

Anouk Filippini

Ciao mia cara Josée, la signora a cui nonna ha affittato la casa ha un figlio. Della nostra età. Guarda che ti vedo che mi osservi con il solito sguardo ironico! Quindi, prima che me lo chiedi: non lo so se è carino, non l’ho guardato bene. E comunque io ho chiuso con i maschi, lo sai. Vabbè, ok, è carino. Non è molto alto, però ha begli occhi. E un certo stile, qualcosa di particolare nel portamento.
Young Adult
Anouk Filippini
This is not a love letter traduzione dal francese di Manuela Parillo
ISBN 979-12-221-0800-1
Prima edizione italiana aprile 2025 ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2029 2028 2027 2026 2025
© 2025 Carlo Gallucci editore srl - Roma
Titolo dell’edizione originale francese:
This is not a love letter © 2023 éditions Auzou
La traduzione del frammento di Saffo a p. 7 è di Giancarlo Pontiggia, Tramontata è la luna, Ponte alle Grazie, 2019
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Anouk Filippini
This is
not
a love letter
Le dieci regole dell’amore e del surf
traduzione dal francese di Manuela Parillo

Alle mie sorelle di lotta.
Mia dolce madre, proprio non posso tessere questa tela: mi vince il desiderio di un ragazzo; lo vuole la molle Afrodite.
Saffo
REGOLA NUMERO UNO
Nulla è proibito
La prima regola dovrebbe essere che non ci sono regole.
Ma le regole sono fatte per essere aggirate, vero?
Quindi, regola numero uno: nulla è proibito.
EH? Ti sento già esclamare: NULLA È PROIBITO? POSSO FARE TUTTO QUELLO CHE MI PARE?!
No. Nulla è proibito non vuol dire che tutto è permesso. La sfumatura è sottile, ma ha una certa importanza.
Nulla è proibito, vuol dire che nessuno dei tuoi desideri è tabù: puoi amare i cavallo-
ni o le onde minuscole, le onde lunghe o gli spot da sfigati. Puoi aver voglia di surfare la mattina o la sera, d’estate o d’inverno, in Francia o in capo al mondo. Puoi non andar pazzo per un’onda che tutti adorano, o aver voglia di nuotare con un banco di pesci. Decidi tu. Lo sai tu.
Vale lo stesso per il sesso. Puoi aver voglia di tutto: maschi, femmine, né l’uno né l’altro, con o senza penetrazione, orale, buccale, vocale, anale, non banale, banale… Ovviamente la lista non è esaustiva…
Ma c’è un limite a questa regola! Lo stesso che vale per la libertà: la tua libertà finisce dove comincia quella degli altri… Il tuo desiderio anche.
Perché se c’è una cosa che i buoni surfisti non dimenticano mai, è che spetta all’oceano decidere. Ogni volta che prenderai la tavola per andare a surfare, pensaci: le onde non ci appartengono.
Se siamo fortunati, ci concedono per un momento di fonderci con loro.
Ma non le possediamo mai.
PARTE PRIMA LE ONDE
IL MOTO ONDOSO
Il momento è perfetto.
Tutto in lei sa che il momento è perfetto.
Non ha bisogno di dirlo, di dirselo, e neanche di pensarlo. Questo momento è perfetto, e non glielo sta dettando la mente ma lo stomaco, il cuore, il sangue che le scorre nelle vene.
Lo sa con tutto il corpo. I capelli, le labbra, la pelle che aderisce allo strato di cera della tavola… Ogni frammento del suo corpo sa che questo momento è perfetto.
Come fa a saperlo?
Come si fa a riconoscere un momento perfetto?
Come si fa a sapere che è il tipo di momento che va solo vissuto? Uno di quelli che bastano a riscattare tutto?
Questo momento non ha una durata. Non è né breve né lungo, non ha né inizio né fine.
Il momento non è un momento. È lo scintillio del
sole che nasce sulla superficie dell’oceano, lo sciabordio dell’acqua sotto la tavola, il sale sulla punta delle ciglia, il leash alla caviglia.
È la spiaggia un po’ troppo lontana, il pericolo, la paura che non va mai dimenticata, e anche il coraggio; l’audacia, la spensieratezza, l’eccitazione, il desiderio, la lieve irritazione, il freddo, i crampi di fame allo stomaco…
È la sensazione di essere del tutto se stessi, perfettamente se stessi, senza compromessi, con indulgenza, ma anche con orgoglio.
È il mare d’olio…
Ed è l’onda che nasce su quel mare d’olio… Quella che non ti aspettavi più. Allora ricominci a remare con le braccia. Per un istante, una frazione di secondo, esiti: non bisogna lasciarsi sfuggire il momento perfetto, rovinarlo.
Respirare. Rilassarsi. Trovare il ritmo, la direzione. Bisogna sentirla, l’onda. Andarle incontro e lasciare che ti guidi. Devi spingere sulle braccia, piegare le ginocchia verso il petto, metterti in piedi…
Solo allora il momento cessa di essere un momento.
Per diventare un movimento.
E in quel movimento c’è la vita, però la vita in tutta la sua intensità, la vita al massimo, forte, troppo forte, quasi insopportabile, e per fortuna che dura poco, per-
ché è un equilibrio, ma anche un modo di stare sull’orlo del precipizio, sul limitare del caos, proprio sul crinale.
È assordante, frastornante, pungente.
Un parossismo.
Una piccola morte. * * *
Il sole del mattino è di un giallo che sfuma sul verde. Quasi acido.
Mentre pedalo verso casa, lasciandomi la spiaggia alle spalle, vengo accecata dai suoi raggi orizzontali. Ma non sono abbastanza forti da riscaldarmi. La muta umida mi si è incollata addosso, e le sneakers piene di sabbia scivolano sui pedali.
Ecco perché non mi piace prendere la bici per andare a fare surf. L’andata è facile.
Il ritorno invece è una rottura.
E poi mi frulla in testa una frase cretina.
Essere veloci non vuol dire essere precipitosi.
A ogni cazzo di pedalata.
Essere veloci non vuol dire essere precipitosi.
Josée dice che non c’è nulla di più figo del cervello. Mi rimbambisce a forza di parlare di sinapsi, di miriadi di connessioni, di “plasticità”…
«Il cervello è una delle ultime grandi terre sconosciute».
Dice proprio così Josée: una delle ultime terre sconosciute. Scandisce lentamente ogni lettera, come se ciascuna fosse la tappa di un viaggio.
Cioè: prima c’era l’America.
Poi c’è stata la Luna.
E ora c’è il cervello. Una terra s.c.o.n.o.s.c.i.u.t.a.
Il cervello.
Forse il cervello è davvero magico. Il mio invece?
Il mio è scassato, non c’è dubbio.
Come tutto il resto d’altronde. Il mio cervello fa schifo.
È lento.
Ripete all’infinito frasi del cacchio tipo: essere veloci non vuol dire essere precipitosi; quando hai capito davvero una cosa sei anche capace di spiegarla…
L’unica cosa che il mio cervello è capace di spiegare è che non capisco un bel niente.
E poi, va in loop come i vinili di mia madre sul giradischi, quando l’LP è finito e nessuno va ad alzare il braccio con la puntina.
Non bisogna confondere la velocità con la precipitazione.
Mi prude la testa.
Non bisogna confondere la velocità con la precipitazione.
Ho fame, ma mi fa male la pancia.
Non bisogna confondere la velocità con la precipitazione.
Sudo, ma ho freddo.
Non bisogna confondere la velocità con la precipitazione.
Mi sono rotta di stare da sola…
Ma non ho voglia di vedere nessuno.
Non voglio mai più vedere nessuno.
È per questo motivo che esco sempre di primo mattino, allo spuntare dell’alba.
Ogni giorno vado a fare surf tra “lupi e cani”, come dice Josée, invertendo volutamente l’espressione inter canem et lupum. I lupi sono quelli che si fanno una sessione a fine giornata, al crepuscolo; mentre i cani sono gli sportivi, gli yogi, che attaccano presto la mattina, in modalità healthy. C’è però un breve intervallo in cui si possono evitare sia i lupi che i cani.
È la mia ora.
Non appena la spiaggia comincia ad affollarsi mi defilo.
Evito il centro passando lungo il mare e risalgo attraverso il quartiere residenziale, pieno di grandi ville e di proprietà divenute di anno in anno più lussuose.
Un po’ più in alto si trova la casa della mia famiglia, dove passo le vacanze da quando sono nata. È una tipica casa basca molto bella che sorge su un terreno un
po’ in discesa, tappezzato di aghi di pino. Sotto gli alberi, popolati da capinere e cinciallegre, c’è ombra in estate e tepore in inverno. Dal balconcino del piano rialzato (quello che uso la notte per saltare in giardino di nascosto), si vedono l’oceano e splendidi tramonti che riducono il cielo a brandelli di porpora.
È il mio paradiso.
Era il mio paradiso.
* *
Spingo il cancello di legno bianco e mi fermo davanti alla cassetta delle lettere.
Davanti casa, c’è la cassetta della posta: quella ufficiale, moderna e pulita, con il nostro cognome sulla targhetta.
In giardino invece, in cima a un paletto, c’è la cassetta delle lettere: una vecchia mailbox americana di ottone a forma di cilindro appiattito, corrosa dai venti salmastri.
Me l’ha regalata mio padre l’estate dei miei sette anni.
Una meraviglia.
Apro la cassetta. Niente.
Attraverso il giardino e mi dirigo verso la vecchia rimessa per le barche di mio nonno, che oggi serve da deposito per le biciclette e per l’attrezzatura da surf. Men-
tre stendo ad asciugare la muta, do un’occhiata alla casetta in fondo al giardino che chiamiamo tiny house.
A volte monna Lisa, ovvero mia nonna Lisa, la affitta su Airbnb.
Ma per questi ultimi giorni d’estate non l’ha affittata. L’ha solo prestata a una signora con un figlio.
Sono arrivati ieri.
E da quando la loro macchina è parcheggiata in giardino, lo scopo principale della mia vita è evitare lui.
Ha esattamente la mia età.
E scommetto che avrà voglia di socializzare.
* * *
Mi intrufolo in casa per evitarmi il Louseitu. «Lou, sei tu?» grida la mamma dalla cucina.
Obiettivo mancato.
Salgo i gradini di legno a quattro a quattro, passo davanti alla porta della mia camera, o meglio, la mia vecchia camera…
Primo pianerottolo, secondo pianerottolo…
Arrivata davanti alla camera di Solal, mi fermo un attimo.
La porta è chiusa.
Ho voglia di entrare.
per
Stampato
conto di Carlo Gallucci editore srl presso Puntoweb srl (Ariccia, Roma) nel mese di aprile 2025
Anouk Filippini è autrice, traduttrice e sceneggiatrice per la televisione. La scrittura è una passione di famiglia e per lei è cominciata quando a otto anni suo padre le ha regalato una macchina per scrivere Olivetti, la mitica Lettera 22. Da allora ha pubblicato oltre venti romanzi e non ha intenzione di smettere.

Copertina: Sebastiano Barcaroli Studio

La casa sulla spiaggia di nonna Lisa è sempre stata un rifugio per Loue, che mai come ora ha bisogno di un posto in cui sentirsi al sicuro. Lì dove il tempo sembra essersi fermato, può dedicarsi alla sua passione, il surf, e a scrivere lettere alla migliore amica Josée, pur sapendo che difficilmente avrà una risposta.
Poi nella casa accanto si trasferisce Iñigo, figlio di una scrittrice di romanzi storici piuttosto spicy. Anche lui vorrebbe imparare a surfare, e per cavalcare le onde –quelle del mare o quelle dei sentimenti – non potrebbe trovare insegnante migliore di Loue!
Nel surf, si parte sempre dalla spiaggia. Anche in amore si può cominciare sulla sabbia, però pizzica.