GERTRUDE KIEL
traduzione di
Eva Valvo
STEM
«Se vedessi semplicemente il Sole sorgere ogni mattina e l’estate lasciare il posto all’inverno, lo attribuiresti al fatto che la Terra è un grumo di polvere cosmica che turbina a tutta velocità intorno a una gigantesca palla di fuoco luminosa, insieme ad altri sette ammassi analoghi in un immenso spazio vuoto, nel quale miliardi e miliardi di altri sistemi solari formano galassie nell’universo in continua espansione?» William fissò la zia. «Probabilmente no» disse. «Ma allora, come facciamo a saperlo?»
UAO Universale d’Avventure e d’Osservazioni
L’acronimo (Science, Technology, Engineering and Mathematics) indica l’insieme dei saperi cruciali per l’innovazione e lo sviluppo. Chiamiamo libri STEM i testi di narrativa o non-fiction pensati per accrescere le conoscenze dei ragazzi in queste discipline e per abbattere lo steccato che in Italia ancora separa la cultura scientifica e quella umanistica.
Gertrude Kiel Il canto delle stelle disegni di Gunvor Rasmussen traduzione dal danese di Eva Valvo ISBN 978-88-3624-090-6 Prima edizione italiana aprile 2021 ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2025 2024 2023 2022 2021 © 2021 Carlo Gallucci editore srl - Roma Titolo dell’edizione originale danese: Hvad himlen kan fortælle os. Videnskabshistorier for børn © 2018 Character Publishing e Gertrude Kiel
g a l l u c c i e d i t o r e. c o m
This work has been published with the financial assistance of SKF – Danish Arts Foundation Opera pubblicata con il sostegno di SKF – Danish Arts Foundation
Il marchio FSC® garantisce che questo volume è realizzato con carta proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile e da altre fonti controllate, secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici. L’FSC® (Forest Stewardship Council®) è una Organizzazione non governativa internazionale, indipendente e senza scopo di lucro, che include tra i suoi membri gruppi ambientalisti e sociali, proprietari forestali, industrie che lavorano e commerciano il legno, scienziati e tecnici che operano insieme per migliorare la gestione delle foreste in tutto il mondo. Per maggiori informazioni vai su https://ic.fsc.org/en e https://it.fsc.org/it-it Tutti i diritti riservati. Senza il consenso scritto dell’editore nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma e da qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, né fotocopiata, registrata o trattata da sistemi di memorizzazione e recupero delle informazioni.
Gertrude Kiel
Il canto delle stelle
traduzione dal danese di Eva Valvo
E Di GRANDI SCOPERT TÀ umana, e della CURIOSI
della oni del mondo e di nuove concezi , in MOVIMENTO Terra che viene messa VEDERE, orbite di nuovi modi di , NNOCCHIALI magici planetarie e CA indugia, del mistero della LUCE che tre e di tantissime al dell’attrazione OR, la zia acida, cose che GUNV
AM
ipote WILLI racconta al pron i imana che per lu durante la sett la peggiore si prospetta come della sua vita.
Ma sai una cosa? William si sbaglia di grosso. (Anche se questa zia Gunvor usa un sacco di parole difficili. Di alcune puoi leggere la spiegazione nel glossario in fondo al libro. E alla fine di ogni capitolo trovi un piccolo riassunto degli argomenti affrontati.) Buona lettura!
Gunvor, la zia acida ovvero come comincia la peggiore vacanza del mondo
Gunvor, la zia di William, non era il tipo che faceva frittelle o disegni, o che ti portava a spasso e ti chiedeva come si chiamavano i tuoi migliori amici, o che amava giocare a calcio o arrampicarsi sugli alberi. No, per niente. A lei non piacevano i ragazzini. Anzi, William temeva che non le piacesse proprio nessuno. Forse penserai che William poteva infischiarsene, ma invece no, perché il grosso problema era che zia Gunvor era la sua unica parente. Oltre ai genitori, s’intende. Se avesse avuto una famiglia numerosa – con zii, nonni e cugini – avrebbe potuto pure sopportare una sola zia acida, no? Ma non avendo nonni né nessun altro, con il papà medico in missione in Etiopia e la mamma partita per un corso di una settimana – una settimana INTERA,
7
capito? – nel bel mezzo delle vacanze estive, beh, avere come unica parente l’acidissima zia Gunvor poteva diventare un bel problema. «Allora siamo a posto» aveva detto la mamma a William dopo aver attaccato il telefono, con un insopportabile sorriso incoraggiante. «Zia Gunvor può occuparsi di te. Vedrai, andrà tutto benissimo». Quest’ultima era una bugia e lo sapeva anche la mamma. William aveva ascoltato la telefonata e aveva capito che la zia non era affatto contenta di ospitarlo per un’intera settimana. Così ecco William sulla soglia della bizzarra villetta a schiera di zia Gunvor: stringeva la mamma con una mano e lo zaino con l’altra, sorpreso di quanto ci si potesse sentire vuoti, pur avendo le mani piene. La mamma aveva suonato il campanello e guardava l’orologio scalpicciando. «Speriamo che non se lo sia dimenticato» mormorò. William chiuse gli occhi e pensò: “Speriamo che se lo sia dimenticato”. Ovviamente la zia se lo ricordava benissimo, solo che ci mise un secolo ad aprire.
8
«Ah, eccovi qua» disse zia Gunvor, guardandoli con disappunto da dietro gli occhiali spessi. I suoi capelli grigi sembravano una nuvola di riccioli arruffati, nonostante il tentativo di raccoglierli in un pratico nodo sulla testa. Indossava un paio di pantaloni a quadretti troppo larghi sulla vita e troppo corti sulle gambe e una camicia abbottonata storta. Rientrò in casa senza aggiungere una parola e loro la seguirono. A essere precisi, Gunvor non era la zia di William, ma della mamma; era la sorella della nonna e, secondo la mamma, William doveva assolutamente conoscerla perché non aveva mai conosciuto la nonna. «È la tua unica parente!» diceva. William non capiva cosa intendesse. Che doveva farci con una parente acida e scontrosa a cui lui nemmeno piaceva? «In fondo è simpatica» aveva cercato di consolarlo la madre. «Solo che con l’età è diventata… un po’ stramba». Sì, certo. Una volta entrati in casa, l’estate sembrò scomparsa. Anche se era pieno luglio e il sole splendeva su tutta la città, lì dentro regnava la penombra. Le pareti dell’ingresso erano rivestite di pannelli di legno scuro, mentre
9
le scale e il pavimento erano coperti da una spessa moquette dal colore indecifrabile. William dovette strizzare gli occhi per vedere. «Il bagaglio potete metterlo in cameretta». William lasciò la mamma a parlare con zia Gunvor in cucina e portò lo zaino su per le scale. Anche il primo piano era buio. La moquette lanosa continuava fin lassù, mentre i muri erano rivestiti di carta da parati verde con motivi ornamentali. Essendo la prima volta che andava di sopra, William non sapeva quale delle tre porte fosse quella della cameretta. La prima che aprì era quella del bagno: buono a sapersi. La seconda dava su un’enorme stanza piena di scatole e scaffali dal pavimento al soffitto; non poteva essere quella, quindi doveva essere la terza. William si affacciò. A essere sinceri, “cameretta” non era la parola adatta a descrivere quell’ambiente. Meglio “stanzino” o “ripostiglio” o qualcosa del genere. Anche lì c’erano scaffali da cima a fondo, carichi di vecchie carte ingiallite, libri e scatole accatastate. L’unico indizio da cui si capiva che William avrebbe dovuto dormirci era un vecchio lettino accostato a uno scaffale. Sopra c’erano un lenzuolo, un cuscino e una
10
coperta a quadretti; dal soffitto pendeva un paralume spaccato che forse un tempo era stato rosso. William buttò lo zaino sul letto e aprì le tende verdi sbiadite. La stanzetta fu illuminata da raggi di sole che, non essendo abituati a entrarci, parvero estranei e imbarazzati. Dalla finestra, William guardò i giardini delle villette a schiera. Era come affacciarsi su un altro mondo, un mondo che non poteva raggiungere, con gente che prendeva il sole o faceva il barbecue e ragazzini che saltavano su tappeti elastici. Nel giardino dei vicini c’era una ragazza che si divertiva a fare le capriole e giocare con l’hula hoop. Così vicina, eppure così infinitamente lontana dalla tetra cameretta di William. Mentre volteggiava nell’aria, i suoi capelli scuri si alzavano come una nuvola. Poi cadde a terra, scoppiò a ridere e ricominciò. Una vista quasi insopportabile. William inspirò profondamente e cominciò a tossire. C’era un bel po’ di polvere. Si voltò a squadrare la stanza con gli occhi, finché non trovò una presa elettrica. «Almeno posso ricaricare il tablet» mormorò. Di norma non parlava da solo, ma pensò che fosse il caso di esercitarsi, visto che ormai non aveva più nessuno con cui parlare.
11
«William!» gridò la madre dall’ingresso. «Devo andare. Scendi a salutarmi?» William corse giù per le scale e si tuffò tra le braccia della mamma. «Su con la vita» gli bisbigliò. «Una settimana passa in fretta. Anche tu mi mancherai». Poi lo strinse un po’ più forte e per un istante gli bruciarono gli occhi. «Ci vediamo». «Di solito mangi a pranzo?» domandò zia Gunvor. «Sì» «Mmm» fece lei sollevando le sopracciglia. «In quella cassetta c’è il pane. Trovi burro e aringhe marinate in frigo» «Veramente…» esordì William, ma lei era già sparita. «Il glutine non mi fa tanto bene» aggiunse. Tra sé e sé. Magari sarebbe diventato un grande amico di se stesso. Si guardò intorno. La cucina non era buia come l’ingresso e il primo piano. Anche lì i cassetti e gli sportelli erano di legno scuro, ma entrava luce da una portafinestra in fondo alla stanza che dava sul giardino. William si voltò dall’altra parte: non aveva voglia di ripensare a tutta l’allegria estiva che gli era negata.
12
Così, sul tavolo grigio, gli cadde sotto gli occhi il sacchetto con il cibo preparato dalla mamma. Conteneva un barattolo di tahin, uno di hummus, una barretta ai fichi secchi e poi, eccolo, il pane gluten free. Lo tirò fuori e aprì il frigorifero. Allora, aringhe marinate: chissà se contenevano glutine. Lesse l’etichetta, come faceva di solito la mamma, trovò l’elenco degli ingredienti e cercò di decifrare tutte quelle parole strane. Niente farina, quindi andavano bene. William svitò il tappo e fu investito da un odore pesante e acidulo. Trovò anche un bicchiere, ma da bere c’era soltanto acqua. Poi si sedette a mangiare pane e aringhe al piccolo tavolo con la tovaglia cerata. Trascorse il resto della giornata giocando con il tablet. Di recente aveva visto un video che spiegava come costruire isole volanti su Minecraft e quello gli sembrò il momento giusto per cimentarsi. Per cena zia Gunvor bollì un po’ di patate e fece saltare in padella qualche fetta di uova di merluzzo. Finito di mangiare, all’improvviso rivolse a William uno sguardo indagatore, come se fosse appena arrivato. «Vai a scuola». William non era sicuro che fosse una domanda, ma annuì ugualmente.
13
«Che classe fai?» proseguì la zia. «Dopo le vacanze comincio la prima media» rispose William. «La fisica l’avete studiata?» «Mmm, no. Che cos’è?» «Lo studio di… dell’elettricità, della forza di gravità. Le leggi della natura, il sistema solare. E chimica l’avete fatta?» William scosse la testa. «È tipo scienze? Mi sa che la fisica la studiano i ragazzi grandi» «Ma è elementare». William stava per obiettare che a scuola avevano fatto un progetto sullo spazio e sul sistema solare, ma non sembrava semplice dire una cosa del genere a zia Gunvor. Con gli altri adulti era più facile. Al padre del suo amico Eigil, per esempio, avrebbe detto: «A scuola abbiamo studiato il sistema solare». E a quel punto magari avrebbero parlato di cosa avevano imparato e di cosa trovavano interessante. Magari avrebbero parlato di razzi spaziali e di Star Wars. Con zia Gunvor, però, non funzionava così. Finì che William non aprì bocca e lei si limitò a scuotere la testa mentre sparecchiava. «Prendi quello strofinaccio» gli disse. E lavarono i piatti in silenzio, finché a William
14
non cadde a terra un bicchiere. Un grande schianto e schegge dappertutto. Dopodiché il silenzio si fece ancora più profondo. William guardò la zia di sottecchi, trattenendo il respiro. Lei non disse niente per un bel po’, fissando i pezzi di vetro. «Almeno sappiamo che la forza di gravità esiste ancora» disse infine «anche se non la studiate a scuola. C’è una scopa nell’armadio» aggiunse. Poi lasciò William a occuparsi delle schegge e se ne andò. «In realtà i ragazzini non dovrebbero toccare i vetri rotti» disse lui. Tra sé e sé. «Può essere pericoloso». Ciononostante li raccolse con la scopa e li buttò nella spazzatura. «Ciao, spazzolino» disse poco dopo al suo spazzolino, quando andò in bagno al primo piano. «Vedrai, andrà tutto benissimo». «Ciao, tablet, su con la vita» aggiunse, entrato in camera. «Una settimana passa in fretta». Sospirò. Quanto meno un giorno era già passato. Sul tablet c’era un messaggio di buonanotte della mamma: “Arrivata, tutto bene. Mi manchi già. Sogni d’oro”. William tirò fuori dallo zaino il pigiama di Paw Patrol. Sulle prime si era rifiutato di portarlo, ma era
15
l’unico pigiama pulito a disposizione. Comunque in fondo non gli importava: tanto non l’avrebbe visto nessuno. Invece di indossarlo, però, si sedette sul letto e si guardò intorno. Il suo sguardo vagò stanco sulle file di scatole da scarpe con etichette scritte a mano che non riusciva a leggere. Sopra c’erano libri con parole che non aveva mai sentito e che non era nemmeno sicuro di sapere pronunciare. Ma… ehi! Su uno degli scaffali più bassi c’era una scatola che sembrava contenere vecchi libri per ragazzi. Questo non se l’aspettava. Balzò giù dal letto e la prese. C’erano fiabe di Andersen, un libro di canzoni per bambini, Peter Pan, Winnie the Pooh e Alice nel paese delle meraviglie. E Pippi Calzelunghe. E poi altri libri intitolati Frankenstein, Guida galattica per gli autostoppisti e Il giro del mondo in ottanta giorni. E un altro ancora che si chiamava Il leone, la strega e l’armadio. Quest’ultimo lo incuriosì più di tutti, per cui William si sdraiò sul letto e si addentrò nella storia di quattro ragazzini che, durante una qualche guerra, erano stati mandati a vivere in campagna a casa di un vecchio pro-
16
fessore strambo. Per fortuna trovarono un armadio che si scoprì essere la porta di un meraviglioso mondo magico…
17
Stampato per conto di Carlo Gallucci editore srl presso Grafica Veneta spa (Trebaseleghe, PD) nel mese di aprile 2021
Gertrude Kiel (Copenaghen, 1983) è una scrittrice danese affasci-
nata dal concetto di tempo. Nei suoi libri si dedica con passione alle tematiche universali e più impegnative del pensiero scientifico, riuscendo a renderle interessanti anche per i più giovani grazie alla sua abilità nel mescolare, senza confonderle, fiction e divulgazione. Con questo spirito ha scritto Il canto delle stelle.
Immagine di copertina: © Khaneeros / Shutterstock © Pozdeyev Vitaly / Shutterstock Fotografia dell’autrice: © Hanne Hvattum Art Director: Stefano Rossetti Graphic Designer: Eleonora Tallarico / PEPE nymi
ANCHE SENZA TELESCOPI E SATELLITI, IL CIELO PUÒ DIRCI MOLTISSIME COSE SULL’ UNIVERSO. E SULLA VITA.
Come sappiamo che la Terra gira intorno al Sole, e non viceversa? Cos’è la forza di gravità? Ed è vero che, guardando le stelle, possiamo vedere il passato? William sta per affrontare la peggior vacanza della sua vita: un’intera settimana ospite della stramba zia Gunvor, una che con i ragazzi non ci sa proprio fare! Ma ben presto deve ricredersi: basta nominare l’Universo e lei diventa un’altra persona. Così, giorno dopo giorno, grazie ai suoi racconti William comincia a scoprire le straordinarie vite dei grandi astronomi del passato, i segreti di stelle e pianeti, i misteri del tempo e dello spazio. E capisce che il cielo può svelarci storie incredibili, se solo impariamo a osservarlo con attenzione.
STEM