“Mi chiamo Bjorn e non dimenticherò mai quella giornata. Mamma, in piedi davanti al caminetto, stringeva a sé la mia sorellina Inge, in attesa come tutti noi che tornasse papà. Le sorelle mute, due giovani parenti che la mamma aveva accolto in casa per un atto caritatevole, erano atterrite. La neve fioccava, fioccava senza tregua. Il pescatore Hari e il mezzo troll si alzarono per andare a chiudere le imposte e fu acceso il fuoco. Nella sala comune regnava un silenzio di piombo. […] Dopo un certo tempo, che mi sembrò infinito, finalmente la porta si aprì ed entrò mio padre, tutto ricoperto di fiocchi ghiacciati. In casa si riversò un fiotto di neve abbacinante. Mio padre provò invano a richiudere la porta. Dizir e il pastore Drunn andarono in suo soccorso. La neve sapeva che doveva approfittare di quel momento se voleva invaderci. Una volta che la porta si fosse richiusa, al nemico non sarebbe rimasta altra possibilità se non quella di schiacciarci sotto il suo peso…”
UAO Universale d’Avventure e d’Osservazioni
Thomas Lavachery Bjorn il morfirio traduzione di Simona Mambrini ISBN 978-88-9348-754-2 Prima edizione gennaio 2020 ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2024 2023 2022 2021 2020 © 2020 Carlo Gallucci editore srl - Roma Titolo dell’edizione originale francese: Bjorn le morphir © 2004, l’école des loisirs, Paris Stampato per conto di Carlo Gallucci editore srl presso Nuovo Istituto Italiano d’Arti Grafiche S.p.a. (Bergamo) nel mese di gennaio 2020 galluccieditore.com
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Thomas Lavachery
Bjorn il morfirio disegni dell’autore
traduzione di Simona Mambrini
A mio figlio Jean
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Il nemico è malvagio
La grande porta si richiuse alle spalle del pescatore Hari; il vecchio sembrava preoccupato. Non era da lui. Poco dopo arrivarono gli altri servitori di mio padre, tra cui il mezzo troll Dizir che si affrettò a richiudere la porta, sbarrando la strada a una torma furibonda di fiocchi di neve grossi come un pugno. Con la parlata blesa tipica dei troll e dei mezzi troll, Dizir annunciò: «È un cataclifma!» Poi, con la sua andatura da orso, venne a sedersi accanto a me, il suo migliore amico. Volevo molto bene a Dizir e da tempo ormai avevo imparato a non badare alla sua bruttezza o alle sue smorfie e a non fare caso al caratteristico fetore da troll. Mi chiamo Bjorn e non dimenticherò mai quella giornata. Mamma, in piedi davanti al caminetto, stringeva a sé la mia sorellina Inge, in attesa come tutti noi che tornasse papà. Le 7
sorelle mute, due giovani parenti che la mamma aveva accolto in casa per un atto caritatevole, erano atterrite. La neve fioccava, fioccava senza tregua. Il pescatore Hari e il mezzo troll si alzarono per andare a chiudere le imposte e fu acceso il fuoco. Nella sala comune regnava un silenzio di piombo. Mio fratello Gunnar, di spalle alla porta, se ne stava tranquillo nell’angolo del caminetto a dipingere un guerriero di legno. Lo vidi strizzare l’occhio alla mia sorellina Inge e un istante dopo rivolgere un sorriso tranquillizzante alle sorelle mute. Ammiravo la sua calma. Passò un’ora, nel silenzio più totale. Poi un’altra. Mia madre e la mia sorellina non staccavano gli occhi dalla porta chiusa. A un tratto i servitori si misero a parlare tutti insieme. La vecchia Maga, la nostra cuoca, rievocò la grande nevicata del 1015. Allora, nella valle vicina, la neve aveva ricoperto le case dei villaggi fino al tetto; persino la grande chiesa di Yel era stata completamente sommersa. «La gente è rimasta segregata in casa per tre mesi» rincarò Hari il pescatore. «Io andrei fuori di tefta! » dichiarò Dizir. «Poco ma ficuro!» «Figuriamoci io!» commentò Maga. La cuoca si fece il segno della croce, subito imitata dalla mia sorellina e dalle due mute. Guardai mia madre, ma la sua mano non si mosse. Pensava ad altro. 8
Drunn, il nostro pastore, si teneva in disparte, addossato a una parete. Con la faccia spigolosa, gli occhi molto distanti tra loro e il corpo interminabile sembrava una mantide religiosa. «E quando il cibo ha cominciato a scarseggiare i padroni hanno lasciato morire di fame i domestici» commentò lugubre. Nella sala calò di nuovo il silenzio. Dopo un certo tempo, che mi sembrò infinito, finalmente la porta si aprì ed entrò mio padre, tutto ricoperto di fiocchi ghiacciati. In casa si riversò un fiotto di neve abbacinante. Mio padre provò invano a richiudere la porta. Dizir e il pastore Drunn andarono in suo soccorso. La neve sapeva che doveva approfittare di quel momento se voleva invaderci. Una volta che la porta si fosse richiusa, al nemico non sarebbe rimasta altra possibilità se non quella di schiacciarci sotto il suo peso. In tre, Dizir, Drunn e mio padre, erano quasi riusciti nell’impresa, ma l’intruso manteneva ancora un piede in casa. Allora mio fratello mollò pennello e statuetta per dare man forte; io lo imitai, seguito subito dopo dalle donne e dal vecchio pescatore. Alla fine la neve si arrese. «Le besfie, poverine!» si preoccupò a un tratto Dizir. «Chiffà che freddo là fuori!» Il mezzo troll adorava i cavalli e gli animali in generale; sembrava pronto ad affrontare la tormenta per correre in loro soccorso, ma ormai era troppo tardi. Mio padre, indispettito 9
per aver dovuto contare sull’aiuto di donne e bambini, ordinò di barricare la porta. «Sprangate anche le imposte» borbottò mettendosi a sedere. La sedia dall’alto schienale scricchiolò sotto il peso della sua mole.
In casa si riversò un fiotto di neve abbacinante
Tranne Dizir e il pastore Drunn, impegnati a sprangare porta e finestre, tutti si misero a tavola. Sui presenti gravava un pesante silenzio, rotto soltanto dalle martellate e dal sibilo del vento all’esterno. In quel momento gli sguardi di tutti erano puntati verso il padrone. Per chi non lo sapesse, mio padre Erik, figlio di Sigur, era un omone ardimentoso, nonché il signore più ricco della provincia. Aveva partecipato a numerosi saccheggi nel corso delle spedizioni oltremare, accumulando così una fortuna. Ma l’oro non è niente in confronto alla gloria. Mio padre aveva acquisito la sua durante la guerra contro i Voragi: esseri luridi, pulciosi e necrofagi venuti dai confini del mondo a invadere la nostra cara Fizzland quindici anni prima che io nascessi. Il loro re Trippone (così si chiamava) spodestò il re Harald I e prese il suo posto. Le barbare usanze dei Voragi e la loro lingua inarticolata minacciarono di invadere il paese. Ma Harald e altri uomini intrepidi come mio padre riuscirono a scacciare l’invasore. Il re in persona uccise Trippone, fendendolo in due con un colpo di scure. Il generale dei Voragi, il crudele Lungocollo, cadde invece per mano di mio padre. A quanto pare gli tagliò la testa: impresa eroica di cui, però, papà aveva sempre evitato di parlare davanti a noi. In segno di gratitudine, il re Harald lo coprì d’oro e gli fece dono di una spada, Xar la Sontuosa, forgiata in un metallo segreto. Poi, da un giorno all’altro, Harald ed Erik smisero di andare 11
d’amore e d’accordo. Mio padre ce l’aveva con il re perché aveva adottato la nuova religione venuta dal sud, quella dei cristiani. «Chi sarebbe questo dio senza viso?» ripeteva stizzito. «E suo figlio, Gesù, quel rammollito senza muscoli e senza spada? Sarebbe una guida degna di rispetto e devozione? Non sia mai!» In quelle circostanze mia madre, cristiana fervente, restava in silenzio. Ma il suo atteggiamento era un segno inequivocabile della fermezza delle sue convinzioni. Quanto a me, quel Gesù mi piaceva e rispettavo il suo coraggio pacifico, ma temevo e ammiravo anche il nostro grande dio, l’insaziabile Godinn, uccisore di orchi e addestratore di draghi. Godinn il suonatore di flauto, il poeta ineguagliabile, l’ammaliatore di ragazze… Di tutti i nostri dèi nordici (ne abbiamo milletrecentodue) Godinn era il prediletto di mio padre. E anche il mio. Mio fratello Gunnar, invece, preferiva Thor per via del suo carro volante tutto d’oro. Una volta che ebbero finito di barricare porte e finestre, Dizir e il pastore Drunn si unirono a noi. Il mezzo troll sedeva a capotavola, all’estremità opposta di mio padre, posto che non aveva niente a che vedere con il suo rango (Dizir non aveva nessun titolo: era un trovatello) quanto piuttosto con il suo odore. Isolato come un appestato, disturbava meno gli altri commensali. Ciò non impediva a quel buffone di Drunn di tapparsi il naso almeno dieci volte a ogni pasto. 12
Mio padre si alzò di colpo intimando di fare silenzio. Tese le orecchie, in ascolto. Ascoltava la neve. Io sentivo solo dei versi smorzati, in lontananza, probabilmente provenienti dalla stalla. «Non smette» dichiarò. «Di questo passo, fra tre ore il tetto sarà completamente sommerso» «E il camino?» domandò mamma. Il nostro camino, alto sei metri, era stato costruito per far fronte a una simile evenienza. «Dovrebbe nevicare per tutta la notte e per tutta la giornata di domani perché finisca completamente sepolto» osservò mio padre. «Impossibile!» si rallegrò Drunn. «Invece è possibilissimo» disse la cuoca Maga con voce chioccia. «Ricordatevi di Yel!» Mio padre si rimise a sedere e trangugiò una pinta di birra al miele; poi ci raccontò che poco prima, sulla strada del ritorno, era stato colpito da un fiocco di neve grosso come un macigno e persino un colosso come lui aveva faticato non poco a scrollarselo di dosso. Secondo mio padre si trattava di un segno inequivocabile: quell’anno la neve era malvagia e ce l’aveva con gli uomini. «Ucciderà tutti quelli che potrà» annunciò. Si versò un altro boccale di birra e tacque, scuro in viso. Intorno a me, la nostra gente in preda all’angoscia pendeva dalle labbra del padrone. Saremmo rimasti bloccati in casa per 13
settimane, forse mesi. Hari, Drunn, Maga, le sorelle mute e il mezzo troll aspettavano che Erik li rassicurasse sulla loro sorte. E infatti non tardò a farlo, in un modo solenne e secondo me ammirevole. A distanza di anni mi vengono ancora i brividi al ricordo del discorso di mio padre. «Amici miei» esordì il grande Erik «la morte è alle porte. Una morte immacolata, candida come una colomba, ma pur sempre la morte! Dobbiamo prepararci a resistere a un assedio e sostenerci a vicenda. Per tutto il tempo che passeremo tra queste mura ci divideremo il cibo equamente. Alla tavola di Erik, il padrone mangia al pari del servo, l’uomo al pari della donna, il mezzo troll come tutti gli altri». Dizir si lasciò sfuggire un sorriso riconoscente e una lacrima gli rigò la guancia pustolosa. «Le attuali circostanze non cambiano nulla!» concluse mio padre. «Così è e così sarà!» Il sollievo fu generale; mia madre ebbe uno sguardo di ammirazione per suo marito. Anche mia sorella Inge sprizzava orgoglio da tutti i pori; i suoi occhi lilla (gli occhi di mia sorella sono proprio di questo colore) scintillavano d’affetto per nostro padre. Entro sera aveva smesso di nevicare. Io giocavo a scacchi con la mia sorellina. Il fuoco danzava nel focolare con la stessa spensieratezza di Inge. Passato lo spavento iniziale, infatti, Inge aveva cominciato a trovare elettrizzante la situazione. Per lei eravamo in una prigione dorata: avremmo giocato agli indovinelli, 14
avremmo cantato canzoni, il vecchio Hari avrebbe raccontato delle storie… Io, però, non la pensavo come lei. Io avevo paura. Drunn e Maga si tenevano in disparte e non badavano a noi bambini. Sentivo distintamente la voce nasale del pastore. «Oggi tante belle parole, ma domani?» mugugnava. «Vedrai se non ci lasceranno crepare di fame quando finiranno le scorte» «Hai ragione, sicuro che andrà così» bisbigliò la vecchia. «Speriamo che la neve si dia per vinta prima!» «Su questo non ci conterei!» Non mi era mai piaciuto Drunn. A Maga, invece, volevo bene. Ma da quel momento il mio affetto per lei svanì e la sua cucina non mi sembrò più così buona.
Il dio Godinn
Stampato per conto di Carlo Gallucci editore srl presso Nuovo Istituto Italiano d’Arti Grafiche S.p.a. (Bergamo) nel mese di gennaio 2020
Thomas Lavachery è nato nel 1966 a Bruxelles, dove vive. Ha cominciato la sua carriera come disegnatore di fumetti, pubblicando le sue prime strisce a diciott’anni sulla rivista “Tintin”. Ha poi lavorato prima come sceneggiatore e poi come regista in una casa di produzione cinematografica. Ha diretto due documentari, uno dei quali dedicato alla spedizione sull’isola di Pasqua condotta nel 1934 da suo nonno, l’archeologo Henri Lavachery. Bjorn il morfirio, il suo romanzo d’esordio, è ispirato a una storia che l’autore raccontava al figlio Jean. Pubblicato con successo nel 2002, il libro ha vinto il Prix Sorcières nel 2006. Le avventure del vichingo Bjorn sono poi diventate una serie che conta oggi diversi volumi e che Gallucci comincia a far conoscere anche in Italia con questo primo titolo, a cui seguiranno gli altri.