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GIORGIO BILLIA

Giorgio Billia nasce a Roccaverano (AT) il 21 Marzo 1956. Frequenta il Liceo Artistico “Cottini” e l’Accademia di Belle Arti di Torino, corso di Scultura del prof. Alessandro Cherchi e Raffaele Mondazzi.

Esordisce con le prime mostre personali negli anni 1987 e 1988 presso la Galleria d’arte G.Fasolino (To), con presentazione critica a cura di Francesco Lodola ed Elena Pontiggia.

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Partecipa in seguito a mostre personali e collettive, tra cui: 1990 – Biennale di Arte moderna e contemporanea di Torino a palazzo Nervi;

1992 – Fiera di Bologna a cura di Elena Pontiggia ; 2012 – “Lo stato dell’Arte” – Padiglione Italia- Biennale di Venezia a cura di Vittorio Sgarbi.

Le prime opere sono grandi frammenti di rapaci realizzati con materiali poveri che rimandano efficacemente ad un concetto di naturalismo: le immagini, strappate al loro contesto, diventano elementi concettuali.

Le opere successive sono caratterizzate da una ricerca figurativa, dove emerge un uso prevalente del colore per evidenziare le caratteristiche espressive dei personaggi ritratti.

Le ultime opere, infine, abbandonano l’uso del colore, mantenendo uno stretto legame con la figuralità e ispirandosi a canoni classici. Fondamentale è il significato concettuale dei lavori, accomunati da un unico titolo che ne rappresenta la vera essenza.

Queste opere dicono molto di sé, cecità? Quanta cecità ogni giorno incontriamo? Molta, ha un altro nome, ma la rispecchia a pieno l’indifferenza. Per me sei trasparente, non esisti, o non esisti più. Ti attraverso quasi calpestandoti, tanto non proverò nessun sentimento, emozione, nulla. A mio parere è la cecità peggiore, quella dell’anima. E’ lo specchio del becero egoismo, o la difesa di chi non sa argomentare. Quanta cecità moderna, pensiamo a chi lo è davvero cieco, ma percepisce ogni movimento, cambio di suono della voce, tocco. Siamo diventati asettici, nei sentimenti, nei rapporti. L’ opera lancia un messaggio forte, non diventiamo ciechi a prescindere, asettici, privi di emozioni. Guardiamoci, annusiamoci, e viviamo vedendoci, e parlandoci, nulla è più mortale dell’indifferenza, uccide tutto anche il rispetto.

“INVOLUCRO”,già il titolo di uno dei lavori è fonte di riflessione. Se ci pensiamo un attimo ognuno di noi visto dall’esterno è diverso, ma l’interno, quello anatomico è quasi uguale per tutti. Il corpo è l’involucro dell’anima, del cuore, epicentro delle emozioni più vere, dirette e reali. Possiamo nascondere ogni cosa ma saremo anima e cuore per pochissimi, che sapranno vederci dentro, oltre. D’impatto è voluto il viso, diviso dallo scheletro. Due facce della stessa medaglia, oggi più che mai attuale. L’opera è diretta e bellissima, nella sua semplicità. Ma come ci suggerisce, non fermiamoci mai all’apparenza, guardiamo la vera essenza di chi abbiamo di fronte, sempre!

Laura Cherubelli

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