La nuova promessa di Londra
Il cielo vibrava di un blu sfrontato mentre Sam Morgan, di professione investigatore privato, percorreva Regent Street a passo energico. Il clima era stranamente gradevole. Londra aveva deciso di mettere da parte le sue atmosfere uggiose e la pioggerella di metà marzo, per sfoderare un azzurro incandescente, reso ancora più notevole dal contrasto acceso con le bianche nuvole di vapore.
Dietro quel biancore c’era la mano dell’uomo: l’intera città era in trasformazione, un frutto di ottone deciso a crescere ancora e ancora nella sua polpa, fino a maturare. Dirigibili dal ventre bombato sorvolavano pigramente le teste dei londinesi, e un viavai di piro-carrozze imprimeva la sua traccia, leggermente annerita, sulle strade. Era un’armonia maestosa, per gli spiriti sensibili al fascino della metropoli. Alcuni si fermavano, con il naso all’insù, a respirare il profumo nuovo di quell’anno, il 2851.
Se solo Sam Morgan si fosse spinto fino ad Hyde Park, si sarebbe imbattuto in una folla variopinta di curiosi, intenta a monitorare la costruzione del Diamond Palace, la faraonica sede della prossima Esposizione Universale.
Lui, però, non avrebbe guardato nella stessa direzione degli altri. Anziché soffermarsi sullo spettacolo impressionante e mastodontico del palazzo che cresceva in altezza giorno dopo giorno, il suo sguardo si sarebbe appuntato altrove. La sua attenzione sarebbe stata attirata dal bavero macchiato di un passante, dalle unghie bordate di nero di una dama elegantissima, dalla leggera zoppia che un ragazzo cercava abilmente di mascherare.
Sarebbe riuscito a leggere molti dei loro segreti, se solo avesse voluto. Debiti di gioco, problemi al fegato, infedeltà: le loro vergogne piccole e grandi, quali che fossero, si sarebbero offerte a Morgan spontaneamente. Una manciata di dettagli avrebbe rivelato, che lo volessero o no, la ragione dei loro imbarazzi più profondi, delle loro notti insonni.
Non aveva scelto quel dono: semplicemente, ci era nato. In passato era stato quasi una condanna, e c’erano giorni in cui ancora gli pesava. Non quella mattina, però.
Quella mattina, il dono – se così vogliamo chia-
marlo – lo riempiva di orgoglio e di contentezza (la contentezza era, come si appuntò mentalmente, una sensazione rara e non spiacevole). La ragione di quello stato d’animo andava ricercata nel giornale che Morgan portava stretto sotto il braccio: in prima pagina c’era un articolo dedicato a lui, così come a pagina 12, e anche a pagina 21.
“La nuova promessa di Londra” recitava il titolo in prima, accompagnato da una grande foto della sua faccia.
“Non sembro neppure io” pensò Morgan, considerando l’espressione sicura e distaccata che quello scatto aveva immortalato: non gli andava a genio, ma aveva deciso di farselo andare bene.
“Il nuovo Sherlock Holmes ha diciannove anni” sentenziava l’articolo, firmato da una certa Cecilia Postlewhite. “Sguardo fiero e intuito infallibile: Sam Morgan è destinato a far capitolare tutti i criminali della città. E anche qualche cuore…”
Quindi proseguiva elencando una serie di notizie sul suo conto:
Fino a qualche mese fa, il nome di Morgan era sconosciuto a chiunque. Adesso invece, il ragazzo prodigio dagli occhi di ghiaccio è sulla bocca di tutti.
Nessuno sa da dove venga, né dove abbia studiato,
né chi siano i suoi genitori: eppure in un battito di ciglia ha risolto due misteri che da tempo tenevano in scacco Scotland Yard.
La giornalista non aveva mentito. Il caso di “John dai tacchi a molla” aveva impensierito la polizia di Londra per un bel pezzo, ma a lui erano bastate delle tracce di fuliggine e un vecchio breviario per smascherare il colpevole: un barone decaduto, malato di gotta.
Il secondo caso aveva coinvolto la sparizione di una nobile in età da marito e di un vecchio medaglione. Alla fine, l’intrigo messo a punto dalla famiglia Carter si era rivelato solo un raffinato tentativo di truffare la compagnia di assicurazioni.
“È sempre la stessa storia. Una volta messi insieme i pezzi del rompicapo, tutto si rivela più banale che mai” rifletté Morgan. Il movente per eccellenza era, e sarebbe sempre stato, il denaro, e il vacuo universo di avidità che si trascinava dietro.
La gente architettava qualsiasi cosa per qualche penny in più, e lui non smetteva di meravigliarsene, dato che su di lui la ricchezza non esercitava alcun fascino.
C’era un sospetto volgare e tremendo che, ultimamente, lo punzecchiava fin troppo spesso. Non erano soltanto i moventi a essere banali; erano banali anche le persone stesse.
Scosse la testa, come per liberarsi di quel sentimento. Notò una piro-carrozza in avaria, il metallo che riluceva sotto il sole tiepido. Poi riprese a leggere il giornale.
Non tutti sono fan di Morgan. Barry Bartlett, l’ispettore capo di Scotland Yard, lo ha definito «un ragazzino con i metodi da principiante». E lo ha esortato a non montarsi la testa, perché «non si diventa investigatori in un giorno».
Bartlett! Dopo il caso di John dai tacchi a molla, aveva praticamente implorato Morgan di diventare uno sbirro. Lui aveva rifiutato, per una semplice ragione: lavorava bene soltanto quando era solo, da sempre. Peccato che l’ispettore non gli avesse creduto: le linee del suo viso si erano irrigidite, se l’era presa a morte e lo aveva liquidato dandogli del bambino arrogante.
Per fortuna, Cecilia Postlewhite era un’autrice scaltra.
Che Bartlett abbia il dente avvelenato? Chi scrive sospetta che abbia proposto a Morgan di entrare in Scotland Yard e si sia sentito rispondere un sonoro no. Un bello smacco per un tipo pomposo come lui.
Nel leggere questa stoccata, Morgan aveva provato un piccolo moto di soddisfazione. Era soltanto uno il punto dell’articolo che lo impensieriva un po’: la parte finale.
Ma chi è veramente Sam Morgan? C’è chi mormora che sia un ex galeotto, rimesso da poco in libertà. Fonti vicine a questo giornale sostengono che possa addirittura essere il figlio illegittimo della Regina. Quale che sia la verità, un sospetto si fa strada: il più grande solutore di misteri del momento è a sua volta un mistero. E la città di Londra non dormirà finché non l’avrà risolto.
Scosse di nuovo la testa, mentre un dirigibile particolarmente panciuto gettava un’ombra sulla strada, e si rimise in cammino. Si fermò in panetteria per comprare un paio di scone al formaggio, e il proprietario gli offrì un piccolo dolce in omaggio, accompagnandolo con un sorriso generoso: senz’altro lo aveva riconosciuto.
Morgan lo ringraziò con un filo di imbarazzo. La gentilezza degli estranei era qualcosa di nuovo per lui, qualcosa che doveva ancora imparare a gestire. Uscì dal negozio (la porta mandò un piccolo trillo) e cominciò ad accarezzare l’idea di fare incorniciare
l’articolo. In fondo, poteva concedersi quel piccolo monumento alla sua vanità.
Gli altri due pezzi, comunque, non erano altrettanto lusinghieri. Quello a pagina dodici sosteneva che lui avesse contribuito a rilanciare la moda del cappello a tesa stretta, un indumento che in effetti amava. Il brano a pagina ventuno, invece, era puro chiacchiericcio, scritto per intrattenere le adolescenti più svenevoli. Leggendolo, Morgan aveva scoperto di essere il promesso sposo della futura principessa di Svezia, ma di essere segretamente innamorato della sua dama di compagnia.
Quei pettegolezzi gli avevano strappato un sorriso. Con la notorietà aveva intuito di esercitare un certo fascino sulle donne, un fascino che non aveva mai sperimentato prima. Apparentemente, i suoi occhi azzurro freddo non erano male: Cecilia Postlewhite li aveva definiti addirittura incantevoli e capaci di stregare chiunque . Solo due settimane prima, una sconosciuta per strada gli aveva chiesto di uscire, e con un piglio così minaccioso da farlo sembrare un ordine più che un invito. Dopo ce n’erano state altre, decisamente più dolci, e non sgradevoli di aspetto. Il giovedì precedente aveva persino ricevuto una scatola di cioccolatini da un’ammiratrice.
Ma lui svicolava. La verità è che non c’erano donne nella sua vita. O meglio, una c’era. Peccato che gli facesse saltare i nervi.
«Ancora tu!» sbottò, arrivato davanti al suo studio. «Lo sapevo! La giornata stava andando troppo bene!»
La ragazza si scusò dell’interruzione con i suoi due clienti e gli lanciò uno sguardo di fuoco. «Morgan, mi stai rovinando gli affari!»
«E tu questi li chiami affari?» rispose lui, stizzito.
Lei incrociò le braccia al petto. Sedeva su una specie di pacchianissimo trono, con la vernice d’argento scrostata in parecchi punti, dietro un banchetto ricoperto da un drappo di un giallo squillante. “Sybil, fata e cartomante” recitava il cartello decorato di fiori e teschi che faceva bella mostra di sé accanto alle gambe affusolate della ragazza. “Scoprite il vostro destino con un solo penny!”
Ogni mattina, da un mese in qua, si ripeteva lo stesso copione. Quella ciarlatana si appostava su Regent Street, a due passi dallo studio di Morgan, a truffare il prossimo senza il minimo scrupolo e, quel che è peggio, le autorità non sembravano interessate a intervenire. Le era bastato sbattere le ciglia e ravviarsi i capelli lunghissimi per farsi benvolere dai poliziotti di quartiere.
«Quando ti deciderai a piazzarti da un’altra parte? Con tutte le strade che ci sono a Londra, devi fare queste… queste stupidaggini proprio qui?»
«Cos’è, il signorino pensa che Regent Street sia di sua proprietà?» lo rimbeccò lei.
Si erano già accapigliati molte volte. Morgan pensava che la presenza di Sybil danneggiasse la sua immagine; e Sybil non aveva alcuna intenzione di lasciarsi sfuggire i potenziali clienti che uscivano dai tre gentlemen club e dal lussuoso bar Viktor, lì accanto.
Fiutando aria di tempesta, la coppia seduta al banchetto si alzò, allontanandosi senza troppe cerimonie. Fu allora che Sybil smise il suo tono di scherno e trafisse Morgan con gli occhi neri, sormontati da sopracciglia del colore dell’inchiostro. «Sei contento, adesso?» gli sibilò, furibonda. «Quei due significavano il pranzo, per me!»
Lui si sentì improvvisamente in colpa. Fu tentato di allungarle uno scone, ma aveva come la sensazione che lei glielo avrebbe tirato in testa.
«Be’, potresti sempre guadagnarti da vivere con un’attività rispettabile. Sei ancora giovane e…»
Sybil era infagottata in uno strano vestito con due spacchi laterali: un costume da indigena, o forse da gitana, bordato di un oro sporco che contrastava con la pelle olivastra. Sicuramente lo aveva scovato
in qualche mercato delle pulci, magari a Camden. In mezzo all’eleganza di Regent Street, l’abito faceva il suo effetto. Almeno se eri un fan del teatro di varietà, pensava Morgan. Pur avvolta in quella specie di esotica vestaglia, comunque, era evidente che Sybil aveva all’incirca la sua età.
«E chi stabilisce cos’è rispettabile? Tu, forse?» replicò lei. «Chi ti credi di essere, Sam Morgan?»
«Cercavo solo di darti un consiglio…»
«Puoi tenertelo! Assieme a quella giacca da figlio di papà che porti addosso. Cosa ne sai tu, di che vuol dire vivere per strada? Fare dei sacrifici?»
«Si dà il caso…» annaspò lui, che tutto si sarebbe definito tranne che un figlio di papà «…si dà il caso che, a differenza di te, io lavori. E di sacrifici ne faccio eccome!»
Era vero, o almeno lo era stato. Però era consapevole che le sue parole sarebbero sembrate poco credibili: dopo il caso di John dai tacchi a molla si era fatto fare un completo su misura, da una sarta di grido, e lo indossava proprio in quel momento.
A dirla tutta, ora nel suo armadio ce n’erano un po’, di indumenti così eleganti. Era forse un delitto?
«Sacrifici, tsk. Credi di essere chissà chi, solo perché il tuo faccione è sui giornali!» E così dicendo indicò – Morgan notò le dita delicate, pulite e cu-
rate – il quotidiano che lui portava sotto il braccio. Sembrava di colpo talmente intimidatoria, in quella tunica a ghirigori, che il detective si innervosì.
«Tutto ciò che ho me lo sono guadagnato onestamente, io! Non ho mai avuto bisogno di rifilare frottole al prossimo!» le gridò. Alcuni passanti si voltarono.
«Solo perché sei cinico e senza pietà…»
«Sono razionale!» la interruppe lui. «Ra-zio-nale. Altrimenti non farei il detective. Altrimenti…» esclamò, improvvisamente ispirato «mi farei prendere per i fondelli dalle venditrici di fumo come te!»
La reazione della ragazza lo sorprese. Gettò indietro la testa, e si mise a sghignazzare. «Prendere per i fondelli? Ah, ah! Per essere il genio che dici, non hai capito niente di come funzionano gli esseri umani! Non il loro cuore, almeno!»
«C-che vuoi dire…?» balbettò il ragazzo, più confuso che mai.
Sybil gli assestò un’occhiata tagliente. «Non hai mai pensato che vogliano essere presi in giro?»
No, non ci aveva mai pensato.
«Sono qui solo per fornire un servizio» concluse lei, con un’alzata di spalle. «Non sono io a ingannarli. Sono loro ad avere bisogno di me».
Morgan la fissò con gli occhi sgranati, e si lasciò
scappare una frase incauta: «Bisogno di te!? E perché mai uno dovrebbe avere bisogno di te?»
Ma Sybil si era inasprita di nuovo: per tutta risposta gli lanciò un mazzo di tarocchi, che planarono sulla punta delle sue scarpe di pelle. Qualcuno, attorno a loro, rise di quella scena.
Pur non avendo riportato alcun danno, Morgan ritenne più saggio battere in ritirata, dirigendosi nel suo studio.
Mentre accostava il pesante portone di quercia, fece in tempo a intercettare ancora una volta lo sguardo di Sybil. Aveva una luce trionfante negli occhi da gatta.