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SGUARDI DI CONFINE AL MAV DI ERCOLANO NOVE OPERE, TUTTE AL FEMMINILE di Rocco Zani

Non credo che esista un’arte dichiaratamente e condizionatamente al femminile. Come non credo che esista un’arte di genere capace di accogliere e raccogliere in un’unica agora il senso intimo della ricerca, della travalicazione, del dubbio, dell’ascolto.

Eppure accade – e siamo qui per sostenerlo e ribadirlo –che sopravvive, alimentandosi, quella che la mia amica Loredana Rea (a lungo direttrice della Fondazione Umberto Mastroianni) ha definito su una tematica analoga, “una identità culturale della donna” che la pone, al contempo, quale soggetto e oggetto del dire.

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Ed è questa identità che poniamo in campo oggi : una straordinaria raccolta di opere, di aliti, di rifiati. Una identità culturale e artistica che è privilegio e penna di ognuna, esercizio e indagine, sintesi e percorrenza.

Non c’è la necessità di sottolineare (anche in questo ambito) la presenza delle cosiddette “quote rosa” per scardinare un sistema (anche in questo ambito) a trazione maschile. No. Non c’è questa necessità. C’è piuttosto il fermo intendimento di ribadirne la presenza come anime testimoniali, come sguardi visionari, quasi custodi di segreti poetici. E poi c’è, mi pare, la cognizione di essere artiste a tutto tondo. Ovvero detentrici di una coscienza che fa di voi scrigni preziosi e affollati di tacce, di indizi, di rotte, di significati più o meno dolenti. Ma a questa condizione de- sidero attribuire un ulteriore ruolo e peso. Quello di essere – proprio per identità culturale – un vero e proprio presidio di ascolto e di pronuncia. E assai spesso, fortunatamente, di denuncia.

Un ruolo e un peso che si fa politico, relazionale, ideologico, direi perfino taumaturgico. Perché siete più di altri – e lo dico senza retorica alcuna – sentinelle oltre la collina. Pronte a cogliere e a ricevere – assai spesso in anticipo –il senso, ovvero la sostanza, del divenire. Lo dimostrano le vostre opere, i vostri sguardi, le vostre parole dimesse, quasi sottovento. Ecco, questo ciclo di opere pare farsi luogo di questi intendimenti, di queste aspirazioni. E pertanto luogo magico di suggestioni, di confronto, di accoglienza, di uso collettivo.

L’8 marzo – che noi viviamo idealmente oggi – non è soltanto una data iconica, rievocativa o addirittura riabilitativa. E’, grazie a voi il nostro quotidiano. Quello fatto di ascolto, di tolleranza di libertà, di partecipazione. Per ogni ora del giorno, per ogni giorno dell’anno.

E allora, a conclusione di questo mio breve intervento, non posso non ringraziarvi. Ho avuto il privilegio di conoscervi, di incrociare le vostre parole, di riflettere sulle vostre opere. Qui all’ombra del vulcano, ho avuto in dono la vostra arte, fatta di approdi, di ripensamenti, di storie fragili, di percorsi inconsueti, di generosità.

Oggi Virginia Carbonelli, Mariangela Calabrese, Anna Di Fusco, Susanna Doccioli, Bahar Hampezour, Diana D’Ambrosio, Barbara Martini, Isabella Nurigiani, Rossella Restante, Raha Tavallali si fanno testimonianza incalzante di un mondo – quello femminile – che non ha avuto sconti o privilegi, o immunità di sorta. Sono loro, le artiste, l’esito temporale, e quindi transitorio, di una memoria comunque stipata.

Narrano la Storia: quella individuale e comunitaria, una Storia di debolezze e di dispute, di silenzi, di distacco, di faticosa presenza. Per segnali di fuoco e di sangue, per dorature pallide, per morsure e lesioni, per corpi dissennati e voci di dentro.

Tutto ciò accade in un “paesaggio” che è spazio del cielo e dell’anima, del bronzo e delle nuvole, pancia dei mille racconti e dei mille rifiati. Un pezzo di mondo unico ma collettivo dove ogni occhio è stato – ed è – guardiano, alito, sortilegio.

Per questo, e per molto altro, le ringrazio.

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