La baronessa di Carini

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Quella mattina di aprile, mentre il sole illuminava le stanze del castello di Carini e le due classi del Cicerone di Viterbo ascoltavano estasiate le parole del professore Bonfanti, Ercole Morucci, inteso Cole, nel volgere d’una frazione di secondo era riuscito a sparire. Bea l’aveva cercato dappertutto, era tornata indietro e, sperando di non farsi notare dai professori, aveva provato a spingersi in avanti, esplorando qualche camera. Era incredibile come in così poco tempo Cole fosse sfuggito dal suo radar. Niente: di lui non c’era traccia.

UAO Universale d’Avventure e d’Osservazioni

Costanza DiQuattro

La baronessa di Carini. Gita in Sicilia

ISBN 979-12-221-0022-7

Prima edizione italiana aprile 2023

ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0

anno 2027 2026 2025 2024 2023

© 2023 Carlo Gallucci editore srl - Roma

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Costanza DiQuattro La baronessa di Carini

Gita in Sicilia

Ad Amalia e Sebastiano, i miei ragazzi, il mio futuro.

Vôli scansari l’amurusi affanni, e a tutti ‘sti premuri non rispunni… Ma dintra brucia di putenti fiammi la barunissa, e tutta si cunfunni!...

Cci dici la ragioni: “Lassa stari”; ma ‘o cori non si poti cumannari…

Ca la ragioni cci ha pocu valuri: supra ogni cosa domina l’amuri!...*

ballata popolare siciliana

* Vuole evitare i tormenti amorosi, / a tutte queste attenzioni non risponde… / Ma dentro brucia di potenti fiamme / la baronessa, ed è molto confusa!… / La ragione le dice: “Lascia stare”; / ma al cuore non si comanda… / E la ragione val ben poco: / su ogni cosa domina l’amore!…

Prologo

2 febbraio 1560

Il respiro affannato, sempre più veloce e serrato, echeggiava sinistro nelle grandi stanze del castello.

Regnava un buio inquietante, ma ogni tanto la Luna faceva la sua comparsa tra la fitta coltre di nubi, e consentiva a Laura di non perdersi nella sua stessa casa.

Correva la baronessa, correva disperata, con il cuore che le scoppiava in petto e una paura gelida che le percorreva la schiena.

Qualcuno la stava inseguendo. Avvertiva chiaramente l’alito di quella presenza sul collo e tremava all’idea che potesse raggiungerla e farle del male. Attraversò le stanze fredde del castello e le ombre delle armature si allungarono fino a sfiorarla. Scese scale e ne risalì altre, ma quella presenza continuava a braccarla. Le sembrava sempre più vicina.

Si ricordò allora di un passaggio segreto, un angusto cu-

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nicolo nascosto dietro un mobile, che dalla sala degli stemmi conduceva all’esterno.

Lo imboccò, sentendosi mancare il respiro. Per un attimo ebbe la sensazione che quell’alito caldo non ci fosse più e si fermò, per riprendere fiato. Era china su sé stessa, le mani appoggiate alle ginocchia, quando sentì una voce sinistra scandire il suo nome: «Laura, Laura, vieni qui, non ti serbo rancore… non avere paura».

Trasalì, cercando di rimanere immobile, perché quella voce le era familiare, anche se non riusciva a capire a chi appartenesse. Fu una sensazione confusa, un istante di vertigine e terrore, poi alzò gli occhi e una presenza le si materializzò davanti. Una figura enorme, minacciosa, soverchiante.

Un urlo disperato riecheggiò in tutto il castello. Laura riprese a correre, uscì dal cunicolo e si precipitò nella sua stanza. La raggiunse a fatica e quando si richiuse la porta dietro le spalle, crollò per terra, esausta. Si nascose il viso tra le mani e fu allora che si rese conto che esse grondavano sangue. Un sangue di un rosso incredibilmente vivo.

La paura, mostruosa e tagliente, la destò.

Spalancò gli occhi nel buio, madida di sudore.

Si osservò le mani: erano di un bianco così candido che quasi rilucevano al chiaro di Luna.

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La baronessa di Carini

Corriere di Carini

4 aprile 2000

Oggi, alle prime luci dell’alba, è stata ritrovata, dal custode del castello di Carini, R.C. la ragazzina misteriosamente scomparsa ieri mattina all’interno dello stesso castello.

La studentessa era in gita scolastica con il liceo Dante Alighieri di Palermo e durante la visita guidata era sparita senza lasciare tracce. Le vane ricerche da parte dei professori e dei carabinieri del comando di Carini, guidati dal capitano Ermanno Alessi, avevano fatto temere il peggio, poiché la ragazza sembrava essersi vo-

latilizzata nel nulla. I compagni, interrogati, hanno riferito di averla vista per l’ultima volta in una delle sale, durante la visita, felice e sorridente. I genitori sono stati avvertiti per tempo riuscendo a raggiungere Carini nelle prime ore del pomeriggio.

R.C. è apparsa scossa ma tranquilla. Non ha riportato alcuna ferita sebbene sembri, dalle prime indiscrezioni, non ricordare nulla di quanto accaduto. I carabinieri stanno indagando senza escludere alcuna pista.

Capitolo 1

Castello di Trabia, 7 ottobre 1529

Il mare quella mattina di ottobre sembrava avesse fermato il suo perenne moto riflettendo l’ombra stanca delle poche barche di pescatori, come un lago di montagna.

Don Cesare, affacciato alla finestra della sua stanza, si incantò a guardarlo, nemmeno fosse la prima volta che quella stupefacente immagine di perfezione gli si palesava innanzi agli occhi.

Osservò con avido interesse il piccolo golfo e si compiacque con se stesso e con i suoi avi per aver voluto fondare il castello dei Trabia proprio lì, laddove il buon Dio aveva lasciato impressa l’immagine del suo splendore.

Ormai il sole era alto in cielo e il barone era in piedi da prima che sorgesse poiché, quella notte, la sua giovanissima moglie Lucrezia aveva cominciato ad accusare i dolori del parto, quei dolori strazianti e teneri che lo avrebbero reso padre.

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Lucrezia si era chiusa nelle sue stanze già da ore, circondata da balie, mammane e cameriere, ma ancora il marito non aveva ricevuto alcuna notizia. Nel cuore della notte si era abbandonato al sonno, strani incubi però lo avevano turbato facendolo svegliare madido di sudore e in preda a una inspiegabile ansia.

Una bambina bionda, dagli occhi grigi e con una veste candida e leggera, gli andava incontro chiamandolo “padre” e, quando gli si avvicinava per baciargli la mano, un rivolo di sangue le usciva dal petto facendola crollare ai suoi piedi.

Don Cesare si diresse verso le stanze di Lucrezia, speranzoso di novità.

Intercettò una cameriera indaffarata a trasportare acqua calda e la bloccò stringendole il braccio.

«Cosa si sa? Voglio notizie, subito».

La donna abbassò lo sguardo, sembrava paralizzata dalla paura; per quanto Don Cesare Lanza fosse un giovane dall’aspetto candido e dalla voce suadente, i suoi modi rudi e la sua categorica intransigenza ne avevano fatto, nell’immaginario dei domestici, un uomo terribile.

«Ancora niente» balbettò, facendo tremare la brocca e riversando piccole gocce d’acqua sul pavimento.

Don Cesare allentò la stretta e lei fuggì, con gli occhi bassi e senza mai guardarsi indietro.

Il resto delle ore scivolò via nell’attesa di qualcosa.

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La paura che il bambino morisse o peggio che morissero entrambi, madre e figlio, si faceva sempre più concreta. Del resto Lucrezia era così fragile, così piccola. Gliela avevano consegnata a tredici anni come un prezioso dono da custodire e lui, per quanto incapace di esprimere il proprio amore, aveva cercato di renderla felice. Gli era sembrata bellissima la prima volta che l’aveva vista, quello stesso giorno in cui l’aveva sposata. Era avvolta in un abito bianco e il suo viso angelico era coperto da un velo sottile che non impediva di coglierne l’eleganza dei lineamenti. Se fosse stato in grado di amare l’avrebbe sicuramente amata, ma essendo stato cresciuto con l’idea che l’amore significava debolezza, si era limitato a contemplarla senza mai abbandonarsi all’affetto.

Nel castello di Trabia le aveva lasciato la stanza più bella e dentro le aveva fatto trovare bambole di ogni tipo affinché potesse distrarsi. Era terrorizzato che la sua giovane età potesse trascinarla nell’angusta spirale della nostalgia e del dolore.

Lui, di contro, dall’alto dei suoi vent’anni, si sentiva un uomo vissuto. Aveva ereditato l’immenso patrimonio di suo padre e a soli diciassette anni era diventato il nuovo barone di Trabia.

Sentiva il dovere del suo ruolo come se questo gli fosse stato imposto da Dio, pertanto, necessitava di una sana e robusta discendenza, di eredi forti e vigorosi, d’una moglie

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Capitolo 1. Castello di Trabia, 7 ottobre 1529

in salute. Non c’era spazio per le smancerie, per le nostalgie vezzose e per i rimpianti. Queste erano debolezze femminee che lui avrebbe concesso a Lucrezia, giammai a se stesso.

Quando il sole arrivò allo zenit, illuminando la grande meridiana dipinta sulla facciata ovest del castello, padre Terenzio, monaco agostiniano del convento di Trabia, bussò alla porta della stanza di Don Cesare.

Il barone ebbe un sussulto, una vertigine di paura e di presentimento, ma contenne quella spiacevole sensazione serrando la mascella scolpita e voltandosi con meditata lentezza verso il suo padre confessore.

«Sia lodato Gesù Cristo» sussurrò il monaco con un deferente inchino.

«Siete venuto a portarmi notizie della baronessa?» domandò Don Cesare, preoccupato.

«La baronessa sta bene, mio Signore, è solo molto provata; bisognerà che si rimetta».

Don Cesare tirò un sospirò di sollievo, ma l’indugiare del monaco lo fece temere per il bambino.

«Continuate!» esclamò con imperio.

«È nata una femmina» sospirò il monaco, abbassando lo sguardo sulla corda del saio.

«Però è sana» riprese dopo pochi istanti di silenzio «e sembra robusta, grida alla vita con veemenza e scalcia con grazia. Si è già attaccata al seno della balia con avidità e sorri-

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de agli angeli: vedrete, vostra grazia, vi darà soddisfazioni… e poi c’è tempo per tanti maschi fieri e vigorosi come siete voi».

Don Cesare restò impassibile. Il suo sguardo imperturbabile non sfiorò nessun altro oggetto se non i sandali lisi del confessore. Osservò con disgusto i piedi macilenti e un insopportabile olezzo lo colpì in viso come uno schiaffo. Poi, con un gesto della mano, lo congedò e riprese posto davanti alla sua finestra sul mare.

Solo che questa volta non c’era più quella distesa azzurra e immobile, non c’erano i brillanti tremuli sulla superficie lucida, non c’era il sole alto a illuminare la vita cadenzata e faticosa dei pescatori. Non c’era neanche il castello, con i suoi sfarzi e col suo splendore né la bellezza di quel borgo brulicante di vita. C’era solo quel sogno strano, impresso maledettamente davanti agli occhi lucidi di un giovane padre.

Una bambina bionda, dagli occhi grigi e con una veste candida e leggera, gli andava incontro chiamandolo “padre” e quando questa gli si avvicinava per baciargli la mano, un rivolo di sangue le usciva dal petto facendola crollare ai suoi piedi.

E mentre l’orrore di quell’immagine si moltiplicava come un oscuro presentimento, un pensiero si sovrappose, facendo tornare in vita il mare e tutto ciò che esso lambiva. «Si chiamerà Laura» disse a voce alta, quasi sorridendo. «Laura Lanza baronessa di Trabia».

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Capitolo 1. Castello di Trabia, 7 ottobre 1529

“Marco Tullio Cicerone”

Viterbo

Ai docenti Agli studenti delle classi prime Alle loro famiglie e p.c. al DSGA, ufficio alunni. SEDI

OGGETTO: Progetto “Sulle orme del passato”.

Si comunica che è stato organizzato un viaggio di istruzione a Palermo, rivolto agli alunni delle classi prime, che ha come obiettivo un percorso educativo e culturale capace di creare comunità, conoscenza storica e cittadinanza attiva.

Il viaggio si svolgerà dal 2 aprile 2022 al 6 aprile 2022.

Alla seguente comunicazione seguirà, in allegato, il programma dettagliato delle giornate di viaggio.

Gli alunni interessati possono dare la loro adesione ai docenti R. Cannizzaro e A. Ughetti. La quota individuale di partecipazione è pari a euro 325,00 e deve essere pagata tramite il sistema PagoPA.

Viterbo, 2 febbraio 2022.

Il Dirigente Scolastico Prof. Agostino Accardi

Costanza DiQuattro è nata a Ragusa nel 1986. Laureata in Lettere e in Filosofia, ha già pubblicato quattro romanzi: La mia casa di Montalbano, Donnafugata, Giuditta e il monsù e Arrocco siciliano. Dirige il teatro Donnafugata e si occupa di drammaturgie. Per il palcoscenico ha scritto: Barbablù, Bellini, Wagner, Sinopoli. Flânerie tra genio, mito e musica e Parlami d’amore.

Immagine di copertina:

© Cinabro Carrettieri

Art Director: Stefano Rossetti

Graphic Designer: Eleonora Tallarico / PEPE nymi

L’impronta insanguinata di una mano, un’antica storia d’amore finita in tragedia...

Tra le tappe di una gita scolastica in Sicilia

è prevista la visita al castello dove nel 1563 fu uccisa Laura Lanza, baronessa di Carini. Bea, Cole e i loro compagni restano affascinati dal mistero di quel luogo leggendario, fino al punto di venire risucchiati nelle sue oscure trame.

“Si guardarono, Laura e Ludovico, occhi negli occhi e cuore nel cuore. Il mondo aveva smesso di girare, gli uccelli avevano smesso di volare e persino il moto eterno del mare si era interrotto”.

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