Le favole di La Fontaine

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Jean de La Fontaine

Le favole di La Fontaine disegni di Marc Boutavant traduzione dal francese di Luca Pietromarchi

ISBN 979-12-221-0837-7

Prima edizione italiana marzo 2025 ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2029 2028 2027 2026 2025 © 2025 Carlo Gallucci editore srl - Roma

I testi sono tratti da: Favole, Marsilio 2017 e 2023

Titolo dell’edizione originale francese: Fables de La Fontaine © 2021 Éditions Gründ - Paris, Francia

Impaginazione e lettering di Maria Letizia Mirabella

Stampato per conto di Carlo Gallucci editore srl presso Grafički Zavod Hrvatske, Zagabria - Croazia nel mese di febbraio 2025

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La Cicala, avendo cantato tutta l’estate, si ritrovò senza provviste al sopraggiungere del freddo. Non un solo pezzettino di mosca o di vermicello.

Andò allora a pianger fame dalla Formica sua vicina, supplicandola di prestarle qualche chicco per arrivare fino alla nuova stagione.

«Vi pagherò, le promise, in agosto, fede d’animale, interesse e capitale».

La Formica non fa credito; è il suo piccolo difetto.

«Che facevate in estate? chiese a quella mendicante. – Notte e giorno cantavo per tutti, se non vi dispiace. Cantavate? ne sono felice. E allora, adesso ballate».

Correre non serve; occorre partire per tempo.

La Lepre e la Tartaruga ne sono l’esempio.

«Scommetti, disse quest’ultima, che non arriverai laggiù prima di me. – Prima di te? Ma sei matta? rispose la più leggera.

Mia cara, dovresti curarti con quattro grani d’elleboro*. – Matta o no, vuoi scommettere?»

* Pianta medicinale che tradizionalmente serviva a calmare gli accessi di follia.

Fu cosa fatta: la posta venne collocata alla meta: cos’era, non importa, né l’arbitro che scelsero.

Alla Lepre bastavano appena quattro balzi; di quelli che sa fare sul punto di esser presa, quando semina i cani e gli fa marameo lasciandoli vagare per i campi.

Avanzandole quindi tempo per brucare, per dormire, e per fiutare da dove tira il vento, lascia la Tartaruga andar col suo passo da senatore. Con fatica eccola che parte, arranca, e lentamente s’affretta.

L’altra intanto, incurante di una tal vittoria, trovando la scommessa senza storia, pensa che ne vada del suo onore di partire tardi. Bruca, si riposa, a tutto pensa fuor che alla scommessa. Solo quando vide che la rivale era quasi giunta al traguardo, partì come una saetta; ma i gran balzi che fece furono vani: per prima arrivò la Tartaruga.

«Allora! le gridò, non avevo ragione? A che ti serve d’esser veloce? Ho vinto! e come sarebbe andata se ti portavi dietro anche una casa?»

Una volta il Topo di città invitò il Topo di campagna, con modi molto civili, a mangiare avanzi d’uccelletti.

Su di un tappeto alla turca la tavola era imbandita. Immaginate la baldoria che fecero i due amici.

Il pranzo fu davvero eccellente, niente mancava al loro festino; ma qualcuno rovinò la festa che ancora non era finita.

Dietro la porta del salone d’un tratto sentono rumore:

il Topo di città se la svigna; il compagno lo segue veloce.

Il rumore cessa, vanno via: ecco i Topi di nuovo all’assalto; dice quello di città: «Finiamo il nostro pranzo.

– Basta così, rispose il rustico; domani verrete voi da me: certo non mi picco di tutti i vostri festini da re,

Ma lì nessuno viene a disturbarmi: mangio con tutto comodo. Addio; e al diavolo quel piacere che la paura riesce a distruggere».

Una raccolta di 34 favole di Jean de La Fontaine: le più note, da riscoprire in versione integrale e nella sapiente traduzione di Luca Pietromarchi; e altre, meno conosciute, ma sempre sagaci, impertinenti, sincere.

Marc Boutavant sfodera la stessa arguzia nell'illustrarle, addolcita da un pizzico di tenerezza. La volpe, il corvo, il leone e gli altri animali, ora prepotenti, ora buffi, o in difficoltà, in queste favole mettono in mostra i loro caratteri esemplari, creando uno zoo (umano) in cui da secoli i lettori grandi e piccoli si rispecchiano alla perfezione.

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