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UAO Universale d’Avventure e d’Osservazioni
Philippe Nessmann
Houston, abbiamo un problema!
traduzione dal francese di Sara Aggazio, Chiara Licata e Martina Mancuso
dello stesso autore: Tutankhamon
La notte di Pompei
Alla conquista del Polo Nord
ISBN 979-12-221-0033-3
Prima edizione italiana giugno 2023
ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0
anno 2027 2026 2025 2024 2023
© 2023 Carlo Gallucci editore srl - Roma
Titolo dell’edizione originale francese: Mission Apollo 13
Pubblicato per la prima volta nel 2009 da Flammarion - Paris, Francia Testi e disegni © 2019 Flammarion
Gallucci e il logo sono marchi registrati
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HOUSTON, ABBIAMO UN PROBLEMA!
traduzione dal francese di Sara Aggazio, Chiara Licata e Martina Mancuso
romanzoPRIMA PARTE APOLLO 8 (DICEMBRE 1968)
Capitolo uno Quasi un’introduzione
«Jim Lovell?»
«In persona»
«Buongiorno signor Lovell, mi chiamo Karen Lester, sono una giornalista del “Time Magazine”»
«Buongiorno a lei»
«La contatto perché mi piacerebbe incontrarla. Come sa, ogni anno la nostra rivista attribuisce il titolo di uomo o donna dell’anno alla personalità che ha più influito sul mondo durante l’anno trascorso. In passato sono stati nominati uomini dell’anno Charles Lindbergh1, il Mahatma Gan-
1 Il primo uomo ad aver attraversato l’Atlantico in aereo in solitaria, nel 1927.
dhi, John Fitzgerald Kennedy e Martin Luther King»
«Sì, lo so»
«La chiamo perché il “Time” l’ha scelta come uomo dell’anno 1968, naturalmente insieme a Frank Borman e Bill Anders. Mi piacerebbe tracciare un suo ritratto. Sarebbe disponibile per un incontro?»
«Lei non è la corrispondente del “Time Magazine” a Houston, se non sbaglio. Si occupa del programma spaziale?»
«No, lavoro in redazione, a New York. Sono una reporter e scrivo per la rubrica di costume e società. Ma, per il ritratto dell’uomo dell’anno, il caporedattore vuole un giornalista che abbia uno sguardo nuovo sull’argomento. E così ha incaricato me. Avrebbe un po’ di tempo da dedicarmi per un’intervista?»
«Ehm… sì. Possiamo farla al telefono?»
«Preferirei di no. Avrei bisogno di incontrarla dal vivo, di vedere dove lavora. Immagino che sarà sicuramente molto richiesto da quando è tornato sulla Terra, ma posso venire a trovarla alla NASA, a Houston?»
«Come desidera. Quando vorrebbe venire?»
«Prima possibile… giusto il tempo di prendere il biglietto aereo… Che ne dice di mercoledì pomeriggio?»
«Meglio giovedì mattina, alle 10. Vada alla reception dell’edificio 5 e chieda di me!»
«Perfetto. Ci vediamo giovedì alle 10. A presto, signor Lovell, e grazie».
Capitolo due Al Centro voli con equipaggio della NASA
Seduta sul sedile posteriore del taxi, Karen Lester guardò nervosamente il suo orologio da polso. Di questo passo sarebbe arrivata in ritardo e lei odiava fare tardi. Fuori, il paesaggio scorreva monotono: l’autostrada n.1 e la periferia di Houston, simile a tutte le periferie. Niente indicava che si stavano avvicinando al Centro voli con equipaggio della NASA.
«Mi scusi, tra quanto arriviamo?»
«Tra cinque minuti».
La giovane tirò fuori dalla borsa uno specchietto per controllarsi il trucco, quando un luccichio sulla sinistra attirò la sua attenzione: una vasta distesa d’acqua. Ne fu sollevata: se quello
era il Clear Lake, allora davvero erano arrivati. L’autostrada attraversò un’insenatura e poi, subito dopo, sulla destra apparve un ampio prato disseminato di edifici di recente costruzione. Doveva essere quello il posto.
L’autista mise la freccia e lasciò l’autostrada.
Dopo un centinaio di metri, entrò nell’immenso complesso spaziale di Houston. La giornalista cercò le parole giuste per descrivere ciò che vedeva. “È tutto quadrato” pensò. “Visto dall’alto somiglierà a una scacchiera, una gigantesca scacchiera con decine di fabbricati, parcheggi e spazi verdi al posto delle caselle”.
«Che numero ha detto, signora?»
«L’edificio 5».
Il taxi svoltò a sinistra, poi a destra e si fermò davanti a un fabbricato moderno. Anche la facciata, bianca con le finestre scure, somigliava a una scacchiera.
«Siamo arrivati. Sono quattro dollari e ottanta centesimi».
La giornalista gli tese una banconota da cinque dollari.
«Tenga il resto!»
Scese dal taxi e guardò l’orologio: le 9:50. Era
in anticipo di qualche minuto. Prese dalla borsa un taccuino a spirale e una penna e, con la mano tremante per il freddo, scrisse: Grande periferia, autostrada interminabile, immenso lago scintillante, gigantesca scacchiera con edifici recenti, parcheggi a spina di pesce, spazi molto verdi. Temperatura fresca. Quando faceva un reportage, le piaceva annotare il maggior numero possibile di impressioni a caldo, di dettagli che avrebbe utilizzato – o forse no – e che avrebbero dato colore al suo articolo.
Entrò nell’edificio e si diresse verso l’addetto alla sicurezza.
«Buongiorno, ho un appuntamento con Jim Lovell»
«Chi devo annunciare?»
«Karen Lester, del “Time Magazine”»
«Bene, signora, riferisco. Posso chiederle un documento d’identità?»
La giornalista consegnò il suo passaporto e in cambio ricevette un badge. Mentre aspettava l’arrivo dell’astronauta, osservò meccanicamente la hall e annotò: Fabbricato pulito e funzionale. Classico. Nulla suggerisce che in questo luogo vengano progettate le tecnologie più avanzate al mondo. Solo un modellino di razzo a mo’ di decorazione…
«Signora Lester?»
«Sì»
«Buongiorno, sono Jim Lovell».
Lo squadrò. L’uomo era sulla quarantina. Piuttosto bello, alto ma non troppo, viso ovale, capelli corti e castani, sorriso affascinante, occhi vispi, ricordava vagamente James Stewart.
«Buongiorno, signor Lovell»
«Ha fatto buon viaggio?»
«Sì, grazie»
«Venga, andiamo nel mio ufficio!»
La giornalista lo seguì lungo un dedalo di corridoi. In quel momento non provava niente. Eppure stava camminando dietro un eroe acclamato dall’America intera, un astronauta che aveva sfilato sotto i coriandoli durante una parata a New York, un nuovo Cristoforo Colombo. Alla redazione del “Time”, la decisione di nominarlo “uomo dell’anno” era stata cosa ovvia per tutti. Tranne che per Karen Lester. Forse perché lei era una donna.
Il 1968 era stato un anno ricchissimo di avvenimenti importanti. Ad aprile, il pastore Martin Luther King, attivista non violento e premio Nobel per la pace, che aveva fatto tanto per i dirit-
ti civili degli afroamericani, era stato assassinato – lei aveva avuto la fortuna di incontrarlo, un uomo straordinario. All’estero, il conflitto in Vietnam si stava impantanando. Decine di migliaia di giovani americani erano stati mandati a combattere e molti tornavano in casse di legno. Veri eroi, seppur anonimi. Che altro? Nell’Europa dell’Est c’era stata la Primavera di Praga: per sette mesi i comunisti cecoslovacchi si erano valorosamente opposti all’URSS. Guidati da Alexander Dubc ˆ ek, avevano introdotto la libertà di stampa, espressione e circolazione. Mosca non aveva affatto apprezzato: i sovietici avevano inviato i loro carri armati a Praga per reprimere la ribellione. Dubc ˆ ek avrebbe ampiamente meritato di essere l’uomo dell’anno. E, su un altro livello, anche Bob Beamon: ai Giochi Olimpici in Messico aveva battuto il record del mondo di salto in lungo. Il nuovo primato, sovrumano, sarebbe senz’altro rimasto suo per diversi decenni…
Non lo meritavano forse tutti loro, ognuno a modo proprio, il titolo di uomo dell’anno?
Invece erano stati scelti Jim Lovell e i suoi due compagni dell’Apollo 8. Eppure, non avevano neanche messo piede sulla Luna – fino a quel mo-
mento nessuno l’aveva fatto. I tre astronauti avevano solo preso posto su una capsula, erano stati spediti dall’altro lato della Luna e poi riportati sulla Terra. Era così eroico?
«Eccoci» annunciò Jim Lovell aprendo una porta.
La giovane entrò in un piccolo ufficio con un tavolo coperto di documenti, tre sedie, una finestra e alcuni diplomi appesi alla parete.
«Si accomodi» disse l’astronauta sedendosi.
«Posso offrirle un caffè?»
«Ehm… no, grazie»
«E così, voleva incontrarmi»
«Sì. Come le dicevo al telefono, il “Time” l’ha nominata uomo dell’anno. Mi piacerebbe tracciare un suo ritratto affinché i nostri lettori la conoscano un po’ meglio, sappiano chi è e da dove viene».
Prese taccuino a spirale e penna. “E io” pensò lei “voglio sapere se ha la stoffa dell’eroe…”
«Prima di parlarmi dell’Apollo 8, magari potremmo iniziare dalla sua infanzia. Da bambino
sognava già di diventare un astronauta?»
«No, questa professione ancora non esisteva»
«Voglio dire: era già attratto dallo spazio?»
«No, non proprio. Erano i razzi ad appassionarmi. Costruivo dei piccoli razzi artigianali. Oltretutto, il primo che ho fatto avrebbe potuto essere l’ultimo…»
«Le va di parlarmene?»
«Non so se i vostri lettori saranno interessati»
«Racconti pure!»
* * *
La Seconda guerra mondiale era appena finita. Avevo diciassette anni e, dopo un lungo viaggio in treno, ero arrivato a destinazione, nel centro di Chicago. Di fronte a me si ergeva un grattacielo interminabile. Ne fui sorpreso: non sembrava affatto un ferramenta di quartiere. Eppure l’indirizzo era giusto, era quello che avevo trovato poco prima nell’elenco telefonico. Non sapevo se restare o tornare indietro, ma alla fine entrai nell’edificio.
Neanche l’interno, decorato con marmo e ottone, somigliava a quello di un negozio di ferramenta; e neppure la signora, dietro il vetro della reception, sembrava una commessa di bottega.
Peraltro, quest’ultima parve sorpresa di ve-
dermi spingere la porta del grattacielo. Evidentemente non assomigliavo agli altri clienti.
«Salve… come posso aiutarla?»
«Ehm… vorrei comprare delle sostanze chimiche. Le vendete le sostanze chimiche, vero?»
La donna abbozzò un sorriso.
«Sì, in effetti, ma… chi la manda?»
«Mi mandano Jim Siddens e Joe Sinclair»
«Sono i suoi capi?»
«No, no, sono i miei amici»
«Ah, capisco…»
La situazione iniziava a mettermi a disagio.
«Non sono sicura che lei si trovi nel posto giusto, ma vado a vedere se uno dei nostri venditori è disponibile».
Qualche minuto più tardi, un uomo dai capelli bianchi mi accolse con gentilezza.
«Dunque, giovanotto, vuoi comprare delle sostanze chimiche»
«Sissignore, vorrei mezzo chilo di nitrato di potassio, mezzo di zolfo e mezzo di carbone»
«E per farci cosa?»
«Polvere da sparo per fare decollare un razzo».
Il commesso ci pensò su e disse, con fare conciliante: «Temo che non sia possibile»
«Ma… la formula ce l’ha data il nostro professore di chimica»
«Sì, ma non posso fornirti le sostanze che cerchi. Noi vendiamo all’ingrosso, non al dettaglio. Vendo il nitrato di potassio a vagonate, non a sacchetti»
«Non gliene resta nemmeno un pochino in fondo a qualche scaffale?»
«I nostri prodotti sono immagazzinati in capannoni. Qui ci occupiamo solo delle vendite»
«Ah…»
Mi sentii davvero ridicolo.
Era da tanto che lavoravo al mio razzo! Avevo letto tutti i libri sull’argomento. Avevo persino imparato il tedesco per riuscire a leggere in versione originale le opere di Wernher von Braun, uno dei pionieri di questa nuovissima scienza.
Inizialmente, io e i miei amici Siddens e Sinclair avevamo in programma di costruire un razzo a combustibile liquido, come quello di von Braun. Ma la difficoltà dell’impresa ci aveva costretti a rivedere i piani. A quel punto il professore di chimica ci aveva consigliato di usare un combustibile solido, il che mi aveva condotto fino al grattacielo di Chicago.
Nonostante questa prima delusione, riuscimmo a procurarci le sostanze necessarie e terminammo il nostro razzo. Era costituito da un tubo di cartone lungo un metro, sormontato da un cono di legno. In origine, delle alette dovevano permettergli di mantenere una traiettoria più o meno rettilinea. L’interno era pieno della polvere di nostra produzione. Un congegno magnifico!
Un sabato pomeriggio, ci isolammo in un prato per procedere al lancio.
«Installazione del missile!»
Siccome ero il più appassionato dei tre, mi ero autoproclamato “direttore di lancio”. Ero io a dirigere le operazioni.
«Sistemiamolo lì, appoggiato a quella roccia».
Fissammo il razzo, poi io inserii una cannuccia in un forellino alla base del congegno esplosivo. Piena di polvere da sparo, doveva fungere da miccia.
«Tutto pronto? Ragazzi, voi andate a nascondervi laggiù, dietro quel terrapieno. Io mi occupo dell’innesco e vi raggiungo»
«Jim, sei proprio sicuro che non stiamo facendo una cavolata?»
«Hai paura?»
«E se esplodesse all’accensione?»
«Tranquillo, ho calcolato tutto!»
Siddens e Sinclair andarono a nascondersi. Io presi i fiammiferi e indossai una maschera da saldatore in testa. Avevo calcolato la lunghezza della cannuccia in modo da avere il tempo di mettermi al riparo, ma non si poteva mai sapere…
Accovacciandomi davanti al razzo, sentii il battito accelerare. Il momento della verità, il mio primo lancio… Sfregai il fiammifero, lo avvicinai alla cannuccia e, appena la polvere fece le prime scintille, mi tirai su e scappai via come una lepre fino al terrapieno.
«Allora?»
«Tutto ok».
I secondi scorrevano interminabili.
«Sicuro che hai acceso la miccia?»
«Ma certo che sì, non sono mica un idiota!»
«Non è che si è spenta, per caso?»
All’improvviso sentimmo un fischio, poi il razzo decollò bruscamente davanti ai nostri occhi
sbalorditi. Si alzò in volo, zigzagando appena e lasciandosi dietro una scia di fumo. Fu fantastico! E che orgoglio: il mio primo razzo era decollato alla perfezione! Poi, senza un motivo appa-
rente, a circa 25 metri di altezza, virò di colpo a destra e, dopo una frazione di secondo, esplose in un sonoro fuoco d’artificio.
«Uao!» esclamò Siddens. «Avete visto?»
Mentre alcuni resti di cartone ricadevano al suolo, tornammo alla postazione di lancio.
Siddens e Sinclair ballavano e ridevano.
«Ma dico, avete visto? Bang! Boom!… Un vero petardo».
A me, invece, non veniva affatto da ridere: a terra, tra i resti fumanti, cercavo degli indizi per capire cosa fosse andato storto. Avevo forse progettato male l’ugello di scarico? Il dosaggio della polvere era sbagliato?
D’un tratto, un sudore freddo mi ghiacciò il collo: per fortuna il congegno era esploso a 25 metri di altezza e non all’accensione…
In quel caso, il mio primo razzo avrebbe potuto essere l’ultimo.
* * *
Karen Lester cambiò pagina del taccuino. Ne aveva già riempite tre. Le piacevano gli aneddoti di questo tipo: davano sostanza a un articolo. E
14 APRILE 1970. LA MISSIONE LUNARE APOLLO 13
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SUBISCE UN GUASTO ALLA NAVICELLA.
HA INIZIO UN’EPICA LOTTA CONTRO IL TEMPO PER RIPORTARE I TRE UOMINI DELL’EQUIPAGGIO SANI E SALVI SULLA TERRA.
Negli Anni Sessanta, alcuni uomini straordinari realizzarono il sogno di andare sulla Luna. Anche Jim Lovell, uno dei primi astronauti a partecipare ai viaggi spaziali, avrebbe dovuto mettere piede sul suolo lunare, coronando così la sua carriera già straordinaria. Ma un improvviso guasto, a 330mila km dalla base, compromise l’esito della missione Apollo 13 e costrinse la navicella a invertire la rotta, rinunciando allo sbarco. L’equipaggio riuscì miracolosamente a rimediare alla carenza d’ossigeno improvvisando una riparazione di fortuna con forbici e nastro adesivo e quindi a rientrare sulla Terra. L’incredibile sangue freddo dimostrato in quell’impresa disperata ha reso il comandante Lovell un eroe leggendario.
“La missione perfetta non esiste: prima o dopo, ogni missione ha la sua grana, più o meno grave”.
Philippe Nessmann (Saint-Dié-des-Vosges, 1967), appassionato di scienza, storia e scrittura, si è dedicato alla divulgazione, in particolare come autore di libri per ragazzi. Gallucci ha pubblicato i suoi romanzi Tutankhamon, La notte di Pompei e Alla conquista del Polo Nord.
Consigliato dagli 11ai 99 anni