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ANGELO BUONO
“Per Angelo Buono la pittura è come la musica che nessuno osa spiegare, deve semplicemente piacere o eccitarci “ Il lavoro di Buono si è evoluto verso il fauves, uno stile che gli si adatta nella sua ricerca di esprimere l’essenza degli oggetti nella sua arte. Nella nostra quotidianità, non consideriamo come il colore influenzi la nostra vita quotidiana, ma quando vediamo gli elaborati di Buono questi stimolano l’appetito visivo attra - verso i suoi colori forti, influenzando così l’emozione della nostra mente ed evocando ogni tipo di emozione in modo diverso. La sua figurazione è rimodellata dal punto di vista dei sentimenti piuttosto che dalla realtà che trasporta lo spettatore a partecipare all’universo creato dall’autentica personalità di Buono Angelo e al suo lavoro.
Luigi Iannelli
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Davanti alle opere di Angelo Buono, c’è da chiedersi dà cosa nasca la sua volontà pittorica, s’è non dal fascino dei colori e della luce. C’è quindi alla radice del suo far pittura un input,una sorta di sollecitazione intrinseca che lo porta ad esplicitare nella sua varietà del segno e nella molteplicità delle assonanze cromatiche,tutto un mondo interiore.
Affiorano così allo sguardo tutta una serie di esplicitazioni spesso decisamente informali perché interviene direttamente nella materia con un segno espressivo e un gesto spontanee, in cui le modulazioni cromatiche stesse sembrano essere ricondotte al servizio di un serrato impianto costruttivo organizzato talvolta su una griglia spaziale,e la fantasia a fare da supporto ideale x questa trascrizione di segni e di impulsi che si rifanno alla sfera tipicamente sensoriale. Sappiamo che segno,e gesto e materia sono alla radice della poetica “informale”, perché un linguaggio del genere nasce e si origina dal dominio della pulsione.
Ebbene in Buono si avverte, sia pure in una alternanza semantica significativa questa condizione particolare, questo muoversi e voler scoprire un “reale fantastico” ,una trasfigurazione immaginifica, in tal modo l’opera vive allora come in una doppia tensione,tra flusso espressivo e suo annientamento, sulla scia di una intuibile ricerca di dimensioni e di spazi evocativi destinati a respiri più ampi e come se dai gorghi della memoria dovessero emergere i termini di una poetica continuamente oscillante tra visibile e invisibile,tra superficie e profondità.
Alla radice c’è senza dubbio una irrequietezza come supporto ideativo, per cui il rapporto che viene a stabilirsi è attivato al rimando tra fattori di contrazione e di espansione,di parcellizzazione e di ricomposizione globale.
Salvatore Flavio Raiola