quelli più maturi (decalcificati) è segnalata, nelle Alpi, dall’aumento di Rhododendron ferrugineum e Vaccinium sp. DISTRIBUZIONE: Habitat raro e localizzato, legato all’area carbonatica prealpina, con baricentro di diffusione orientale. L’habitat è stabile nella stazioni rupestri o di crinale, in alta quota, mentre a quote minori, nelle sue espressioni meso e macroterma, è spesso in dinamica al bosco. INDICAZIONI GESTIONALI: Arbusteti non soggetti a utilizzazioni. Di norma lasciare alla libera evoluzione (Lasen, 2006). Sono ammessi interventi selvicolturali a fini faunistici (Masutti, Battisti, 2007). Ad esempio per il fagiano di monte è possibile mantenere aperture prative o crearne di
nuove con margine frastagliato, mentre il pascolo può rallentare la diffusione degli arbusti. Eventuali interventi su quest’habitat nell’ambito delle Foreste Regionali sono da localizzarsi più limitatamente sul Monte Resegone. Nelle altre aree prevale l’esigenza di conservazione assoluta, dato anche il valore prioritario attribuito dall’Unione Europea all’habitat. INDICATORI PER IL MONITORAGGIO: Rilevanti come indicatori di buon stato di conservazione sono Insetti, Aracnidi e Molluschi Gasteropodi con alta biodiversità specifica, in particolare le specie fitofaghe e xilofaghe legate alle conifere (Coleoptera Cerambycidae, Hymenoptera Symphyta, etc.). Numerosi gli endemiti alpini. Indicatori di buono stato sono i Galliformi di alta quota e le specie tipiche dell’interfaccia con le praterie alpine. La presenza di mesocarnivori tipicamente forestali come la Martora (Martes martes), indica una buona qualità ambientale complessiva.
Categoria 91 foreste dell’europa temperata Habitat 9110 Faggeti del LuzuloFagetum
Faggete, pure o miste, talvolta coniferate, dei substrati silicatici o particolarmente poveri di carbonati, oligotrofiche od oligo-mesotrofiche, a reazione francamente acida, da submontane ad altimontane, dell’arco alpino. DISTRIBUZIONE: Habitat abbastanza localizzato su substrato silicatico in ambiti meso e mesoendalpici, che si conserva allo stato puro solo in stazioni primitive di cengia o pendice roccioso-detritica, mentre tende ad essere sostituito
da piceo-faggeti o abetine nelle stazioni più fertili ed endalpiche. INDICAZIONI GESTIONALI Formazioni stabili, climatiche, anche se il trattamento selvicolturale incide sensibilmente sulla composizione arborea. L’aumento delle conifere (abete rosso) va considerato fattore di degradazione. È opportuno rilasciare piante vecchie e di grande diametro sia per motivi naturalistici (principalmente faunistici) che per una migliore funzionalità ecosistemica (Masutti, battisti, 2007). INDICATORI PER IL MONITORAGGIO Presenza di elementi fitofagi specializzati (esclusivi), legati alle specie vegetali presenti (es. Rosalia alpina, specie di interesse comunitario). Considerando l’estrema eterogeneità delle compagini vegetali, un possibile indicatore faunistico può essere dato dalla ricchezza delle zoocenosi, con riferimento
alle specie forestali di uccelli (Picidi e Tetraonidi). Comunità di rapaci diurni con Astore e Sparviere possono egualmente considerarsi indicatori di buona qualità ambientale, a cui devono aggiungersi i Mammiferi Carnivori. INDICAZIONI RIFERITE AI TIPI FORESTALI PER GLI INTERVENTI SELVOCOLTURALI Abieteto dei substrati silicatici con faggio (ZPS Val Caffaro): la gestione degli abieteti deve essere improntata alla selvicoltura naturalistica, adottando modelli colturali che prevedano ampie seriazioni diametriche ed elevate provvigioni, favorendo una maggiore presenza di faggio, ove possibile di acero, evitando inoltre l’eliminazione di altre specie. Il trattamento idoneo può essere l’applicazione di tagli a scelta per gruppi e/o tagli a buche di dimensioni ed intensità variabile a seconda dello stadio evolutivo del popolamento e delle condizioni eco-stazionali del sito.
Faggeta montana dei substrati silicatici dei suoli acidi: volendo applicare una selvicoltura razionale, rispondente alla polifunzionalità delle foreste, è opportuna la conversione a fustaia (in caso di boschi cedui sufficientemente evoluti). Il processo di conversione a seconda dello stadio evolutivo dei popolamenti e delle condizioni stazionali può essere favorito ora con tagli di avviamento, ora con diradamenti e scelta e selezione degli allievi più promettenti (2-3 per singola ceppaia), ora con evoluzione naturale (invecchiamento) nei popolamenti non ancora “maturi” per il cambio di governo. La gestione delle fustaie dovrà essere improntata, invece, ai principi della selvicoltura naturalistica (tagli a scelta e/o successivi su piccole superfici disgiunte per evitare un’eccessiva coetaneizzazione del bosco). In tutti i tipi di intervento programmato dovranno essere favorite specie accessorie, nonché il loro reingresso, se trattasi di latifoglie nobili. Faggeta primitiva di rupe: nei cedui in zone meno fertili,
a quote elevate, rupicole e di difficile accesso le formazioni a dominanza di faggio saranno lasciate all’evoluzione naturale. Piceo-faggeto dei substrati silicatici e varianti: nel Piceo-faggeto è opportuno mantenere la mescolanza fra il faggio, l’abete rosso e le altre eventuali specie presenti. Nelle situazioni esaminate si sente l’esigenza di preservare il faggio a discapito delle altre specie. E’ necessario dunque favorire la presenza di soggetti portaseme della latifoglia, mediante cure colturali sulle ceppaie e selezione degli allievi più promettenti; tagli incisivi sull’abete rosso a favore dei soggetti sottoposti di faggio sufficientemente sviluppati; diradamenti sulla picea in concomitanza di matricine promettenti, affinché il faggio recuperi il “giusto diametro” e produca una chioma espansa.
Habitat 9130 Faggeti dell’Asperulo-Fagetum
Faggete, pure o miste con abete rosso e bianco (questi localmente anche prevalenti), delle regioni alpine, da submontane ad altimontane, tendenzialmente neutrofile e meso-eutrofiche, con ricco strato erbaceo. DISTRIBUZIONE: Habitat forestale tra i più comuni nelle Foreste Regionali, abbondante soprattutto nelle zone esalpiche su substrato carbonatico. Comprende oltre alle faggete esalpiche (più o meno coniferate) e ai piceo-faggeti mesalpici, anche abieteti con faggio, abbondanti soprattutto in area silicatica. Le espressioni di faggeta con molto abete rosso o comunque coniferate in area esalpica sono da considerare come forme di degrado.
INDICAZIONI GESTIONALI: Sebbene si tratti di formazioni importanti dal punto di vista economico che possono essere gestite a fini produttivi, in alcune aree limitate è interessante prevedere aree a libera evoluzione. Nella gestione selvicolturale è da evitare un’eccessiva frammentazione degli habitat che riduce la qualità ambientale e favorisce la diffusione dell’abete rosso. E’ da evitare, inoltre, l’eliminazione delle latifoglie di accompagnamento e la formazione di strutture troppo regolari. Sono da rilasciare piante secche o marcescenti a vantaggio di altre componenti della catena alimentare (Masutti, Battisti, 2007). In presenza di rimboschimenti di conifere è da favorire la ripresa del faggio sull’abete rosso e sui pini. Nella fascia mesalpica montana favorire l’evoluzione verso boschi misti con abete bianco. INDICATORI PER IL MONITORAGGIO: Presenza di elementi fitofagi specializzati (esclusivi), legati alle specie vegetali
presenti (es. Rosalia alpina, specie di interesse comunitario). Considerando l’estrema eterogeneità delle compagini vegetali, un possibile indicatore faunistico può essere dato dalla ricchezza delle zoocenosi, con riferimento alle specie forestali di uccelli (Picidi e Tetraonidi). Comunità di rapaci diurni con Astore e Sparviere possono egualmente considerarsi indicatori di buona qualità ambientale, a cui devono aggiungersi i Mammiferi Carnivori. INDICAZIONI RIFERITE AI TIPI FORESTALI PER GLI INTERVENTI SELVICOLTURALI Abieteto dei suoli mesici: la gestione degli abieteti deve essere improntata alla selvicoltura naturalistica, adottando modelli colturali che prevedano ampie seriazioni diametriche ed elevate provvigioni; favorendo una maggiore presenza di faggio, ove possibile di acero, evitando inoltre l’eliminazione di altre specie. Il trattamento idoneo può essere l’applicazione di tagli a scelta per gruppi e/o tagli a buche di dimensioni ed intensità variabile a seconda dello stadio
evolutivo. Faggeta montana dei substrati carbonatici e varianti: il passaggio a fustaia per le faggete dei substrati carbonatici deve essere ben ponderato e valutato in funzione della fertilità stazionale, disponibilità idrica e facilità di rinnovazione gamica. La conversione a fustaia è sempre comunque consigliabile laddove sia supportata da adeguate condizioni eco-stazionali e adeguata situazione strutturale del popolamento. Il passaggio ad alto fusto si può perseguire sia con metodi selvicolturali (matricinatura intensiva, diradamenti e scelta e selezione degli allievi più promettenti, ecc.), sia mediante la conversione per invecchiamento (in particolare nelle faggete submontane). E’ comunque senza dubbio possibile mantenere il governo ceduo dei popolamenti meno evoluti e più svantaggiati per collocazione e condizioni di fertilità (faggete montane xeriche). Nelle situazioni con presenza di conifere (abete rosso e pino silvestre) non sembra opportuno favorire la loro presenza in modo artificiale (interventi
selvicolturali), soprattutto per evitare una massiccia intrusione del Peccio che potrebbe provocare riduzioni della fertilità stazionale e conseguente minore eterogeneità delle formazioni. Faggeta montana dei substrati silicatici dei suoli mesici e varianti: volendo applicare una selvicoltura razionale, rispondenti alla polifunzionalità delle foreste, è opportuna la conversione a fustaia (in caso di boschi cedui sufficientemente evoluti). Il processo di conversione a seconda dello stadio evolutivo dei popolamenti e delle condizioni stazionali può essere favorito ora con tagli di avviamento, ora con diradamenti e scelta e selezione degli allievi più promettenti (2–3 per singola ceppaia), ora con iniziale evoluzione naturale (invecchiamento) nei popolamenti non ancora “maturi” per il cambio di governo. La gestione delle fustaie dovrà essere invece improntata ai principi della selvicoltura naturalistica (tagli a scelta e/o successivi su piccole superfici disgiunte per evitare un’eccessiva coetaneizzazione del bosco). In tutti i tipi
di intervento programmato dovranno essere favorite specie accessorie, nonché il loro reingresso, se trattasi di latifoglie nobili, abete bianco, arbusti,. Nelle situazioni con presenza di abete rosso non sembra opportuno favorirne la diffusione in modo artificiale (interventi selvicolturali), soprattutto per evitarne una massiccia intrusione che potrebbe provocare riduzioni della fertilità stazionale e conseguente minore eterogeneità delle formazioni. Faggeta primitiva di rupe: nei cedui in zone meno fertili, a quote elevate, rupicole e di difficile accesso le formazioni a dominanza di faggio saranno lasciate all’evoluzione naturale. Faggeta submontana dei substrati carbonatici var. dei suoli mesici: in considerazione anche del buona sviluppo delle faggete appartenenti a questa categoria, la conversione a fustaia è senza dubbio l’indirizzo colturale più idoneo per la gestione di questi popolamenti. Nella faggeta submontana dei suoli mesici il passaggio a fustaia si ottiene in presenza di soprassuoli già
ben invecchiati (dotati di una buona ossatura), rilasciando un numero elevato di soggetti poiché l’eccessiva apertura del piano arboreo potrebbe facilitare l’ingresso del nocciolo, della betulla e di altre latifoglie termofile ed innescare un progressivo impoverimento della faggeta. Piceo-faggeto dei substrati carbonatici: in queste formazioni l’obbiettivo è mantenere una buona fertilità stazionale e dunque fare in modo che la componente a peccio non prenda mai il sopravvento su quella a faggio. Vanno promossi interventi colturali tesi a selezionare i soggetti migliori di faggio e a consentire una loro vegetazione ottimale. Allo stesso modo va preservata la rinnovazione affermata di latifoglia con diradamenti e/o tagli a gruppi a carico dell’eventuale componente a conifera. Laddove invece l’abete rosso stenti ad affermarsi a causa dell’eccessiva copertura delle latifoglia si può intervenire con tagli a buche soprattutto se in presenza di novellame di peccio in fase d’affermazione. A seguito dell’intervento a buche la
rinnovazione di abete rosso si diffonde generalmente senza eccessiva difficoltà.
Habitat 9140 Faggeti subalpini dell’Europa centrale con Acer e Rumex arifolius
Faggete altimontano-subalpine, talvolta a portamento arbustivo, localizzate presso il limite del bosco, in versanti freschi, interessati da fenomeni di slavinamento e/o accumulo di neve. Il suolo, ricco di componenti argillose anche se il substrato può essere carbonatico, si mantiene umido e su di esso si sviluppa una florula erbacea analoga a quella dei megaforbieti e con notevole ricchezza di Pteridofite. Al faggio, non sempre dominante, si associa
spesso l’acero di monte (Acer pseudoplatanus), localmente anche prevalente, sia puro che associato a Larix decidua, Sorbus aucuparia, Salix appendiculata, Laburnum alpinum e Alnus viridis. L’habitat può includere anche le formazioni altimontane, miste con abete bianco (raramente con abete rosso) e sottobosco a megaforbie. DISTRIBUZIONE: Habitat limitato a zone di cresta o canaloni boscati a contatto con le praterie cacuminali dei massicci più periferici della zona insubrica, dal lago di Garda a quello di Lugano. Si esprime a quote di norma superiori a ca. 1500 m slm su substrato carbonatico. Spesso si tratta di formazioni prive di valore produttivo, talvolta arbustive, di stazioni rupestri a carattere primitivo. INDICAZIONI GESTIONALI: Formazioni rare, condizionate, oltre che dal clima oceanico, dalla lunga permanenza della neve. Da lasciare alla libera evoluzione (Lasen, 2006), in funzione naturalistica e di protezione dei versan-
ti. In zone di rilevante interesse faunistico possono essere valutati rimodellamenti ecotonali o mantenimento di piccole radure per conservare un favorevole mosaico con praterie e mughete di contatto. INDICATORI PER IL MONITORAGGIO: Presenza di elementi fitofagi specializzati (esclusivi), legati alle specie vegetali presenti (es. Rosalia alpina, specie di interesse comunitario). Considerando l’estrema eterogeneità delle compagini vegetali, un possibile indicatore faunistico può essere dato dalla ricchezza delle zoocenosi, con riferimento alle specie forestali di uccelli (Picidi e Tetraonidi). Comunità di rapaci diurni con Astore e Sparviere possono egualmente considerarsi indicatori di buona qualità ambientale, a cui devono aggiungersi i Mammiferi Carnivori. INDICAZIONI RIFERITE AI TIPI FORESTALI PER GLI INTERVENTI SELVICOLTURALI: Faggeta altimontana dei substrati carbonatici e varianti: cenosi ubicate al limite supe-
riore di diffusione del bosco di latifoglie, caratterizzate da una copertura spesso lacunosa o discontinua. Laddove le condizioni eco-stazionali e la situazione strutturale del popolamento lo consentono, si può optare per una conversione a fustaia da ottenersi mediante matricinatura intensiva. Anche in queste situazioni, in considerazione di una più netta partecipazione delle conifere (abete rosso) alla formazione forestale, si deve intervenire con cure colturali (diradamenti e tagli a gruppi) per mantenere l’attuale mescolanza del popolamento. I boschi meno evoluti e più svantaggiati per collocazione e condizioni di fertilità saranno lasciati all’evoluzione naturale. Faggeta primitiva di rupe: nei cedui in zone meno fertili, a quote elevate, rupicole e di difficile accesso le formazioni a dominanza di faggio saranno lasciate all’evoluzione naturale.
Faggete alpine e prealpine della fascia collinare e montana, xerotermofile, calcifile, di pendii acclivi e/o suoli superficiali, con umidità alternante e soggetti a deficit idrico, del Cephalanthero-Fagenion.
Habitat 9150 Faggeti calcicoli dell’Europa centrale del CephalantheroFagion
INDICAZIONI GESTIONALI: Formazioni principalmente governate a ceduo con buoni livelli di biodiversità (composizione floristica più ricca
DISTRIBUZIONE: Habitat forestale comune in area esalpica su substrato carbonatico, in zone di tensione tra faggete montane e boschi di latifoglie termofile del piano collinare. Le faggete termofile submontane presentano un’articolazione compositiva e strutturale maggiore di quelle montane.
e diversificata), ma spesso legate a suoli superficiali. Anche se sono spesso degradate, coniferate o sostituite da rimboschimenti passati, hanno buona capacità di ripristino. Alle quote inferiori concorrenza di carpino nero, favorito da aperture eccessive. Le formazioni più mesofile sono più esposte alla concorrenza di robinia e castagno. Boschi vocati per la produzione di legna da ardere, in cui la ceduazione rallenta l’ingresso delle conifere. (Lasen, 2006) Da evitare utilizzazioni troppo intense che fanno regredire i popolamenti verso stadi a rovi e favoriscono l’ingresso di conifere. La sospensione delle utilizzazioni, invece, consente una maggiore maturazione del suolo favorendo cenosi più mesofile. Formazioni a rischio di incendi. Sempre utile il rilascio di altre specie di latifoglie e di alberi morti e vivi di discrete dimensioni da destinare all’invecchiamento indefinito (Masutti, Battisti, 2007). INDICATORI PER IL MONITORAGGIO:
Presenza di elementi fitofagi specializzati (esclusivi), legati alle specie vegetali presenti (es. Rosalia alpina, specie di interesse comunitario). Considerando l’estrema eterogeneità delle compagini vegetali, un possibile indicatore faunistico può essere dato dalla ricchezza delle zoocenosi, con riferimento alle specie forestali di uccelli (Picidi e Tetraonidi). Comunità di rapaci diurni con Astore e Sparviere possono egualmente considerarsi indicatori di buona qualità ambientale a cui devono aggiungersi i Mammiferi Carnivori. INDICAZIONI RIFERITE AI TIPI FORESTALI PER GLI INTERVENTI SELVICOLTURALI: Faggeta primitiva di rupe: nei cedui in zone meno fertili, a quote elevate, rupicole e di difficile accesso le formazioni a dominanza di faggio saranno lasciate all’evoluzione naturale. Faggeta submontana dei substrati carbonatici e varianti: la gestione delle faggete submontane è storicamente indirizzata verso la produzione di legna da ardere. At-
tualmente le proprietà gestite da ERSAF – che rientrano in questa tipologia forestale – comprendono per lo più cedui invecchiati, trascurati dal punto di vista selvicolturale (non più gestiti), “alterati” per la diffusione artificiale di conifere e per la presenza di specie avventizie molto competitive (robinia, ecc.). Si tratta di boschi anche molto diversi che delineano aspetti forestali variabili, alcuni dei quali virano verso popolamenti termofili, mentre altri appaiono più spiccatamente mesofili. La programmazione di interventi per la riqualificazione di questi boschi cedui deve, innanzitutto, rivitalizzare la componente a faggio esistente, mediante la selezione sulle ceppaie dei polloni più vigorosi. Va altresì favorita la rinnovazione gamica del faggio e delle altre latifoglie nobili (diradamenti mirati e cure colturali), mentre si dovrà ridimensionare la presenza delle conifere. La conversione ad alto fusto potrà essere programmata, nelle localizzazione più favorevoli anche in termini orografici, per i boschi meglio conservati, dotati di un’ossatura densa
e vitale. E’ comunque senza dubbio possibile mantenere il governo ceduo dei popolamenti meno evoluti e più svantaggiati per collocazione e condizioni di fertilità. L’entità e l’intensità degli interventi programmati nella faggeta submontana devono essere valutati di volta in volta a seconda delle condizioni locali tenendo conto che: le aperture dello strato arboreo favoriranno una maggiore partecipazione delle entità termofile, mentre il mantenimento di un’elevata copertura tenderà ad aumentare il contingente di quelle più mesofile. Orno-ostrieto tipico var. con faggio: boschi termofili misti di carpino nero, faggio ed altre latifoglie, governati tipicamente a ceduo (produzione di legna da ardere). Anche in questi casi si constata l’attuale scarsa gestione dei boschi – sia nelle forme tipiche dell’orno-ostrieto, sia nelle varianti a faggio – che sono attualmente in libera evoluzione ben oltre il turno consuetudinario. La selvicoltura dovrà per lo più assecondare tale processo in atto, con tagli di avviamento a fustaia nelle
stazioni a migliore fertilitĂ e di maggiore interesse, favorendo la diffusione nel piano arboreo di tutte le latifoglie che ne hanno le potenzialitĂ .
Categoria 94 foreste di conifere della montagna temperate Habitat 9410 Foreste acidofile montane e alpine di Picea (Vaccinio-Piceetea)
Foreste a prevalenza di abete rosso (Picea abies), pure o miste con altre conifere, su substrato carbonatico o silicatico. Nelle Alpi, con progressiva attenuazione verso occidente, negli orizzonti altitudinali dal montano al subalpino. Eccezionalmente anche in altri orizzonti in corrispondenza di condizioni microclimatiche o edafiche particolari. L’habitat è distribuito anche nell’Appennino tosco-emiliano sul versante
nord orientale dell’Alpe delle Tre Potenze, nell’Alta valle del Sestaione, in gran parte coincidente con il “Pigelleto Chiarugi”, di circa 100 ha fra1500 e 1750 m di quota. DESCRIZIONE: Habitat comune in area mesalpica ed endalpica dal piano montano a quello subalpino, ma limitato nelle aree prealpine a stazioni di quota elevata. Frequenti le situazioni di compresenza di abete rosso e bianco; in caso di tensione verso la faggeta (piceo-faggeti) l’habitat è stato di norma riferito a quest’ultima (9130). INDICAZIONI GESTIONALI: Si tratta foreste in parte produttive, ma anche di elevato valore naturalistico per la presenza di tetraonidi forestali, picchio nero, civetta capogrosso ecc.. Di norma è compatibile la normale gestione selvicolturali; dato il valore naturalistico delle FL sono da tenere presenti le indicazioni relative a tempi e
modalità riportate per le ZPS: tagli su superfici limitate, turela di piante di canto e gruppi arborei polispecifici o ramosi, taglio tardivo post stagione riproduttiva. Da evitare lo sviluppo di popolamenti troppo uniformi su vaste superfici. Rilasciare piante di grandi dimensioni e piante morte (Masutti, Battisti, 2007). Indicatori per il monitoraggio Rilevanti come indicatori di buon stato di conservazione sono i seguenti taxa di Invertebrati: Insecta, Aracnidae, Mollusca gastropoda con alta biodiversità specifica, particolarmente di taxa fitofagi e xilofagi, legati a conifere (Coleoptera Cerambycidae, Hymenoptera Symphyta, ecc.). Indicatori di buono stato sono le comunità ornitiche forestali con composizione specifica ben diversificata (Picidi, Strigidi e Fringillidi), accompagnati dalla presenza di Galliformi di alta quota e dalle specie tipiche dell’interfaccia con le praterie alpine. La presenza di grandi carnivori (orso, lince) e,
soprattutto, di mesocarnivori tipicamente forestali (martora), indica una buona qualità ambientale complessiva. INDICAZIONI RIFERITE AI TIPI FORESTALI: - Pecceta altimontana e subalpina: questi boschi, variamente diffusi (Val Grigna, Alpe Vaia) nelle FDR evidenziano struttura e potenzialità molto differenti a seconda della morfologia del territorio e dei diversi parametri eco-stazionali. Di fatto presentano una struttura variabile da disetanea per gruppi a mosaico irregolare. Trattandosi di boschi a funzione ambientale generale, rilevanti soprattutto per aspetti protettivi e paesaggistici, le azioni selvicolturali devono essere mirate alla loro valorizzazione e conservazione. L’adozione di tagli a scelta per piccoli gruppi o per piccole buche, in modo da favorire sufficiente luce ed adeguata protezione al novellame, è certamente favorevole alla rinnovazione del bosco e consente prelievi legnosi soddisfacenti le necessità locali (alpeggi, ecc.). - Pecceta montana dei
substrati silicatici dei suoli mesici: le peccete montane che rientrano nel territorio della FDR si segnalano in Val Grigna (part. 1, 2 e 3). In tutte le situazioni esaminate i boschi di abete rosso montano delineano soprassuoli maturi e capaci di produrre buoni assortimenti legnosi. La carenza di infrastrutture rappresenta l’ostacolo maggiore ad un razionale sfruttamento delle risorse forestali. In popolamenti così conformati interventi selvicolturali di utilizzazione costituiscono lo strumento di gestione anche da un punto di vista ambientale-naturalistico. La mancanza di interventi, oltre a favorire un’ulteriore coetaneizzazione del popolamento e a ridurre la diversità dello stesso (minori estensione delle radure boscate, minore partecipazione di latifoglie accessorie, minore presenza di sottobosco erbaceo ed arbustivo) può nel medio lungo periodo condurre al collasso colturale per invecchiamento della fustaia. In situazioni come quelle descritte le azioni selvicolturali devono essere rivolte a facilitare
l’insediamento della rinnovazione, a liberare le giovani generazione arboree aduggiate da piante senescenti, a movimentare la struttura del popolamento. Sono dunque auspicabili: tagli a buche/ gruppi, anche oltre i 2.000 mq di apertura, se in presenza di rinnovazione affermata; tagli di sgombero a carico di nuclei di piante mature, con l’obbiettivo di liberare le giovani generazioni arboree ma anche con finalità fitosanitarie; diradamenti ed altri interventi selvicolturali sulle nuove generazioni arboree tesi a favorire la disetaneizzazione del bosco. FdL - Val Grigna (part. 1, 2 e 3: diradamenti selettivi, a favore dei soggetti meglio conformati, per potenziare l’attitudine produttiva della particella; tagli di sgombero a carico di nuclei di piante mature, con l’obbiettivo di liberare le giovani generazioni arboree ma anche con finalità fitosanitarie; tagli a buche/ gruppi - fino a 2.000 mq per apertura - in corrispondenza di rinnovazione affermata - tesi a favorire la disetaneizzazione del bosco.).
Habitat 9420 Foreste alpine di Larix decidua e/o Pinus cembra
Foreste subalpine, o talvolta altimontane, con prevalenza di Larix decidua e/o Pinus cembra, costituenti formazioni pure o miste, talvolta associate con Picea abies o Pinus uncinata. DESCRIZIONE: Habitat presente dall’area mesalpica a quella endalpica, in stazioni del piano subalpino. Le espressioni più tipiche sono quelle di ambiente endalpico. In stazioni mesalpiche e/o di minor quota sono comuni aspetTi di transizione alla pecceta, con
formazioni spesso miste in dinamica (biplane). In stazioni rupestri o in canaloni di slavina si esprimono lariceti primitivi anche a qote non elevate. INDICAZIONI GESTIONALI: Le stazioni tipiche di alta quota costituiscono principalmente boschi di protezione, per cui sono di fatto non utilizzate/utilizzabiLI. Anche in caso di boschi misti con peccio (in dinamica) il mantenimento di Larix decidua e Pinus cembra assume rilevante pregio paesaggistico. In caso di utilizzazioni considerare i gruppi come unici individui, non diradarli all’interno. Da prevedere il rilascio di piante di grosse dimensioni per motivi naturalistici e paesaggistici. Conservare piante con cavità. Agevolare la ripresa del Pino cembro (Masutti, Battisti, 2007). Indicatori per il monitoraggio Interessante (da monitorare) e legato, oltre che a variazioni climatiche, a un minore carico di pascolo, è il processo di espansione verso altitudini maggiori delle formazioni
forestali di quota, che si osserva, in particolare, per le cenosi dominate da larice e/o cembro (importante indicatore di qualità per le aree endalpiche). Rilevanti come indicatori di buon stato di conservazione sono i seguenti taxa di Invertebrati: Insecta, Aracnidae, Mollusca gastropoda con alta biodiversità specifica, particolarmente di taxa fitofagi e xilofagi, legati a conifere (Coleoptera Cerambycidae, Hymenoptera Symphyta, ecc.). Indicatori di buono stato sono le comunità ornitiche forestali con composizione specifica ben diversificata (Picidi, Strigidi e Fringillidi), accompagnati dalla presenza di Galliformi di alta quota e dalle specie tipiche dell’interfaccia con le praterie alpine. La presenza di grandi carnivori (orso, lince) e, soprattutto, di mesocarnivori tipicamente forestali (martora), indica una buona qualità ambientale complessiva. INDICAZIONI RIFERITE AI TIPI FORESTALI: - Lariceto primitivo:
abbandonare la formazione alla libera evoluzione, tuttavia andrebbero salvaguardati i Larici più vecchi, con fusto molto sviluppato in diametro, e “habitus” caratteristico. - Lariceto tipico: nella dinamica naturale del piano montano/altimontana, il larice svolge una funzione marginale, essendo principalmente legato a fattori antropici (rimboschimenti, abbandono di superfici pascolive) o alla presenza di orizzonti minerali (riconducibili a frane o altri eventi distruttivi); la sua funzione è dunque prevalentemente pioniera e transitoria. A nostro parere le tecniche selvicolturali da adottare nei boschi di larice devono essere orientati alla sua conservazione, non solo perché il lariceto costituisce un importante tassello del paesaggio vegetale dei territori altimontani, ma anche per la grande adattabilità dei boschi di larice a funzioni diverse (ambientali - paesaggistiche - turistiche, ecc.). In questi orizzonti gli interventi selvicolturali consigliati prevedono la realizzazione
di tagli a buche o a fessure di dimensione mai inferiori a 2.000 mq, orientate in modo da favorire l’ingresso della luce; nella dislocazione delle tagliate è bene privilegiare i dossi e le zone più esposte. Nel piano subalpino il lariceto è spesso rado e pascolato, oltre quota 1.800 m. s.l.m. edifica popolamenti a volte puri con spiccate funzioni naturalistiche e paesaggistiche. In tale ambito la selvicoltura ha essenzialmente lo scopo di mantenere efficiente il bosco per gli aspetti extraproduttivi, lasciando agire l’evoluzione naturale. Andrà comunque assicurata a lungo termine la rinnovazione del larice assai scarsa, anche per l’importante incidenza dello strato erbaceo; in questa situazione si può intervenire con tagli a scelta per piccoli gruppi, eventualmente associati a scarificazione della cotica. - Lariceto in successione: anche in questa situazione sembra opportuno intervenire a favore del Larice in quanto l’evoluzione versa la Pecceta (soprattutto in ambiente mon-
tano) comporta una riduzione della biodiversità ambientale, una minore estensione degli ambienti “marginali” o assimilabili come tali, una netta riduzione della varietà vegetazionale del sottobosco erbaceo ed arbustivo e la scomparsa di alcune specie animali (merlo dal collare, organetto). Gli interventi vanno orientati al mantenimento del larice nella composizione del soprassuolo, anche favorendo la formazione di aperture o chiarie. Ideale sarebbe “modellare” il bosco in modo da mantenere formazioni aperte, con macchie fitte ed isolate di Abete rosso. Un soprassuolo così formato sarebbe ben adatto alla frequentazione degli ungulati (Cervo e Capriolo), diversificato in numerose forme strutturali, e capace di ospitare una grande varietà di flora e fauna. Gli interventi selvicolturali proposti consistono in tagli a buche o a fessure di dimensione compresa tra 3000 e 5000 mq. La collocazione delle buche all’interno della particella percorsa dal taglio deve essere tale da in-
teressare il 30% della superficie di intervento, le buche devono essere sufficientemente distanziate tra loro (almeno due volte la larghezza media delle buche). Ai margini delle tagliate vanno valorizzati gli esemplari con chioma profonda ed espansa. Nella restante superficie boscata (70%) è bene intervenire il meno possibile, salvo per eliminare esemplari di abete rosso troppo sviluppati che tendono a sovrastare aree ben rappresentate dal larice.
IL SISTEMA DELL’ACQUA connessioni naturali e sfruttamento energetico
08
IMPIANTO DEL GAVER SBARRAMENTO LAGO NERO Trentino SBARRAMENTO LAGO DELLA VACCA
CENTRALE IDROELETTRICA DEL GAVER
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IMPIANTO DI FONTANAMORA
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Laghetti del Bruffione
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Laghetti di Mignolo
IMPIANTO DI PONTE CAFFARO 1 IMPIANTO DI PONTE CAFFARO 2 rio Riccomassimo
Laghetto di Vaia
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FIUME CHIES
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FIUME CAFFARO
DIGA DI DAZARE’
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Ma
centrale idroelettrica opera di presa
relazioni tra impianti idrografia principale idrografia secondaria laghetti alpini Lago d’Idro
Troticoltura
! !
connessione interna all’impiant
LAGO d’IDRO
d’Idro, che possono essere considerati dunque il sistema portante (la spina dorsale) del sistema di produttivo e di paesaggio che anlizziamo.
IMPIANTO di PONTE CAFFARO 1 CENTRALE situata a Ponte Caffaro a quota 381 metri; alimentata da acqua fluente. ACQUE provengono dal Fiume Caffaro e da alcuni suoi tributari (Rio Berga, Rio Levrazzo e Rio Riccomassimo). SBARRAMENTI sul Fiume Caffaro mediante traversa tracimabile che convoglia le acque in un canale di adduzione, sui Rii con diversi tipi di birglie.Le acque confluiscono prima in una vasca di carico in località Bornigher e poi tramite un canale di adduzione alla vasca di carico di Montelusello da dove parte la condotta forzata.
FIUME CAFFARO
PRESA
22,50
25,00
[ impianto 27,50
Caffaro, così come il Fiume Chiese, è da sempre stato visto come opportunità produttiva o pericolo della natura dal quale proteggersi. Come tutti gli insediamenti anche quello di Bagolino e della sottostante Ponte Caffaro devono le loro origini proprio alla presenza dell’acqua, che ha consensito lo stanziamento dei primi abitanti e la creazione delle importanti occasioni di sviluppo del territorio: l’industria del ferro e la commercializzazione e lavorazione del legno. L’acqua riveste particolare importanza anche oggi, con l’estrazione dell’acqua (imbottigliamento dell’Acqua Maniva) e la troticoltura, attività che richiede acqua fresche, pulite e correnti, come quelle offerte dalla sorgente del Monte Maniva. L’acqua è la connessione verticale che lega gli alpeggi della montagna con il fondovalle, e ne è anche la connessione ecologica. L’attività zootecnica che consideriamo in questo progetto, incide sicuramente sul benessere ecologico dei corsi d’acqua della zona, che infine si riversano nel Lago
k METRI
Il territorio comunale di Bagolino ricade quasi per intero all’interno del bacino del Fiume Caffaro, affluente di destra del Fiume Chiese. I due fiumi si intersecano in prossimità dell’abitato di Ponte Caffaro e subito prima dello sbocco del Fiume Chiese nel Lago d’Idro. Il Comune di Bagolino conta numerosi corsi d’acqua minori, che solcano le varie valli trasversali e vanno infine a gettarsi nel Fiume Caffaro. Un sistema ramificato che parte dalle montagne, solca le valli, bagna gli alpeggi e i pascoli e si getta infine nel lago. Un sistema di “connessioni naturali” che hanno in realtà subito nel tempo l’azione dell’uomo. Infatti, le acqua di questa zona, così come quelle di tutta la Valle Sabbia e la Valle del Chiese, sono state sfruttate per la produzione di energia elettrica e successivamente anche per l’estrazione di acqua e per l’itticoltura (in particolare allevamento di trote). Il risultato è un mosaico piuttosto complesso di opere di presa, opere di ingegneria idraulica e di difesa: il fiume
IMPIANTO del GAVER CENTRALE in località Gaver in Comune di Breno (Provincia di Brescia);
CENTRALE situata a Ponte Caffaro, in caverna, adiacente alla centrale 1; alimentata da acqua fluente.
ACQUE provengono dal Fiume Caffaro, dal Lago della Vacca (tramite l’emissario Rio Laione) e dal Lago Nero (in Trentino).
ACQUE provengono dal Fiume Caffaro e da alcuni suoi tributari (Rio Berga, Rio Levrazzo e Rio Riccomassimo). SBARRAMENTI invaso di Dazarè sul Fiume Caffaro consente una regolazione giornaliera delle portate; la diga è alta 19,5 metri. Sui Rii invece ci sono diversi tipi di briglie.
SBARRAMENTI diga del Lago della Vacca realizzata nel 1927 a quota 2360 metri. Lo sbarramento in questione è del tipo a gravità massiccia in muratura di pietrame con malta di cemento ad andamento planiemtrico leggermente arcuato. Il suo coronamento è lungo 87,00 m e largo 2,45. Il manufatto ha un’altezza di (sul piano generale di fondazione) 17,50 m.
metri
PRESA
[ impianto del Gaver ]
2000
PRESA VALDORIZZO
[ impianto di Fontanamora ]
1500
IMPIANTO di FONTANAMORA CENTRALE in località Valdorizzo (Comune di Bagolino), posta a 1081 metri.
BACINO DAZARE'
[ impianto di Ponte Caffaro 2 ]
2,50
5,00
7,50
10,00
12,50
15,00
17,50
[ impianto di Ponte Caffaro 1 ]
1000
ACQUE provengono dal Fiume Caffaro e dal Rio Sanguinera. SBARRAMENTI costituiti da una traversa sul Fiume caffaro a 1165 metri di altitudine e una briglia con griglia sul Rio Sanguinera a 1168 metri di latitudine.
PRESA ROMANTERRA
20,00
22,50
IMPIANTO di PONTE CAFFARO 2
500
LE CRITICITĂ€ AMBIENTALI il ciclo della produzione e il ciclo ambientale
09
N
N N
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LAGO d’IDRO
CICLO AMBIENTALE OSSIDI DI AZOTO | Emissione di ossidi di azoto verso il comparto atmosferico (problema relativo sia al comparto colturale che zootecnico). AMMONIACA | Volatilizzazione dell’ammoniaca verso il comparto atmosferico (problema relativo sia al comparto colturale che zootecnico). NITRATO | Lisciviazione di nitrati verso il comparto acqua (problema relativo al comparto colturale). FOSFORO | Soprattutto a causa dei concimi chimici; lisciviazione molto bassa, contenuti nelle acque di ruscellamento.
N2O NH3 ossidi di azoto
ammoniaca
N2O NH3 NH3
STALLA o MALGA
ossidi di azoto
ammoniaca
ammoniaca
N2O NH3 NH3 PO4
VASCA DI STOCCAGGIO
PRODUZIONE LATTIERO CASEARIA
ossidi di azoto
ammoniaca
PASCOLO e ALPEGGI
ammoniaca
fosforo
Inoltre, i reflui zootecnici producono: rame, zinco, selenio, cobalto, arsenico, ferro e manganese
INPUT ESTERNI fertilizzanti minerali effluenti di allevamento (anche non prodotti internamente in azienda)
NUTRIMENTO e MANGIME INPUT ESTERNI alimenti non prodotti in azienda, quindi acquistati. Collegamento con il problema dei fertilizzanti utilizzati nei campi per la produzione del mangime per animali.
CICLO DELLA PRODUZIONE SISTEMA | sistema ancora legato a tecniche tradizionali e che da solo non riesce a innovarsi: necessità di ammodermaneto delle aziende agricole e delle malghe. OCCUPAZIONE | Problema occupazione legato alle attività zootecniche lattiero-casearie: necessità di creazione di nuovi posti di lavoro. STRUTTURE | le vasche di stoccaggio per i reflui zootecnici sono spesse costituite da vasche in calcestruzzo parzialmente interrate poste all’esterno della stalla. ABBANDONO | Abbandono alpeggi e perdita delle superfici di pascolo. USO DEL SUOLO | Cambio di destinazione di uso del suolo. IDENTITA’ E PAESAGGIO | Il sistema bosco-pascolo è elemento costituente del paesaggio prealpino: possibile perdita di un forte elemento identitario. BALNEABILITA’ | L’inquinamento chimico delle acque spesso porta alla chiusura alla balneazione di laghi e bacini.
sistema
tecniche tradizionali
occupazione necessità di nuovi posti di lavoro
STALLA o MALGA
sistema
tecniche tradizionali
occupazione necessità di nuovi posti di lavoro
produzione deroga leggi
strutture vasche in cls
VASCA DI STOCCAGGIO
abbandono
PRODUZIONE LATTIERO CASEARIA
degli alpeggi
uso suolo cambio di destinazione
identità
perdita di identità
paesaggio sistema boscopascolo
balneabilità inquinamento acque
PASCOLO e ALPEGGI
NUTRIMENTO e MANGIME
IL MOSAICO TERRITORIALE la convergenza dei livelli di studio
10
ZPS Parco Naturale Adamello
SIC Pascoli di Crocedomini Alta Val Caffaro
ZPS Val Grigna ZPS Val Caffaro
x19
Bagolino
malga
Ponte Caffaro
centrale idroelettrica opera di presa centro storico idrografia principale idrografia secondaria laghetti alpini pascoli e prati permanenti / alpeggi troticoltura rete Natura 2000
ZPS Val Caffaro
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esapansione urbana
LAGO d’IDRO
Habitat 4060 Lande alpine e boreali Habitat 4070 Boscaglie di Pinus mugo e (Mugo-Rhododendretum hirsuti) TENDENZA l’estensione di questo habitat può pregiudicare la consrvazione di cenosi erbacee RODORO-VACCINIETI ACIDOFILI E BASIFILI PINUS MUGO FORMAZIONI A GINEPRO
Habitat 6170 Formazioni erbose calcicole alpine e subalpine TENDENZA scomparsa dell’habitat a causa di invasioni arbustive per la generale riduzione del carico di pascolo FIRMETO SESLERIETO
I VALORI NATURALI E DEL PAESAGGIO
alle diverse quote [Il vetrino di progetto] [Biodiversità] [Unità di paesaggio] [Habitat]
Habitat 9110 Faggeti del Luzulo-Fagetum Habitat 9130 Faggeti dell’Aseperulo-Fagetum
Habitat 9140 Faggeti subalpini dell’Europa Centrale con Acer e Rumex arifolius (oltre i 1500 m) Habitat 9150 Faggeti calcicoli dell’Europa centrale del Cephalanthero-Fagion TENDENZA degradazione dell’habitat per l’aumento delle conifere (in particolare abete rosso per l’Habitat 9130
Habitat 6210 Formazioni erbose secche seminaturali e facies coperte da cespugli su substrato calcareo (Festuco-Brometalia) TENDENZA progressiva sostituzione dell’habitat da comunità arbustive ed arboree. FESTUCO-BROMETEA
Habitat 6150 Formazioni erbose boreo-alpine silicee TENDENZA scomparsa dell’habitat a causa di invasioni arbustive per la generale riduzione del carico di pascolo PRATERIE A FESTUCA CARICETUM SEMPERVIRENTIS
Habitat 6230 Formazioni erbose a Nardus, ricche di specie, su substrato siliceo delle zone montane (e delle zone sub-montane dell’Europa continentale) TENDENZA evoluzione di questo habitat verso la brughiera NARDETO
Habitat 9420 Foreste di Larix decidua e/o Pinus cembra Habitat 9410 Foreste acidofile montane e alpine di Picea (Vaccinio-Piceetea) TENDENZA invecchiamento del bosco e mancato rinnovamento dello stesso; semplificazione; invasione degli alpeggi e delle radure.
Habitat 6520 Praterie montane da fieno TENDENZA graduale riaffermazione del bosco in assenza di sfalcio; degrado e banalizzazione del corteggio in caso di utilizzazioni intensive TRISETETO
Habitat 7140 Torbiere di transizione e instabili TENDENZA progressivo interramento e/o prosciugamento, con vegetazioni di transizione ai nardeti o alle formazioni arboree e arbustive SFAGNI e altre BRIOFITE
Habitat 6430 Bordure planiziali, montane e alpine di megaforbie idrofile TENDENZA al margine dei corsi d’’acqua; colonizza radure liberate da tagli, schianti o slavine. Lungo i corsi d’acqua MEGAFORBIETO
GAL-GARDAVALSABBIA scrl Via Brunati 9 | 25087 Salò (BS) | Italy www.gal-gardavalsabbia.it