Queen Rocks. Il miracolo della band che non muore mai

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QuEen roCkS Alexander macinante

Il mirAcolO delLa Band che nON mUore

Mai

Alexander macinante

Scrittore e autore, ha iniziato mettendo insieme fanzine musicali, canzoni e poesie. Oggi lavora nell’ambito della comunicazione culturale, domani chissà. Il concerto dei Queen a Milano del 14 settembre 1984 è stato il primo di una lunga serie di viaggi per l’Europa a inseguire il rock. Una volta ha persino cantato con Prince sul palco dell’Hammersmith di Londra, ma questa è una storia per un altro libro.

Foto dell’autore: Efrem Zanchettin

Art Director: Stefano Rossetti

Graphic Designer: Davide Canesi / PEPE nymi

Immagine di copertina: © Photo by Suzie Gibbons / Redferns

Alexander Macinante Queen Rocks

ISBN 979-12-221-0712-7

Prima edizione: novembre 2024

ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0

anno 2028 2027 2026 2025 2024

© 2024 Carlo Gallucci editore srl - Roma

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Alexander Macinante Queen Rocks

Il miracolo della band che non muore mai

Introduzione

So già cosa state per dire: oh no, un altro libro sui Queen!

Guardate, sono d’accordo con voi, ma lasciatemi spiegare. Sì perché i fan dei Queen sono tra le creature più esigenti e spietate del regno animale. Lo so perché sono uno di loro. Anzi, uno di voi. E quando spunta un nuovo libro sui nostri beniamini, prima della curiosità c’è il sospetto. Sempre. È legittimo, è un tratto distintivo della nostra specie.

Permettetemi però di dirvi una cosa, anzi due: se amate scrivere e vi chiedono di fare un libro, rifiutare è da stupidi. Se poi amate scrivere e vi chiedono di fare un libro su qualcosa che amate da sempre, rifiutare è da pazzi. Vi ho convinti? Ovviamente no.

Chiariamo una cosa: questo non è un trattato enciclopedico sul gruppo o una guida dettagliata alla loro

discografia mondiale. Ci sono già tanti ottimi libri a riguardo. E per le rivelazioni più o meno sensazionali o pruriginose, dalla scomparsa di Freddie sugli scaffali c’è solo l’imbarazzo della scelta.

In queste pagine trovate semplicemente quello che, nel mio piccolo, i Queen sono stati, e sono, per me: quarant’anni di ricordi, aneddoti, reportage di concerti – più o meno avventurosi – incontri, dietro le quinte, incursioni in conferenze stampa e molto altro.

Ma questo non basta, avete ragione. E allora perché non farmi aiutare da alcune belle persone che ho avuto la fortuna di incrociare sul mio cammino umano e professionale, che hanno condiviso con il gruppo momenti in studio, sul palco o nei posti più impensati?

A completare poi questo racconto “a viva voce”, perché è così che dalla notte dei tempi si tramandano le grandi storie, e quella dei Queen lo è, qualche estratto da una serie di interviste, scelte anche tra quelle meno conosciute.

Insomma, se vi fidate, ci divertiamo.

Ma non c’è due senza tre, che di solito è il punto più importante: se amate scrivere e chi vi chiede di farlo è il Migliore degli amici, rifiutare è impossibile, anche perché gli amici pazzi, soprattutto per la musica, vanno assecondati. Gli avevo chiesto di scrivere questa

introduzione, e invece mi ritrovo a scrivermela da solo, il che è la versione letteraria dell’invitare la propria cugina al ballo di fine anno.

L’Amico è il grande giornalista e dj (e mille altre bellissime cose) Massimo Cotto, uscito troppo presto dal backstage della vita. Non vogliatemene, questo libro è soprattutto per lui perché lui l’ha voluto. Ma anche voi siete invitati a unirvi al viaggio.

Su una cosa potete stare tranquilli: la musica è ottima…

La Regina parla ancora

Partiamo dalla fine, che però è un continuo inizio.

I Queen sono stati dati per finiti più volte, soprattutto dagli stessi Queen.

Vivere per bruciare e poi rivivere ancora per tornare a bruciare: Freddie, in tempi non sospetti, non poteva trovare un’immagine migliore di quella della Fenice per il logo della band, ponendola in alto, a vegliare maestosa sui suoi membri, rappresentati ognuno dal proprio segno zodiacale. Un destino scritto nel fuoco e nelle stelle.

Al centro una corona in una grande Q, e, oggi come allora, tutto ruota ancora intorno alla musica, pronta per una regale adorazione.

Sarà proprio la morte a rendere Freddie immortale, allontanando lo spettro della vecchiaia e dell’oblio,

rendendolo così tutta la musica della sua vita nello stesso momento: il diafano capellone degli esordi, il macho di Another One Bites the Dust, il conquistatore di Wembley dalla gialla corazza (o, ancora prima, di bianca canotta vestito) o il pallido riflesso in bianco e nero di These Are the Days of Our Lives, tutti insieme. Spogliata del suo elemento di pericolo, solo in apparenza, e cristallizzata nel tempo, la musica dei Queen comunque non ne vuole sapere di restare ferma. Sotto la cenere il fuoco torna a bruciare, e nella sua ecletticità offre molteplici ganci a nuovi adepti per salire sulla giostra e godersi il viaggio.

L’ultimo grande gancio, il biopic Bohemian Rhapsody, racconta la stessa storia ma in maniera diversa, facendo leva su aspetti universali e intergenerazionali.

Un viaggio dell’eroe le cui tappe fanno sentire partecipi spettatori di tutte le età. Freddie è mostrato prima della sua caduta in battaglia, vive la vita ma non la lascia prima di aver aggiustato le cose, con le persone che ama e con chi lo ama da lontano. Una favola per tutti, perché nessuno resta escluso quando si parla dei Queen. Il film è anche un geniale teaser, intitolato come una canzone che qui non si sente mai per intero, famosa perché il gruppo si rifiuta di tagliarla e che, paradossalmente, viene tagliata in tutti i modi possibi-

li durante la pellicola. Briciole che come nella favola di Pollicino fanno da guida, ma non verso casa, bensì verso la giungla inesplorata del rock.

I Queen piacciono al pubblico perché nella loro musica mettono il pubblico al centro. Fino a cercare espedienti quasi primitivi, come in We Will Rock You, una canzone che si può suonare senza strumenti: basta metterci la voce, pestare i piedi per terra e battere le mani. Sembra semplice solo perché tutto sembra semplice dopo che qualcuno per primo ha rischiato e lo ha fatto. Un rito primitivo eppure sempre moderno, che chiama a raccolta grandi e piccini, grazie anche a melodie ben organizzate che restano in testa. Le loro canzoni sono divertenti, da ascoltare, da suonare, da cantare. E anche quelle tristi, per dirla alla Massimo Troisi, ti aiutano a soffrire per bene.

Canzoni che nascono per avere una risposta, per sentire la gente. In concerto il canto di Freddie parte solitario per non rimanere tale, e vola alto alla ricerca di una risposta. E ancora oggi, in un mondo con una costante fame di connessioni e di aggregazione, reali e virtuali, questo canto tribale è un perfetto tam tam.

Nei testi convivono esempi di forza e fragilità: “amore della mia vita, non mi lasciare”. La sintesi

perfetta. Una ballata che nasce come una arzigogolata registrazione rétro per diventare un pezzo da cantare solo voce e chitarra sotto il balcone della propria amata, o amato. E che dire di Radio Ga Ga, la canzone con un titolo che dice che la radio fa schifo per diventarne poi l’inno? Solo i Queen potevano riuscire in questo gioco di prestigio.

Le incisioni finali e gli ultimi video restano iconici perché sono il modo in cui l’artista ha deciso di spendere le energie rimaste. Questo è un Freddie che non può più stare in scena ma che decide di prendersela, fino alla fine. Gesti che diventano leggenda (uno sguardo, uno “I still love you” e via, per sempre ma non per sempre) perché nella loro semplicità raccontano ancora altre storie. Una delle sue ultimissime composizioni, A Winter’s Tale, è la placida descrizione di un paesaggio, cosa che forse lo riporta indietro agli anni della scuola, quando fermava il mondo su un blocco da disegno grazie a una matita. Ma questa volta una canzone non basta a fermare la vita. Anche nella frenesia di voler lasciare più tracce possibili, la qualità vince sulla quantità.

Un’altra, Mother Love, non viene completata: è la resa, ma una resa che viene fatta a testa alta, a voce alta, a viva voce. Freddie andandosene insegue la gran-

dezza, ma anche la quotidianità, altro elemento che ce lo fa sentire vicino, una regina eppure un amico che vogliamo tenere con noi e far conoscere alle persone che incontriamo nel nostro cammino.

Uno storytelling fatto anche di silenzi, perché a volte basta solo una sagoma con un pugno rivolto al cielo a dire tutto. L’estetica dei Queen, anche quando è kitsch – e non mancano le occasioni – è fatta per durare perché cattura lo spirito di un’epoca senza restarne imprigionata.

In questi tempi sì confusi ma di maggiore apertura e possibilità di conoscenza e scoperta, in cui finalmente la differenza è un valore e non uno stigma (o così almeno si spera), i Queen restano perfetti: un gruppo interraziale, che esprime diversi orientamenti sessuali, eppure un’ancora nell’odierno, ciclico, ritorno al passato.

In un mondo che va più veloce, dove la musica spesso è un mero sottofondo a un contenuto social, dieci secondi di un loro brano contengono già tutto, diventando per molte ragazze e ragazzi la prima forma di accesso alla musica.

Sì certo, “it’s only rock and roll” come dice qualcuno, e Freddie era il primo a minimizzare la portata delle proprie canzoni, ma è un rock and roll che fa be-

ne, porta gioia e consapevolezza, oltre a stimolare la curiosità. Quindi la Regina parla ancora. Non vuole stare chiusa nel suo castello ma pianifica sempre nuove conquiste, va tra la gente, la ascolta. Ad esempio, per il suo musical decide di non raccontare la propria storia, ma una più universale, ambientata in un futuro dove la riscoperta del rock porta libertà, uguaglianza e la possibilità di tornare a sognare e immaginare. Mica poco, no?

Brian e Roger continuano a rischiare, non solo con grandi tour insieme, ma anche con piccole produzioni da solisti che li portano in sale che altri multimiliardari del rock non si scomoderebbero a frequentare.

“Resta vivo”, quel primo monito è più che mai attuale, e i Queen + sono ancora il modo migliore per vivere il fenomeno, per cantare brani che sono fatti per essere cantati insieme. Facciamocene una ragione, io per primo.

Chi è oggi l’erede di Freddie? Dal minuto in cui scompare, Freddie stesso diventa il nuovo Freddie. Perché vengono trovati talmente tanti nuovi modi di renderlo accessibile, nuove chiavi di lettura, che il piacere e la scoperta non finiscono mai. Personalmente, ancora oggi, a più di quarant’anni dal mio incontro

con la sua musica, trovo ancora mille sfumature pronte a sorprendermi. È ancora materia viva e in costante evoluzione.

I Queen non scompaiono con la morte di Freddie perché i Queen non sono solo Freddie, ma la somma di quattro talenti differenti ma ugualmente importanti. Come togliere dall’equazione il drumming di Roger e i suoi indispensabili contributi vocali? O John, silente hitmaker autore di brani che spesso hanno deviato il percorso della band in territori tanto inesplorati quanto fortunati? Per non parlare di Brian, uno scienziato/artigiano che a 17 anni si costruisce una chitarra solo con l’aiuto del padre: nemmeno Dickens sarebbe arrivato a inventarlo.

Siamo di fronte a un gruppo che non può più tornare ma che ogni giorno ritorna, che riesce a trasformarsi anche quando sembra svanito. Questo perché non dipende dai suoi componenti ma dalla gente: finché le persone troveranno nuovi spunti per associare la musica dei Queen alla propria vita, la Regina non smetterà mai di parlare ai suoi sudditi, che poi in realtà sono degli amici.

Lo spiega meglio di me l’attore Rami Malek, che per tanti giovani è stato Freddie prima di conoscere

Freddie: “I Queen sono universali, la loro musica e i loro testi sono potenti. È stata una band rivoluzionaria e continua a esserlo oggi. I Queen sono il simbolo dell’inclusione, dell’essere se stessi, e il mondo ne ha bisogno”.1

1 Queen Official YouTube Channel, Queen The Greatest, episodio 48: 25 febbraio 2022.

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Stampato e fabbricato per conto di Carlo Gallucci editore srl presso Grafica Veneta spa (Trebaseleghe, PD) nel mese di febbraio 2022

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Stampato e fabbricato per conto di Carlo Gallucci editore srl presso Grafica Veneta spa (Trebaseleghe, PD) nel mese di febbraio 2022

Stampato e fabbricato per conto di Carlo Gallucci editore srl presso Grafica Veneta spa (Trebaseleghe, PD) nel mese di ottobre 2024

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I Queen non scompaiono con la morte di Freddie perché i Queen non sono solo Freddie, ma la somma di quattro talenti differenti e ugualmente importanti. Come togliere dall’equazione il drumming di Roger e i suoi indispensabili contributi vocali? O John, silente hitmaker autore di brani che spesso hanno deviato il percorso della band in territori tanto inesplorati quanto fortunati? Per non parlare di Brian, uno scienziato/artigiano che a 17 anni si costruisce una chitarra solo con l’aiuto del padre: nemmeno Dickens sarebbe arrivato a inventarlo.

È passato un terzo di secolo dalla scomparsa di Freddie Mercury, eppure i Queen sono più vivi che mai. Merito, per usare uno dei titoli più famosi, della loro particolare magia.

Attraverso testimonianze, racconti dietro le quinte e ricerche di archivio, questo libro racconta un’epopea che dai gloriosi Anni Settanta arriva fino a oggi, passando per i progetti solisti, il musical We Will Rock You e le reincarnazioni on stage con Paul Rodgers e Adam Lambert, fino al trionfale rilancio con il biopic Bohemian Rhapsody. La Regina non muore mai.

i queen sono stati dati per finiti più volte, soprattutto dagli stessi queen. ma continuano a tornare, raccontandosi in modi sempre nuovi, senza il sapore della nostalgia.

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