Canto di Natale di Charles Dickens

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Charles Dickens CANTO DI NATALE

integrale
A cura di Anna Pellizzi
Testo

Charles Dickens

Canto di Natale a cura di Anna Pellizzi

Prima edizione rinnovata: ottobre 2022

© 2022 Gallucci - La Spiga

Prima edizione © 2013 ELI – La Spiga Edizioni

Illustrazioni di Arianna Robustelli

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Charles Dickens CANTO DI NATALE

A cura di Anna Pellizzi

Nota introduttiva

Il vecchio taccagno Scrooge, avido di denaro e arido di cuore, riceve in visita il fantasma di Marley, suo socio in affari, morto sette anni prima. È la notte di Natale e all’egoismo e all’avarizia di Scrooge viene offerta una possibilità di redenzione: i tre Spiriti natalizi, Passato, Presente e Futuro inviati dall’amico defunto, costringono il protagonista a tirare le somme della propria vita e a fare i conti con i propri errori. Il passato procura nostalgia per le occasioni di felicità perdute; il presente dimostra la sterilità della vita quotidiana; il futuro prospetta la dannazione e una morte solitaria...

La soluzione? Risvegliare pensieri d’amore! Come la bacchetta magica dello Spirito fa risplendere di bontà e letizia i personaggi del racconto, così il “bene” sotterra per sempre l’egoismo e la cattiveria di chi, per tutta l’esistenza, non ha manifestato generosità verso coloro che gli stavano accanto. L’antipatico Scrooge, «gelido e duro come una pietra», si sveglierà il mattino di Natale, e sarà un uomo giusto, disponibile, affabile.

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Prima strofa

Il fantasma di Marley

Marley era morto. Non c’era alcun dubbio al riguardo. L’atto di morte era stato sottoscritto dal pastore, dall’impiegato e dall’impresario delle pompe funebri. Anche

Scrooge lo aveva firmato e questa era una garanzia. Il vecchio Marley era morto come un chiodo conficcato in una porta.

Badate bene, non che io sappia cosa ci sia di particolarmente morto in un chiodo conficcato in una porta. A dirla tutta, sarei più propenso a pensare al chiodo di una bara come a ciò che di più morto possa esserci in giro. Ma la similitudine chiama in causa la saggezza dei nostri antenati, e non sarò certo io a metterla in discussione. Consentitemi dunque di ripetere enfaticamente che Marley era morto come un chiodo conficcato in una porta.

Scrooge lo sapeva? Come avrebbe potuto non accorgersene? Marley e Scrooge erano stati inseparabili amici per non so quanti anni. Scrooge era il suo unico esecutore testamentario, amministratore, erede e l’unico che lo avrebbe pianto. Tuttavia Scrooge non era così sconvolto dal triste evento e si dimostrò un eccellente negoziatore anche nel giorno del funerale.

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Nel parlare del funerale di Marley trovo lo spunto per tornare da dove ero partito. Marley era morto, senza dubbio. Questo deve essere chiaramente capito oppure non sarà possibile cogliere la meraviglia della storia che sto per raccontarvi.

Scrooge non cancellò mai il nome del vecchio Marley. Era rimasto lì, per anni, sopra alla porta del magazzino: Scrooge e Marley. A volte i nuovi clienti dicevano Scrooge e Scrooge, e talvolta solo Marley, ma egli rispondeva indifferentemente a entrambi i nomi.

Scrooge era un avido, vecchio peccatore sempre intento a spremere, estorcere, arraffare, grattare, stringere! Duro e affilato come una pietra focaia dalla quale non sia mai stato generato fuoco alcuno; chiuso, riservato e solitario come un’ostrica. La sua freddezza interiore raggelava i suoi lineamenti, gli pizzicava il naso aguzzo, avvizziva le sue gote, irrigidiva il suo passo, rendeva rossi i suoi occhi, blu le sue labbra sottili. Sulla testa, sulle ciglia e sulla fronte corrugata c’era un non so che di gelido. Portava il gelo ovunque e la temperatura del suo ufficio non aumentava di un solo grado neppure a Natale.

La temperatura esterna non aveva alcuna influenza su Scrooge. Nessun tepore riusciva a scaldarlo, né il rigore invernale poteva raffreddarlo. Non c’era vento che, per quanto forte soffiasse, potesse scuoterlo; non c’era tempesta di neve che lo togliesse dai suoi propositi, né pioggia

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battente che lo rendesse aperto alle suppliche. Il tempo peggiore non lo spaventava. La pioggia più fitta, la neve, la grandine e la tormenta avevano un solo punto a loro vantaggio: potevano apparire piacevoli, Scrooge mai.

Nessuno si era mai sognato di fermarlo per strada per dirgli, con sguardo amichevole: «Caro Scrooge, come state? Quando passate a farmi visita?» I mendicanti si guardavano bene dal chiedergli la benché minima elemosina, i bambini non gli domandavano neppure l’ora, non c’era uomo né donna che si fosse mai sognato di chiedere a Scrooge la via per questo o quel posto. Persino i cani per i ciechi sembravano conoscerlo: quando lo vedevano arrivare, spingevano i loro padroni all’interno dei portoni o verso i cortili più vicini e si mettevano a scodinzolare compiaciuti, come se pensassero: “Nessun occhio umano riconosce il male meglio di noi, padrone!”

Ma cosa importava a Scrooge? Anzi, di tutto ciò si compiaceva. Farsi largo tra i sentieri affollati della vita mettendo in guardia chiunque tentasse di avvicinarglisi rappresentava per lui uno dei massimi piaceri.

Un giorno, era la vigilia di Natale, il vecchio Scrooge sedeva intento a far di conto, nel suo ufficio. Faceva freddo, c’era un tempo gelido, pungente e un po’ nebbioso. Scrooge sentiva la gente per strada che andava su e giù respirando affannosamente, battendosi le mani sul petto e pestando i piedi sulle pietre del selciato per cercare di scaldarsi. Gli orologi della città avevano appena scandito

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PRIMA STROFA IL FANTASMA DI MARLEy

le tre, ma si era già fatto quasi buio e, del resto, non c’era stata luce per tutto il giorno; le candele ardevano dietro le finestre degli uffici vicini come aloni rossastri nella densa aria bruna. La nebbia si insinuava in ogni fessura ed era così spessa che, sebbene il cortile fosse molto piccolo, le case di fronte sembravano fantasmi. Nel vedere la fitta nebbia che si abbassava, oscurando ogni cosa, si sarebbe potuto pensare che la Natura fosse giunta all’ultimo dei suoi giorni e che stesse ormai per dileguarsi definitivamente.

La porta dell’ufficio di Scrooge era aperta: così egli poteva tenere d’occhio il suo impiegato che, in una piccola cella attigua, una specie di dispensa, stava copiando alcune lettere. Scrooge aveva acceso un fuoco minuscolo nel camino, ma quello dell’impiegato era ancora più piccolo, tanto da sembrare un solo pezzo di carbone ardente. Non poteva certo alimentarlo, perché Scrooge teneva la scatola del carbone nella sua stanza. Sicuramente se si fosse presentato con la pala per fare rifornimento, il padrone gli avrebbe fatto capire che era giunto il momento del suo licenziamento. L’impiegato indossò la sua lunga sciarpa di lana bianca e tentò di scaldarsi con la fiammella della candela, ma ogni sforzo era vano.

«Buon Natale, zio! Dio ti benedica!» gridò una voce allegra. Era la voce del nipote di Scrooge, sopraggiunta tanto improvvisamente che il saluto aveva rappresentato la prima avvisaglia della sua presenza.

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«Bah! – esclamò Scrooge. – Tutte sciocchezze!»

Il nipote di Scrooge si era talmente scaldato nella rapida corsa nella nebbia e nel gelo, che appariva quasi avvolto da una nuvola di vapore; il suo viso era paonazzo e bello; i suoi occhi brillavano e dalla sua bocca l’alito fumava.

«Natale una sciocchezza, zio? – esclamò il nipote di Scrooge. – Non lo pensi davvero, ne sono sicuro!»

«Certo che lo penso – rispose Scrooge. – Buon Natale! Che diritto hai tu di essere allegro? Che motivo hai per gioire? Sei abbastanza povero per non esserlo!»

«Andiamo, su – replicò allegramente il nipote, – che diritto hai tu di essere infelice? Che ragione hai di esser avido? Tu sì che sei ricco abbastanza!»

Non trovando lì per lì un’altra risposta, così su due piedi, ripeté nuovamente: «Bah, tutte sciocchezze!»

«Non ti arrabbiare, zio.»

«E come dovrei sentirmi, in un mondo di pazzi come questo? Buon Natale! E piantiamola con questo: “Buon Natale!” Che cosa può rappresentare il Natale se non il momento di pagare conti senza incassare quattrini? La coscienza di essere invecchiato di un anno ma non arricchito di una sola ora? La necessità di controllare i conti e rivedere tutto ciò che è accaduto nell’arco dei dodici mesi ormai trascorsi? Ogni idiota come te che arriva con un “Buon Natale!” sulle labbra dovrebbe finire nel calderone ed essere sepolto con un ramo di agrifoglio conficcato nel cuore. Ecco cosa mi piacerebbe!»

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PRIMA

«E dài, zio!» implorò il nipote.

«E dài, nipote! – replicò lo zio, severamente. – Tu pensa al Natale tuo e lascia che io mi occupi del mio.»

«Occupatene pure a modo tuo! – ribatté l’altro. – Ma non lo vivrai bene!»

«Lasciami perdere, allora – disse Scrooge. – Occupati dei fatti tuoi e buon pro ti faccia, come sempre! »

«Ci sono molte cose da cui ho ricavato del bene ma non mi hanno procurato alcun profitto – rispose il nipote – e il Natale è una di queste. Ma sono sicuro che penserò sempre al Natale, anche quando sarà passato, come a un bel momento: un momento dolce, di perdono, di carità. È il solo momento che io conosca, in tutto l’anno, in cui uomini e donne sembrano propensi ad aprire liberamente i loro cuori per pensare alla gente che sta peggio di loro. Per questo, zio, sono convinto che il Natale mi abbia sempre portato del bene e sempre me ne porterà, anche se non mi ha mai fruttato una briciola di oro né di argento. E per questo motivo ne ringrazio Dio!»

L’impiegato dalla dispensa applaudì istintivamente e, rendendosi subito conto di aver fatto qualche cosa che non doveva, andò a attizzare il fuoco, con il risultato di spegnere per sempre l’ultima scintilla.

«Mi faccia sentire ancora un solo rumore e festeggerà il Natale perdendo l’impiego. Sei un oratore davvero straordinario, signorino – soggiunse Scrooge, voltandosi verso il nipote. – Mi chiedo come mai tu non sia in Parlamento.»

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«Non arrabbiarti, zio. Su, ceni con noi, domani?»

Scrooge rispose che piuttosto avrebbe preferito vederlo morto.

«Ma perché? – gridò il nipote. – Perché?»

«Perché ti sei sposato?» ribatté Scrooge.

«Perché ero innamorato.»

«Perché eri innamorato! Sì, buonanotte!» replicò l’altro con aria di sdegno, come se questa fosse la sola cosa al mondo più ridicola di un «Buon Natale!»

«Via, zio, tu non sei mai venuto a trovarmi neanche prima. Perché consideri il Natale un pretesto per non venire?»

«Buon pomeriggio» gli rispose.

«Mi dispiace, davvero, vederti così risoluto. Non abbiamo mai avuto alcun motivo di discussione. Ho deciso di fare questo tentativo in onore del Natale e sono deciso a mantenere il mio Spirito natalizio fino all’ultimo. Buon Natale, dunque, zio!»

«Buon pomeriggio!» replicò Scrooge.

«E felice anno nuovo!»

«Buon pomeriggio!» concluse scocciato lo zio.

Il nipote lasciò la stanza senza una sola parola di disappunto. Si fermò sulla porta esterna per porgere gli auguri di circostanza all’impiegato che, nonostante il freddo che era costretto a patire, era tuttavia più caloroso di Scrooge, poiché glieli ricambiò cordialmente.

«Eccone un altro buono – mugugnò Scrooge. – Il mio

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PRIMA STROFA IL FANTASMA DI MARLEy

impiegato, con quindici scellini alla settimana, moglie e figli, parla di “Buon Natale”. Roba da manicomio!»

Il tapino, mentre accompagnava all’uscita il nipote di Scrooge, aveva fatto entrare due persone. Erano due gentiluomini robusti e di bell’aspetto; con i cappelli in mano si erano piazzati nell’ufficio di Scrooge. Stringendo libri e documenti, si inchinarono per salutarlo.

«Scrooge e Marley, se non erro – disse uno dei due, consultando un elenco. – Ho il piacere di parlare con il signor Scrooge o con il signor Marley?»

«Il signor Marley è morto da sette anni – rispose Scrooge. – È morto sette anni fa, in questa stessa notte.»

«Senza dubbio la sua generosità sarà degnamente rappresentata dal suo socio superstite» asserì il gentiluomo presentando il suo biglietto da visita.

Certo che lo era, dal momento che Scrooge e Marley erano sempre stati due spiriti affini! Alla sinistra parola “generosità”, Scrooge corrugò la fronte e scosse il capo, restituendo il biglietto.

« In questo periodo festivo dell’anno, signor Scrooge – disse il gentiluomo prendendo una penna, – è più che mai auspicabile che noi raccogliamo qualche cosa per i poveri e gli indigenti che soffrono molto. Migliaia di loro mancano dei più essenziali generi di consumo; centinaia di migliaia necessitano dei più semplici conforti, signore. »

«Non ci sono prigioni?» chiese Scrooge.

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«Ci sono molte prigioni» rispose il gentiluomo posando nuovamente la sua penna.

«E gli ospizi per gli indigenti? – incalzò Scrooge. – Sono sempre aperti?»

«Sì, sempre – rispose il gentiluomo. – Vorrei tanto poter dire che sono ormai chiusi.»

«Il lavoro forzato e la legge sui poveri sono ancora in vigore, allora?» domandò Scrooge.

«Entrambe in piena funzione, signore.»

«Oh, da quanto ha detto prima, temevo che fosse accaduto qualche cosa che le avesse bloccate. Sono molto lieto di udire ciò.»

«Mi pare comunque che queste istituzioni forniscano ben poco conforto cristiano per la mente e il corpo della moltitudine di persone bisognose – ribatté il gentiluomo. – Alcuni di noi stanno cercando di accrescere i fondi disponibili per comperare ai poveri un po’ di carne e qualche cosa da bere, oltre che l’occorrente per scaldarli. Abbiamo scelto questo periodo dell’anno perché è uno dei momenti in cui il bisogno viene fortemente compreso e l’abbondanza celebrata. Quale cifra devo scrivere come sua offerta?»

«Nulla!» rispose Scrooge.

«Desidera forse restare anonimo?»

«Voglio solo essere lasciato in pace. Visto che mi avete chiesto cosa desidero, signori, ecco la mia risposta. Io non auguro a me stesso di essere felice a Natale e non posso far

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PRIMA STROFA IL FANTASMA DI MARLEy

felice la gente inoperosa; contribuisco già a mantenere le istituzioni che ho menzionato prima: mi costano abbastanza. Coloro che si trovano in cattive condizioni economiche possono ricorrere a quelle.»

«Molti non possono andarci e molti altri preferirebbero morire piuttosto di farlo!»

«Se preferiscono morire farebbero meglio a farlo sul serio: diminuirebbe così la popolazione in sovrannumero. Inoltre, scusatemi, io non mi intendo di queste faccende.»

«Ma potrebbe anche informarsi» osservò il gentiluomo.

«Non sono affari miei – replicò Scrooge. – Buon pomeriggio, signori!»

Vedendo chiaramente che sarebbe stato inutile proseguire su questo argomento, i due si ritirarono. Scrooge riprese il lavoro con un’accresciuta opinione di sé e un umore più allegro del solito.

Nel frattempo la nebbia e l’oscurità si erano fatte così fitte che la gente era costretta a camminare con le torce in mano, prodigandosi per precedere i cavalli delle carrozze e far loro strada. L’antico campanile, la cui vecchia stridula campana sembrava sempre spiare Scrooge attraverso una finestra gotica nel muro, divenne invisibile, e cominciò a battere le ore e i quarti nascosto tra le nuvole, con tremule vibrazioni, come se gli battessero i denti nella testa gelata. Il freddo divenne intenso. Nella strada principale, all’angolo del cortile, alcuni operai avevano

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riparato i lampioni a gas e acceso un grande fuoco in un braciere attorno al quale si era raccolto un gruppo di uomini e ragazzi coperti di stracci: si scaldavano le mani e strizzavano gli occhi quasi fossero stati incantati dal chiarore. La fontanella sembrava abbandonata e i suoi spruzzi si erano congelati, divenendo ghiaccio dalle forme tristi. Le vetrine illuminate dei negozi, dove ramoscelli di agrifoglio e bacche rosse crepitavano al chiarore delle lampade, rendevano paonazze le facce pallide dei passanti. Le botteghe di pollivendoli e droghieri erano uno splendido spettacolo: un glorioso palcoscenico sul quale era impossibile credere potessero normalmente aver luogo fatti così banali come vendite e acquisti. Il Sindaco, ben protetto nella sua casa municipale, dava ordine ai suoi cinquanta cuochi e camerieri di preparare un Natale degno della sua carica; e persino il piccolo sarto, che aveva pagato cinque scellini di multa il precedente lunedì per essere stato trovato ubriaco e rissoso per la strada, nel suo abbaino preparava il budino per il giorno dopo, mentre la sua magra moglie usciva con il bambino a comperare un po’ di carne.

La nebbia aumentava, e anche il freddo! Un freddo acuto, penetrante, pungente. Il proprietario di un povero giovane nasino, divorato e morso dalla fredda fame, come le ossa rosicchiate dai cani, si fermò davanti alla porta di Scrooge per allietarlo con un canto di Natale; ma aveva appena intonato la prima strofa:

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PRIMA STROFA IL FANTASMA DI MARLEy

«Dio la benedica, gentiluomo!

Che nulla la possa turbare!»

che Scrooge afferrò il righello con una tale energia da farlo fuggire in preda al terrore e obbligarlo a tornare verso la nebbia e il gelo, certo più accoglienti.

Finalmente giunse l’ora di chiusura dell’ufficio. Scrooge scese di malavoglia dal suo sgabello e tacitamente acconsentì che l’impiegato, in attesa nel suo sgabuzzino, facesse altrettanto. Questi spense immediatamente la candela e si mise il cappello in testa.

«Vorrà tutto il giorno libero, domani, suppongo?» chiese Scrooge.

«Se lei è d’accordo, signore.»

«Non sono d’accordo, e non mi sembra neppure il caso. Se cercassi di proibirglielo, penserebbe che io sia crudele nei suoi confronti, non è vero?»

L’impiegato abbozzò un sorriso.

«E allora – continuò Scrooge, – non è forse crudele anche lei nei miei confronti a costringermi a pagarle il salario di un intero giorno senza che lei lavori?»

L’impiegato obiettò che questo accadeva una sola volta all’anno.

«Una scusa qualsiasi per estorcere denaro ogni 25 dicembre! – replicò Scrooge, abbottonandosi il pastrano fino al mento. – Credo comunque che le spetti l’intera giornata. Ma cerchi di essere qui più presto dopodomani!»

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L’impiegato promise che l’avrebbe fatto e Scrooge uscì brontolando. L’ufficio venne chiuso in un lampo e l’impiegato, con le lunghe code della sciarpa bianca che penzolavano oltre la vita, perché non poteva permettersi un mantello vero e proprio, scivolò verso Cornhill, assieme a uno stuolo di ragazzi, che festeggiavano a modo loro la vigilia di Natale; poi corse a tutta birra verso Camden Town, a casa sua, per andare a giocare a mosca cieca con i figli.

Scrooge consumò la sua malinconica cena nella solita malinconica taverna e, dopo aver letto tutti i giornali e trascorso il resto della serata sui suoi libri contabili, si diresse verso casa per andare a letto. Abitava nell’appartamento che era appartenuto al suo socio scomparso. Si trattava di una serie di locali scuri all’interno di un edificio in rovina. Il tutto era abbastanza vecchio e tetro. Non ci viveva più nessuno, tranne Scrooge: tutte le altre stanze erano state affittate come uffici. Il cortile era così scuro che persino Scrooge, che ne conosceva le pietre una a una, era costretto a percorrerlo a tastoni. La nebbia e il gelo erano così attaccati al vecchio cancello nero della casa che pareva che il genio del freddo fosse seduto sulla soglia a meditare.

Ora, bisogna dirlo, la sola cosa notevole che avesse il battaglio della porta erano le grandi dimensioni. Scrooge lo aveva sempre visto allo stesso posto, notte e giorno, da quando abitava là. E, bisogna ammetterlo, Scrooge aveva

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PRIMA STROFA IL FANTASMA DI MARLEy

poca fantasia, come d’altra parte qualsiasi altro uomo nella City di Londra. Lasciatemi anche ricordare che Scrooge non aveva mai più dedicato un solo pensiero a Marley, se si esclude quel fugace cenno fatto nel pomeriggio ai sette anni trascorsi dalla morte del suo socio.

Spiegatemi quindi, se possibile, come accadde che Scrooge, infilata la chiave nella serratura, vide nel battaglio, senza che questo fosse sottoposto ad alcun processo di mutazione, il volto di Marley.

Il volto di Marley. Non si trovava nella stessa impenetrabile ombra in cui si trovavano gli altri oggetti del cortile, era piuttosto circondato da una tetra luce, come una brutta aragosta putrefatta in una cantina oscura. Non sembrava adirato né feroce, ma guardava Scrooge come Marley era solito fare un tempo: con occhiali spettrali poggiati sulla fronte spettrale. I capelli erano stranamente scompigliati, come per un soffio o per una vampata di aria calda e, sebbene gli occhi fossero spalancati, erano perfettamente immobili. Tutto questo, nel suo livido colore, lo rendeva orribile; ma l’orrore sembrava essere una parte della sua stessa espressione, indipendentemente dal volto e senza che questo potesse controllarlo.

Mentre Scrooge fissava questo fenomeno, il battaglio tornò a essere normale.

Dire che egli non fosse spaventato o che in cuor suo non fosse pervaso da una terribile sensazione di paura, a lui estranea dopo l’infanzia, sarebbe una menzogna. Ma

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pose ugualmente la mano sulla chiave, la girò energicamente, entrò e accese la candela.

Si fermò, preso per un momento da una sorta di indecisione, prima di chiudere la porta; guardò cautamente dietro di essa, come se temesse l’apparire del codino di Marley. Dietro alla porta c’erano solo i cardini che reggevano il battaglio. Borbottò: «Puah! Puah!» e la chiuse con un colpo.

Il rumore riecheggiò per tutta la casa come un tuono. Ogni stanza, al piano di sopra, e ogni botte nella cantina del vinaio, al piano di sotto, sembravano rispondere con un’eco diversa. Scrooge non era uomo da spaventarsi per una risonanza. Chiuse la porta, attraversò la stanza e salì le scale, lentamente, cercando di tenere la candela in equilibrio.

Certo non è possibile guidare un carro a sei cavalli su per una vecchia rampa di scale, eppure vi garantisco che su per quella scala si poteva tranquillamente portare una bara nel senso della larghezza, con la punta rivolta verso il muro e il fondo verso la balaustra, senza alcuna fatica. C’era molto spazio; questa è forse la ragione per cui Scrooge pensò di vedere un carro funebre davanti a sé, nell’oscurità. Una mezza dozzina di lampade nella strada non sarebbero state in grado di illuminare l’ingresso, che, come potete ben supporre, era abbastanza scuro, rischiarato solo dalla candela di Scrooge.

Scrooge salì, senza preoccuparsi minimamente: il buio

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Canto di Natale

In Canto di Natale, uno dei più amati classici della letteratura, Charles Dickens racconta la storia esemplare del vecchio taccagno Scrooge. Avido di denaro e arido di cuore, grazie all’aiuto di tre spiriti (Natale Passato, Presente e Futuro), avrà l’occasione di riconoscere i propri errori e, infine, di porvi rimedio. Non è mai troppo tardi per diventare migliori!

• Testo integrale del racconto

• Dossier con un’intervista immaginaria a Charles Dickens

Vendibile solo in abbinamento con un altro volume della stessa serie

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