Il diario di Fanny. L’anno in cui ho rischiato di giocarmi l’adolescenza

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Traduzione di Aurora Tosi

Per Marguerite

Agosto

Martedì 16 agosto

Ciao. Caro diario, grazie di esistere.

Mio padre mi staccherà la testa. Me lo ripete di continuo: «Fanny, che diavolo! Ti stacco la testa!!!!!» (Questa è la volta buona che lo fa per davvero.)

E se non lo fa, è solo perché la prospettiva di trascorrere gli ultimi trent’anni della sua vita in prigione gli farà cambiare idea.

Ho ritagliato (non strappato) la parte in basso di pagina 128 di un’edizione rara e speciale del suo libro preferito, Scrivere, di Marguerite Duras – per ora non se n’è accorto, ma è solo una questione di tempo!

Al massimo un paio di giorni, direi.

Lo vedo già precipitarsi verso camera mia, entrare senza bussare e urlare con tutta la disperazione del mondo : Fanny! Ho comprato quel libro prima che tu venissi al mondo! A New York! Voi gioooovani, ormai non avete più rispetto di nulla! Fanny di qua, Fanny di là, blablabla… Ma, sinceramente, me ne frego. ESATTO, ME-NE-FREGO. Lui, il mio padre folle ed eccentrico, non fa forse tutto quello che gli pare, o sbaglio? Quando mi sarà passata l’arrabbiatura (se mai mi passerà), racconterò del disastro che si è appena presentato nella mia vita per colpa , promesso. sua sua

Nel frattempo, ecco la trovata per cui mi staccherà la testa:

Dopo aver letto questa frase venti volte di seguito (mentre ficcanasavo nella libreria di mio padre) mi è venuta l’idea di tenere un diario:

Lo so, non va bene rovinare un’edizione del 1975, rara e probabilmente newyorkese, ma non volevo dimenticarmi quella frase (“Scrivere è urlare senza rumore”), che mi è sembrata una rivelazione, un’àncora di salvezza, un ultimo tentativo per sopravvivere a un anno che si preannuncia disastroso.

Proprio COSÌ, dopo che ieri sera mio padre mi ha annunciato che dovrò trasferirmi a Sainte-Lorette (ma dove cavolo è???!!!), sento il bisogno di urlare.

(A seguire spiegazioni…)

Caro diario, grazie di esserci (e grazie pure a quella Marguerite Duras), perché in questo momento sono davvero sola al mondo.

Sola AL MONDO.
Ciao, Fanny xxxx

FANNY CLOUTIER, CIOÈ IO

CHI SONO.

(Prometto che dopo racconto perché devo trasferirmi *** DA SOLA *** in un paesino a 265 chilometri da MONTRÉAL.)

A furia di tenere la penna troppo stretta tra le dita, indice e medio sono diventati tutti bianchi – credo sia per effetto del sangue che si ritira quando la pressione è troppo forte. Niente da fare. La mia penna si rifiuta di proseguire. Uffa, lo sapevo! Avrei dovuto comprare un buon vecchio quaderno ad anelli, invece di questa specie di libro rosa slavato con la copertina cartonata, eccessivamente… elegante! Sembra un romanzo (diciamo, ad anelli). Un libro troppo bello nel quale dovrei scrivere storie troppo belle. Storie… intelligenti. Le pagine sono decisamente troppo bianche, troppo lisce per i miei gusti. Ho quasi paura a scriverci per non rovinare non so cosa. Come se il diario non fosse mio; come se qualcun altro si mettesse a leggerlo.

Credo che invece di scrivere farò dei disegni. Disegnare è la cosa che so fare meglio in assoluto. Mi hanno sempre detto che ho imparato a disegnare prima di cominciare a parlare! Quindi sì, ottima idea.

Quando non troverò le parole per dire le cose, disegnerò quello che mi porto nel cuore.

E comunque, il diario è mio, e decido io.

Caro diario, vedi, questa sono io adesso.

E a sinistra, quello che vorrebbe sgranocchiarmi il quaderno è Albert, il mio furetto.

Ops. È successo di nuovo. Esattamente un secondo fa mi pare, mi sono dimenticata di respirare – di nuooooooooovo.

E questo dimostra che sono nervosa: mi dimentico SEMPRE di respirare quando sono stressata. E, a dire il vero, è diventato un problema serio, perché nella vita ho un sacco di motivi per cui angosciarmi. Sono stressata per un milione di robe, ma nessuno lo sa. E nessuno lo sa perché non mi confido mai su questioni, per così dire, intime – tranne che con Albert, il mio furetto, perché con lui un segreto resta un segreto.

Mi chiamo Fanny Cloutier. Ho quattordici anni. (Ne compirò quindici dopo Natale, per cui manca poco, e non ho mai baciato nessuno. Chiusa parentesi.)

Vivo con mio padre, Hubert, e il mio furetto, Albert (sì, fa rima, lo so) in un quadrilocale a Montréal, in rue Saint-Joseph. È un viale infinito che attraversa la città da est a ovest con auto e camion che continuano a scorrazzare anche alle quattro di notte. Il motivo per cui abito da sola con mio padre è che mia madre è morta quando avevo tre anni e, da allora, io e mio padre siamo soli al mondo (ma siccome è una storia triste, e non ho intenzione di cominciare il primo diario della mia vita con una storia triste, ne riparlerò più avanti).

Mio padre fa il tecnico riparatore di macchine da cucire industriali. Riparare macchine da cucire non è proprio un lavoro da sogno, ma mio padre è sempre stato portato per capire come funzionano le cose. Bisogna pur pagare le bollette, Fanny!, – il giorno in cui, come molti adulti, ha rinunciato ai suoi sogni – ha trovato un mestiere vero che gli permette di guadagnare quanto basta per farci avere un tetto sulla testa e broccoli nel piatto tutte le sere . Perciò cinque giorni su sette, dall’alba al tramonto, mio padre si reca

Mio padre è un tipo complessato, che vive con la paura costante di perdere il controllo su quanto gli accade: lo si può notare da alcuni dettagli assurdi del suo modo di vivere.

1.

Ha una tazza e una cravatta diverse per ogni giorno della settimana.

2.

Mette la sveglia alle 6 e 22 tutte le mattine (domeniche incluse) solo perché il suo numero fortunato è il 10, e se sommi 6+2+2 il risultato è 10.

3.

Ha inventato un sistema super strampalato per mantenere in vita (senza che germoglino) i semi di diverse varietà di verdura e frutta.

Una specie di giardino dentro casa, costantemente irrorato con l’acqua del nostro bagno, ma dove NESSUNA piantina è mai spuntata!

L’argomentazione di mio padre: In caso di catastrofe, Fanny, saremo preparati, avremo di che sfamarci! E mi ringrazierai!

Pfff...

Forse, papà, ma mentre aspettiamo la tua ipotetica catastrofe, io non me la sento di invitare qualcuno a casa, per paura che ci prendano per matti.

In realtà so bene che mio padre non è sempre stato… pragmatico, cerebrale, così... fifone.

Penso che lo sia diventato dopo la morte di mia madre. Fifone, esatto. È la definizione più precisa che mi viene in mente, è così, caro diario…

Mio padre sognava di fare l’inventore. Voleva essere l’artefice di una rivoluzione, lasciare la sua traccia nel mondo, una traccia, qualunque traccia (purché ne lasciasse una). Lo so perché nel nostro appartamento c’è una stanza dedicata esclusivamente alle invenzioni alle quali mio padre ha lavorato in passato, ma che non vedranno mai la luce. La stanza delle idee

Non ho il permesso di entrarci, per questo quando mio padre dice che abitiamo in un quadrilocale, gli ribatto pronta: Non è vero, papà, abitiamo in un trilocale, e tu lo sai bene.

// P.S. //

Tutto molto bello, ma non basta a scusare ciò che mio padre ha appena fatto, e cioè sradicarmi. Ti racconterò tutto domani (vedi alla pagina dopo).

Mercoledì 17 agosto

« Come tutto ha avuto inizio».

In sostanza, non avevo idea che mio padre avesse il potere di mandare all’aria tutta la mia vita con una manciata di parole:

Sono stata ingenua.

Non me l’aspettavo.

Eppure, adesso che ci ripenso mi sembra tutto così chiaro!

Mi sarei dovuta insospettire vedendo la valanga di posta che nelle ultime settimane intasava l’ingresso, sentendo il telefono che squillava la sera molto dopo essermi lavata i denti!

No…

Non ero quindi preparata a reagire di conseguenza (e cioè a contrattaccare) quando mio padre è entrato in camera mia, due giorni fa, con in mano la tazza del lunedì e gli occhi fissi sul mio vecchio poster di Adele.

«Fanny, devo parlarti, pentolino mio»

Soprannome che mi ha dato mio padre quando avevo cinque anni. Impossibile liberarmene, ho provato di TUTTO.

«Su, non fare quella faccia, papà. Che c’è?»

(SILENZIO)

«Be’, è che…»

«Spara, papà! Sembra che mi stai per dire che esci con qualche biondina»

«Ma no, non c’entra niente, Fanny. È solo che sono… sono stato selezionato a un concorso di Inventori del XXI secolo per la mia scoperta sulle meduse. Hai presente? Te ne ho parlato cento volte! La mia teoria sulle Turritopsis, le meduse immortali! Sto provando a dimostrare che grazie a loro si può…»

«Fermare la vecchiaia! Certo, papà, lo so. Ma non è un po’… inutile?

Dài, siamo otto miliardi di esseri umani sulla Terra. Ti immagini che casino se diventassimo tutti quanti immortali?»

Mio padre è rimasto scioccato dalle mie parole (che c’è? è la verità).

«I giapponesi non trovano la mia idea così assurda, a quanto pare»

«I giapponesi?»

«Be’, appunto, è proprio questo che ti volevo dire, Fanny. Il concorso si terrà in Giappone, a Kyoto»

«Ok… ma che c’entra?»

«C’entra perché devo andare laggiù per un po’ di tempo. Il tempo di dimostrare la mia teoria! Un paio di mesi, nocciolina mia»

«Be’, a dire il vero… non rientra affatto nei miei piani andare in Giappone, papà!»

«Ma tu non verrai, Fanny, figurati, non preoccuparti»

«Be’, ma non posso mica restare qui da sola!»

«Ma no, andrai… andrai a Sainte-Lorette. Dalla sorella di tua madre».

Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Ho stretto i denti – e quando lo faccio, mio padre sa benissimo che significa che non sto PER NIENTE bene.

«Fanny, ascoltami prima di preoccuparti inutilmente. Tua madre…»

«Lei non mi avrebbe MAI abbandonata, lo sai»

«Lasciami finire almeno! Non ti abbandono mica! Ti mando dai parenti»

«Come?! Ma se hai sempre detto che non avevamo nessun parente!»

«Be’, come vedi una parente ce l’abbiamo! Tecnicamente… ce l’abbiamo»

«…»

«Mi ascolti Fanny, sì o no?»

«Non ho altra scelta, papà».

A quel punto mio padre ha preso un respiro che sembrava interminabile, come se stesse per recitare un qualche discorso idiota imparato a memoria.

«Tua madre aveva una sorella che si chiama Lorette. E Lorette, ecco, ha un figlio che si chiama Henri. Henri ha un anno meno di te… Che diavolo, capisci quello che ti sto dicendo? Perché fai quella faccia come se ti stessi abbandonando in mezzo al deserto del Sahara?»

A quel punto, ho dato di matto.

«Tempismo perfetto, papà! Ricomincio la scuola tra meno di due settimane!»

«Smettila di preoccuparti, ti dico! C'è la scuola anche a Sainte-Lorette»

«Cosa??? Parti tra due settimane?!»

«Una…»

«Ma tu sei fuori di testa!»

SPIEGAZIONE TECNICA:

Do di matto e sarebbe troppo lungo da spiegare. Ma in pratica, mio padre – da quando ho memoria, quindi da TANTISSIMO TEMPO – mi ripete che NON abbiamo parenti, noi. Che siamo DI-VER-SI, noi. Ma che stiamo DECISAMENTE MEGLIO COSÌ. Noi DUE da soli. Che siamo «la più bella piccola mini-famiglia che esista». Pffff . Ok, vado avanti a raccontare.

«Fanny, non essere maleducata! Se non ci vado io sceglieranno qualcun altro. È l’occasione della mia vita! Non lo capisci, che diavolo?! Oltretutto i giapponesi sono inflessibili!»

«Ma quanto sei VILE, papà, scaricare la colpa sui giapponesi?! Sei la persona più egoista della Terra! No, anzi… dell’universo! Vattene da camera mia!»

«VATTENE DA CAMERA MIA».

ECCO QUA.

Quella è stata l’ultima vera discussione che ho avuto con mio padre. 48 ore fa, per l’esattezza. Da allora i nostri scambi somigliano più o meno a questo…

(mio padre) Vuoi del latte, Fanny?

No, non ho sete.

(io) Papà, è agosto, non ci sono i compiti.

(mio padre) Hai fatto i compiti, pentolino mio?

(mio padre) Ti andrebbe di guardare insieme il sito internet della tua nuova scuola?

(io) Ehm, per niente.

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