Rachele e Giuditta

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MARIO PACIFICI

Art Director: Stefano Rossetti Graphic Designer: Riccardo Gola / PEPE nymi

“La strada che conduce alla libertà è impervia, senza ritorno. Chi decide di intraprenderla, non avrà pace fino al suo epilogo. E nessuno può garantire che sarà un epilogo felice”.

€ 16,50

Rachele e Giuditta

MARIO PACIFICI si è avvicinato alla scrittura nel 2008, vincendo con un racconto sulle leggi razziali il concorso indetto dal Festival della Letteratura Ebraica. Nel 2012 è uscita la sua prima raccolta di scritti brevi Una cosa da niente e altri racconti e nel 2015 Daniel il Matto. Con Gallucci, ha già pubblicato La pedina, il suo primo romanzo, antefatto di Rachele e Giuditta.

I loro sguardi si incontrarono e rav Rubinowicz seppe in modo definitivo ciò che da tempo avrebbe dovuto comprendere. Quel che lo legava a quella creatura fragile e coraggiosa non era più un affetto distaccato, ma passione vera e propria. Un sentimento profondo, intenso, vitale, che mai più avrebbe potuto seppellire sotto la cenere dei propri lutti. Rachele sembrò cogliere il suo turbamento. Gli posò una mano sulla guancia e lo fissò con uno sguardo pieno di dolcezza e di trasporto. Le lacrime tornarono a scorrerle sulle guance. Serrò le labbra e annuì. Sì. Avrebbero seguito insieme il loro destino.

M A R I O PAC I F I C I

1827

Rodi. Due giovani ebree romane, dirette in Palestina, sono costrette ad approdare sull’isola greca, cariche di ambizione e speranze. Giuditta e Rachele sono scappate da Roma e da un passato difficile, desiderose di riscatto e di serenità. La loro ambizione si materializzerà nel commercio di spugne, con un successo che sarà inevitabilmente causa di rivalità con i concorrenti locali. Tra mercanti senza scrupoli, impavidi avventurieri e agguerriti criminali, agisce pagina dopo pagina una straordinaria umanità piena di vita e di forza. Su uno sfondo storico magistralmente ricostruito, si stagliano figure indimenticabili che si confrontano, si sfidano, si amano e si combattono, in un vortice di istinto e passione, la cui eco non si spegne mai.

Rachele e Giuditta


MARIO PACIFICI

Art Director: Stefano Rossetti Graphic Designer: Riccardo Gola / PEPE nymi

“La strada che conduce alla libertà è impervia, senza ritorno. Chi decide di intraprenderla, non avrà pace fino al suo epilogo. E nessuno può garantire che sarà un epilogo felice”.

€ 16,50

Rachele e Giuditta

MARIO PACIFICI si è avvicinato alla scrittura nel 2008, vincendo con un racconto sulle leggi razziali il concorso indetto dal Festival della Letteratura Ebraica. Nel 2012 è uscita la sua prima raccolta di scritti brevi Una cosa da niente e altri racconti e nel 2015 Daniel il Matto. Con Gallucci, ha già pubblicato La pedina, il suo primo romanzo, antefatto di Rachele e Giuditta.

I loro sguardi si incontrarono e rav Rubinowicz seppe in modo definitivo ciò che da tempo avrebbe dovuto comprendere. Quel che lo legava a quella creatura fragile e coraggiosa non era più un affetto distaccato, ma passione vera e propria. Un sentimento profondo, intenso, vitale, che mai più avrebbe potuto seppellire sotto la cenere dei propri lutti. Rachele sembrò cogliere il suo turbamento. Gli posò una mano sulla guancia e lo fissò con uno sguardo pieno di dolcezza e di trasporto. Le lacrime tornarono a scorrerle sulle guance. Serrò le labbra e annuì. Sì. Avrebbero seguito insieme il loro destino.

M A R I O PAC I F I C I

1827

Rodi. Due giovani ebree romane, dirette in Palestina, sono costrette ad approdare sull’isola greca, cariche di ambizione e speranze. Giuditta e Rachele sono scappate da Roma e da un passato difficile, desiderose di riscatto e di serenità. La loro ambizione si materializzerà nel commercio di spugne, con un successo che sarà inevitabilmente causa di rivalità con i concorrenti locali. Tra mercanti senza scrupoli, impavidi avventurieri e agguerriti criminali, agisce pagina dopo pagina una straordinaria umanità piena di vita e di forza. Su uno sfondo storico magistralmente ricostruito, si stagliano figure indimenticabili che si confrontano, si sfidano, si amano e si combattono, in un vortice di istinto e passione, la cui eco non si spegne mai.

Rachele e Giuditta


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universale Gallucci


Mario Pacifici Rachele e Giuditta dello stesso autore: La pedina ISBN 979-12-221-0246-7 Prima edizione novembre 2023 ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2027 2026 2025 2024 2023 © 2023 Carlo Gallucci editore srl - Roma Gallucci e il logo

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Mario Pacifici

Rachele e Giuditta



A Sandra, Ariela e Judith



Rodi, 1827



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Era un marinaio esperto, duro, venuto su dalla gavetta. Per anni aveva navigato sui piccoli mercantili della Compagnie du Commerce d’Orient fino a ricevere il comando del brigantino Egalité, un clipper grande, veloce, affidabile, orgoglio dell’impresa armatrice. Era il traguardo ambito di una carriera, vissuta nel segno dell’instancabile abnegazione. A onta dei suoi cinquant’anni, Giovanni Albenzi aveva un aspetto giovanile. I capelli biondo cenere e gli occhi azzurri risaltavano sulla carnagione scura, indurita dal sole e dalle intemperie. Sebbene fosse di modesta statura, tutto in lui esprimeva un’incontenibile energia. I suoi toni, poi, tanto pacati quanto inflessibili, trasmettevano il senso di un innato carisma. Era un uomo colto, se per cultura si intende la padronanza minuziosa di ogni aspetto del proprio mestiere. Ma era anche intriso di quelle superstizioni, così frequenti fra gli uomini di mare, che fanno sollevare più di un sopracciglio a chi non vive nel mondo della navigazione. Di quella sua inconfessata debolezza, però, andava così poco fiero da nasconderla perfino a se stesso. Diamine, si diceva, è solo un vezzo. Eppure, non rinunciava a quei gesti scaramantici destinati ad allontanare il malocchio, ogniqualvolta ne sospettasse la male9


vola presenza. E a volte, per quanto razionalmente se li buttasse alle spalle, quegli sciagurati presagi gli provocavano un inconscio turbamento e gli restavano attaccati addosso, come una silenziosa, incombente minaccia. Ora, non c’è fra la gente di mare un presagio di malocchio più universalmente temuto della presenza di una donna a bordo di una nave mercantile. Figuriamoci se le donne sono due. Albenzi aveva sorriso della propria inquietudine quando ad Ancona le aveva viste salire a bordo, accompagnate da due irrequieti ragazzini e da uno strano figuro, alto, dinoccolato, vestito di una bizzarra palandrana nera e con in testa un improbabile, enorme, copricapo di pelliccia. Ospiti della Compagnie, gli era stato notificato qualche giorno prima. Avrebbero viaggiato fino ad Alessandria d’Egitto per poi cercare un imbarco verso la Palestina. «Terque quaterque testiculis tactis» aveva mormorato fra sé e sé Albenzi, ricorrendo al più antico e volgare degli scongiuri, a malapena nobiltato da quella spolverata di latinorum. Dopodiché aveva dato il benvenuto a quel gruppo di viaggiatori che evidentemente godeva del favore dell’armatore. Le lettere di viaggio e i lasciapassare pontifici li qualificavano come emigranti ebrei diretti verso indefiniti territori dell’Impero Ottomano, ma una lettera privata, allegata alla documentazione ufficiale, chiariva che i cinque erano stati espulsi dai territori della Chiesa in conseguenza di non meglio specificati incidenti giudiziari, nei quali erano malauguratamente incorsi. Quelle poche note e il fatto stesso che Moses Minerbi, il fondatore della Compagnie, avesse preso a cuore la loro sorte, lasciavano intendere che quei profughi avessero alle spalle vicende gravi e forse tragiche. 10


Albenzi non fece fatica a comprendere che le cose dovevano essere ben più complesse di quanto non apparissero ma aveva sufficiente esperienza e buonsenso per astenersi dal fare domande o dall’indagare. Una tratta di mare e andranno per la loro strada, si disse. Quel che si lasciano alle spalle non è affar mio. Tutto questo, comunque, aggiunto a quel fastidioso presagio che gli mulinava per la mente, non lo induceva a simpatizzare per quella gente, che aveva solertemente affidato alle cure del suo secondo. Le operazioni di carico erano in corso e lui aveva ben altro a cui pensare. Dal ponte di comando non perdeva di vista i diversi carri in attesa lungo il molo, carichi di casse di carta filigranata prodotta nell’entroterra marchigiano. Più tardi, poi, avrebbe personalmente assistito alla dislocazione delle casse e al loro fissaggio alle paratie della stiva. Quando si trattava di sicurezza, non delegava nulla a nessuno. La sera gli ospiti della Compagnie erano alla sua tavola. L’ufficiale in seconda lo aveva già relazionato su quanto aveva appreso sul loro conto. Era un tipo amabile e loquace e non doveva aver faticato troppo a entrare in confidenza. L’uomo era un rabbino e i suoi lo chiamavano rav Rubinowicz. Era polacco e aveva girato mezza Europa prima di arrivare a Roma. Era diretto in Palestina e aveva convinto le ragazze, Giuditta e Rachele, a unirsi a lui, quando era stato loro imposto di abbandonare lo Stato Pontificio. I ragazzi, Saul e Daniele, erano fratelli di Giuditta. Due gemelli, anche se non si somigliavano affatto. Rachele, invece, si era accodata alla compagnia, pur di lasciare Roma. Sugli incidenti giudiziari e l’espulsione, gli ospiti non si erano confidati. Non c’era comunque nessuna liaison fra le ragazze e il rabbino. Quelle, anzi, nei suoi confronti, sembravano mantenere un atteggiamento di rispettosa soggezione. 11


Il comandante prese posto a capotavola e fece cenno al cambusiere di iniziare a servire le pietanze. Non si perse in preamboli. «Ho buone notizie» disse. «Entro domani mattina le operazioni di carico saranno concluse e potremo prendere il mare». Si versò da bere e sollevò il bicchiere in direzione di Giuditta e Rachele, prima di portarlo alle labbra. «E quanto alle condizioni metereologiche» aggiunse «dovremmo avere bel tempo e un vento teso più che favorevole». Lasciò che il cambusiere servisse tutti, mentre la mano in tasca stringeva il suo talismano rosso, a suggello del buon augurio. «Il nostro primo approdo sarà a Creta. Dovremmo raggiungerla in un paio di giorni. Una volta lì, scaricheremo i vetri di Murano, imbarcati a Venezia. Se non troveremo le banchine impegnate, ce la dovremmo cavare con una mezza giornata e potremo riprendere il mare già il giorno successivo. E a meno di complicazioni, entro sei o sette giorni saremo ad Alessandria». Le complicazioni insorsero presto. Sospinto da un costante vento di ponente, l’Egalité raggiunse Creta all’alba del terzo giorno di navigazione e ne costeggiò per un breve tratto la sponda settentrionale. Il sole era ancora basso sull’orizzonte, quando entrarono nella rada di La Canea, dominata dalle possenti fortificazioni, erette nei secoli dai veneziani, a difesa dei loro traffici. Il porto era in subbuglio. Una decina di navi da guerra con i contrassegni dell’Impero Ottomano erano attraccate alle banchine e molte imbarcazioni militari di piccola stazza, ancorate in rada, davano vita a un fitto viavai di scialuppe. 12


Non sembrava che sui moli fossero in corso normali operazioni di carico. Albenzi si munì di un cannocchiale e fece scorrere lo sguardo sugli scafi ormeggiati e su quelli ancorati in rada: erano tutti danneggiati, come se il naviglio fosse reduce da uno scontro furioso. Gli equipaggi erano intenti a riparare i danni più gravi e a liberare i ponti dalle macerie. Il comandante calò le ancore, chiedendosi cosa mai fosse accaduto. Di certo avrebbe avuto notizie precise dal responsabile della Compagnie che, non appena messo al corrente dell’ingresso in porto della Egalité, sarebbe accorso a riceverli. L’equipaggio cominciò a disarmare la nave, ammainando le vele e predisponendo lo scafo alle operazioni di scarico. La tensione era evidente. A nessuno sfuggiva che quella ancorata a La Canea era una flotta reduce da uno scontro disastroso. Giuditta, Rachele e il rabbino, affacciati al ponte di prua, si ponevano le domande che erano sulle labbra di tutti i marinai. Contro chi si erano battute quelle imbarcazioni? E come poteva aver subito simili danni la forza navale di una potenza che, di quei mari, era la padrona assoluta? Il responsabile della Compagnie giunse a metà mattinata. La sua scialuppa, sospinta da quattro vogatori, attraversò la rada e accostò la fiancata dell’Egalité. Gilbert Chabason era un uomo avanti negli anni, vestito in modo curioso, con un miscuglio di indumenti europei e orientali. Indossava una marsina di taglio francese, dall’aspetto vagamente militare, mentre i pantaloni larghi e drappeggiati e i sandali di cuoio erano di foggia tipicamente turca. Scambiò qualche parola con Albenzi, additando il naviglio in porto. Parlava francese, ma lo alternava ogni tanto con un faticoso italiano, più per il piacere di 13


esibire le sue capacità di poliglotta che per riguardo al suo interlocutore. Quando ebbero passato in rassegna tutte le navi all’ancora, Albenzi lo prese sottobraccio. «Provate a chiarirmi cosa sia successo, Chabason… Noi marinai viviamo così isolati che spesso i grandi eventi ci colgono alla sprovvista» «Questo è uno di quegli eventi che ha preso alla sprovvista il mondo intero…» rispose il francese condiscendente, scuotendo il capo. «E, se volete dare retta alle mie sensazioni, ha colto alla sprovvista perfino i suoi protagonisti».

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Stampato e fabbricato per conto di Carlo Gallucci editore srl presso Grafica Veneta spa (Trebaseleghe, PD) nel mese di novembre 2023 con un processo di stampa e rilegatura certificato 100% carbon neutral in accordo con PAS 2060 BSI


MARIO PACIFICI

Art Director: Stefano Rossetti Graphic Designer: Riccardo Gola / PEPE nymi

“La strada che conduce alla libertà è impervia, senza ritorno. Chi decide di intraprenderla, non avrà pace fino al suo epilogo. E nessuno può garantire che sarà un epilogo felice”.

€ 16,50

Rachele e Giuditta

MARIO PACIFICI si è avvicinato alla scrittura nel 2008, vincendo con un racconto sulle leggi razziali il concorso indetto dal Festival della Letteratura Ebraica. Nel 2012 è uscita la sua prima raccolta di scritti brevi Una cosa da niente e altri racconti e nel 2015 Daniel il Matto. Con Gallucci, ha già pubblicato La pedina, il suo primo romanzo, antefatto di Rachele e Giuditta.

I loro sguardi si incontrarono e rav Rubinowicz seppe in modo definitivo ciò che da tempo avrebbe dovuto comprendere. Quel che lo legava a quella creatura fragile e coraggiosa non era più un affetto distaccato, ma passione vera e propria. Un sentimento profondo, intenso, vitale, che mai più avrebbe potuto seppellire sotto la cenere dei propri lutti. Rachele sembrò cogliere il suo turbamento. Gli posò una mano sulla guancia e lo fissò con uno sguardo pieno di dolcezza e di trasporto. Le lacrime tornarono a scorrerle sulle guance. Serrò le labbra e annuì. Sì. Avrebbero seguito insieme il loro destino.

M A R I O PAC I F I C I

1827

Rodi. Due giovani ebree romane, dirette in Palestina, sono costrette ad approdare sull’isola greca, cariche di ambizione e speranze. Giuditta e Rachele sono scappate da Roma e da un passato difficile, desiderose di riscatto e di serenità. La loro ambizione si materializzerà nel commercio di spugne, con un successo che sarà inevitabilmente causa di rivalità con i concorrenti locali. Tra mercanti senza scrupoli, impavidi avventurieri e agguerriti criminali, agisce pagina dopo pagina una straordinaria umanità piena di vita e di forza. Su uno sfondo storico magistralmente ricostruito, si stagliano figure indimenticabili che si confrontano, si sfidano, si amano e si combattono, in un vortice di istinto e passione, la cui eco non si spegne mai.

Rachele e Giuditta


MARIO PACIFICI

Art Director: Stefano Rossetti Graphic Designer: Riccardo Gola / PEPE nymi

“La strada che conduce alla libertà è impervia, senza ritorno. Chi decide di intraprenderla, non avrà pace fino al suo epilogo. E nessuno può garantire che sarà un epilogo felice”.

Rachele e Giuditta

MARIO PACIFICI si è avvicinato alla scrittura nel 2008, vincendo con un racconto sulle leggi razziali il concorso indetto dal Festival della Letteratura Ebraica. Nel 2012 è uscita la sua prima raccolta di scritti brevi Una cosa da niente e altri racconti e nel 2015 Daniel il Matto. Con Gallucci, ha già pubblicato La pedina, il suo primo romanzo, antefatto di Rachele e Giuditta.

I loro sguardi si incontrarono e rav Rubinowicz seppe in modo definitivo ciò che da tempo avrebbe dovuto comprendere. Quel che lo legava a quella creatura fragile e coraggiosa non era più un affetto distaccato, ma passione vera e propria. Un sentimento profondo, intenso, vitale, che mai più avrebbe potuto seppellire sotto la cenere dei propri lutti. Rachele sembrò cogliere il suo turbamento. Gli posò una mano sulla guancia e lo fissò con uno sguardo pieno di dolcezza e di trasporto. Le lacrime tornarono a scorrerle sulle guance. Serrò le labbra e annuì. Sì. Avrebbero seguito insieme il loro destino.

M A R I O PAC I F I C I

1827

Rodi. Due giovani ebree romane, dirette in Palestina, sono costrette ad approdare sull’isola greca, cariche di ambizione e speranze. Giuditta e Rachele sono scappate da Roma e da un passato difficile, desiderose di riscatto e di serenità. La loro ambizione si materializzerà nel commercio di spugne, con un successo che sarà inevitabilmente causa di rivalità con i concorrenti locali. Tra mercanti senza scrupoli, impavidi avventurieri e agguerriti criminali, agisce pagina dopo pagina una straordinaria umanità piena di vita e di forza. Su uno sfondo storico magistralmente ricostruito, si stagliano figure indimenticabili che si confrontano, si sfidano, si amano e si combattono, in un vortice di istinto e passione, la cui eco non si spegne mai.

Rachele e Giuditta


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