Fatima Sharafeddine
Faten ricorda il giorno in cui il padre e la madre l’hanno accompagnata a Beirut. Il tragitto in auto sembrava interminabile.
Niente chiacchiere né radio… un silenzio che faceva pensare ai fondali marini. Quel giorno, aveva paura. Paura della città, della guerra per le strade e delle esplosioni di cui aveva sentito parlare. Paura dell’ignoto e di ciò che l’attendeva nella nuova vita.
Bros/Kalimat
Fatima Sharafeddine
Faten
traduzione dall’arabo di Barbara Teresi
ISBN 979-12-221-0662-5
Prima edizione italiana luglio 2020
Seconda edizione marzo 2021
Nuova edizione settembre 2024
ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0
anno 2028 2027 2026 2025 2024
© 2020 Carlo Gallucci editore srl - Roma
Titolo dell’edizione originale araba:
© 2010 Kalimat Group
Sharjah, UAE
Testo © 2010 Fatima Sharafeddine
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Fatima Sharafeddine Faten
traduzione dall’arabo di Barbara Teresi
A Bassem, mio compagno lungo il cammino.
A Talah e Tamir, luci dei miei giorni.
Un sentito ringraziamento a tutti coloro che mi hanno dato consigli durante la stesura dell’opera.
I personaggi di questo romanzo e le loro vicende sono frutto dell’immaginazione. Ogni riferimento a persone realmente esistenti è puramente casuale.
Faten ricorda il giorno in cui il padre e la madre l’hanno accompagnata in taxi a Beirut. Nella zona di Tallet alKhayyat. In via al-Television, per l’esattezza. Il tragitto in auto sembrava interminabile. Niente chiacchiere né radio… un silenzio che faceva pensare ai fondali marini. Quel giorno, aveva paura. Paura della città, della guerra per le strade e delle esplosioni di cui aveva sentito parlare. Paura dell’ignoto e di ciò che l’attendeva nella nuova vita. Il viaggio dal paesino nelle montagne del Sud fino alla capitale sulla costa era lungo. Strade, curve, a destra… a sinistra… Lei era rimasta a osservare la bellezza dei monti e delle valli finché era apparso in lontananza il mare con il suo orizzonte. La macchina scendeva, avvicinandosi pian piano al litorale per ritrovarsi, infine, sulla strada che lo costeggiava. Era la prima volta che Faten vedeva il mare. Com’era grande! Com’era maestoso! E se in quel momento avesse aperto la portiera dell’auto e fosse scappata in quella direzione? Se si fosse messa a correre sulla spiaggia a piedi nudi? Chissà se la
sabbia era calda o fredda. E se i suoi piedi ci sarebbero sprofondati sotto, come le radici di un albero.
Le onde del mare. Faten desiderava saltarci dentro. Se l’avesse fatto, sarebbe stata più forte di loro oppure la corrente l’avrebbe inghiottita?
«Smettila di piangere, Faten. Stai frignando come una bambina» le aveva detto il padre, spezzando il gelo del silenzio in macchina, quando si era voltato dal sedile anteriore e le aveva visto il volto bagnato di lacrime e le ciocche dei lunghi capelli neri appiccicate in modo disordinato sulle guance.
“Sì, sono una bambina!” avrebbe voluto gridare. “Ho quindici anni, te ne sei dimenticato? Voglio tornare a casa. Voglio stare a casa con voi, intrufolarmi nel letto con mamma quando non mi sento bene. Voglio che mi stringa tra le braccia quando mi vede triste, che mi spazzoli i capelli e mi cucia i vestiti. Voglio uscire con le amiche del vicinato e passeggiare, chiacchierare e ridere insieme a loro, anche senza motivo. Raccogliere le noci verdi e arrossarmi le labbra con la buccia. Andare alla fontana a riempire le giare di acqua potabile. Sono una bambina. Sì”.
Quel giorno, però, Faten non aveva risposto al padre, neppure con un’occhiata di biasimo. Era rimasta in silenzio a guardare fuori dal finestrino mentre la macchina procedeva in direzione nord verso Beirut. Era immersa nei ricordi. I ricordi del paesino, dai giorni della prima infanzia fino a quella matti-
na. Ora vedeva soltanto il vuoto intorno a sé, mentre il tumulto delle emozioni rimaneva sepolto in fondo al suo cuore.
Erano arrivati in città. Beirut. Alti edifici, molti dei quali crivellati di colpi, con fori di varie dimensioni.
«Guardate cos’ha fatto la guerra a Beirut e ai suoi palazzi!»
La voce dell’autista aveva rotto il silenzio nell’abitacolo. «Non c’è quartiere di Beirut che sia scampato alle bombe e agli scontri armati tra le varie fazioni in lotta. Che Dio aiuti la gente di questa città».
«Che Dio ci protegga!» aveva esclamato la madre di Faten accarezzando i capelli della figlia come per scongiurare che la guerra la toccasse.
Quel giorno il taxi si era fermato davanti a un edificio imponente, e la madre di Faten aveva detto con quel suo tono di voce affettuoso: «Non deluderci, amore mio. Noi dobbiamo tirar su i tuoi fratelli più piccoli. Sai come stanno le cose. Su, ora scendi. Devi essere coraggiosa in questa tua nuova vita. Ti chiameremo o verremo a trovarti ogni volta che potremo».
* * *
Era il 1985. Sono passati due anni da quando Faten lavora nell’appartamento della famiglia Zein. La signora Sawsan, il signor Assem e le loro due figlie, Dalia e Sahar. Da quando è arrivata ha visto sua madre soltanto le tre volte in cui è venuta
a farle visita: due per l’Eid * e un’altra quando ha accompagnato lo zio, che stava male, in ospedale a Beirut. Il padre viene il primo di ogni mese a ritirare lo stipendio che lei guadagna con il suo lavoro. Quando arriva, Faten fa in modo di evitarlo. È arrabbiata con lui. Se capita che sia lei ad aprirgli la porta, non gli dà un bacio. Non lo guarda negli occhi. Lui prende il denaro dal padrone o dalla padrona di casa e, se gli si presenta l’occasione, le lancia un’occhiata gelida prima di andar via. Faten sente quello sguardo perforarle le ossa, è come se lui le dicesse: “Abbiamo diritto a questi soldi. Tu qui hai tutto ciò che ti serve”.
La madre le telefona una volta al mese e parla con lei per mezz’ora. Le domanda se sta bene, e Faten le chiede notizie del paese e dei fratellini. Quando si lamenta con lei, dicendo: «Mi mancate tanto, mamma. Voglio venire a trovarvi», la madre le risponde: «Abbi pazienza, Faten, amore mio. Lo sai che per adesso non è possibile. Verrai presto, a Dio piacendo. Molto presto». Se non fosse per la madre, che la incoraggia a essere paziente e a sognare, Faten non potrebbe sopportare la situazione.
* * *
* Letteralmente: “festa”. Il termine indica le due più importanti festività dell’Islam: l’Eid al-fitr, o “festa dell’interruzione”, in cui si celebra la fine del mese di Ramadan e del digiuno rituale, e l’Eid al-adha, o “festa del sacrificio”, in cui si ricorda il sacrificio di Abramo.
Oggi pomeriggio, dopo aver finito il lavoro, Faten si affaccia al balcone della cucina a guardare le auto che sfrecciano veloci, in attesa di vederne una, la Mercedes blu, rallentare ed entrare nel garage del palazzo di fronte. Lo vede. È sollevata per il fatto che lui ricambia il suo sorriso facendole un cenno con la testa mentre chiude la portiera della macchina. Faten rientra in fretta, prima che la signora si accorga che è lì e dica come al solito: «Non voglio che si stia in balcone, te l’ho ripetuto cento volte! Lo capisci, sì o no?»
In realtà, ogni volta che la sorprende a godersi un istante in santa pace, quella donna trova una scusa per sgridarla e la manda a fare il bucato, stirare o svolgere qualunque altra mansione le passi per la testa in quel momento.
Faten entra in camera sua, felice di aver incrociato lo sguardo del ragazzo biondo. Non sa ancora come si chiami, ma da qualche mese, da quando si è trasferito con la famiglia nell’edificio di fronte, quel giovane ha attirato la sua attenzione. «Che bel ragazzo» ha bisbigliato tra sé la prima volta che l’ha visto. E un giorno, mentre puliva il balcone della cucina, ha sentito una musica proveniente da un luogo non molto distante. Ha seguito il suono per rintracciarne la fonte, e l’ha individuata nell’appartamento dirimpetto al suo. Era il nuovo vicino. Suonava chino sul pianoforte. Da quel giorno, Faten ha cominciato a osservare tutti i suoi movimenti. Si alza alle sette, beve un caffè con la madre e man -
gia un po’ di frutta. Verso le otto prende lo zaino ed esce di casa. Qualche minuto dopo, lei lo vede salire sull’auto blu in garage, partire a gran velocità e sparire oltre la curva a destra in fondo alla strada. Il ragazzo biondo non torna a un orario preciso nel pomeriggio, ed è per questo che Faten va e viene dal balcone della cucina come se vi fosse legata da un elastico. Aspetta di veder sbucare la macchina da dietro la curva. E quando l’auto appare, lei la segue con lo sguardo mentre rallenta ed entra in garage.
All’inizio il ragazzo non si accorgeva che lei lo osservava e lo aspettava, ma una volta, casualmente, ha guardato verso il balcone al secondo piano del palazzo di fronte e l’ha sorpresa a fissarlo. Le ha sorriso. Imbarazzata, non sapendo cosa fare, lei si è dileguata in fretta dentro casa.
Poco dopo averlo visto entrare nell’androne, Faten lo ritrova nell’appartamento. Segue i suoi spostamenti da un angolo della piccola finestra in camera sua. Appare lì. Scompare. Riappare là. Torna e sparisce di nuovo. A volte suona il pianoforte. E lei osserva. Il cuore le batte forte ogni volta. Si è immaginata la vita di quel ragazzo. Ha deciso che è figlio unico e vive con i genitori. La sua famiglia è ricca e lui non lavora. Va all’università, studia Economia e commercio. E nei giorni in cui lui dimentica di tirare la tendina della finestra, Faten lo vede immerso nei libri, tra i fogli ammonticchiati sulla scrivania della sua stanza.
I momenti in cui lo scorge sono i più belli in assoluto. In quegli istanti si gode un po’ di libertà. Il ragazzo è al di qua del muro di solitudine che Faten percepisce davanti a sé. Il pensiero di poterlo vedere l’aiuta e la sprona ad alzarsi dal letto ogni mattina per cominciare una nuova giornata. Lui le piace davvero? Oppure si è soltanto inventata una ragione per tirare avanti nella vita?
Faten si sdraia sul letto, che emette un leggero cigolio. Prende l’unico libro che possiede, il tomo di lettura che ha portato con sé di nascosto il giorno in cui è stata costretta a lasciare la scuola. Lo apre alla sua pagina preferita. Un brano sulla professione degli infermieri. Il testo non ha nulla di particolare; ad attirarla è la figura che lo accompagna. Nell’immagine, un paziente guarda un’infermiera con affetto, gratitudine e serenità. Sensazioni di cui Faten avverte la mancanza nella sua futile vita. Le capita di rado di sentire le parole “grazie”, “per favore” o “brava”. La maggior parte delle frasi indirizzate a lei giunge sotto forma di ordini. L’unica che la tratta sempre in modo gentile e le dimostra gratitudine è Sahar, la figlia di nove anni dei padroni di casa.
A forza di contemplare l’immagine negli ultimi due anni, Faten è arrivata a una decisione cruciale per la sua vita. Ha deciso che, un giorno, diventerà infermiera.
Fatima Sharafeddine, scrittrice, traduttrice e curatrice di libri per ragazzi, vive tra Beirut e Bruxelles. Ha pubblicato più di 120 titoli, molti dei quali sono stati tradotti in varie lingue, dall’inglese all’hindi. Tra i numerosi premi che ha ricevuto figurano il Bologna Ragazzi Award 2016 (New Horizons) e la candidatura per ben tre volte al prestigioso Astrid Lindgren Memorial Award. Con Gallucci/Kalimat ha già pubblicato i libri illustrati Intorno a casa mia, Zia Osha, Non aprire questo libro! / Apro questo libro!, Avicenna, Ibn Khaldun, Averroè, Ibn Battuta e Ibn Majid. Faten è il suo primo romanzo.
Libano, 1985. In un Paese torturato dalla guerra civile, Faten è costretta ad abbandonare la scuola e la famiglia per trasferirsi a Beirut e lavorare come domestica presso una famiglia benestante. Ha solo quindici anni, ma il suo destino sembra già segnato. Eppure, lei non ha intenzione di rassegnarsi a un’esistenza di sottomissione e solitudine. Mentre gli scontri tra le fazioni mettono a rischio la vita persino per uno spostamento da un quartiere all’altro, la giovane cameriera prende una decisione rivoluzionaria: proseguirà gli studi e diventerà infermiera, sarà libera e indipendente costi quel che costi. Basteranno forza e tenacia a superare gli ostacoli imposti dalla società e da uno dei periodi più sanguinosi della storia mediorientale?
Con che diritto mio padre può decidere del mio destino? Non sono più una bambina piccola che deve sottostare al suo volere.
Voglio vivere come mi pare. Fino a quando dovrò essere un cagnolino obbediente?