disegni di Fabio Visintin
UAO Universale d’Avventure e d’Osservazioni
Sabina Colloredo Non chiamarmi strega disegni di Fabio Visintin ISBN 978-88-9348-821-1 Prima uscita nelle edizioni Gallucci febbraio 2020 Già pubblicato in altre edizioni con il medesimo titolo ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2024 2023 2022 2021 2020 © 2020 Carlo Gallucci editore srl - Roma Pubblicato in accordo con Grandi & Associati, Milano
g a l l u c c i e d i t o r e. c o m Il marchio FSC® garantisce che questo volume è realizzato con carta proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile e da altre fonti controllate, secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici. L’FSC® (Forest Stewardship Council®) è una Organizzazione non governativa internazionale, indipendente e senza scopo di lucro, che include tra i suoi membri gruppi ambientalisti e sociali, proprietari forestali, industrie che lavorano e commerciano il legno, scienziati e tecnici che operano insieme per migliorare la gestione delle foreste in tutto il mondo. Per maggiori informazioni vai su ic.fsc.org e it.fsc.org Tutti i diritti riservati. Senza il consenso scritto dell’editore nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma e da qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, né fotocopiata, registrata o trattata da sistemi di memorizzazione e recupero delle informazioni.
disegni di Fabio Visintin
Nel cerchio di luce
Ricordo bene il giorno in cui venni al mondo. Nel brusio delle voci che mi giungevano dall’esterno, quella di mia madre si levò esasperata sopra le altre. «Fuori tutte!» strillò. «Faccio meglio da sola!» Ansimava. E sapevo bene perché: io stavo nascendo e lei era terrorizzata. Poi si rivolse a me, che galleggiavo guardinga, con quel tono dolce e intimo che in nove mesi aveva intessuto la trama dei nostri discorsi segreti. «E tu, fiorellino, svegliati! Non ho nessuna intenzione di passare un’intera giornata a spingere!» Interruppi a metà il mio giro di placenta e attesi, perplessa. 5
«Adesso dirò… una formula… che ci aiuterà entrambe!» continuò, con la voce roca per lo sforzo. Mi raggomitolai, immobile, in attesa del peggio. «AHINÀ-CA-RA-CTERE!» gridò, con tutta la voce rimastale. Una pressione insopportabile mi spinse fuori dalla sua pancia, lo spazio si riempì di luce e due mani salde mi depositarono sopra un tappeto profumato. Non era un prato fiorito, né un cielo affollato dai venti di primavera, né un campo frusciante di messi. Non lo era, ma lo era. Capite? Era la mia culla. La mamma l’aveva imbottita con una miscela di erbe per farmi crescere sana e robusta. Così, i fiori di ruta e di camomilla, le foglie di malva e una manciata di polvere di capelvenere costituirono l’essenza del mio primo impatto col mondo. La potenza della natura fece il resto. Era il 15 maggio del 1505. Il giorno della mia nascita. «Te la sei presa comoda, eh?» brontolò la mamma, accarezzandomi. Com’era diversa la sua voce a contatto con l’aria! Non aveva più quel suono ovattato, come di un canto sotto il cuscino, ma era squillante e imperiosa. Incuriosita, strizzai gli occhi e nel chiaroscuro del mio primo sguardo cercai di mettere a fuoco la sua figura china su di me. Vidi una grande bocca rossa e 6
occhi verdi e tempestosi che mi scrutavano dalla testa ai piedi. L’esame dovette risultare soddisfacente, perché mi attaccò al seno e lì, finalmente, trovai il mio posto nel mondo. Ma non durò a lungo. Mentre mi cincischiavo con l’ultima goccia di latte rimasta sulle labbra, iniziò a frizionarmi con un tonico. «Sembri un topo, con la pelle così grigiastra» disse. «Vedrai che questo pizzica un po’, ma migliorerà la situazione». Avevo un gran sonno e la lasciai fare senza protestare. Quando fui lustra e rosa come un porcellino, mi infilò una camiciola pulita. «Prima lezione: nella vita, non contare mai sugli altri, ma solo su te stessa!» continuò. «Cominciamo da subito. Io vado a fare un bagno in mare per purificarmi dal parto, e tu te ne stai qui buona buona, da sola». Per mia fortuna, non conoscevo ancora il significato dell’espressione “da sola”: per me era un mormorio indistinto, come molte altre sue parole, che si confuse con quello lontano della risacca. Ignara, sprofondai nella culla che profumava di boschi e mi rilassai nel primo, vero sonno da neonata. Tra sogni distinti e veglie confuse, passai le prime settimane di vita. 7
Li ricordo come giorni felici. Nessuno si aspettava grandi cose da me, e io avevo comunque il mio bel daffare a osservare i ghirigori del sole attraverso le foglie della vigna, i voli senza tempo dei gabbiani, le ombre lunghe delle montagne. Ero in un mondo sconosciuto e familiare al tempo stesso. Il mio piccolo mondo di neonata. «Svegliati, dormigliona! Sei sempre attaccata ai sogni!» stava sussurrando la mamma. Aprii gli occhi: i suoi capelli inanellati mi sfioravano il viso e il sole tramontava su quei magnifici toni ramati, che si accesero all’improvviso come fiamme. Sembrava che un incendio divampasse dalla sua testa. Passai dalla felicità alla paura e scoppiai a piangere. «No, amore, no!» cercò di consolarmi, stringendomi al suo corpo, che era tutta la mia vita. «Non fare così!» Avvertii un impercettibile tremore nella sua voce. «Non piangere, fiorellino! Il rogo che hai visto è ciò che hai già vissuto. Non temere, in questa vita le fiamme ti saranno risparmiate. Dimentica! Lascia andare quella tua vita precedente che non ti appartiene più». Sospirò, malinconica. Gli ultimi raggi del sole frugavano il mare e le rondini volavano basse, stridendo, dirette ai nidi dove i piccoli le attendevano con i beccucci spalancati. 8
Il mondo scivolava incontro alla sera e la mamma intonò una ninna nanna struggente. La ascoltai rapita, a bocca aperta anch’io, come tutti i cuccioli del mondo, in quell’ora senza tempo. «Oggi è un giorno importante, sai» sussurrò, quando l’ultima nota si spense nel crepuscolo. Mi distese sul tavolo di cucina, a pancia in su. «È il giorno della tua consacrazione alla Madre! Tra poco conoscerai le Dame e la loro Signora. E avrai il tuo nome». Mi spalmò sul corpo un unguento dal dolce profumo di fieno. «In ogni nome è scritto il proprio destino, non dimenticarlo» mi soffiò nelle narici per pulirmele, «ma nessun destino è definitivamente tracciato». Mi posò una spiga in ogni mano, una ciambella sul cuore e un fiore di campo nell’ombelico. Così decorata ero terribilmente a disagio, nonostante i profumi di fiori e di pane appena sfornato. «E che non ti venga in mente di fare i bisognini durante la cerimonia» mi ammonì, dando un’occhiata soddisfatta al suo capolavoro, una neonata che sembrava la bancarella di un mercato. «Che figura mi faresti fare? Saresti la prima nella nostra famiglia che…» Si interruppe e le sue mani si allontanarono di scatto. Un’ombra si era sovrapposta alla sua: senza alcun rumore, le Dame erano scivolate dentro casa. 9
Silenziose, incorporee come sogni, si disposero in cerchio intorno alla culla. Ricordo nasi, occhi e bocche chini su di me. Io sgambettavo e sgambettavo per vincere il nervosismo. Le Dame mi parlarono nell’antica lingua, fatta di schiocchi e di fruscii, e le loro dita dolci mi sfiorarono la fronte, il petto e le piante dei piedi. Subito sentii un’ondata di benessere e di dolcezza travolgermi, e smisi di dimenarmi come un lombrico. Ma il tempo passava e loro erano sempre lì e mi attorniavano, impedendomi di vedere la mamma. Ero spaventata. Stritolai tra le manine le due spighe e mi feci la pipì addosso, così il fiore di campo iniziò a galleggiare smarrito nel mio ombelico. Cosa stavano aspettando? Quando la civetta lanciò il suo richiamo e la luna piena si incastonò nella cornice della finestra, la Signora mi sollevò dalla culla, mi avvolse in una coperta e uscì di casa, seguita dalle altre. La notte era così profonda e il buio, il buio così insondabile! Chiusi gli occhi per rassicurarmi: quello che vedevo dietro le palpebre, almeno, era un buio che conoscevo. Sfilammo lungo la spiaggia e poi attraverso il villaggio addormentato, senza che nessun cane abbaiasse. Un gruppetto di pescatori cuciva le reti alla luce delle torce, ma solo uno di loro alzò il capo nella nostra direzione, fissò il vuoto della notte e rabbrividì. 10
Lo lasciammo che borbottava confuso, chino sul suo lavoro, e ci inoltrammo nella foresta. Il volo ci portò alla sorgente nel tempo di un mio sbadiglio. Mi risvegliai mentre la Signora cercava di aprirmi i pugnetti intorpiditi: raccolse senza battere ciglio quel po’ di poltiglia che stringevo ancora al posto delle spighe e la gettò nell’acqua corrente. Poi mi bagnò le labbra con l’acqua della Fonte. «Oggi, notte del Solstizio d’estate, la piccola Nulla esce dall’ombra ed entra a far parte del nostro cerchio di luce…» disse a voce alta. «Per la Madre, per noi e per il resto del mondo, tu ti chiamerai… Lucetta!» Si girò e mi tese verso la mamma che avanzava con il suo passo danzante attraverso il cerchio di Dame, il corpo sottile fasciato da una tunica rossa. I capelli le fluttuavano sciolti fino alla vita, avvolgendola come serpenti. Formò un cerchio nell’aria con le braccia, prima di allungarle verso di me. «Ti chiami Lucetta» sussurrò «perché sarai la nostra luce…» Mi diede a un’altra donna, la più anziana del gruppo. «…mai nata, mai morta…» continuò questa, porgendomi alla sua vicina. «…passerai dal mondo visibile a quello invisibile…» proseguì un’altra, cullandomi. 11
«…e sarai la Parola del nostro cerchio nel mondo» concluse l’ultima, tirandomi inavvertitamente i capelli. Ne avevo abbastanza. Incurante dello sguardo furibondo della mamma, scoppiai in un pianto dirotto. «Benedicila, Madre!» aggiunse la Signora, immergendomi in fretta nel fascio di luce della luna. Raddoppiai gli strilli e presi a scalciare come una forsennata, finché finalmente il seno della mamma entrò nel mio campo visivo. Allora smisi di piangere e iniziai a ciucciare soddisfatta.
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Dalla culla alla casa
«Da oggi basta stare nella culla! Guarda cosa ho costruito per te!» Le dita forti della mamma mi infilarono sgambettante in un tronco di quercia cavo, segato più o meno alla mia altezza. Osservò soddisfatta la mia testa, rossa come la cappella di un fungo, che spuntava dalla corteccia. «Perfetto!» esultò. «Così potrai stare in piedi da sola, senza cadere, e cominciare a guardarti attorno. Appoggiai i gomiti al tronco e attesi. Sapevo che le novità non erano finite. Si appuntò i capelli sul capo e iniziò a spazzare energicamente il pavimento di terra battuta, fin negli angoli più nascosti. 13
Lucetta vive all’ombra della madre, una donna bella, libera e coraggiosa, che cura con le erbe e con la magia. La segue nelle sue fughe dagli Inquisitori, nelle scure foreste e sulle montagne, tra l’Italia e la Germania del Cinquecento, fino a Triora, il rifugio delle streghe. Ma Lucetta, come ogni figlia, cerca la propria strada, il proprio modo di vivere, di amare. Il suo percorso è un distacco, un’avventura unica e senza tempo. L’avventura di crescere. «Io sono una mamma normale, Lucetta. Ho solo delle conoscenze in più, perché mia madre me le ha trasmesse, come io le trasmetterò a te e tu...» «Non li voglio conoscere questi segreti, hai capito? STREGA! Lasciami fuori dalle tue stramberie. Io voglio essere una ragazza NOR-MA-LE!»
Sabina Colloredo è una delle voci più amate della letteratura
per ragazzi. I suoi libri, pubblicati e tradotti in molte lingue, sono più di un centinaio, tra racconti, biografie femminili, romanzi storici e mitologici, raccolte di poesie. Ogni anno incontra i suoi lettori in tutta Italia.
Consigliato dai ai anni
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