UAO Universale d’Avventure e d’Osservazioni
Françoise Rachmuhl Metamorfosi di Ovidio traduzione dal francese di Maria Laura Capobianco della stessa autrice: Le donne del mito Libro digitale in formato epub ISBN 978-88-3624-957-2 Prima edizione digitale nella collana EGAL ottobre 2022 Prima edizione cartacea nella collana Pre-adolescenti ottobre 2022 © 2022 Carlo Gallucci editore srl - Roma Titolo dell’edizione originale francese: 16 métamorphoses d’Ovide Testo © 2003 Flammarion - Paris, Francia Illustrazione di copertina: Frédéric Sochard Lettering del titolo: Pemberley Pond e il logo
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Françoise Rachmuhl
traduzione di Maria Laura Capobianco
Introduzione
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Per molti aspetti, l’epoca di Ovidio ricorda la nostra. Si tratta di un periodo caratterizzato da instabilità e stravolgimenti: uno spartiacque tra due secoli (I a.C. - I d.C.), tra due mondi (il mondo pagano e quello cristiano) e, nel contesto di Roma, anche tra due regimi politici (la Repubblica e l’Impero). La nascita dell’Impero romano fu accolta da grandi speranze. Nei giorni in cui Ovidio raggiungeva la maturità, tuttavia, serpeggiava un certo disincanto. Come altri poeti, Ovidio cantò le lodi di Augusto, il primo imperatore, e ciononostante proprio Augusto lo mandò in esilio, lontano dalla sua patria. La vita di Ovidio La vita di Ovidio ci è nota solo parzialmente. Sappiamo però che nacque a Sulmona, una città
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dell’Italia centrale, nel 43 a.C. Apparteneva a una famiglia della piccola nobiltà, priva di particolari ricchezze. L’Italia era allora teatro di una guerra civile. La Repubblica era ormai al tramonto: un anno prima, Giulio Cesare era stato assassinato. Ottaviano, il figlio adottivo, era ben presto entrato in competizione con Antonio che, forte dell’alleanza con la regina egizia Cleopatra, rivendicava il potere supremo. Nel 31 a.C., con la battaglia navale di Azio, Ottaviano ebbe la meglio sul rivale e Antonio e Cleopatra si suicidarono. Qualche anno dopo, Ottaviano assunse il nome di Augusto e divenne il primo imperatore di Roma. Nasceva così l’Impero: ebbe inizio un periodo di pace, e tutti i poeti (tra cui anche Virgilio, autore dell’Eneide) celebrarono il nuovo imperatore. Le avversità dell’epoca non impedirono al giovane Ovidio di ricevere un’istruzione eccellente. A Roma apprese l’arte dell’eloquenza e si esercitò nell’oratoria forense. Non desiderava, tuttavia, diventare avvocato: a incontrare i suoi gusti era solo la poesia. Per completare l’istruzione del figlio, il padre di Ovidio lo mandò in Oriente, come da consuetudi-
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ne per i rampolli di buona famiglia. In compagnia di un amico, Ovidio viaggiò per tre anni lungo le coste del bacino del Mediterraneo. Visitò la Grecia, patria di Ulisse e Teseo, e si recò in Asia Minore per vedere Ilio, la città ricostruita sulle rovine di Troia. Si trattenne a lungo in Sicilia, incantato dal fascino delle sue città (tra cui Siracusa, fondata dai Greci) e rapito dal suggestivo spettacolo della natura dell’isola, tra i vapori sulfurei delle paludi e le fiamme dell’Etna. Fu così che nella sua mente rimasero impressi i paesaggi che avrebbero fatto da cornice, in futuro, per gli episodi delle Metamorfosi. Tornato a Roma, Ovidio si diede alla carriera di uomo di lettere e nel 15 a.C. pubblicò la sua prima raccolta, gli Amori. Seguirono altri libri, in particolare le Eroidi, lettere immaginarie di eroine mitologiche, e l’Arte amatoria. Compose anche una tragedia, Medea, oggi perduta. Le sue opere ebbero successo. Virgilio, il grande poeta del regno di Augusto, era morto nel 19 a.C., e il più giovane Ovidio divenne un autore di tendenza. Le sue opere, che trattavano principalmente le gioie e i dolori dell’amore, lo resero celebre come scrittore godibile, frivolo, talvolta libertino. Tuttavia, mentre componeva questi testi disinvolti, Ovi-
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dio cominciava un’opera di ben altra levatura: le Metamorfosi. Nel raccontare le metamorfosi di dei e uomini, narrando la storia dell’umanità dall’inizio del mondo fino alla morte di Giulio Cesare, Ovidio intende eguagliare l’opera di Virgilio: le Metamorfosi possono così rivaleggiare con l’Eneide. Nell’8 d.C., mentre era immerso nella scrittura del suo capolavoro ancora incompiuto, il poeta ricevette dall’imperatore Augusto l’ordine di lasciare Roma. Dovette dire addio alla moglie, alla figlia, a tutti i suoi beni: esule, si recò a Tomis, sul Mar Nero (l’odierna Costanza, in Romania). Ignoriamo le ragioni precise per cui il poeta fu confinato in una terra fredda e lontana, che i Romani consideravano un paese barbaro. In preda alla disperazione, prima di partire, Ovidio diede alle fiamme una copia delle Metamorfosi. Per fortuna a Roma circolava già un certo numero di esemplari dell’opera. Nonostante le numerose suppliche rivolte all’imperatore, e poi al suo successore Tiberio, Ovidio dovette rimanere in esilio. Scrisse altre due raccolte, dai titoli evocativi: le Tristezze e le Lettere dal Ponto (i Romani chiamavano il Mar Nero “Ponto Eusino”). Morì nel 17 d.C., troppo presto per es-
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sere testimone dell’affermarsi del cristianesimo, la nuova religione che avrebbe trasformato il mondo. Le Metamorfosi 15 libri, oltre 12.000 versi, 230 racconti di metamorfosi: quest’opera è tra i poemi più lunghi dell’antichità. Le Metamorfosi godono di un successo ininterrotto fin dai giorni di Ovidio: per gli scrittori medievali furono una fonte inesauribile di citazioni e aneddoti. Il Rinascimento, con l’invenzione della stampa, vide un fioccare di edizioni. Passarono i secoli, e le Metamorfosi non hanno mai smesso di ispirare poeti, pittori e musicisti. Suscitano l’interesse dei lettori contemporanei, e fanno parte del patrimonio culturale europeo. A cosa è dovuta questa popolarità che sembra non conoscere fine? La prima ragione è la straordinaria eloquenza di Ovidio: un narratore vivace ed eclettico, in grado di assumere ogni sorta di tono (tenero o violento, tragico o spassoso) e di sospendere una storia per raccontarne un’altra, come la principessa Sherazade delle Mille e una notte; ma anche di creare collegamenti tra i vari racconti, tramite un richiamo a un episodio precedente o alla comparsa di un per-
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sonaggio già noto: una serie di artifizi che tengono il lettore con il fiato sospeso, impaziente di scoprire cosa accadrà dopo. Ovidio, inoltre, conosce il cuore umano in tutta la sua complessità. I suoi eroi sono tormentati dal dubbio, dal rimpianto, dalla passione, dalla follia. Lo scrittore ci consente di ascoltare i loro monologhi interiori, ci mostra la titubanza di personaggi costretti a prendere una decisione, ci rende partecipi delle loro emozioni e sentimenti. Tra le attrattive dell’opera c’è anche la ricca panoramica sulla vita quotidiana degli antichi: i pasti, le occupazioni e i giochi, i riti del matrimonio e del lutto, le pratiche religiose. L’ambientazione è sempre descritta con cura e con pennellate pittoresche; certe descrizioni evocano nella mente le immagini dell’arte antica. L’arazzo tessuto da Pallade, con gli dei meticolosamente allineati, fa pensare a un fregio del Partenone. Ovidio non si limita a elencare, seppure con grande abilità e competenza, storie mitologiche (talvolta, per la verità, gli capita anche di inventarne qualcuna). Come i suoi contemporanei, lui non crede negli dei di cui narra le vicende: il suo intento è indurci a riflettere sulle grandi questioni della vi-
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ta. L’autore si fa portavoce di una filosofia elaborata da pensatori greci e latini, secondo cui l’universo è in perenne metamorfosi, ogni cosa è in continuo movimento e mutamento, e l’amore è la forza vitale che anima oggetti e persone. Un cosmo agitato da un moto perenne, che scultori e musicisti sono tenuti a rappresentare, e, in una certa misura, influenzare. Attraverso le figure di Pigmalione, Apollo e soprattutto Orfeo, che si possono considerare le sue controparti nell’opera, Ovidio ci invita a ragionare sul ruolo dell’artista e sul mistero della creazione artistica. L’adattamento Trasporre una selezione delle Metamorfosi di Ovidio alla portata dei ragazzi di oggi è un compito piacevole quanto difficile. Il lavoro deve essere pensato come un adattamento, non come una traduzione: l’esperienza ci insegna che un testo troppo fedele, appesantito da parole complicate e riferimenti mitologici, risulta incomprensibile ai giovani lettori, stancandoli subito. Nella scelta degli episodi sono stata guidata da un criterio che ha favorito passaggi variegati, accattivanti e carichi di significato. Ho avuto cura di pre-
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servare il movimento del testo e lo svolgimento degli episodi, rispettando il carattere dei personaggi e il tono dei vari estratti. Tuttavia, al fine di rendere la lettura più godibile e facile da seguire, spesso ho dovuto accorciare, condensare e, quando necessario, tagliare alcune parti, salvaguardando solo i dettagli più espressivi. Ovidio si rivolgeva a personalità colte, ampiamente edotte sulla mitologia: poteva dunque procedere per allusioni, sicuro di essere compreso. Oggi non è più così, e sono molti i riferimenti alla vita e alla genealogia degli dei che ci sfuggono. Ho quindi semplificato gli appellativi, esplicitato le allusioni e, per evitare di gravare il testo di note, ho talvolta incorporato nella narrazione le spiegazioni essenziali. Questa piccola raccolta non ha alcuna pretesa di perfezione. Vorrebbe, ciononostante, restituire a chi leggerà un’immagine veritiera del grande autore latino, della ricchezza della sua opera e della bellezza della sua scrittura, fornendo uno scorcio, seppure limitato al tempo della lettura, sul mondo realistico quanto meraviglioso della sua epoca.
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