cui scoprire il piacere della lettura. Opere fondamentali, trame appassionanti, testi chiari e concisi per arricchire l’apprendimento scolastico. Collezionali tutti!
E il vento si fermò ad Auschwitz
Maristella Maggi
Una collana di classici avvincenti e storie senza tempo con
E IL VENTO SI FERMÒ AD AUSCHWITZ
Nell’Italia del 1938, per il solo fatto di essere ebrea, Saziali fasciste: dall’oggi al domani non può più andare a scuola, i compagni e gli amici le voltano le spalle, tutto il suo mondo va in pezzi. Per lei, come per moltissimi altri perseguitati e deportati, qualche anno dopo si apriranno le porte di Auschwitz. La storia di Sara è tratta dai racconti di una sopravvissuta ai campi di concentramento, e la sua voce è insieme la voce di tante bambine, ragazze, donne umiliate dagli aguzzini nazisti. Ancora oggi, a più di settant’anni dalla Shoah, soffiano nel vento le testimonianze di ciò che è accaduto, affinché la memoria tramandata aiuti a non ripetere mai più gli errori del passato. • Focus di approfondimento sul Binario 21, il museo Yad Vashem, i Giusti tra le Nazioni ISBN 979-12-221-0418-8
€ 6,90
E IL VENTO SI FERMÒ AD AUSCHWITZ
ra subisce la discriminazione imposta dalle leggi raz-
Maristella Maggi
Maristella Maggi E il vento si fermò ad Auschwitz ISBN 979-12-221-0418-8 Prima edizione rinnovata: gennaio 2024 ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2028 2027 2026 2025 2024 © 2024 Gallucci - La Spiga Prima edizione © 2015 ELI - La Spiga Edizioni Illustrazioni di Michela Ameli Gallucci e il logo
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E IL VENTO SI FERMÒ AD AUSCHWITZ
A Enrico che ci ha condotto a Pantelleria innumerevoli volte; alle sue Storie senza tramonti
Leggiamo per conoscere per ascoltare per offrire un pensiero per non tradire l’Uomo che è stato e quello che oggi cammina. Conoscere è fare Memoria è coltivare la Pace. M.M.
Nota introduttiva Ascoltare è fare Memoria, è credere nella Vita Cari ragazzi, ciò che vi apprestate a leggere è una storia vera e verosimile allo stesso tempo. La protagonista è una donna realmente vissuta e tuttora vivente. Una donna che ha provato i duri anni della Seconda guerra mondiale, che ha subito la detenzione nei lager nazisti e ne è sopravvissuta. Una donna che ha molto sofferto e che, pur avendo testimoniato pubblicamente in diverse occasioni, in questo contesto preferisce rimanere nell’anonimato. In maniera operosa, tuttavia, dato che mi ha concesso le interviste utili alla ricostruzione degli eventi e ha letto e approvato alcuni capitoli del libro. Non essere nominata è un suo diritto, e come tale va rispettato. In questo modo la vicenda, non essendo vincolata a un nome preciso, può idealmente rappresentare un intero universo femminile che è stato deriso, calpestato e degradato; può comprendere più voci, più luoghi, e interpretare una coralità; una vicenda che assume il respiro ampio del vento che soffia su Auschwitz come su Mauthausen, su 7
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Dachau e su Ravensbrück, e che di fronte a quell’orrore, facendosi portavoce di pietà e di attenzione, ferma rispettoso la sua corsa e si mette in ascolto. Come il vento, così le persone. In quei momenti bui non tutti agirono con odio o indifferenza. Molti dimostrarono affetto, solidarietà e amicizia nei confronti di donne e uomini ebrei; spesso riuscirono a salvarli dallo sterminio, chi procurando loro documenti falsi, chi aiutandoli a fuggire, chi nascondendoli in cantine, soffitte o stanze segrete. La storia di quel periodo è fatta anche da queste persone giuste. Eroi. Essi, rischiando consapevolmente tutto, non hanno esitato a mettersi in gioco per proteggere vite umane altrimenti destinate allo sterminio. Mi piace pensare che, come il vento, anche noi lettori fermiamo la nostra corsa, ci mettiamo in ascolto e dedichiamo attenzione partecipe alle vicende qui narrate. In questo modo la riflessione che ne scaturisce diventa fare Memoria, diventa un canto alla Vita che è valore grande in ogni tempo, appartiene a tutti e va tutelata sopra ogni cosa; diventa consapevolezza che l’ascolto, il rispetto e il dialogo sono strumenti di giustizia, e quindi di pace. Sempre.
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1. Una città che amavo
Fiume era una bella cittadina di mare, con viali alberati, piazze e giardini. C’erano teatri e librerie, eleganti palazzi e un porto variopinto. In qualsiasi stagione, persone di ogni età passeggiavano vicino alla riva, avvolte in indumenti pesanti d’inverno o nelle stoffe colorate dell’estate. Qualcuno portava occhiali, bastone o cappello, qualcuno fumava o canticchiava, qualcuno leggeva mentre camminava, tenendo il libro alto davanti a sé. Altri se ne stavano a lungo seduti sugli scogli, sembravano immobili, invece guardavano le onde, ne ascoltavano la voce e respiravano il profumo della salsedine. Io guardavo loro e tutto ciò che vedevo mi sembrava uno spettacolo bellissimo, un interessante teatro all’aperto, e mi faceva sognare. Sognavo di crescere, viaggiare, vedere il mondo e visitare altre città belle come la mia. Nei sogni c’erano sempre mio fratello, la mamma e il papà; eravamo una famiglia molto unita, non potevo pensare a nulla senza di loro. A volte, dopo la scuola, mia madre ci portava a passeggiare nei pressi del porto. Ci piaceva moltissimo restare a guardare le navi e le barche che entravano nella ba9
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ia o uscivano verso il mare aperto. Ci piaceva ascoltare le voci dei portuali che si chiamavano l’un l’altro e ammirare i colori delle varie mercanzie che scaricavano. Fantasticavamo sul contenuto di certe casse di legno che vedevamo calare sulla banchina e inventavamo giochi su ciò di cui le avremmo riempite. “Nelle mie c’è una merce preziosa che comincia con la S” diceva mio fratello. “Seta?” azzardavo io. “Come seta? Non è preziosa la seta!” “Sì, invece, ci si fanno certi abiti… da sera, da ballo, con pizzi e con…” “Va bene va bene, ho capito – tagliava corto lui – comunque non è la seta.” La mamma ci ascoltava sorridendo. Io frugavo e frugavo nella mente: “Allora è sale.” “Sale? Ma no! Devi giocare seriamente, Sara!” “Lo sto facendo. Il sale nell’antichità era molto prezioso. Sai che la parola salario indicava la paga che i soldati romani ricevevano per il loro lavoro.” “Va bene, ma non è sale – ribatteva Giacomo simulando pazienza – te lo dico io di che si tratta, è meglio. La parola è sapone, sa-po-ne.” “Sapone?” “Sì, sapone. Potersi lavare è cosa preziosa e utile per la salute.” “Ah, davvero? E da quando la pensi così?” 10
1. UNA CITTÀ CHE AMAVO
“ Be’, lo dice sempre la mamma.” Io ridevo e gli scompigliavo i capelli. “Hai vinto tu. Scegli un’altra parola.” E il gioco ricominciava. Erano momenti sereni, a cui sarei tornata molte volte negli anni a venire, momenti che mi avrebbero tenuto compagnia e restituito tanto calore. Se chiudo gli occhi, rivedo quelle ore del tramonto, e sento lo sciacquio del mare contro i fianchi delle barche. Noi eravamo felici, ridevamo e il sole sfarinava la sua polvere d’oro fino sulle cose. Allora tutto sembrava semplice e bello e la mia famiglia era serena. Abitavamo in centro, in un palazzo d’epoca. Le stanze erano piene di sole, e dalle finestre, nei giorni in cui il vento era favorevole, entravano il profumo del mare e lo stridio dei gabbiani. “Una casa ariosa e soleggiata come voi” dicevano gli amici che ci venivano a trovare, e io ero molto contenta di sentirglielo dire, perché davvero i miei genitori erano persone socievoli che amavano stare con gli altri. Da noi venivano spesso ospiti per trascorrere amichevoli serate: noi bambini eravamo ammessi a questi incontri dei grandi e con i figli degli invitati intrecciavamo piacevoli giochi. La mamma aveva un carattere sereno e ottimista. Era aperta, comunicativa, disponibile e aveva tante amicizie. Con noi era amabile e dolce, ma anche molto determinata nelle richieste educative e scolastiche. Ci seguiva nei compiti, ma non si sostituiva mai a noi, ci aiutava quando ser11
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viva, ma ci lasciava anche sbagliare quando voleva che imparassimo dai nostri errori. Mio padre era un uomo attivo e laborioso, amava il suo lavoro, ma non trascurava la famiglia. Pur non avendo molta salute – era anzi piuttosto cagionevole –, si dava un gran daffare e nella sua professione metteva impegno e onestà. Era un importatore di tessuti e gestiva un’attività commerciale avviata, anni prima, da suo padre, il nonno Giacomo. I clienti non gli mancavano e, per questa sua fortuna negli affari, avevamo di che vivere senza preoccupazioni. Era un bel mondo il mio e bella era la mia famiglia. Tutto sembrava andare per il meglio nella mia vita di ragazzina quattordicenne, tutto fino al giorno in cui si cominciò a parlare di leggi razziali.
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E IL VENTO SI FERMÒ AD AUSCHWITZ
Nell’Italia del 1938, per il solo fatto di essere ebrea, Saziali fasciste: dall’oggi al domani non può più andare a scuola, i compagni e gli amici le voltano le spalle, tutto il suo mondo va in pezzi. Per lei, come per moltissimi altri perseguitati e deportati, qualche anno dopo si apriranno le porte di Auschwitz. La storia di Sara è tratta dai racconti di una sopravvissuta ai campi di concentramento, e la sua voce è insieme la voce di tante bambine, ragazze, donne umiliate dagli aguzzini nazisti. Ancora oggi, a più di settant’anni dalla Shoah, soffiano nel vento le testimonianze di ciò che è accaduto, affinché la memoria tramandata aiuti a non ripetere mai più gli errori del passato. • Focus di approfondimento sul Binario 21, il museo Yad Vashem, i Giusti tra le Nazioni
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