Maud West - Lady detective. Un labirinto di specchi

Page 1


P. BACCALARIO • A. GATTI • L. STIPARI
Un romanzo di

UAO

Universale d’Avventure e d’Osservazioni

Max Finch

MaudWest-Ladydetective.Unlabirintodispecchi disegni di Iacopo Bruno

della stessa serie:

MaudWest-Ladydetective.Unamatrioskadimisteri

MaudWest-Ladydetective.Unacattedralediragnatele

ISBN 979-12-221-0658-8

Prima edizione novembre 2024

ristampa 8 7 6 5 4 3 2 1 0

anno 2027 2026 2025 2024

© 2024 Carlo Gallucci editore srl - Roma

Copyright © 2024 Book on a Tree Limited

A story by Book on a Tree www.bookonatree.com

Max Finch è Pierdomenico Baccalario, Alessandro Gatti e Lucia Stipari

Art director: Francesca Leoneschi

Graphic designer: Pietro Piscitelli / theWorldofDOT

Gallucci e il logo g sono marchi registrati

Se non riesci a procurarti un nostro titolo in libreria, ordinalo su: galluccieditore.com

Il marchio FSC® garantisce che questo volume è realizzato con carta proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile e da altre fonti controllate, secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici. L’FSC® (Forest Stewardship Council®) è una Organizzazione non governativa internazionale, indipendente e senza scopo di lucro, che include tra i suoi membri gruppi ambientalisti e sociali, proprietari forestali, industrie che lavorano e commerciano il legno, scienziati e tecnici che operano insieme per migliorare la gestione delle foreste in tutto il mondo. Per maggiori informazioni vai su https://ic.fsc.org/en e https://it.fsc.org/it-it

Tutti i diritti riservati. Senza il consenso scritto dell’editore nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma e da qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, né fotocopiata, registrata o trattata da sistemi di memorizzazione e recupero delle informazioni.

Max Finch è Pierdomenico

Baccalario, Alessandro Gatti e Lucia Stipari

MAUD WEST

L ady detective

Un labirinto di specchi

illustrato da Iacopo Bruno

Capitolo 1 LA CASETTA NEL BOSCO

La Pechino-Parigi non mi era mai sembrata così confortevole. Ero talmente elettrizzato dal viaggio che i cigolii del nostro vecchio macinino sempre sul punto di scompaginarsi non mi preoccupavano per niente, e nemmeno la guida spericolata di Maud. Anzi, ogni curva a gomito presa con stridore di freni e un po’ troppa velocità non erano altro che una salutare scossa di energia. E in ogni caso, una volta usciti da Londra, Maud aveva infine rallentato, come se ci fossimo lasciati il pericolo alle spalle, e aveva affrontato le curve con più attenzione.

Maggie, seduta al posto davanti, aveva abbassato del tutto il finestrino e teneva il braccio fuori, nonostante il freddo di metà novembre, come se volesse acchiappare uno dei tanti cespugli della campagna.

«L’aria del Surrey è così diversa da quella che si respira in città!» esclamò, lasciando che il vento le scompigliasse i riccioli rossi.

Anch’io avevo la stessa impressione. Sul sedile posteriore mi arrivava una brezza pungente che sapeva di rose selvatiche e foglie secche, ma anche di libertà e ignoto e, soprattutto, sapeva di un cottage sperduto, dove Maud intendeva lasciarci fino a

che certe faccende non si fossero risolte. Anche se il capo era stata molto attenta nel scegliere le parole, quella più adatta a ciò che stavamo facendo era “nasconderci”. Tenere per qualche giorno me e Maggie lontano dal pericolo, il che però significava che avremmo dovuto rimanere da soli e…

Magari…

Oltre a dover cucinare per lei…

Per il bell’angelo dei vicoli… Sorrisi.

Ma no, che andavo a pensare. Prima di ogni altra cosa Maggie e io eravamo colleghi, entrambi alle dipendenze del capo, e di fatto, quindi, impegnati in una missione di fuga. E tra colleghi non ci devono essere complicazioni sentimentali, se vuoi che tutto fili liscio sul lavoro.

E quindi sii serio, Max Finch: niente smancerie.

E pazienza se ogni volta che quella ragazzina ti guarda perdi per strada un battito del cuore, non sono come le briciole di Pollicino e non ti serviranno a trovare la strada per uscire dal bosco in cui ci siamo cacciati.

«Il fatto che l’aria sia pulita non ti impedirà di prendere un raffreddore» fece Maud. «E nemmeno a noi. Che ne dici di chiudere, adesso?»

• 7 •

Ringraziai mentalmente Maud, perché era già da un pezzo che io lì dietro mi stavo congelando, ma non me la sentivo di porre limiti alla felicità di Maggie: lei non era mai uscita da Londra e guardare dal finestrino non le bastava per catturare tutta la meraviglia di quel nuovo paesaggio, dei prati e delle siepi, degli alberi curvi sulla strada, con i rami intrecciati nell’aria umida della tarda mattina, appena intiepidita da un sole distante, bianco e freddo come un pancake del giorno prima.

Avevo visto Maggie trasformarsi in una bambina a mano a mano che ci eravamo lasciati alle spalle le funeree periferie della città, come se si fosse lavata via uno strato dopo l’altro di fuliggine, e con essi tutte le fatiche del vivere di espedienti. Intorno a noi c’era la campagna, che d’inverno era grigia e nera e color tabacco, ma ai suoi occhi era verde e azzurra e piena di armenti.

Eravamo partiti molto presto, quando era ancora buio; Maud aveva preferito così, per prudenza: non si poteva mai sapere se qualcuno ci stava tenendo d’occhio. E di prudenza bisognava averne tanta, mi era chiaro: non avevo mai visto Maud talmente inquieta, e non ero sicura che fosse perché si sentiva responsabile anche di Maggie, ora che

anche lei era diventata sua assistente alle indagini e parte della nostra squadra investigativa. Assistente in seconda, è chiaro, ma ci siamo capiti. Io ero felice quanto Maggie, però la ragazzina dei vicoli si era rivelata una persona in più di cui preoccuparsi, e le preoccupazioni, da quando avevamo preso quell’ultimo caso, fioccavano intorno a noi come piume di tacchino il giorno prima di una domenica di festa: tante, imprevedibili e molto dolorose per il tacchino.

C’era una bella dose di istinto materno, in quel folle viaggio di Maud. E io, che dei due la conoscevo meglio, sapevo che preferiva non darlo troppo a vedere; non l’avevo mai sentita nemmeno una volta raccontarmi o condividere una preoccupazione per uno dei suoi figli (non ero nemmeno sicuro di quanti ne avesse) e dubito quindi che fosse esattamente il tipo di madre iperprotettiva e apprensiva a cui da mezzo italiano come ero avrei dovuto essere abituato, salvo che io, di mia mamma, non ricordavo quasi niente. E né io né Maggie eravamo figli suoi, avevamo un ruolo, stavamo in ufficio con lei per lavorare, per aiutarla nelle indagini, non eravamo dei marmocchi da accudire.

O da levare dalle strade.

Insomma, nel nostro piccolo ne avevamo già viste tante, Maggie anche più di me, e un bello strato di scorza dura sulla pelle ce l’eravamo già fatto.

E però qualcosa era successo, negli ultimi giorni, e ora Maud aveva preferito cambiare di colpo strategia, ammesso che ne avesse mai avuta una. E la novità era quella: via da Londra, lontano da inutili rischi, e dalle sfaccettature oscure del potere, e dell’ufficio di Lucy Colburn, il braccio destro del Primo Ministro.

Tra una buca e un dosso, che causavano alle sospensioni della Pechino-Parigi, e da lì ai sedili, sobbalzi simili a coltellate, ripensai agli ultimi avvenimenti.

Era tutto partito da quella maledettissima valigetta americana, che la Colburn ci aveva chiesto di andare a recuperare a Liverpool. E noi lo avevamo fatto, pagando il prezzo di metterci a trattare con uno dei capi della malavita rossa che controllava il porto, e cioè Joe “Fishbone” Flaherty, uno tosto, spietato, e che però da quella storia era uscito in orizzontale, duro duro in una bara diretta al camposanto. Sul suo cadavere era stata messa una benda nera, che non aveva lasciato alcun dubbio sulla firma: la più potente e temibile organizzazione cri-

minale d’Inghilterra: le Cento Maschere. Di cui io, per gli stessi motivi (potente e temibile) fino a quel momento non conoscevo praticamente niente. Ma il capo sì.

Proprio per quello Maud era così in agitazione: se erano riusciti a tagliar la gola a uno come Fishbone, a noi tre potevano farci a pezzi sbadigliando.

Tra l’altro lui era stato punito perché aveva avuto un moto di riconoscenza per il capo – gli aveva salvato un cavallo – e aveva deciso di consegnare la valigetta a noi invece che a loro, il che significava che adesso sapevano di noi, che avevamo pestato i calli a gente di cui ignoravamo l’esistenza.

«Via dalla strada!» esclamò Maud, spaventando con il clacson della Pechino-Parigi un nugolo di gallinelle, che schiamazzarono ai due lati del fosso.

Maggie si voltò a guardarle come se non avesse mai visto un pollo in vita sua e io guardai lei, felice per tanto entusiasmo.

«C’è mancato poco» esclamò.

E mi fece venire in mente quanto poco c’era mancato la sera prima, quando ci avevano sparato al momento di consegnare la valigetta.

Era davvero roba incandescente.

Vai a sapere perché.

Si trattava del testamento di un tizio tedesco di nome Julius Morgenthaler, il quale lasciava ogni suo avere proprio a Lucy Colburn. E chi era, questo Julius Morgenthaler? Mistero. Nemmeno Horace Hepcott, l’archivista di Albion House, l’aveva mai sentito nominare. E giuro che mai mi era capitato che ammettesse una simile mancanza.

A quanto pare, però, se quel testamento fosse caduto nelle mani del grande rivale del Primo Ministro, ovvero Lord Burpham, avrebbe potuto creare un immenso putiferio, screditando sia lui che il suo braccio destro di fronte all’opinione pubblica, e fare così cadere il governo. Come, mi era ancora piuttosto nebuloso, ma ero sicuro che Maud si fosse già messa all’opera per scoprirlo. A lei Lucy Colburn piaceva – a differenza di Lord Burpham, che considerava una sorta di caprone reazionario – e avevano per così dire alcuni aspetti in comune.

In ogni caso, qualcuno ci aveva sparato.

In piena Londra: a noi e a Lady Colburn. Molto probabilmente qualcuno delle Cento Maschere. Forse la stessa persona che, mentre noi eravamo a cercare di farci ammazzare a Liverpool per senso dello Stato, si era intrufolata nell’ufficio di

Maud, e si era azzuffata con Maggie, in versione piccolo gatto rabbioso attaccato alla caviglia.

Di questo misterioso sconosciuto c’erano rimasti il racconto di Maggie e un coltello, perso prima della fuga. Un coltello sulla cui lama era incisa una parola che non prometteva nulla di buono: “Vendetta”. In italiano, la mia lingua madre, cosa che mi aveva lasciato addosso la sensazione, del tutto irrazionale, che fosse indirizzata a me.

Sfilai il coltello dalla tasca della giacca, dato che Maud mi aveva concesso di tenerlo, e feci scattare il meccanismo a serramanico. La lama baluginò nell’abitacolo e le otto lettere incise sul bordo mi restituirono per l’ennesima volta un certo senso di disagio, di minaccia imminente. Ma anche di qualcosa di vecchio, antico, come se ci fosse in ballo una faida mai davvero risolta.

Richiusi il coltello non appena Maggie si voltò. E osservandola di sottecchi mi chiesi: una volta senza Maud, sarei stato capace di difenderla?

«Smettila di giocare a fare il malvivente e passami il giornale» disse Maggie.

Le ubbidii. Rimisi il coltellino in tasca, recuperai dal sedile l’edizione mattutina del “Daily Gazette” e gliela passai.

«Ti sei stancata di guardare fuori?» chiesi.

«No, mio caro Finchlock Holmes, ma il capo mi ha fatto capire che vorrebbe un po’ di distrazione, e di rassegna stampa, prima di arrivare. Dico bene, signora West?»

«Dici bene, Maggie. Da brava: leggi le notizie ad alta voce» disse Maud.

Ormai guidava da quasi tre ore, e in effetti non doveva mancare molto alla nostra destinazione: un paese di nome Walton, a una ventina di miglia da Londra.

Maggie si sistemò per bene il quotidiano sulle ginocchia.

«In prima pagina parlano della tomba del milite ignoto, appena sepolto nell’abbazia di Westminster in rappresentanza e onore di tutti i soldati morti durante la guerra. E dicono che i francesi hanno fatto lo stesso all’Arco di Trionfo. Interessa?»

Silenzio.

«E poi… ah, c’è un nuovo gusto di caramelle morbide Mackintosh! Al cioccolato!»

«Notizia di enorme rilievo» commentò Maud, senza staccare gli occhi dalla strada.

«In realtà è solo una pubblicità… Va bene, continuo. I prigionieri irlandesi a Cork hanno rico -

• 14 •

minciato a mangiare, finito lo sciopero della fame grazie all’appello del vescovo… Battello a vapore al largo della Cornovaglia lancia SOS perché in fiamme, salvato dall’Ammiragliato… Sciopero dei minatori in Francia… Il sindaco di un comune italiano ha sostituito il ritratto del re appeso in Municipio con quello di Lenin. Wow. Stanno arrivando i bolscevichi dalle tue parti, Finch?»

«Non sono più le mie parti, Maggie. L’Italia non ricordo nemmeno com’è fatta»

«Come uno stivale, lo sanno tutti»

«Hai capito cosa intendo»

«Certo che ho capito. E comunque mi sa che i bolscevichi si stanno organizzando un po’ dappertutto. E infatti… ecco che ne parlano anche per questioni di casa nostra. E guarda un po’, sapete a che proposito? C’entra il nostro caro trombone

Lord Burpham»

Maud tese le orecchie. «In che termini? Leggi, sono curiosa»

«Nei termini che “siamo vittime di uno spregevole complotto”» rispose Maggie leggendo il virgolettato del giornale, con la voce più bassa che poteva per scimmiottare quella di Burpham. «E che è evidente che “qualcuno legato agli ambienti

• 15 •

bolscevichi stia tramando per evitare che la verità risplenda nel suo fulgore e illumini la nostra nazione, per farla precipitare in un futuro nefasto, turpe e apocalittico”. Ma come parla, questo?»

«Come uno che si arrampica sugli specchi» disse Maud. «Non ha in mano un bel niente, e quindi non può far altro che gridare al mistero e gettare accuse al vento. Puah! Ti sembriamo forse bolscevichi? Fumo, fumo, aria fritta».

Maggie abbassò il giornale. «Maud…» disse «sei proprio sicura che siamo in pericolo?»

«Non serve esserne sicuri, per essere prudenti»

«Vero, ma abbiamo la protezione di Lucy Colburn» intervenni allora io, sporgendomi in avanti in mezzo a loro. «Conterà qualcosa, no? È pur sempre il braccio destro di Lloyd George, se non è potente lei…»

«Sarà anche potente, il punto però è che non abbiamo idea di quanto siano potenti quegli altri»

«Le Cento Maschere?»

«Esatto. E fino a che non capisco un paio di cosette a Londra e metto in fila un po’ di informazioni in più, voi due ve ne starete eclissati nelle verdi contrade del Surrey. Al riparo dai guai».

Apprezzavo la cautela di Maud, e ancor di più

la soluzione che ci stava prospettando, ma in realtà dubitavo che, se c’era veramente in corso un complotto, le Cento Maschere potessero essere interessate a una modesta investigatrice privata e a due ragazzini come noi. Voglio dire: ci dovevano per forza essere pesci più grandi da friggere nella pentola della rivoluzione proletaria. Eppure, la spietata ferocia con cui Fishbone era stato punito per averci aiutato continuava a darmi i brividi, e l’idea di starmene lontano da tutte quelle macchinazioni – e solo con Maggie – non mi dispiaceva affatto.

«Di’ piuttosto che non ci vuoi tra i piedi» insinuai fingendomi offeso, anche se in realtà non potevo essere più felice. Questa volta non ci sarebbe stata nessuna amica petulante di nome Olivia a reggere il moccolo tra me e lei, il campo era libero, non avevo nemmeno bisogno di chiederle un incontro, era già lì con me. Il nostro sarebbe stato come un unico, lungo appuntamento, della durata di… già, quanti giorni?

Non ne avevo idea.

«Per quanto tempo pensi di lasciarci in mezzo al nulla?» chiesi al capo.

«Non lo so ancora. Qualche giorno, al massimo una settimana. Ma se c’è una cosa buona che è ve-

nuta fuori dall’ultima indagine è che il portafoglio della ditta West non è mai stato così gonfio di sterline. Quindi, almeno sotto questo aspetto, la durata della vostra vacanza non è un problema».

«Ridicci dov’è che staremo, per l’esattezza?» chiese Maggie.

«Al Quince Lodge, un bel cottage nei boschi di Walton-on-the-Hill»

«In mezzo al nulla». Sospirai fingendomi spudoratamente scontento, e mi lasciai andare sul sedile.

«È un posto isolato ma molto carino, vedrete. Il cottage è delizioso, proprio di fianco a una roggia, in mezzo agli alberi, e c’è anche un melo. Ci ho soggiornato diversi anni fa, per nascondermi da un paio di inseguitori un po’ troppo insistenti durante il caso dell’Aspide di Smeraldo. L’affittuaria, la signora Potts, ha detto che vi lascerà anche una bicicletta a disposizione, per raggiungere il paese»

«Una sola?» fece Maggie.

«Questo offre la casa. Non mi lamenterei, se fossi in voi: potrete andare a fare provviste comodamente».

Intanto, fuori, il paesaggio era variato: si vedevano allevamenti e fattorie, inframmezzate da distese di mozziconi di piante secche e quel che ri-

• 18 •

maneva del granoturco dopo la raccolta autunnale. Raggiungemmo il villaggio di Walton, stretto attorno alla strada principale, che Maud attraversò senza alcun accenno di prudenza, poi svoltò, con una delle sue proverbiali manovre a gancio, in una stradina sterrata che si infilava in mezzo ai pascoli.

Maggie e io ci zittimmo. Fatta tutta una serie di sobbalzi, la Pachino-Parigi si addentrò in un faggeto, guardato a vista da una pattuglia di corvi neri.

Il bosco si infittì, e tra i faggi notai altri alberi foderati di muschio: noci, enormi querce, castagni, e un paio di magnifici tassi dai tronchi contorti. Era una foresta millenaria, meditai, e mi sentii all’improvviso molto più tranquillo, e protetto, come se i miei pensieri avessero messo radici e si fossero accoccolati in quella terra umida. Era una bella sensazione.

Anche Maggie pareva incantata quanto me e non appena Maud fermò la macchina, dove sembrava che la strada finisse contro un groviglio di rovi, si catapultò fuori dalla portiera. Fece un profondissimo respiro, poi allargò le braccia per accogliere la distesa di alberi antichi e disse: «Diamine, questo posto è magico».

E si infilò nel primo sentiero.

• 19 •

Io e Maud ci stiracchiammo la schiena e tirammo giù i due bagagli che ci eravamo preparati, mentre la roggia d’acqua cristallina gorgogliava placida in sottofondo e il sole bianco filtrava tra i rami in tremolanti lame di luce. Maggie, già lontana, sembrava una fata dei boschi.

«Per di qua?» ci domandò, e si diresse verso una piccola radura, senza aspettare la risposta.

Maud sorrise, mi fece cenno di sì e le andammo dietro. Seguendo la roggia si arrivava a un cottage di legno, con il tetto spiovente e la porta dipinta di rosso. Dall’altro lato rispetto alla roggia, c’era un melo un po’ storto. Maggie stava sbirciando dalle finestre: non ricordavo di aver sentito, da tempo, una simile felicità.

Maud infilò le chiavi nella toppa.

La porta rossa si spalancò su un piccolo ambiente che faceva da cucina e salotto allo stesso tempo, con un camino, un tavolo quadrato di legno grezzo, un lavello di pietra e un divano che era solo una panca ricoperta da un gran numero di cuscini. Alle pareti erano appesi fiori secchi, pentole di rame e attrezzi di legno. Era un ambiente semplice eppure molto accogliente. E insolitamente caldo: qualcuno doveva aver acceso il

camino qualche ora prima, e le braci erano ancora arroventate sotto la cenere.

«La signora Potts ha pensato di darvi il benvenuto come si deve» osservò Maud. Andò ad aprire gli sportelli di una vecchia credenza. «Qui c’è qualcosa: uova, cracker, cioccolato, tè… Molto bene: vi lascio qualche sterlina. Dovrebbero bastarvi per un bel po’». Chiuse la credenza e tirò fuori dalla borsa una busta piuttosto panciuta, che posò sul tavolo. «Il pozzo è sul retro, la bici dovrebbe essere nella legnaia, qui di fianco. Per andare in paese rifate la strada che abbiamo percorso in macchina e in fondo girate a sinistra. Non potete sbagliarvi. Tutto ciò che vi serve lo potete comprare alla drogheria Holt. Lì trovate qualsiasi cosa, e se non la trovate ve la procurano. Vi consiglio il pasticcio di manzo con frolla all’origano, il più buono che abbia mai mangiato. Lo potete assaggiare anche all’Eagl’s Nest, l’unica public house del villaggio, dove ho già dato istruzioni che non vi diano birre, non importa quanto li supplicherete». Maud si sfregò le mani ancora guantate e concluse: «Bene, non ho altro da dirvi, ora devo tornare a Londra. Ah, no. Manca un dettaglio: c’è soltanto una camera da letto, quindi tu, Finch, farai il galante e dormirai sull’ottomana»

• 21 •

«Ottimo. E che cosa sarebbe l’ottomana?» domandai un po’ disorientato.

Lei indicò la panca ricoperta di cuscini. «Quello, Finch, il divano alla turca».

Maggie si lasciò sfuggire una risatina. «Finch Pascià, ecco come ti chiamerò d’ora in poi» disse, mentre io arrossivo.

«Un’ultima cosa, ma la più importante: testa sulle spalle, non date nell’occhio e se succede qualcosa avvertite la signora Potts. Abita in paese, nella prima casa che si incontra arrivando da questa direzione. Godetevi la vacanza».

Così dicendo, si avviò verso l’uscita con passo deciso.

«Grazie» la trattenne Maggie quando era già sulla soglia.

«Sì, grazie» dissi anch’io, e aggiunsi: «Però tu stai attenta, a Londra».

Maud si limitò a farci l’occhiolino, e si chiuse la porta alle spalle.

DA QUALCHE PARTE

IN INGHILTERRA, 1920.

Che ci fanno Maggie e Max Finch in un cottage nel bel mezzo della foresta? E perché sorvegliano con grande attenzione una villa non troppo lontana, dove si sta organizzando una festa a dir poco sontuosa? Dovunque li portino i loro sospetti, da qui a poche ore rischieranno la vita e romperanno più di uno specchio, con relativi anni di sfortuna, solo per cercare di scoprire la vera identità di Julius Morgenthaler, il più inafferrabile dei criminali dell’Impero, e la sua terribile eredità. Tra ladri di argenteria, automobili mortali, colpi di kung fu e intrusi dal grilletto facile, prima del traghetto dell’alba... ecco il terzo caso di Maud West. Il più difficile di sempre.

“Il bello della morte, Finch, è che almeno ci arrivi vivo”.

MAX FINCH è lo pseudonimo di tre autori di grandissimo successo nella narrativa per ragazzi italiana degli ultimi anni: Pierdomenico Baccalario, Alessandro Gatti e Lucia Stipari.

Illustrato da IACOPO BRUNO

Consigliato dai10 ai 99 anni

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.