2 minute read

CUCINE REGIONALI ITALIANE

Idea comune e ampiamente accettata è che non esista una cucina italiana, ma esistano cucine regionali, mentre erroneo è pensare che questa sia una caratteristica che differenzia l’Italia da altre nazioni, come quella francese o tedesca, per esempio. Anche queste hanno invece una grande differenziazione regionale: per la Francia, senza contare i territori oltremare, sono state individuate circa venti cucine regionali, e altrettanto diversificate sono le cucine delle regioni dal nord al sud della Germania.

Da un punto di vista antropologico e storico la frammentazione delle cucine regionali, precisando la frequente non coincidenza con i confini amministrativi di queste e spessissimo frazioni e sottofrazioni territoriali, pone problemi non solo di ricerca quanto espostivi che solo in parte sono risolti, quando non complicati, dai tentativi di aggregazione attraverso l’individuazione di stili alimentari che nei singoli territori distinguono uno stesso modello alimentare. Esemplificando, il modello alimentare della pasta ripiena da brodo presente in un’area vasta (ad esempio pianura Padana) avrebbe un’unica storia, mentre storie particolari sarebbero da attribuite agli stili che queste paste assumono in singole aree più ristrette assumendo caratteri e nomi diversi (tortellini bolognesi, cappelletti reggiani, anolini parmigiani, marubini piacentini, agnoli mantovani ecc.).

L’esistenza in Italia di cucine regionali, qualunque delimitazione si voglia dare a questo termine, è già presente nel 1700 e nel 1800, quando compaiono libri di cucina che riguardano specifiche regioni, per esempio La cuciniera piemontese di Beltramo Antonio Re (1771) o Il cuoco maceratese di Antonio Nebbia (1781), mentre più tarde e successive all’unità d’Italia sono le pubblicazioni che affrontano la complessa diversificazione delle cucine regionali italiane, e tra queste quella di Vittorio Agnetti (La nuova cucina delle specialità regionali, Società Editoriale Milanese, 1909; Guaraldi, 1977), la prima raccolta organica di ricette di tutte (o quasi) le regioni d’Italia, dal Piemonte alle tre Venezie, dal Lazio alla Sardegna. Odiernamente si ritiene che Agnetti, se non è il primo a pubblicare ricette di piatti regionali, è tuttavia primo a progettare e a compilare una raccolta comprendente, con poche e non gravi eccezioni, tutte le regioni italiane, delle quali si riportano le ricette di piatti popolari di elementare semplicità o di grande complessità, piatti poveri plebei o piatti borghesi doviziosi, piatti di tradizione casalinga, di trattoria o d’interesse artigianale e che poi diverranno industriali, partendo da rare fonti scritte (Artusi incluso), ma soprattutto orali, che risentono della giovane scienza etnografica del tempo, che non trascura le differenze culturali ed etniche esistenti tra le popolazioni della penisola, fra gli abitanti del Friuli, che sono un po’ tedeschi – come egli scrive – e gli abitanti della Sicilia, che sono un po’ arabi. Un libro che apre la strada a una miriade di raccolte di ricette regionali che tuttavia spesso sono esposte senza considerare le loro basi antropologiche, etnografiche e storiche. Migliori sotto questo aspetto e in particolare quello storico sono le raccolte monografiche di ricette dedicate a singole regioni o loro porzioni di città o provincie. Agnetti compie la sua ricerca e scrive nel 1909 ma con la

This article is from: