Reunión JULIO CORTÁZAR
In una cronaca serrata, condotta in prima persona attraverso le parole del guerrigliero poeta, Julio Cortázar riesce a rendere con pochi tratti la complessa intimità del protagonista e a raccontare l’epica collettiva della rivoluzione.
Julio Cortázar
Il battesimo del fuoco di Che Guevara subito dopo l’arrivo del Granma a Cuba. I primi scontri con i militari, l’euforia e le perdite, fino all’incontro sulla Sierra con Fidel Castro e i suoi barbudos.
Che Guevara e lo sbarco a Cuba disegni di Enrique Breccia | traduzione di Ernesto Franco
“Niente poteva andare peggio, ma almeno non ci trovavamo più sulla maledetta lancia, fra vomiti e colpi di mare e pezzi di galletta bagnata, fra bave e mitragliatrici, ridotti da far schifo, consolandoci appena possibile con il poco tabacco che si conservava secco…”
REUNIÓN
Julio Cortázar (Bruxelles, 1914 - Parigi, 1984) è stato uno
dei più grandi scrittori argentini del Novecento, pur essendo nato in Belgio. Viene universalmente riconosciuto come un maestro nell’arte della narrazione breve, in cui immette la sua personalissima sensibilità per il fantastico. Come avviene in questo pur realistico racconto, tradotto con passione da Ernesto Franco e illustrato con le tavole dell’artista e cartoonist argentino Enrique Breccia, celebre tra l’altro per il suo Batman d’autore.
€ 9,00
disegni di Enrique Breccia
ISBN 978-88-9348-196-0
Universale d’Avventure e d’Osservazioni 28 serie Grande e Forte UAO
Julio Cortázar Reunión disegni di Enrique Breccia traduzione di Ernesto Franco
ISBN 978-88-6145-103-2 Prima edizione maggio 2009 ristampa 7 6 5
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anno 2009 2010 2011 2012 2013
© Carlo Gallucci editore srl Roma Pubblicato per la prima volta in Spagna con il titolo Reunión © 2007 Libros del Zorro Rojo www.librosdelzorrorojo.com testo © 1966 eredi di Julio Cortázar disegni © 2007 Enrique Breccia traduzione di Ernesto Franco © 2005 Giulio Einaudi Editore spa galluccieditore.com
Tutti i diritti riservati. Senza il consenso scritto dell’editore nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma e da qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, né fotocopiata, registrata o trattata da sistemi di memorizzazione e recupero delle informazioni.
Julio Cortรกzar
Reuniรณn disegni di Enrique Breccia traduzione di Ernesto Franco
REUNIÓN
Ricordai un vecchio racconto di Jack London, dove il protagonista, appoggiato a un tronco d’albero, si dispone a finire la sua vita con dignità. Ernesto “Che” Guevara, in La guerriglia a Cuba, La Habana 1961.
Niente poteva andare peggio, ma almeno non ci trovavamo più sulla maledetta lancia, fra vomiti e colpi di mare e pezzi di galletta bagnata, fra bave e mitragliatrici, ridotti da far schifo, consolandoci appena possibile con il poco tabacco che si conservava secco perché Luis (che non si chiamava Luis, ma avevamo giurato di non ricordarci i nostri nomi fino a che non fosse arrivato il giorno) aveva avuto la buona idea di metterlo in una scatola di latta che aprivamo con più attenzione che se fosse stata piena di scorpioni. Ma altro che tabacco o gollate di rum in quella maledetta lancia, che aveva dondolato per cinque giorni come una tartaruga ubriaca, facendo fronte a una tramontana che la sballottava senza pietà e, onda dopo onda, i buglioli ci spellavano le mani, io con un’asma del demonio e la metà di noi con qualche malanno, piegati in due per vomitare come se stessimo per spezzarci a metà. Perfino Luis, la seconda notte, una bile verde che gli ha fatto passare la voglia di ridere, fra tutto questo e la tramontana che non ci lasciava vedere il faro di Cabo Cruz, un disastro che nessuno si era immaginato; e
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chiamare tutto ciò una spedizione di sbarco era cosa da far continuare a vomitare, ma di pura tristezza. Insomma, qualsiasi cosa pur di lasciarsi alle spalle la lancia, qualsiasi cosa, fosse anche ciò che ci aspettava a terra – ma sapevamo che ci stava aspettando e per questo non aveva poi tanta importanza – il tempo che si aggiusta proprio nel momento peggiore e zac l’aeroplanino da ricognizione, niente da fare, guadare la palude o quel che fosse con l’acqua fino alle costole cercando riparo nello sporco dei campi, e io come un idiota con il mio nebulizzatore di adrenalina per poter andare avanti, con Roberto che mi portava lo Springfield per aiutarmi a guadare meglio la palude (se poi era una palude, perché in molti ormai pensavamo che magari avevamo sbagliato direzione e che invece che sulla terra ferma avevamo fatto la stupidaggine di sbarcare su qualche secca fangosa in mezzo al mare, a venti miglia dall’isola...); e tutto così, mal pensato e peggio formulato, in una
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continua confusione di azioni e nozioni, un miscuglio di inesplicabile allegria e di rabbia contro la vita difficile che ci stavano rendendo gli aeroplani e ciò che ci aspettava al lato della strada se ci arrivavamo una buona volta, se ci trovavamo in una palude della costa e non a girare in tondo come stupidi in un circo di fango e di fiasco totale per sommo divertimento del babbuino nel suo Palazzo. Ormai nessuno si ricorda più quanto è durato, il tempo lo misuravamo dalle zone allo scoperto nei campi, i pezzi dove potevano mitragliarci in picchiata, l’urlo che sentii alla mia sinistra, lontano, e credo che fosse di Roque (a lui posso dare il suo nome, al suo povero scheletro fra le liane e i rospi), perché dei piani ormai non rimaneva altro che la meta finale, arrivare alla Sierra e riunirci con Luis se anche lui riusciva ad arrivare; il resto era andato in pezzi con la tramontana, lo sbarco improvvisato, i pantani. Ma siamo giusti: qualcosa sincronicamente si compiva, l’attacco degli aerei
nemici. Era stato previsto e provocato: non è mancato. E per questo, per quanto ancora mi dolesse sul viso l’urlo di Roque, la mia maligna maniera di vedere il mondo mi aiutava a ridermela dentro (e affogavo ancora di più, e Roberto mi portava lo Springfield perché io potessi inalare adrenalina con le narici quasi a pelo d’acqua, inghiottendo più fango che altro), perché se gli aerei erano lì allora non poteva essere che avessimo sbagliato spiaggia, al massimo eravamo derivati di qualche miglio, ma la strada sarebbe stata certamente dietro i campi, e poi la pianura aperta e a Nord le prime colline. Aveva una sua eleganza che il nemico ci stesse certificando dall’aria la riuscita dello sbarco. Durò vai a sapere quanto, e poi fu notte ed eravamo sei sotto alcuni alberi stenti, per la prima volta su un terreno quasi secco, masticando tabacco umido e qualche povera galletta. Di Luis, di Fabio, di Lucas, nessuna notizia; dispersi, probabilmente morti, in
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ogni caso perduti e bagnati come noi. Ma mi piaceva sentire come alla fine di quella giornata da batracio cominciavano a riordinarmisi le idee, e come la morte, più probabile che mai, non sarebbe stata ormai una palla vagante in piena palude, ma un’operazione dialettica pura, perfettamente orchestrata dalle parti in gioco. L’esercito doveva in quel momento controllare la strada, accerchiando le paludi in attesa che apparissimo a gruppi di due o di tre, liquidati dal fango e dai parassiti e dalla fame. Ora tutto era chiarissimo, avevo un’altra volta i punti cardinali in tasca, mi faceva ridere sentirmi così vivo e così lucido al bordo dell’epilogo. Niente poteva risultarmi più divertente che far grugnire Roberto recitandogli all’orecchio alcuni versi del vecchio Pancho che lui giudicava abominevoli. «Se almeno potessimo levarci di dosso il fango», si lamentava il Tenente. «O fumare davvero» (qualcuno, più alla sinistra, non so più chi, qualcuno che si perdette all’alba). Organizzazione dell’agonia: sentinelle, dormire a turni, masticare tabacco, succhiare gallette gonfie come spugne. Nessuno menzionava Luis, il timore che lo avessero ucciso era l’unico nemico reale, perché la sua conferma ci avrebbe annullato molto di più degli inseguitori, della mancanza di armi o delle piaghe ai piedi. So di aver dormito un poco mentre Roberto era di guardia, ma prima pensai che tutto ciò che avevamo fatto in quei giorni era troppo insensato per ammettere così di colpo la possibilità che avessero ucciso Luis. In qualche modo l’insensatezza avrebbe dovuto continuare fino alla fine, che forse sarebbe stata la vittoria, e in quel gioco assurdo, dove si era arrivati fino allo scandalo di prevenire il nemico che saremmo sbarcati, non rientrava la possibilità di perdere Luis. Credo di aver anche pensato che se vincevamo, che se riuscivamo a riunirci un’altra volta con Luis, solo allora sarebbe comin-
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In una cronaca serrata, condotta in prima persona attraverso le parole del guerrigliero poeta, Julio Cortázar riesce a rendere con pochi tratti la complessa intimità del protagonista e a raccontare l’epica collettiva della rivoluzione.
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Il battesimo del fuoco di Che Guevara subito dopo l’arrivo del Granma a Cuba. I primi scontri con i militari, l’euforia e le perdite, fino all’incontro sulla Sierra con Fidel Castro e i suoi barbudos.
Che Guevara e lo sbarco a Cuba disegni di Enrique Breccia | traduzione di Ernesto Franco
“Niente poteva andare peggio, ma almeno non ci trovavamo più sulla maledetta lancia, fra vomiti e colpi di mare e pezzi di galletta bagnata, fra bave e mitragliatrici, ridotti da far schifo, consolandoci appena possibile con il poco tabacco che si conservava secco…”
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Julio Cortázar (Bruxelles, 1914 - Parigi, 1984) è stato uno
dei più grandi scrittori argentini del Novecento, pur essendo nato in Belgio. Viene universalmente riconosciuto come un maestro nell’arte della narrazione breve, in cui immette la sua personalissima sensibilità per il fantastico. Come avviene in questo pur realistico racconto, tradotto con passione da Ernesto Franco e illustrato con le tavole dell’artista e cartoonist argentino Enrique Breccia, celebre tra l’altro per il suo Batman d’autore.
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ISBN 978-88-9348-196-0