Gioco sporco

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NICOLA CALATHOPOULOS

I MISTERI DELLO SPORT

dalla serie su ITALIA

Niente è gratis: il successo, la fama, la soddisfazione per aver raggiunto quello per cui si lotta. La luce accecante viene inghiottita dal buio. All’improvviso. Perché il destino si è messo a barare, a giocare sporco. È come se si prendesse la rivincita su chi ha avuto successo ricacciandolo indietro. Molto più indietro del punto di partenza. Ecco cosa accomuna le storie di questi grandi campioni: Maradona, Senna, Pantani, Pistorius, Bergamini e Raciti, un ispettore di polizia morto per le conseguenze della follia ultrà, sono diverse incarnazioni dello stesso destino, vite che deragliano all’improvviso, proprio nel momento del massimo fulgore. Storie per non dimenticare che dietro un rettilineo c’è sempre una curva. A volte stretta, strettissima. Dove passare è impossibile.

Nicola Calathopoulos Gioco sporco. I misteri dello sport

ISBN 979-12-221-0803-2

Prima edizione ottobre 2024

ristampa 12 11 10 9 8 7 6 5 4

anno 2028 2027 2026 2025 2024

© 2024 Carlo Gallucci editore srl - Roma

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Nicola Calathopoulos Gioco sporco

I

misteri

dello sport

Prefazione

Chi fa il mio mestiere, il giornalista sportivo, viene considerato spesso un privilegiato, pagato per assistere alle imprese dei grandi campioni. Non ho mai amato particolarmente questo luogo comune. Il giornalista sportivo, a parte guadagnarsi lo stipendio guardando le partite di calcio, un Gran Premio o una corsa ciclistica, deve anche provare a fare una cosa meno divertente ma più importante: cercare di capire. Il racconto di un evento non è solo celebrazione di imprese epiche e di gesti tecnici, di storie di rivincita sociale e di successi inaspettati; lo sport sa essere brutto, irritante, cattivo. Il gioco non sempre è esaltante, a volte è anche sporco.

Vicende finite male; vite trasformate in opere d’arte e poi bruciate; ingiustizie così evidenti da non riuscire a capire come sia stato possibile accettarle; sfortuna e accanimento del destino. Così come il diavolo s’ingentilisce per apparire suadente, si gioca sporco nei modi più disparati. Cosa hanno in comune vicende apparentemente lontane anni luce? L’autodistruzione di Diego

Armando Maradona, forse il più grande calciatore di tutti i tempi, è molto diversa dalla brutale fine di Marco Pantani. Eppure, la droga li ha divorati entrambi, lasciando i loro fantasmi a combattere contro nemici invincibili. Loro che invincibili lo sono stati su un campo di calcio o in sella a una bici. Maradona ha scelto la droga per provare a trovare sollievo dalla pressione che lo ha tormentato fin dai tempi in cui per lui, ancora ragazzino, il pallone era solo gioia e divertimento. La droga lo ha annientato, avvilito, indebolito, ha abbassato le sue difese consegnandolo a una cricca di manipolatori che lo ha sfruttato fino all’ultimo dei suoi giorni. Per Pantani la cocaina era diventata un anestetico dell’anima. Troppo quello che aveva subito. Troppo il male che gli avevano fatto. La depressione è stata come una salita che non finiva più. Forse un giorno sapremo la verità sulla sua morte, scopriremo se assieme all’overdose di cocaina, in quel triste residence di Rimini ci sono state anche le botte da parte di chi voleva rubargli i soldi in contanti che aveva prelevato per comprare la droga.

Sono passati vent’anni dalla morte di Ayrton Senna. Oggi si sa tutto. Non c’è più niente da scoprire, solo delle verità da affermare. Uno dei campioni più grandi di tutti i tempi, l’uomo che sosteneva di parlare con Dio appostato in curva al termine del rettilineo e che si sentiva sempre in debito con il mondo perché lui era nato bello e ricco in un Brasile in cui la stragrande maggioranza della gente non aveva da mangiare, è finito contro un muro per l’insipienza di qualcuno che ha confuso il pressapochi-

smo con l’inventiva. L’intuizione geniale che Ayrton sprigionava in pista è stata malamente copiata nell’oscurità dei box. E lo ha condannato. Si può morire per un piantone saldato male?

Si può morire nella notte di San Valentino per mano della persona che in teoria ti dovrebbe amare? Reeva Steenkamp era bellissima. Tutti l’ammiravano, in molti la desideravano. Oscar Pistorius si è lasciato accecare da una gelosia furibonda, una malattia che ossessiona e distrugge tutto ciò che incontra. La donna della sua vita prima di tutto. La sua vita, poi. Condannato per l’omicidio della fidanzata, è uscito dal carcere e sta finendo di scontare la sua pena in regime di libertà vigilata. Quello che ha lasciato la prigione non è l’automa imbattibile che correva sulle protesi e gareggiava con i normodotati, a sua volta conteso dalle donne di tutto il mondo; è un uomo dimesso, rovinato, devastato dal rimorso e dagli impulsi che non ha saputo contrastare.

Ancora il calcio fa da sfondo alla morte dell’ispettore Filippo Raciti e a quella di Denis Bergamini. C’è un paradosso nella prima: la fine eroica di un servitore dello Stato deceduto in servizio nel pieno di un’azione che tentava di contenere la furia degli ultrà nasconde un probabile errore giudiziario. Quasi che il gioco sporco del destino si sia divertito a mischiare le carte per restituirci un groviglio di sentimenti contrastanti. Nessuno osa scalfire la memoria di un uomo che ha dato la vita per l’ideale di giustizia in cui credeva, ma il ragazzo accusato del suo omicidio, che ha fatto tanti anni di galera, chiede ancora oggi di essere ri-

abilitato, poiché dice di non essere l’assassino di Raciti, e molte incongruenze nella vicenda processuale sembrano dargli ragione.

Basta essere un ultrà per essere accusato di un crimine che non hai commesso? Anche l’ispettore Raciti non l’avrebbe voluto. Non offriamo una risposta ai lettori, non ce l’abbiamo, ma solidi elementi di riflessione.

Denis Bergamini, infine, una storia in cerca di un finale da 35 anni. Che un ragazzo bello, affermato, ricco, famoso, un campioncino osannato in provincia e cercato dalle grandi squadre possa improvvisamente suicidarsi non sta né in cielo né in terra. Con tenacia quasi folle la famiglia ha immolato ogni attimo del tempo che la vita ha sottratto a questo ragazzo per cercare la verità. Che non può essere quella passata in questi anni. Che Denis Bergamini non si sia suicidato ormai è acclarato e accettato dalle sentenze processuali. Adesso però bisogna trovare e condannare il colpevole della sua morte. Dopo tutti questi anni la strada è molto impervia.

Può sembrare irriverente accomunare le morti di Raciti e Bergamini a quella di Maradona o alla vicenda di Pistorius, che avrà una seconda possibilità nella vita dopo aver negato alla propria fidanzata di godere della sua. Sono storie profondamente diverse che hanno trovato la loro linfa comune nel torbido e nel male: causato o patito, assecondato, voluto, inseguito in un anelito di autodistruzione. Il male è unico, svariate sono le spoglie sotto le quali si presenta, ingannando e accomunando vittime e carnefici.

Nella fortunata serie televisiva di Italia 1 che porta il nome di questo libro, abbiamo voluto raccontare le storie di persone speciali finite tragicamente. Mentre eravamo immersi nelle vicende dei protagonisti mi sono trovato a riflettere sulla frase con cui ho esordito in queste mie considerazioni: che fortuna fare il giornalista sportivo, ti pagano per vedere all’opera i campioni! È vero, siamo dei privilegiati, lo sport è poesia, ma rivedere la macchina di Senna che si schianta alla curva del Tamburello, la faccia triste di Pantani vittima di una clamorosa ingiustizia, il Maradona sfatto degli ultimi tempi, morto in solitudine, abbandonato da tutti, pensare al messaggio di speranza che Pistorius aveva lanciato al mondo intero per finirne travolto, ascoltare le parole di coraggio della vedova Raciti o di Donata Bergamini, la sorella di Denis, rivedere e risentire tutto questo mi ha trasportato in una dimensione molto più terrena e meno ideale dello sport. Che rimane meraviglioso, usate pure tutti gli aggettivi che vi vengono in mente per definirlo, ma è una parte della vita. Anch’essa bellissima, da vivere a mille all’ora come hanno fatto i campioni delle storie che vi raccontiamo qui, eppure lontana dallo sfolgorio di luci e lustrini che una retorica consolidata gli attribuisce. Lo sport è l’oppio dei popoli dell’epoca contemporanea. Un gioco meraviglioso, dicevamo, ma anche sporco. Terribilmente sporco.

NICOLA CALATHOPOULOS (Alessandria d’Egitto 17 ottobre 1960), giornalista, laureato in Filoso a all’Università Statale di Milano, è stato vicedirettore di “Sportmediaset”, “NewsMediaset” e “Tgcom24”. Ha vinto il premio giornalistico CONI-USSI e il “Maestrelli”. Attualmente cura per Mediaset la rubrica settimanale E-Planet ed è tra gli autori della serie Gioco sporco, su Italia1. A giugno 2024 è uscito il suo secondo romanzo, Testimone imperfetta.

© Immagine di copertina generata da PEPE nymi con l’ausilio dell’intelligenza artificiale

VICENDE FINITE MALE; VITE TRASFORMATE IN OPERE D’ARTE E POI BRUCIATE; ACCANIMENTO DEL DESTINO:

ECCO

COS’HANNO IN COMUNE

QUESTE STORIE VERE E INCREDIBILI.

Senna, Pantani, Pistorius, Raciti, Bergamini e Maradona hanno volato più in alto di tutti e sono caduti. È la sorte delle persone eccezionali, interpretare un grande destino e accettarne anche le tragiche conseguenze. Come hanno fatto loro, travolti alla ne da un gioco sporco che li ha annientati. Ma, come sosteneva Ernest Hemingway, uno che di vita s’intendeva: vale la pena di lottare anche per un grande fallimento.

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