Rosa Ma ria Falciola

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Rosa Maria Falciola

Galleria Schubert


Rosa Maria Falciola A cura di Giorgio Seveso Catalogo stampato nel mese di maggio 2017 Coordinamento e apparati Amelia Alberti In copertina: rosso cm 110 2003 Galleria Schubert via Sirtori 11 20129 Milano +390254101633 www.schubert.it info@schubert.it

Con il patrocinio di Belgirate

Lesa

Meina


Rosa Maria Falciola



“La debordanza” Una creatività alluvionale al servizio del lirismo di Giorgio Seveso

Ho voluto titolare così questa mostra, alla “debordanza”, proprio perché Rosa Maria Falciola è debordante. Artista di poche parole, di gesti misurati, di parche espressioni, esplode silenziosamente infatti soltanto con la materia tra le mani, invade e travolge lo spazio che ha intorno investendolo con la vertigine dell’immaginazione, inonda col ribollire fantastico della sua elaborazione immaginifica ogni foglio, ogni tela o teletta o cartoncino, ogni oggetto o superficie che le capita tra le dita. La sua fantasticazione tracima ogni limite decente di utilità o funzione estetica, o immanenza quotidiana nell’economia dei giorni. Appare, anzi, costituzionalmente incontenibile a chi, come me, sia

capitato d’entrare un pomeriggio d’inverno in quelle sue stanze affacciate direttamente sul lungolago di Belgirate, sulla riva occidentale appunto del lago Maggiore, in cui l’artista lavora muovendo tra pile di fogli, scatole e scatoloni ricolmi, cassettiere e armadi traboccanti, bauli ricolmi, pareti strapiene. É un’officina dell’inesausto e della passione creativa, una preziosa e brulicante wunderkammer che si spalanca agli occhi del visitatore. Perché, appunto, Rosa Maria è anche, e soprattutto, lirica. Lavora da sempre, cioè, in una direzione d’espressività che, traversando i decenni, sempre si manifesta sospesa tra la tattilità emozionale dell’immagine e la tormentata arbitrarietà dell’informale, in una


dialettica di evidente, bruciante tensione simbolica, in una metaforicità di costante tensione poetica. I suoi cicli, i suoi “soggetti”, oscillano costantemente tra questi due poli, all’interno di una commistione, di un intreccio, di una dialettica che si è dunque determinata nel suo modo di creare. Si tratta di una dialettica che potrebbe anche apparire, ad uno sguardo frettoloso, come formalistica, cioè come ispirata soltanto a mere ragioni di gusto, a semplici considerazioni di autoreferenzialità. Accade infatti anche troppo spesso, oggi, nella pittura italiana ma anche in quella internazionale, di vedere molti artisti inseguire indifferentemente formule e ricette radicalmente diverse tra loro alla ricerca della migliore mistura, della mescola più opportuna e più omologata alle indicazioni culturali vincenti del momento. Di osservare, insomma, che molta parte dell’arte attuale è più preoccupata del sembrare qualcosa che di esserlo davvero, ed è dunque molto più attenta agli aspetti meramente formalistici dell’espressione che alle sue vere

sostanze comunicative. E invece la nostra Falciola, già dal primo sguardo rivolto alle sue quotidiane creazioni e alle vicende del loro sviluppo, appare ben diversamente preoccupata rispetto all’opportunismo estetico che purtroppo oggi caratterizza una parte larga dei suoi colleghi che, del resto, frequenta assai poco. Perché se è vero che dall’informel fino a una ritornante allusività concettuale i suoi mezzi appaiono percorsi come da un certo nomadismo, è anche vero che si tratta di qualcosa di impulsivo e di autenticamente interiore, addirittura si direbbe in qualche caso di penosamente sofferto, e che ogni ciclo d’enunciazione si risolve sempre e comunque in una chiave di allusività sentimentale collegata alla realtà fenomenica delle cose che la circondano, in una tensione alla dilatazione poetica e narrante della sua esperienza esistenziale in chiave di stato d’animo, di condizione sentimentale, di risposta o reazione emotiva. Si risolve insomma in una metaforizzazione plastica della realtà e dei sentimenti che essa le ispira.


Ed è evidente, quindi, che la sua disinvoltura a esplorare, abbandonare e riprendere in modo così trabocchevole e debordante una creatività imperniata in modi e filosofie d’immagine talvolta così platealmente diversi tra loro non risponde ad una mera strategia del gusto, ma è invece il frutto di una particolare esigenza lirica. Qualcosa che è fatta di una inesausta e febbrile curiosità, di un’ansia a cercare e scoprire sul terreno della significazione simbolica, ogni volta, qualcosa che viva più di rispondenza poetica dell’immagine che di logiche stilistiche e linguistiche. Da Klee all’arcaico, dalla magia all’esoterismo che si inscrivono nella forma classica dei suoi “Scudi”; dalle tracce oniriche alle prospettive fantastiche dei suoi “Mondi impossibili” che si dipanano come in una sorta di penetrante caleidoscopio avvitato in uno spazio immaginifico. E, ancora, dalla tattilità quasi ironica al mistero semantico evocati dai suoi “Libri sculture”, grandi come favolosi atlanti antichi o piccoli come preziosi gioielli

di possibili parole... Ecco, da tutto questo nasce la sorgente delle sue immagini, che procede su ognuno di questi versanti per sottrazioni e per aggiunte, per rastremazioni e per ispessimenti dei riferimenti tattili: colore, materia, segno. E dove più delle volte il colore e la materia, appunto, si giocano tra bitumi e catrami, tra rossi frizzanti e opache lavagne di grigi antracite, tra iperbole di cere e di lacche. E dove il segno s’incarna in graffi e lacerazioni, in sforbiciate da encausto, in combustioni tremanti, in compunte giustapposizioni geometriche di righe e linee scabre, sabbiose… Dove, insomma, la tattilità e il lirismo conducono sovranamente ogni cosa e ogni regola verso il culmine delle loro potenzialità, al punto da far pensare a “oggetti” e superfici tanto da carezzare che da guardare, tanto da sfiorare lungamente con le dita quanto da osservare, meditare e sentire con calma. In questa creatività sospesa e arcana, che giustamente era stata definita da Marco Rosci “un percorso di coerenza capace di costante


arricchimento di tappa in tappa, di processo in processo, così da evocare l’immagine e la sensazione di una melodia infinita su un tema unico di forma-colore-materia”, la mano di Rosa Maria tende a cogliere le strutture più interne della realtà, a ridisegnarne l’anima, l’intimo scheletro portante. Ed in ciò, certo, consiste l’aspetto più suggestivo ma anche più spiazzante della sua liricità: in questa che propriamente è una simbologia fatta di sintesi che da una parte s’intreccia a slanci sentimentali palpitanti di reminiscenze e aggallamenti e, dall’altra, a vertiginosi assottigliamenti ermetistici, a prosciugate visionarietà minimaliste. Insomma, in questa debordante creatività, le opere evocano e comunicano, certo, anche sulla base di un’eloquenza intrinseca alle forme, di una loro interna suggestione di materie e di segni, ma soprattutto crescono e si conformano nel solco di un’idea o di un’emozione organizzate attorno a un preciso impulso narrativo, ad una “storia” da raccontare, sia pur essa minima-

le od allusiva. Agiscono, insomma, dove non c’è soltanto da avvertire l’effetto emozionale della tecnica o l’indistinto sentimento pittorico, ma dove prevalente diviene la più difficile, segreta, intima seduzione della metafora e del simbolo. In fondo è questo il segreto del fascino sottile, inquieto ed inquietante, che circola nei suoi quadri. Questa poesia è una poesia d’esistenza: una poesia, cioè, commossa dalla lenta sedimentazione delle tracce e dei lacerti che la vita deposita nel cuore delle persone. E dunque è anche (come ogni autentica poesia) portatrice di valori universali, archetipi capaci di entrare in risonanza tanto labile e sfuggente quanto suggestiva ed efficace con lo spettatore, e capaci di comunicare davvero, nel senso alto di mettere in comune, sentimenti e sensazioni che traversano il difficile destino di noi tutti, uomini e donne di oggi.


Opere



argento Ø cm110 2004

blu Ø cm110 2015 corallo Ø cm40 2003

bluK Ø cm120 2006


verde 6 Ø cm80 2007



nero Ø cm110 2004


bianco Ø cm125 2005

tavolozza Ø cm110 2006 rosso Ø cm110 2003

macchiato Ø cm80 2000


oro Ø cm80 2007



Mondi impossibili cm 30x45 2008

Mondi impossibili cm 30x45 2008

Mondi impossibili cm 30x45 2008

Mondi impossibili cm 30x45 2008



Mondi impossibili cm 30x45 2008



Mondi impossibili cm 30x45 2008

Mondi impossibili cm 30x45 2008

Mondi impossibili cm 30x45 2008

Mondi impossibili cm 30x45 2008



Mondi impossibili cm 30x45 2008



Quadrato nero cm 80x80 2016



grigio Ø cm28 2017

punto nero Ø cm40 2016


Quadrato rosso cm 80x80 2016

Quadrato nero cm 80x80 2016


2004 cm 19,5x7,8x1

2005 cm 20x7,5x2,5

2007 cm 15x11x3,5

2013 cm 12,5x14x3


2005 cm14x10,5x2

2011 cm 17,8x10,9x2

2013 cm 20,5x14,5x3,5

2014 cm 10,5x8x2


2010 cm 7,5x10,5x1,8

2008 cm 8,3x13,5x2,8

2007 cm 19,4x14,5x1,5

2007 cm 19,5x7,5x2


2013 cm 20,5x14,5x3,5


2013 cm 21,8x14,8x2




Dal 1971 ad oggi, ha esposto molte volte in mostre personali o collettive, tra cui: Principali personali:

Rosa Maria Falciola è nata a Belgirate, sulla sponda piemontese del lago Maggiore, dove tuttora ha lo studio. - Si è avvicinata a diverse forme espressive, a partire dalla modellazione di vasi e sculture in creta. Dopo un periodo figurativo, culminato con una serie di quadri aventi per soggetto pesci dalle forme affascinanti e improbabili, si è rivolta al segno sempre più astratto, tracciato col fuoco o con una colata di stagno o con grumi di catrame o segmenti di ramina ossidata, sopra una base materica ogni volta diversa. Ha usato anche veli di plastica per creare forme e figure. Non teme di confrontarsi con i colori, che passano dalle sfumature neutre o tenere ai blu elettrici ai rossi e ai neri. Molto interessanti i suoi libri d’artista, che riprendono con effetti sorprendenti le varie tecniche già messe a punto. Affascinanti le carte a “onde di colore”, che introducono verso mondi tridimensionali che inghiottono lo sguardo.

1987 Galleria Tempo sensibile, Novara 1989 Galleria La Canonica, Novara 1991 Palazzo della Regione, Torino 1991 Palazzo Scarognini d’Adda, Varallo Sesia 1999 Libreria Garzanti, Milano 1999 Galleria Excalibur, Stresa 2000 Galleria Spriano, Omegna 2002 Casa Fassi, Nebbiuno 2003 Palazzo municipale, Meina 2005 Sala Pertini, Lesa 2005 Galleria Excalibur, Lesa Principali collettive: 1986 Studio Lanza, Verbania 1991 Sala Antichi Chiostri, Torino 1991 Piemonte artistico, Torino 1992 Galleria Cacciapiatti, Novara 1994 Promotrice delle Belle Arti, Torino 1995 Palazzo Ducentesco, Vercelli 1995 Galleria Studio Dieci, Vercelli 1996 Castello Aragonese, Taranto 1997 Castello, Galliate 2000 Palazzotto Comunale, Orta S. Giulio 2001 Palazzo Viani-Visconti, Verbania 2003 Broletto, Novara 2007 Biblioteca comunale, Cassino 2010 Albergo Villa Carlotta, Belgirate





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