Ludovico Ariosto Orlando furioso riduzione e adattamento a cura di Fabiana Sarcuno ISBN 979-12-221-0249-8 Prima edizione rinnovata: ottobre 2023 ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2027 2026 2025 2024 2023 © 2023 Gallucci - La Spiga Prima edizione © 2015 ELI - La Spiga Edizioni Illustrazioni di Giovanni Pota Foto: Shutterstock, archivio ELI - La Spiga Edizioni Gallucci e il logo
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Ludovico Ariosto
ORLANDO FURIOSO Riduzione e adattamento a cura di
Fabiana Sarcuno
Illustrazioni di Giovanni Pota
Nota introduttiva
Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori… Già il primo verso del capolavoro di Ludovico Ariosto contiene tutti gli ingredienti di quest’opera: da una parte la guerra, che l’esercito dell’imperatore Carlo Magno deve affrontare contro i Saraceni, dall’altra l’amore, forza irresistibile in grado di distogliere dal conflitto i paladini più valorosi e condurre alla pazzia il campione dei Cristiani: Orlando. È l’amore, inoltre, che muove le gesta di Bradamante e Ruggiero, destinati, dopo molte difficoltà, a unirsi in matrimonio per dar vita alla dinastia estense, omaggiata dall’autore attraverso la sua opera. Le vicende degli innumerevoli personaggi incontrati lungo il poema vengono rese con la tecnica dell’interruzione continua, che consiste nel cambiare frequentemente argomento, introducendo nuovi episodi: il risultato è una creazione unitaria e allo stesso tempo multiforme, in cui i molteplici aspetti sono sapientemente armonizzati dall’autore. Ariosto riesce a fondere l’elemento del meraviglioso, legato alla presenza di creature fantastiche, incantesimi e 5
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oggetti magici, con quello del disincanto di fronte alla rottura delle illusioni; è capace di stupire attraverso situazioni e personaggi portentosi, ma senza mai perdere l’equilibrio e l’ironia. Quest’ultima è sempre presente nelle pagine del libro, anche se velata da una sottile malinconia: Ariosto sa bene che l’epoca dei cavalieri, delle corti e dei nobili ideali guerreschi, da lui rievocata con rimpianto, si è chiusa definitivamente. Ecco perché rende onore a questo mondo ormai perduto attraverso l’Orlando furioso, che costituisce senza dubbio il traguardo più significativo della letteratura italiana rinascimentale.
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1. Angelica in fuga
Questa storia narra di donne, cavalieri, combattimenti e amori, che ebbero luogo tanti anni fa, all’epoca della guerra tra Carlo Magno e i Musulmani, guidati dal temibile e impetuoso re Agramante, il quale voleva a ogni costo vendicare la morte di suo padre, ucciso da uno dei più valorosi paladini dell’esercito cristiano: Orlando. Le vicende che racconterò parlano soprattutto di lui, un eroe invincibile, dedito alla guerra e a profondi ideali religiosi, al quale però accade un fatto strano: si innamora a tal punto da diventare matto, anzi… furioso. Una vera novità per un uomo tutto d’un pezzo come il nostro coraggioso guerriero! Ma ne parleremo più avanti, non vorrei rovinare il gusto della lettura a chi avrà tra le mani questo libro, specialmente al cardinale Ippolito d’Este e alla sua discendenza, alla quale l’opera è dedicata: la nobile famiglia degli Estensi discende proprio da uno dei combattenti più indomiti che incontreremo in molti episodi della storia: Ruggiero. I signori di Ferrara sono stati molto generosi con me, accogliendomi presso la loro corte e offrendomi la possi7
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bilità di dedicarmi a ciò che amo di più, cioè scrivere; perciò il minimo che possa fare per contraccambiare la fiducia che mi è stata concessa è donare loro una storia appassionante, magari dalla trama un po’ intricata, ma piena di personaggi e luoghi meravigliosi, dove non mancano magie, incantesimi e creature mostruose. Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori le cortesie, l’audaci imprese io canto, che furo al tempo che passaro i Mori d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto, seguendo l’ire e i giovenil furori d’Agramante lor re, che si diè vanto di vendicar la morte di Troiano sopra re Carlo imperator romano. Dirò d’Orlando in un medesmo tratto cosa non detta in prosa mai, né in rima: che per amor venne in furore e matto d’uom che sì saggio era stimato prima; se da colei che tal quasi m’ha fatto che ’l poco ingegno ad or ad or mi lima, me ne sarà però tanto concesso, che mi basti a finir quanto ho promesso. Piacciavi, generosa Erculea prole, ornamento e splendor del secol nostro, Ippolito, aggradir questo che vuole 8
1. ANGELICA IN FUGA
e darvi sol può l’umil servo vostro. Quel ch’io vi debbo, posso di parole pagare in parte e d’opera d’inchiostro; né che poco io vi dia da imputar sono; che quanto io posso dar, tutto vi dono. Voi sentirete fra i più degni eroi, che nominar con laude m’apparecchio, ricordar quel Ruggier, che fu di voi e de’ vostri avi illustri il ceppo vecchio. L’alto valore e’ chiari gesti suoi vi farò udir, se voi mi date orecchio, e vostri alti pensier cedino un poco, sì che tra lor miei versi abbiano loco. Un momento! Non mi sono ancora presentato: sono Ludovico Ariosto, poeta del Rinascimento, e questa è la mia rievocazione, leggermente nostalgica, ma sempre attraversata da un pizzico di ironia, di un mondo cavalleresco che al giorno d’oggi purtroppo non c’è più. Tutto comincia con una fanciulla bellissima, che fila via in groppa a un cavallo. Fugge, il più velocemente e il più lontano possibile dall’accampamento dei Cristiani, galoppando verso un bosco. «Ce la siamo lasciata scappare sotto agli occhi... Quella donna ne sa una più del diavolo!» commenta seccamente Carlo Magno. Ma perché il sovrano francese è così preoccupato? Chi 9
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è la ragazza fuggitiva? Per rispondere a queste domande occorre fare un passo indietro. Bisogna infatti sapere che qualche tempo prima una fanciulla avvenente, di nome Angelica, era arrivata a Parigi. Alta e ben proporzionata, dallo sguardo soave e con lunghi capelli biondi simili al grano maturo, non passava certamente inosservata. La figlia del re del Catai (era una principessa, non una ragazza qualsiasi!) era accompagnata dal fratello Argalia. Quest’ultimo si era messo in testa di sfidare i migliori paladini di Francia con le sue armi magiche, che tuttavia non gli erano state di grande aiuto, perché alla fine era stato ucciso per mano di Ferraù. Angelica, intanto, non faceva altro che conquistare, a uno a uno, i cuori dei cavalieri cristiani, che cadevano tutti ai suoi piedi, dichiarandosi pronti a offrirle protezione e disposti a seguirla ovunque, anche a costo di abbandonare la guerra. In effetti era proprio questo il motivo segreto per il quale Angelica era giunta da un regno così lontano presso l’accampamento dei Cristiani: distogliere dalla guerra i campioni di Francia, in particolare i due cugini Orlando e Rinaldo. La loro assenza alle vicende belliche avrebbe senz’altro favorito i Saraceni. E in effetti i due nipoti di Carlo Magno erano innamoratissimi dell’astuta seduttrice, tanto da dimenticare i propositi cristiani che li spingevano a combattere, tanto da litigare e azzuffarsi l’uno contro l’altro… cose che capita10
1. ANGELICA IN FUGA
no: d’altronde, ogni cavaliere che è senza amore, anche se sembra vivo, in realtà è vivo senza il cuore. Insomma, l’amore è una forza talmente travolgente che non è possibile resistergli, e Carlo Magno, essendo un sovrano saggio, lo sapeva bene. Non gli restò che escogitare una soluzione: prima affidò Angelica a un vecchio consigliere, Namo, il duca di Baviera, quindi convocò Orlando e Rinaldo. «Poiché la situazione sta diventando insostenibile, con voi che correte dietro a una fanciulla invece di servire la patria e onorare Dio con imprese belliche, ho preso questa decisione: concederò Angelica in premio al paladino più audace in battaglia, cioè a chi ucciderà più Mori. Quindi, da questo momento, vinca il migliore!» I due campioni non se lo fecero ripetere due volte, gettandosi a capofitto nella lotta, a svantaggio dei malcapitati nemici, che finirono tutti uccisi o messi in fuga. Peccato che Angelica fosse tutt’altro che contenta di essere assegnata a un cavaliere cristiano come premio di guerra: si sa che il giudizio umano spesso cade nell’errore! Alla ragazza, che sapeva il fatto suo, non fu difficile eludere la sorveglianza e svignarsela, in sella a un palafreno: ecco perché all’inizio del poema la troviamo intenta a galoppare in un bosco, sempre timorosa di avere alle spalle qualcuno di quegli omaccioni che le sbavavano dietro, per esempio Rinaldo, il quale, dopo essersi dissetato alla Fon11
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tana dell’Amore, nutriva per Angelica una passione smisurata, mentre lei, guarda un po’, aveva bevuto alla Fontana dell’Odio, quindi potete immaginare quali sentimenti potesse provare verso il suo ammiratore. Fugge tra selve spaventose e scure, per lochi inabitati, ermi e selvaggi. Il mover de le frondi e di verzure, che di cerri sentia, d’olmi e di faggi, fatto le avea con subite paure trovar di qua di là strani viaggi; ch’ad ogni ombra veduta o in monte o in valle, temea Rinaldo aver sempre alle spalle. Qual pargoletta o damma o capriuola, che tra le fronde del natio boschetto alla madre veduta abbia la gola stringer dal pardo, o aprirle ’l fianco o ’l petto, di selva in selva dal crudel s’invola, e di paura triema e di sospetto: ad ogni sterpo che passando tocca, esser si crede all’empia fiera in bocca. Angelica cavalcò per un giorno e una notte, finché, al mattino, giunse presso un luogo appartato nella foresta, vicino a un ruscello e a un cespuglio di rose. Decise di coricarsi lì per riprendersi dalla cavalcata, quando degli strani rumori interruppero il suo riposo: sembravano dei la12
1. ANGELICA IN FUGA
menti, come se qualcuno stesse sospirando, al di là della fitta vegetazione che la nascondeva. Un uomo grande, grosso e baffuto, armato fino ai denti, stava assorto, presso il ruscello, piangendo e lagnandosi a voce alta: «Angelica, amore mio! Dove sarai mai, o dolce fanciulla simile a una rosa? Preferirei morire, piuttosto che vivere senza di te!» E giù a singhiozzare maledicendo il destino ingrato che gli impediva di coronare il suo sogno amoroso. Angelica, che aveva capito di essere la causa del dolore dell’uomo e lo aveva riconosciuto in Sacripante, re di Circassia, l’ennesimo dei suoi spasimanti, non fece una piega: rimase ferma come una colonna di marmo e iniziò a calcolare freddamente le sue mosse: «Quest’uomo è pazzo di me e darebbe qualsiasi cosa pur di avermi vicina. Io, d’altro canto, ho bisogno di qualcuno che mi protegga lungo il cammino. Si sa, ci sono tante insidie per una ragazza sola e… indifesa. Potrei approfittare della sua presenza e chiedergli di farmi da guida. Naturalmente lui non dovrà sfiorarmi con un dito, sia ben chiaro!» Quindi saltò fuori dai cespugli, mostrandosi a Sacripante in tutto il suo angelico splendore. Sacripante fu felicissimo di prostrarsi ai piedi della fanciulla, giurandole fedeltà eterna. Anche lui, comunque, mirava a sposare Angelica e pensava che diventare il suo cavaliere personale sarebbe stata un’occasione ghiotta per realizzare il suo scopo. 13
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Povero illuso! Neanche il tempo di esprimere alla giovane donna tutto il suo amore, che un altro cavaliere, dall’abito candido come la neve, apparve improvvisamente, sfidando a duello Sacripante. I due guerrieri si batterono tenacemente, trapassandosi a vicenda gli scudi e facendo risuonare di colpi di spada le valli intorno; il cavaliere misterioso era abilissimo nello schivare gli attacchi di Sacripante, tanto che alla fine gli uccise il cavallo. Poi, soddisfatto per aver avuto la meglio nello scontro, spronò il suo destriero e andò via, dileguandosi nella foresta e lasciando il povero Sacripante a terra, tutto ammaccato. «Vorrei proprio sapere chi è quell’uomo che mi ha battuto, senza nessuna pietà per il mio destriero. Se conoscessi il suo nome lo inseguirei per vendicarmi!» esclamò Sacripante. «Veramente non è un uomo» rispose un messaggero in sella a un ronzino, che passava di lì. «Si tratta di una donna: Bradamante, sorella di Rinaldo e guerriera tra le più intrepide dell’esercito cristiano» aggiunse, spronando il cavallo e andandosene via. «Ah!» fece Sacripante, tutto rosso in viso per la figuraccia: si era lasciato battere da una donna, per di più sotto gli occhi di Angelica, la quale tratteneva a stento le risate. Angelica e Sacripante ripresero il cammino ma, dopo pochi chilometri, la loro attenzione fu attirata da un rumo14
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re improvviso: un meraviglioso cavallo nero, guarnito d’oro, si avvicinò amichevolmente alla ragazza, la quale non ebbe dubbi: «Ma questo è Baiardo, l’intelligentissimo cavallo di Rinaldo! Fatti accarezzare, bello!» E si trattava davvero di un destriero intelligente: si trovava lì perché, vedendo il suo padrone afflitto a causa di Angelica, gli era sfuggito di mano proprio per seguire le tracce della principessa del Catai. Sacripante montò in sella al magnifico cavallo ma, in quella, fece la sua comparsa il legittimo proprietario dell’animale, cioè Rinaldo, appiedato e sorpreso nel ritrovare, oltre a Baiardo, la donna dei suoi sogni. Sacripante sfidò a duello il suo rivale. I due uomini iniziarono a muoversi l’uno verso l’altro come due cani rabbiosi che nel vedersi digrignano i denti e si fronteggiarono spada contro spada. Rinaldo, con la sua spada Fusberta, non perse tempo, tempestando di colpi poderosi l’avversario. Angelica, vedendo che le cose si mettevano male, montò in groppa al cavallo e fuggì nella folta selva.
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