«Scoprivamo il suo vero volto, il suo carattere e il suo coraggio. La silenziosa Sacagawea ci sorprendeva ogni giorno di più…» Philippe Nessmann (Saint-Dié-des-Vosges, 1967), appassionato di scienza, storia e scrittura, si è dedicato alla divulgazione, in particolare come autore di libri per ragazzi. Gallucci ha già pubblicato i suoi romanzi Tutankhamon, La notte di Pompei, Alla conquista del Polo Nord e Houston, abbiamo un problema!
Consigliato anni dagli ai
11 99
€ 13,50
P H I L I P PE N E S S M A NN
SacagaweA la nativa americana che partecipò all’esplorazione del Far West
R O M A NZ O
SacagaweA
Nel 1804 la leggendaria spedizione di Meriwether Lewis e William Clark partiva da Saint Louis con l’obiettivo di raggiungere per la prima volta il Pacifico via terra. Durante il tormentato tragitto attraverso le terre dei nativi americani, popolate da bisonti e grizzly, alla carovana si unì un commerciante di pelli con la giovanissima moglie: Sacagawea, della tribù degli Shoshoni. La ragazza ebbe un ruolo fondamentale nell’esplorazione, ben oltre l’originale compito di interprete. Fornì preziose indicazioni per orientarsi, aiutò i viaggiatori stremati a procurarsi il cibo, salvò i diari dei capitani dalle rapide di un fiume. Pur essendo incinta alla partenza, non si risparmiò mai, e anche il figlio che mise al mondo condivise le difficili condizioni della missione. Questa è la sua storia straordinaria, avventurosa, incredibile.
P HI LI PP E N ESSM ANN
una figura femminile straordinaria, celebrata negli stati uniti e nel mondo come simbolo del valore delle donne e della loro indipendenza.
UAO Universale d’Avventure e d’Osservazioni
Philippe Nessmann Sacagawea. La nativa americana che partecipò all’esplorazione del Far West traduzione dal francese di Sara Aggazio, Chiara Licata e Martina Mancuso dello stesso autore: Tutankhamon La notte di Pompei Alla conquista del Polo Nord Houston, abbiamo un problema! ISBN 979-12-221-0245-0 Prima edizione italiana novembre 2023 ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2027 2026 2025 2024 2023 © 2023 Carlo Gallucci editore srl - Roma Titolo dell’edizione originale francese: Sacagawea. Una femme indienne Pubblicato per la prima volta nel 2010 da Flammarion - Paris, Francia Testi e disegni © 2010 Flammarion Disegno di copertina e ritratti di p. 215: François Roca Mappe di: Marie Pécastaing Gallucci e il logo
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Se non riesci a procurarti un nostro titolo in libreria, ordinalo su: g a l l u c c i e d i t o r e. c o m Il marchio FSC® garantisce che questo volume è realizzato con carta proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile e da altre fonti controllate, secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici. L’FSC® (Forest Stewardship Council®) è una Organizzazione non governativa internazionale, indipendente e senza scopo di lucro, che include tra i suoi membri gruppi ambientalisti e sociali, proprietari forestali, industrie che lavorano e commerciano il legno, scienziati e tecnici che operano insieme per migliorare la gestione delle foreste in tutto il mondo. Per maggiori informazioni vai su https://ic.fsc.org/en e https://it.fsc.org/it-it Tutti i diritti riservati. Senza il consenso scritto dell’editore nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma e da qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, né fotocopiata, registrata o trattata da sistemi di memorizzazione e recupero delle informazioni.
Philippe Nessmann
SacagaweA
la nativa americana che partecipò all’esplorazione del Far West
romanzo
traduzione dal francese di Sara Aggazio, Chiara Licata e Martina Mancuso
A Christine, per il sostegno, e a Christian, per l’idea.
Ogni volta che Jean-Baptiste bussava alla porta del mio ufficio, riuscivo a capire, dai suoi colpi lenti, che qualcosa non andava. «Entra, figliolo!» La porta si apriva e vedevo il suo sguardo brillare alla luce della candela. Dalla madre aveva ereditato gli occhi neri, i capelli corvini e la pelle scura. Dal padre, la stazza del cacciatore di pelli: a tredici anni, era il più alto fra i suoi coetanei. Allora, rimettevo la penna nel calamaio, mi alzavo e andavo a chiudere la finestra. La sera, quando i bambini sono a letto e Julia legge in salone, spesso vado di sopra a lavorare nel mio studio. Lascio sempre la finestra aperta. Mi piace sentire i rumori del-
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la città mentre la notte cala su Saint Louis: la gente che chiacchiera per strada, il frastuono dei calessi, il fischio dei battelli a vapore sul Mississippi… Ma quando Jean-Baptiste bussava lentamente alla porta del mio studio e i suoi occhi brillavano nell’oscurità, chiudevo la finestra per rimanere da solo con lui. «Non riesci a dormire? Vieni a sederti…» Prima di prendere posto sulla poltrona di pelle, indugiava spesso davanti al ripiano su cui avevo sistemato una cintura da capo tribù, un uccello impagliato, e gli artigli di un grizzly che avevo abbattuto proprio mentre si fiondava su di me. Jean-Baptiste si sedeva e andava dritto al punto: «Perché la mamma mi ha abbandonato?» «Non ti ha abbandonato: è solo andata via» «È la stessa cosa» «No, non è la stessa cosa. Ma dato che questo ti tormenta, ti dirò di nuovo perché se n’è andata». Gli avevo già raccontato quella storia molte volte. Gli avevo parlato di sua madre, di suo padre, del nostro viaggio attraverso il Grande Ovest. Ogni volta sembrava aver capito, ma poi, settimane o mesi dopo, tornava alla carica con la stessa domanda.
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Ancora una volta, avrei dovuto narrargli la sua storia. Prima o poi avrebbe compreso. «Tua madre era una donna straordinaria. Ha avuto una vita fuori dal comune…»
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Capitolo uno Un’infanzia shoshoni
Tutto è iniziato a Three Forks. Ai piedi delle Montagne Rocciose, là dove i monti raggiungono la pianura, tre fiumi dall’acqua limpida si uniscono per formarne uno solo. Tra i ciottoli sul fondo, le trote sbattono la coda per lottare contro la corrente. Qua e là, come barriere sul filo dell’acqua, mucchi di rami testimoniano la presenza dei castori. Il mese delle ciliegie rosse era appena cominciato. La natura era verde. Boschetti di pioppi e ciliegi costellavano i prati dove le gru venivano a riposarsi. Una tribù di nativi americani si era insediata proprio in quel posto. Le loro capanne, a forma
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di cono, erano fatte di rami di salice intrecciati. Sul finire di quel mattino, gli uomini erano a caccia e le donne raccoglievano ciliegie selvatiche. Un po’ in disparte, dei magnifici cavalli brucavano l’erba. Costituivano l’unica ricchezza degli Shoshoni, il loro più grande motivo di orgoglio. Faceva bel tempo e ogni cosa era calma. Una quindicina di bambini di tutte le età raccoglieva bacche di ribes. Tra loro, una ragazzina di undici anni cantava una filastrocca insieme al fratello. Aveva gli occhi ridenti e lunghi capelli neri come la notte. Di tanto in tanto, lasciava il fratello cantare da solo e addentava una bacca: «Una nel cestino, e una a me!» Aveva appena finito di trangugiarne una, quando, dalla parte opposta dell’accampamento, i cavalli si misero a nitrire. Sembravano spaventati. «Nemici! Nemici!» esclamò una donna. Nello stesso momento, rimbombarono degli spari. Un’anziana, avvolta in una coperta, crollò a terra. I bambini urlarono terrorizzati. Bisognava scappare, ma dove? Dove si nascondevano i nemici? «Tutti nel bosco!» gridò una donna.
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I bambini si misero a correre. Dovevano raggiungere gli alberi fitti, dall’altra parte del fiume. Bisognava correre il più velocemente possibile! Ma alcuni inciampavano, altri perdevano i mocassini. Mentre correva a perdifiato, la ragazzina dagli occhi ridenti si girò un attimo verso l’accampamento: degli uomini che non conosceva stavano bruciando le capanne. Allertati dagli spari, alcuni cacciatori shoshoni accorrevano al galoppo. Non sarebbe stato uno scontro alla pari: loro avevano solo archi e frecce per contrastare le carabine dei nemici. Si sentì l’eco di parecchi spari. Via, sempre più veloci verso il fiume! Nascondersi nel bosco! Il corso d’acqua era lì, a un centinaio di passi. Senza fiato, la ragazzina saltò per prima nell’acqua gelida. Correva cercando di non scivolare sui ciottoli. Dato che non sentiva più gli altri bambini intorno a lei, lanciò un’occhiata alle sue spalle: ce n’erano solo tre, ed erano indietro. E gli altri? Erano stati… Doveva a tutti i costi attraversare il fiume! Lottava con tutte le forze contro l’acqua che le
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arrivava ai fianchi. E tuttavia avanzava così lentamente! Mancava solo una decina di passi… All’improvviso, sentì un gran rumore d’acqua dietro di lei, poi un nitrito. Un cavaliere le stava alle calcagna. Amico o nemico? Si voltò e le si gelò il sangue. Il bosco! Mancavano solo… Troppo tardi, il cavaliere l’aveva raggiunta. Si fermò, vinta, si girò verso il guerriero a cavallo e lo squadrò: era cieco da un occhio, aveva una piuma d’aquila sulla testa e una carabina in mano. Paralizzata, aspettò che sparasse. *** Da cinque giorni, i cavalli marciavano verso est. C’erano quelli cavalcati dai guerrieri nemici, quelli catturati durante l’attacco all’accampamento shoshoni e quelli che trainavano i carri. Due ragazzine shoshoni erano sedute su uno dei carri. Un’altra camminava al loro fianco: era la bambina dagli occhi ridenti, che ora non ridevano più. Prostrata, avanzava guardando a terra, senza rivolgere neanche uno sguardo al paesaggio, una pianura sconfinata di erba alta, battuta
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dal vento. Ripensava all’attacco, ai colpi di fucile, ai suoi cari. Erano stati uccisi almeno quattro uomini, quattro donne e molti bambini. Ma cos’era successo agli altri? Ai suoi genitori? A suo fratello? Alcuni di loro erano riusciti a fuggire? Li avrebbe mai più rivisti? Probabilmente no: non sapeva cosa avrebbero fatto di lei i guerrieri né dove l’avrebbero portata. Sapeva solo che era lontano, molto lontano verso dove sorge il sole, così lontano che non sarebbe potuta tornare a casa. Alle sue spalle le Montagne Rocciose, ai piedi delle quali era cresciuta, ormai non erano altro che una sagoma indefinita sopra l’orizzonte. *** Dopo una luna e mezza, i guerrieri e i loro prigionieri arrivarono in un villaggio. Le giovani shoshoni non avevano mai visto niente di simile. Era immenso, protetto da un’alta palizzata di legno. C’erano decine e decine di capanne, che somigliavano a cupole ricoperte di terra ed erano così grandi che i cavalli ci sarebbero entrati senza problemi.
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Il cavaliere guercio prese per il braccio la bambina i cui occhi non ridevano più e la portò dentro una capanna. L’interno era buio, illuminato soltanto dal fuoco acceso al centro. C’erano un uomo e una donna, seduti su una coperta. Il guercio gli parlò nella sua lingua, poi uscì. Rimasta sola, la bambina osservò la coppia con preoccupazione: dovevano avere entrambi una quarantina di primavere. Non sembravano né buoni né cattivi. L’uomo cominciò a parlare, ma la giovane shoshoni non capiva la sua lingua. Lui se ne accorse e ripeté la frase nella lingua dei segni, comune a tutti i nativi americani delle pianure. «Adesso… tu… appartenere… a me» spiegò l’uomo a gesti. La bambina diede un’occhiata all’interno della capanna. Era costruita con dei tronchi di legno. In un angolo c’erano le provviste. Un po’ più in là, le cuccette. E al centro, vicino al focolare, il posto in cui si mangiava. «Io…vivere…qui?» rispose lei nel linguaggio dei segni. «Sì… e tu… obbedire… a me». Capì che per lei cominciava una nuova vita, una vita da schiava.
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*** La bambina visse in quella capanna dalle undici alle quattordici primavere. A volte, ripensava con tristezza alla sua infanzia perduta: alla sua famiglia, alle montagne maestose, alle trote che nuotavano nell’acqua cristallina, al gusto dei ribes. Non appena aveva un attimo, andava a trovare le sue amiche shoshoni affidate ad altre famiglie. Parlavano nella loro lingua materna, dolce come il miele. Ma non avevano molto tempo per distrarsi. Non che la sua nuova famiglia fosse dura con lei, al contrario: l’uomo e la donna, che si chiamavano Cammina-Dritto e Bel-Viso, avevano avuto un figlio, Cavallo-Impetuoso, un guerriero, morto durante una battaglia contro i Sioux. Non avendo altri bambini, avevano adottato la giovane shoshoni come se fosse figlia loro e le avevano dato un nuovo nome, Sacagawea, la Donna-Uccello. Nel frattempo, c’erano tante cose da fare e da scoprire… Innanzitutto, aveva dovuto imparare la lingua della tribù, l’hidatsa. Poi, si era dovuta adattare a un nuovo stile di vita, molto diverso da quello che aveva conosciuto fino a quel
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momento. Gli Shoshoni erano nomadi che migravano secondo le stagioni, alla ricerca di provviste. Gli Hidatsa, invece, abitavano nello stesso posto tutto l’anno. Per mangiare, non si accontentavano della caccia né della raccolta: le donne coltivavano i campi. Facevano crescere mais, zucche, fagioli e tabacco. Bel-Viso insegnò a Sacagawea come piantare, raccogliere e conservare le verdure. Era un lavoro lungo e faticoso, ma ne valeva la pena: a differenza degli Shoshoni, gli Hidatsa non soffrivano per le carestie. E dato che non producevano tutto quello di cui avevano bisogno, avevano imparato a cavarsela. Organizzavano dei saccheggi a scapito dei loro lontani vicini shoshoni e dei commerci amichevoli con i loro vicini Mandan. All’inizio dell’autunno, Cheyenne, Crow, Assiniboin e Arapaho accorrevano al villaggio. Portavano ciò che possedevano – cavalli, pelli di bisonte dipinte, abiti di pelle o pelliccia, carne essiccata, piume colorate – e lo scambiavano con quello che non avevano. Era una festa allegra, a cui partecipavano degli esseri umani molto strani. La prima volta che Sacagawea ne aveva visto uno, si era spaventata: a-
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veva la faccia pelosa come quella di un orso e la pelle bianca come quella di un cadavere. Bel-Viso le aveva spiegato che quegli uomini erano brutti, certo, ma inoffensivi. Vivevano in una regione chiamata Canada e anche loro venivano alla fiera annuale per fare scambi commerciali. Portavano le carabine e le munizioni, così preziose per i nativi, e ripartivano con pellicce di castoro, lupo o volpe, molto apprezzate dalle loro parti. Alcuni uomini bianchi stavano talmente tanto bene con i nativi americani che erano andati ad abitare nel villaggio, avevano imparato la lingua e persino sposato donne della tribù. *** Per tre anni Sacagawea imparò moltissimo da Bel-Viso e Cammina-Dritto, poi ancora una volta la sua vita si capovolse brutalmente. Una sera, tornando dal campo con Bel-Viso, vide un uomo bianco uscire dalla capanna. Lo conosceva: alto e forte, gli occhi grigi come il cielo, abitava da molti anni dall’altra parte del villaggio. Curiosa coincidenza, lo aveva intravisto qualche giorno prima. Era in riva al fiume con altre
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donne della tribù. Si erano svestite e si stavano lavando nell’acqua fresca. Lo scricchiolio di un tronco sull’altra sponda aveva attirato la loro attenzione. Un animale? Un nemico? No, era solo l’uomo bianco che, nascosto dietro un cespuglio, le mangiava con gli occhi. Una volta scoperto, se l’era svignata come un coniglio. Ed eccolo che usciva dalla capanna di famiglia. Bel-Viso e Sacagawea entrarono. C’era odore di tabacco. Cammina-Dritto aveva fumato con l’uomo bianco. «Eccovi!» esclamò vedendo arrivare le due donne. «Ho una buona notizia da darvi». Sacagawea si chiese di cosa si trattasse. Bel-Viso, invece, non sembrava sorpresa. «Sacagawea, adesso sei una donna. Sai occuparti di una capanna, confezionare mocassini e vestiti, fare crescere il mais…» A un tratto la giovane capì, terrorizzata, dove Cammina-Dritto volesse arrivare. «Hai quattordici primavere, l’età per lasciare la capanna e mettere su famiglia». Un brivido percorse la schiena di Sacagawea. Stava bene lì, con i suoi genitori adottivi. Non voleva andarsene.
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«Un uomo bianco è venuto a dirmi che ti vuole come sposa. È un buon partito per te, per cui ho accettato». Il “buon partito” aveva quasi il triplo dei suoi anni, con la sua grossa barba sembrava un grizzly ed era già sposato con un’altra donna shoshoni. «Quando mi porterà i cavalli e i fucili promessi in cambio» concluse Cammina-Dritto «andrai a vivere con lui». Sacagawea si sentì improvvisamente sola, abbandonata come quando tre anni prima camminava nelle grandi pianure dietro quelli che l’avevano catturata. E, come tre anni prima, sapeva di non poter sfuggire al suo destino. Presto, per lei sarebbe cominciata una nuova vita, una vita da sposa.
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Seduto sulla poltrona di pelle del mio studio, Jean-Baptiste mi ascoltava attentamente. Nonostante fosse tardi, pendeva dalle mie labbra. Letteralmente: si riempiva e si nutriva delle mie parole. Sua madre era andata via otto anni prima, quando lui aveva solamente cinque anni. Che ricordi aveva di lei? Della vita nel villaggio? L’immagine che conservava non era troppo deformata dal tempo? Dal momento che i suoi ricordi si affievolivano, Jean-Baptiste aveva bisogno dei miei per costruire la propria identità. Era ghiotto delle mie parole, delle storie che gli raccontavo, dei dettagli.
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«Come è avvenuto l’incontro con la mamma?» «Tra tua madre e tuo padre? Non so, non me l’hanno mai detto» «No, non quello: tra lei e la mamma, com’è andata?» «Ah, un incontro davvero improbabile…»
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«Scoprivamo il suo vero volto, il suo carattere e il suo coraggio. La silenziosa Sacagawea ci sorprendeva ogni giorno di più…» Philippe Nessmann (Saint-Dié-des-Vosges, 1967), appassionato di scienza, storia e scrittura, si è dedicato alla divulgazione, in particolare come autore di libri per ragazzi. Gallucci ha già pubblicato i suoi romanzi Tutankhamon, La notte di Pompei, Alla conquista del Polo Nord e Houston, abbiamo un problema!
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SacagaweA la nativa americana che partecipò all’esplorazione del Far West
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SacagaweA
Nel 1804 la leggendaria spedizione di Meriwether Lewis e William Clark partiva da Saint Louis con l’obiettivo di raggiungere per la prima volta il Pacifico via terra. Durante il tormentato tragitto attraverso le terre dei nativi americani, popolate da bisonti e grizzly, alla carovana si unì un commerciante di pelli con la giovanissima moglie: Sacagawea, della tribù degli Shoshoni. La ragazza ebbe un ruolo fondamentale nell’esplorazione, ben oltre l’originale compito di interprete. Fornì preziose indicazioni per orientarsi, aiutò i viaggiatori stremati a procurarsi il cibo, salvò i diari dei capitani dalle rapide di un fiume. Pur essendo incinta alla partenza, non si risparmiò mai, e anche il figlio che mise al mondo condivise le difficili condizioni della missione. Questa è la sua storia straordinaria, avventurosa, incredibile.
P HI LI PP E N ESSM ANN
una figura femminile straordinaria, celebrata negli stati uniti e nel mondo come simbolo del valore delle donne e della loro indipendenza.