Una ragazza fuori moda
traduzione di Clara Serretta«Che splendore! Non ho mai dormito prima d’ora in un letto a baldacchino e non ho mai avuto una toletta come questa» «Sono felice che ti piaccia, ma, per carità, non dire niente di tutto ciò davanti alle altre ragazze!» replicò Fanny. «Perché no?» chiese Polly, chiedendosi che male ci fosse nell’apprezzare le belle cose altrui e nel dirlo ad alta voce. «Oh, il fatto è che loro si prendono gioco di tutto ciò che è anche solo un pochino insolito, e non sarebbe gradevole»
UAO
Universale d’Avventure e d’Osservazioni
Louisa May Alcott
Una ragazza fuori moda traduzione dall’inglese di Clara Serretta
della stessa autrice: Piccole donne Piccole donne crescono Piccoli uomini I ragazzi di Jo
ISBN 978-88-3624-751-6
Prima edizione ottobre 2022 ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2026 2025 2024 2023 2022 © 2022 Carlo Gallucci editore srl - Roma
Titolo originale: An Old-Fashioned Girl
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Louisa May Alcott
Una ragazza fuori moda
traduzione dall’inglese di Clara Serretta
Capitolo 1 Arriva Polly
«È ora di andare alla stazione, Tom»
«Andiamo allora»
«Oh, ma io non verrò. C’è troppa umidità. Non mi resterebbe un ricciolo in testa se uscissi in giornate come questa e vorrei essere in ordine per quando arriverà Polly»
«Non ti aspetterai che io vada a prendere da solo una ragazza che nemmeno conosco, vero?» Tom sembrava molto allarmato, come se sua sorella gli avesse appena proposto di scortare una selvaggia all’altro capo del mondo.
«Certo che sì. Il tuo compito è proprio questo e se non fossi un vero orso, lo troveresti pure gradevole»
«Oh, beh, fantastico! Immaginavo di doverci andare, ma tu mi avevi detto che saresti venuta con me. Non mi incastrerai un’altra volta a occuparmi dei tuoi amici, nossignora!» Tom si alzò dal diva no con un’aria indignata e decisa, ma l’effetto complessivo fu dan neggiato dalla sua capigliatura spettinata e dall’aspetto piuttosto stropicciato dei suoi abiti.
«Oh, adesso non arrabbiarti. Dirò a mamma di lasciarti invitare quell’orrendo Ned Miller che ti piace tanto, quando Polly se ne sarà andata» disse Fanny, sperando di rabbonire i sentimenti del suo ar ruffato fratello.
Una ragazza fuori moda
«Quanto a lungo si tratterrà?» chiese Tom, dandosi una sistema ta in maniera un po’ confusionaria.
«Un mese o due forse. È così adorabile, vorrei che restasse quan to desidera»
«Farò in modo che non sia a lungo allora» mormorò Tom, che considerava le femmine una parte del tutto marginale del creato. Una cosa normale per i ragazzi di quattordici anni, e forse anche saggia. Poiché amano così tanto le capriole, infatti, hanno l’oppor tunità di farne una proprio bella, metaforicamente parlando, quan do intorno alla ventina diventano umili schiavi di quelle “noiose ragazze”.
«Senti un po’, e come faccio a riconoscerla? Non l’ho mai vista e lei non ha mai visto me. Devi venire per forza anche tu, Fan» ag giunse, fermandosi mentre si dirigeva alla porta, terrorizzato dall’orrenda prospettiva di dover interpellare diverse ragazze prima di tro vare quella giusta.
«La troverai senza problemi, probabilmente se ne starà impala ta a cercarci. Oserei dire che sarà lei a riconoscerti, anche se non ci sarò io, perché le ho descritto il tuo aspetto»
«Allora non credo che succederà». Tom si diede una frettolosa lisciata alla testa riccioluta e lanciò un’occhiata allo specchio, certo che sua sorella non gli avesse reso giustizia. Le sorelle non lo fanno mai, come “noi ragazzi” sappiamo bene.
«Dài sbrigati, altrimenti farai tardi e Polly che penserà di me?» strillò Fanny, punzecchiandolo con impazienza e ottenendo solo di ferire ancor di più la sua virilità.
«Penserà che tieni più ai tuoi capelli che alle tue amiche, e avrà anche ragione».
Sicuro di aver chiuso la questione in modo netto e sagace, Tom si allontanò a passo rilassato, perfettamente conscio di essere in ritar
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do ma anche deciso a non mettersi a correre almeno finché la sorella poteva vederlo. Dopodiché si affrettò.
«Se fossi il presidente, emanerei una legge per impedire ai ragaz zi di parlare fino a quando non diventano adulti, sono proprio i ro spi più irritanti del mondo» disse Fanny, mentre osservava la figura curva del fratello procedere lungo la strada. Avrebbe cambiato idea, comunque, se lo avesse seguito, poiché non appena ebbe svoltato l’angolo, questi cambiò completamente aspetto: tirò fuori le mani dalle tasche, smise di fischiettare, si abbottonò la giacca, si raddriz zò il cappello e affrettò il passo.
Il treno era appena arrivato quando giunse alla stazione, ansi mando come un cavallo da trotto e rosso come un’aragosta per via del vento e della corsa.
“Immagino che porterà i capelli legati e con sopra uno di quei cosi, come tutte le altre… come farò a riconoscerla? Fan è stata pro prio cattiva a farmi venire da solo!” pensò Tom, mentre se ne stava a osservare la folla che rifluiva fuori dalla stazione, piuttosto spaven tato dalla vasta gamma di signorine di passaggio. Dal momento che nessuna di loro sembrava aspettare qualcuno, non le avvicinò, ma scrutò ogni nuovo gruppetto con l’aria da martire. “Deve essere lei” si disse, quando vide una ragazza in grande spolvero, in piedi con le mani in grembo e un minuscolo cappellino in bilico su un enor me “scignò”, come lo chiamava lui. “Immagino di doverle andare a parlare, dunque coraggio”. Nervoso per via di quel compito, Tom si avvicinò lentamente alla fanciulla, i cui abiti sembravano essere stati investiti da una folata di vento, visto che era tutto un agitarsi di tri ne, merletti, fusciacche e piume.
«Scusi, signorina, il suo nome è Polly Milton?» le chiese timida mente, fermandosi di fronte alla frusciante sconosciuta.
«No» gli rispose lei, con uno sguardo freddo che lo raggelò.
Una ragazza fuori moda
«E dove diavolo è allora?» ringhiò Tom, mentre si allontanava, al colmo dell’indignazione. Il rapido calpestio alle sue spalle lo indus se a voltarsi in tempo per vedere una ragazzina che correva per tutta la stazione, con l’aria di divertirsi un mondo. La ragazza gli sorrise e agitò la valigia per attirare la sua attenzione, pertanto Tom si fer mò e la aspettò, borbottando tra sé e sé: “Vuoi vedere che Polly è questa qui?”
La ragazzina lo raggiunse e gli tese la mano, negli occhi azzurri uno sguardo timido e allegro nello stesso tempo. «Sei Tom, vero?» gli chiese.
«Sì, come hai fatto a capirlo?» Tom superò il temuto momento della stretta di mano senza nemmeno pensarci, tanto era sorpreso.
«Oh, Fan mi ha detto che hai i capelli ricci e un naso buffo, non fai che fischiettare e porti un cappello grigio calcato in testa, quindi ci sono arrivata subito». Polly gli fece un amichevole cenno del ca po: si era educatamente trattenuta dal definire “rossa” la sua chio ma, “rincagnato” il suo naso e “vecchio” il cappello, tutti dettagli che Fanny aveva insistito per farle memorizzare.
«Dove sono i tuoi bagagli?» le domandò Tom, come se si fosse improvvisamente ricordato dei suoi doveri quando lei gli porse la valigia, che non si era offerto di prendere.
«Papà mi ha detto di non aspettarli, altrimenti non avrei trova to la carrozza, quindi ho dato il mio scontrino a un facchino, eccolo che arriva». Polly si incamminò in direzione del suo unico modesto baule, seguita da Tom, il quale si sentì un po’ sconfortato dalla sua stessa negligenza in fatto di educazione. “Non è affatto una signori na di città e non si comporta nemmeno come tale, grazie al cielo! E Fan non mi aveva nemmeno detto che era carina” pensò mentre le arrancava dietro, tenendo d’occhio i riccioli castani che gli dondo lavano davanti.
1. Arriva Polly
Non appena la vettura si mise in movimento, Polly rimbalzò leg germente sul sedile molleggiato e scoppiò a ridere come una bim ba. «Mi piace proprio viaggiare su queste carrozze eleganti, vedere tutte queste belle cose e divertirmi, a te no?» disse, ricomponendosi un istante dopo, come se si fosse ricordata all’improvviso di essere un’ospite in visita.
«Non molto» rispose Tom, senza nemmeno pensare a quel che stava dicendo, poiché il fatto di trovarsi rinchiuso là dentro con quella stramba ragazza gli opprimeva l’anima.
«Come sta Fan? Perché non è venuta anche lei?» gli domandò Polly, tentando di assumere un certo contegno, a dispetto dei suoi occhi, che continuavano a danzare.
«Aveva paura di rovinarsi i riccioli». Tom sorrise, aver tradito la fiducia della sorella lo aveva fatto sentire di nuovo uomo.
«Tu e io invece non temiamo l’umidità. Ti sono molto grata per essermi venuto a prendere».
Fu gentile da parte di Polly riconoscerlo, e Tom se ne rese con to, poiché la sua arruffata capigliatura rossa era per lui un punto debole e vederla associata ai bei riccioli castani di lei ne attenuava in qualche modo i riflessi ramati. E poi non aveva fatto nulla di che, se non portarle per qualche metro la valigia. Eppure Polly lo rin graziava. Gliene fu a sua volta grato e in uno slancio di confiden za le offrì una manciata di noccioline, visto che le sue tasche erano sempre piene di tale gustosa delizia e che lui stesso avrebbe potu to essere rintracciato seguendo la scia di gusci vuoti che si lasciava dietro.
Non appena lo fece, tuttavia, si ricordò che Fanny le considerava volgari ed ebbe la sensazione di aver screditato la sua stessa famiglia. Quindi mise la testa fuori dal finestrino e la tenne lì così a lungo che Polly gli chiese se c’era qualcosa che non andava. “Bah! Ma chi se
Una ragazza fuori moda ne importa di una ragazzetta di campagna come lei?” si disse Tom per farsi coraggio. E così il suo spirito burlone prese il sopravvento e si impossessò di lui.
«Il cocchiere mi sembra un po’ sbronzo e non sono sicuro che riesca a gestire i cavalli» replicò il malvagio ragazzo, con aria di cal ma rassegnazione.
«Ubriaco? Il cocchiere? Oh, no! Dobbiamo scendere! I cavalli so no riottosi? La strada è piuttosto accidentata, pensi che sia sicuro con tinuare il viaggio?» strillò la povera Polly, mettendo il suo piccolo cappello fuori dal finestrino mezzo aperto accanto a lei.
«Ci sono tantissime persone che potrebbero aiutarci se succedes se qualcosa, ma forse sarebbe meglio se mi sedessi vicino a lui». Il sollievo di Tom gli si leggeva chiaro in volto.
«Oh, fallo, se non hai paura! Mia madre si preoccuperebbe tantissimo se mi accadesse qualcosa mentre sono così lontana da casa!» esclamò Polly, al colmo dell’angoscia.
«Non stare in ansia. Ci penso io a quel tizio e ai cavalli». Tom aprì la portiera e svanì, lasciando la sua povera vittima a tremare lì dentro, mentre lui si godeva in tutta serenità la libertà e le noccioli ne in cassetta, accanto al sobrio e vecchio cocchiere.
Fanny si precipitò a salutare la sua “cara Polly”, come la presentò Tom, aggiungendo l’elegante precisazione: «L’ho presa!», con l’aria dell’indomito cacciatore che mostra i propri trofei.
Polly fu subito condotta su per le scale e Tom, dopo essersi puli to a passo di danza i piedi sullo zerbino, si ritirò in soggiorno a rifo cillarsi con una mezza dozzina di biscotti.
«Non sei stanchissima? Vuoi sdraiarti un po’?» le disse Fanny, sedendosi sul bordo del letto nella stanza di Polly e cominciando a chiacchierare a tutto spiano, mentre esaminava ciò che l’amica ave va indosso.
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«Niente affatto. Il viaggio è stato gradevole, nessun intoppo, a parte il cocchiere ubriaco; ma Tom si è seduto a cassetta con lui e l’ha tenuto a bada, quindi la paura mi è passata subito» rispose in nocentemente Polly, togliendosi il soprabito appena dignitoso e il semplice cappellino con una misera piuma.
«Fesserie! Non era affatto ubriaco, Tom te l’ha detto solo per potersi defilare. Non sopporta le ragazze» spiegò Fanny con aria di superiorità.
«Davvero? Beh, mi era sembrato così carino e gentile!» e Polly sgranò gli occhi per la sorpresa.
«È orribile, mia cara, se ti ritroverai ad avere a che fare con lui ti tormenterà a morte. I ragazzi sono tutti tremendi, ma lui è il più tremendissimo di tutti».
Fanny frequentava una scuola alla moda, dove le signorine erano così occupate con il francese, il tedesco e l’italiano che non ave vano tempo per studiare l’inglese. Poiché la sua fiducia nel ragazzo era stata così profondamente minata, Polly tra sé e sé decise che lo avrebbe lasciato stare e cambiò argomento di conversazione. Os servando con ammirazione l’ampia e bellissima stanza, commentò: «Che splendore! Non ho mai dormito prima d’ora in un letto a bal dacchino e non ho mai avuto una toletta come questa»
«Sono felice che ti piaccia, ma, per carità, non dire niente di tut to ciò davanti alle altre ragazze!» replicò Fanny, la quale desiderava tanto che la sua amica portasse degli orecchini, come tutte.
«Perché no?» chiese il topolino di campagna al topolino di città, domandandosi che male ci fosse nell’apprezzare le belle cose altrui e nel dirlo ad alta voce.
«Oh, il fatto è che si prendono gioco di tutto ciò che è anche so lo un pochino insolito e non sarebbe gradevole». Fanny non disse “campagnolo” invece di “insolito”, ma era questo che intendeva, e
Una ragazza fuori moda Polly si sentì a disagio. Così si lisciò il grembiulino di seta nera con espressione pensierosa e stabilì di non far mai riferimento a casa sua, se ci fosse riuscita.
«Sono così malconcia che mamma mi ha detto che non è neces sario che vada a scuola regolarmente mentre tu sei qui, solo due o tre volte alla settimana, giusto per tenermi allenata con la musica e il francese. Puoi venire anche tu, se vuoi, dice papà. Dài è diverten te!» esclamò Fanny, lasciando abbastanza di stucco la sua amica con quell’inattesa passione per lo studio.
«Avrei un po’ di paura, se tutte le ragazze si vestono bene come te e sanno tutte queste cose», disse Polly, intimidita solo al pensiero.
«Ma no! Non devi preoccuparti. Ci penserò io a te, ti darò una sistemata, in modo da non farti più sembrare così strana»
«Sono strana?» chiese Polly, colpita da quelle parole e speranzosa che non significassero niente di male.
«No, sei così carina, anche più carina dell’estate scorsa, solo che sei cresciuta in maniera diversa da noi e quindi le tue maniere sono un po’ differenti, ecco tutto» cominciò Fanny, trovando qualche dif ficoltà nel darle le dovute spiegazioni.
«In che senso differenti?» insistette Polly, poiché le piaceva ve derci chiaro.
«Beh, per esempio ti vesti da ragazzina, tanto per cominciare»
«Ma io sono una ragazzina, perché non dovrei vestirmi come ta le?» Polly osservò il semplice vestito di lana blu, i robusti stivaletti e i propri capelli corti con aria perplessa.
«Hai quattordici anni, a quest’età ci consideriamo già delle si gnorine» continuò Fanny, pensando, compiaciuta, alla massa di ca pelli che aveva in testa, alla frangetta riccioluta sulla fronte e al boc colo che le ricadeva lungo la schiena. E poi all’abito rosso e nero, con l’ampia fusciacca, il borsellino, i lucidi bottoni, i fiocchi, i nastri
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e chi più ne ha più ne metta. Portava un medaglione al collo e dei tintinnanti orecchini, l’orologio con la catena alla cintura e diversi anelli alle dita di entrambe le mani, che avrebbero avuto bisogno di una bella passata di acqua e sapone.
Gli occhi di Polly si spostarono dall’una all’altra figura. Era Fan ny quella strana tra le due, si disse, poiché vivendo in un tranquillo paesino di campagna non ne sapeva granché delle mode cittadine. Era rimasta piuttosto impressionata dalla sua eleganza, dal momen to che non aveva mai visto casa sua. Le due ragazze si erano infatti conosciute in occasione di una visita di Fanny a un vicino di Polly. Quest’ultima tuttavia non si lasciò turbare dalle differenze tra di lo ro, nel giro di un attimo si mise a ridere ed esclamò: «A mia madre piace che mi vesta in maniera semplice, e a me non importa. Non saprei come muovermi, tutta infiocchettata come te. Non ti dimentichi mai di tirar su la fusciacca o di sistemarti tutti quei buffi rigon fiamenti quando ti siedi?»
Prima che Fanny potesse risponderle, dal piano di sotto arrivò un urlo. «È solo Maud, passa la giornata a lamentarsi» cominciò Fanny; aveva appena pronunciato quelle parole, che la porta si spa lancò, e una bimbetta di sei o sette anni si fiondò dentro. Alla vista di Polly si bloccò, la fissò per un istante, poi riprese con i suoi strilli laddove si era interrotta e si gettò in grembo a Fanny. «Tom si pven de gioco di me! Digli di smetterla!» si lagnò, arrabbiata.
«E tu che cosa hai fatto? Non urlare in questo modo, o spavente rai Polly!». Fan diede a quel cherubino una bella scrollata, alla quale seguì una spiegazione.
«Ho solo detto che alla festa, ieri seva, abbiamo mangiato il “ghiacciato”, e lui è scoppiato a videve!»
«Tesoro, si chiama gelato!» Fanny seguì il riprovevole esempio di Tom.
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«Non importa, era ghiacciato, e io l’ho viscaldato davanti alla stu fa, e così eva buono; Willy Bliss però l’ha versato tutto sulla mia nuova Gabvielle!» Maud ricominciò a lamentarsi per tutti quei suoi dispiaceri.
«Su, vai da Katy! Oggi sei proprio insopportabile!» fece Fanny, spingendola via.
«Katy non è divertente e io mi devo divertive, altrimenti mi anno io, l’ha detto la mamma» singhiozzò Maud, pensando evidentemen te che la noia fosse una qualche interessante malattia.
«Su, andiamo a cena, vedrai che ti divertirai». Fanny si alzò li sciandosi il vestito come un uccellino fa con le sue piume prima di spiccare il volo.
Polly sperava che quell’“orrendo ragazzo” non si presentasse. In vece c’era e la fissò per tutto il tempo, in maniera davvero sfiancante. Il signor Shaw, un gentiluomo dall’aria indaffarata, disse: «Come stai, mia cara? Spero che tu ti stia divertendo», dopodiché parve di menticarsi del tutto di lei. La signora Shaw, una donna pallida e ner vosa, l’accolse con gentilezza e si assicurò che non le mancasse nul la. Madame Shaw, una tranquilla vecchia signora, con un impressio nante cappello, vedendo Polly esclamò: «Santo cielo! È la copia di quella dolcissima donna che è sua madre, vero?» e continuò a scru tare la nuova arrivata da sopra gli occhiali, finché tra lei e Tom, la povera Polly non perse l’appetito.
Fanny chiacchierava come una gazza e Maud si dimenava, finché Tom non suggerì di metterla sotto un’alzatina, proposta che produs se un’esplosione d’ilarità tale che la giovane signorina se ne scappò via gridando, dall’intramontabile Katy. Fu una cena davvero insop portabile e Polly fu molto felice quando terminò. Ognuno tornò ai propri affari; dopo aver fatto gli onori di casa, Fan venne convocata dalla sarta e lasciò Polly a intrattenersi nel gran salotto.
Quest’ultima fu ben contenta di poter stare da sola per pochi minuti; dopo aver esaminato tutto ciò che la circondava, cominciò a passeggiare sul morbido tappeto fiorato, canticchiando fra sé e sé, mentre la luce del giorno si affievoliva e lasciava solo il rossastro bagliore del focolare a illuminare la stanza. A un certo punto entrò pian piano Madame e si sedette sulla sua poltrona, dicendo: «Che bella questa vecchia melodia; cantala ancora, mia cara. Non la sen to da così tanto tempo». A Polly non piaceva cantare in pubblico, poiché nessuno gliel’aveva insegnato, a parte la sua mamma, che era sempre tanto occupata. Tuttavia, le era stato detto che doveva por tare il massimo rispetto agli anziani, per cui non avendo motivo per rifiutare, andò al piano e fece quel che le era stato chiesto.
«È un piacere sentire canzoni come queste. Cantane ancora, te soro» le disse Madame in tono gentile, quando ebbe finito.
Lusingata da quel complimento, Polly continuò a cantare con la sua fresca vocetta, che puntò dritto al cuore di colei che la stava ascol tando e vi si insediò. Quelle vecchie e dolci melodie erano le uniche che Polly conosceva: le sue preferite erano le arie scozzesi, per esem pio Yellow-Haired Laddie o Jock O’Hazeldean, Down among the Hea ther e The Birks of Aberfeldy. Più cantava, meglio le riusciva. E quan do concluse, con Here’s a Health to King Charles, la stanza stessa ri suonò della musica prodotta dal grande piano e da quella ragazzina.
«Buon Dio, questa sì che è una bella canzone! Cantala di nuovo, per favore» esclamò la voce di Tom. Dopodiché la sua testa rossa fe ce capolino dall’alto schienale della poltrona in cui si era nascosto.
Polly si girò di scatto, poiché pensava che non la stesse ascoltan do nessuno a parte la vecchia signora che sonnecchiava accanto al camino. «Non ce la faccio più, sono stanca» disse, e se ne andò da Madame, nell’altra stanza. La testa rossa svanì come una meteora, visto che il tono di Polly era stato decisamente freddo.
Una ragazza fuori moda
La vecchia signora tese la mano, attirò Polly a sé e la scrutò con occhi così dolci che lei si dimenticò dell’impressionante cappello e le rivolse un sorriso affettuoso, poiché aveva notato che la sua sem plice musica le era piaciuta e ne era felice.
«Non deve turbarti il mio sguardo, tesoro» disse Madame, dan dole un piccolo pizzicotto sulla guancia rosea. «Non vedo una ra gazzina da tanto tempo e la tua vista fa bene ai miei vecchi occhi».
Polly trovò quella frase piuttosto strana e non poté trattenersi dal chiederle: «Ma Maud e Fan non sono delle ragazzine anche loro?»
«Oh, tesoro, no! Niente affatto. Fan negli ultimi due anni è di ventata piuttosto una giovane signorina e Maud è una bimba capric ciosa. Tua madre è una donna molto saggia, mia cara».
“Che buffa vecchia signora!” pensò Polly. Tuttavia le rispose ri spettosamente: «Sì, signora» e spostò lo sguardo sul fuoco.
«Non hai capito quel che voglio dire, vero?» le chiese Madame, tenendola ancora per il mento.
«No, non molto»
«Beh, cara, allora te lo spiego. Ai miei tempi, i ragazzini di quat tordici o quindici anni non si vestivano all’ultima moda; non an davano a feste in tutto e per tutto simili a quelle degli adulti, non conducevano vite oziose, frivole e malsane e non erano già stanchi a venti. Noi restavamo piccoli fino a diciott’anni, lavoravamo e stu diavamo, ci vestivamo e giocavamo come bambini; rispettavamo i nostri genitori e le nostre giornate erano molto più lunghe, o alme no così mi sembra».
La vecchia signora pareva essersi dimenticata di Polly alla fine del suo discorso. Se ne stava seduta ad accarezzare la mano paffutella che le giaceva in grembo, lo sguardo rivolto verso lo sbiadito ritrat to di un vecchio gentiluomo con la giacca lunga e piena di ruches.
«Era suo padre, Madame?»
1. Arriva Polly
«Sì, cara, il mio adorato padre. Gli ho sistemato i fronzoli degli abiti fino al giorno della sua morte e i primi soldi che ho guadagnato erano i cinque dollari che aveva messo in palio per quella tra le sue sei figlie che gli avesse rammendato meglio le calze di seta»
«Come sarà stata orgogliosa!» esclamò Polly, appoggiandosi sul ginocchio della gentildonna con espressione molto interessata.
«Già, e tutte noi avevamo imparato a fare il pane e a cucinare, portavamo abitini di chintz ed eravamo sempre allegre e affettuo se come micette. Volevamo diventare nonne e nonni, e io, l’ultima, adesso che sto per compiere settant’anni sono più in forze di mia nuora, che a quaranta sembra quasi un’invalida»
«Anche io sono cresciuta così, ed è per questo che Fan dice che sono all’antica, immagino. Mi dica di più del suo papà, la prego. Mi piacciono i suoi racconti» replicò Polly.
«Intanto non lo chiamavamo mai “papà”, ma solo “padre”. E se uno dei miei fratelli gli si fosse rivolto definendolo “comandante”, come si usa adesso, penso che lo avrebbe diseredato».
Madame alzò la voce e fece un eloquente cenno del capo; tuttavia il suono attutito di qualcuno che russava proveniente dall’altra stan za suggerì che avesse dispiegato inutilmente la sua potenza di fuoco.
Prima che potesse continuare, arrivò Fanny con la bella notizia che Clara Bird le aveva invitate entrambe ad andare a teatro quello stesso pomeriggio e sarebbe passata a prenderle alle sette in punto. Polly era così eccitata per quell’inatteso tuffo nella dissoluta vita cit tadina che si mise a svolazzare come una farfalla impazzita e a stento si rese conto di quel che stava succedendo, finché non si ritrovò se duta davanti al sipario verde. L’anziano signor Bird le sedeva da un lato, Fanny dall’altro e tutti e due la lasciarono in pace, cosa di cui fu molto grata, poiché tutta la sua attenzione era stata catturata da ciò che la circondava e non sarebbe stata in grado di proferire parola.
Una ragazza fuori moda
Polly non era stata spesso a teatro e le poche rappresentazioni a cui aveva assistito erano vecchie favolette messe in scena appo sta per giovani spettatori, vivaci, brillanti e piene di quelle innocue stupidaggini che fanno ridere senza rossori. Quella sera invece vide uno degli spettacoli che ultimamente andavano per la maggiore e di cui erano state fatte centinaia di repliche, uno spettacolo che abba gliava, eccitava e scandalizzava il pubblico con tutti gli stratagemmi che l’ingegnosità francese poteva inventare e la generosità america na realizzare. Poco importa quale fosse il titolo, era uno spettacolo sgargiante, molto audace e molto alla moda. Quindi, ovviamente, tutti ne parlavano bene e andavano a vederlo. All’inizio, Polly pensò di essere approdata in un luogo fatato, vedeva solo luccicanti creature che danzavano e cantavano in un mondo di luce e bellezza; ma tutt’a un tratto cominciò ad ascoltare le parole delle melodie e i dialoghi e quell’illusione svanì. Gli adorabili spiritelli cantavano le can zoni degli schiavi, parlavano in maniera scurrile ed erano una vera e propria disgrazia rispetto ai cari elfi vecchio stampo che lei conosce va bene e tanto amava.
La nostra ragazzina era troppo innocente per comprendere la metà delle battute e spesso si chiedeva come mai la gente ridesse; ma, appena il primo incantesimo si concluse, cominciò a sentirsi a disagio, poiché era certa che a sua madre non sarebbe piaciuto sa perla lì e quindi desiderava non esserci mai venuta. Chissà come, la situazione parve peggiorare, a mano a mano che l’opera proseguiva, dal momento che la piccola spettatrice venne travolta anche dai pet tegolezzi che le ronzavano intorno, oltre che da quel che le suggeri vano i suoi occhi attenti e il suo istinto femminile. A un certo punto ventiquattro ragazze entrarono saltellando sul palco, fecero schioc care i frustini e rimbombare i tacchi degli alti stivali, ammiccando al pubblico: Polly non lo trovò affatto divertente, anzi ne fu disgustata
1. Arriva Polly
e fu felice quando se ne andarono; ma poi comparve un altro grup po con indosso un costume che consisteva solo in veli di garza e in una striscia di tessuto dorato intorno alla vita e lei, poverina, non seppe che fare: si sentiva nello stesso tempo intimorita e indignata, sedeva con lo sguardo fisso sulla locandina e le guance che si faceva no sempre più rosse.
«Perché sei arrossita?» le chiese Fanny, appena le silfidi si furo no dileguate.
«Mi vergogno per quelle ragazze» mormorò Polly, e trasse un profondo sospiro di sollievo.
«Caro il mio anatroccolo, è così che si usa a Parigi, e il balletto è stato splendido. All’inizio può sembrare un po’ strano, ma ti ci abituerai, proprio come ho fatto io»
«Non intendo più tornarci, qui» replicò Polly, risoluta, poiché la sua indole innocente si era ribellata a quello spettacolo che più che piacere le aveva provocato sofferenza. Non aveva idea di quanto fos se facile “abituarcisi”, come aveva fatto Fanny; e fu un bene per lei che non avesse avuto spesso la tentazione di farlo. Non sarebbe riu scita a spiegare come si sentiva, ma fu contenta quando lo spettaco lo finì e lei poté tornare a casa, al sicuro, dove la dolce nonna stava aspettando che andassero a letto.
«Ti sei divertita, mia cara?» le chiese, notando le guance febbri citanti di Polly e lo sguardo eccitato.
«Non vorrei risultare maleducata, ma no» rispose lei. «Per alcu ni versi è stato meraviglioso, per altri però mi ha fatto venir voglia di nascondermi sotto la poltrona. Alla gente tuttavia sembrava che piacesse, anche se io non penso che fosse uno spettacolo dignitoso».
Mentre Polly si sfogava e sottolineava la propria opinione con un deciso colpo dello stivale che si era appena sfilata, Fanny rideva. Pi roettando per la stanza, come una consumata ballerina, commentò:
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«Polly era scioccata, nonna. Aveva gli occhi sgranati come piattini da tè, il viso rosso come la mia fusciacca, e a un tratto ho anche pen sato che stesse per mettersi a piangere. Certo, lo spettacolo in alcuni momenti era un po’ strano, ma ovviamente era dignitoso, altrimenti noi non saremmo andate. Ho sentito la signora Smythe Perkins dire: “È stato bellissimo, davvero molto parigino”. E lei ha pure vissuto all’estero, quindi di sicuro sapeva di cosa stava parlando!»
«Non me ne importa nulla. Secondo me non era adatto a delle ragazzine, sennò io non mi sarei vergognata così tanto» strillò osti natamente Polly, perplessa ma niente affatto convinta, nemmeno dal parere della signora Smythe Perkins.
«Credo che tu abbia ragione, tesoro. Ma finora hai vissuto in campagna e ancora non hai capito che il pudore non è più di moda». Dopo averle dato il bacio della buonanotte, la nonna lasciò Polly a sognare orrendi balletti in costume da fantino, su un ampio palco scenico, con Tom che suonava un gran tamburo nell’orchestra e tut to il pubblico con la faccia di sua madre e suo padre che la guarda vano, afflitti, gli occhi sgranati come piattini da tè e i volti rossi come la fusciacca di Fanny.
Louisa May Alcott nacque nel 1832 a Germantown, negli Stati Uniti, e morì a Boston nel 1888. Il padre, Amos Bronson Alcott, era un filosofo di una certa fama e fece studiare la figlia sotto la guida dei più grandi intellettuali americani dell’epoca, tra i quali Ralph W. Emerson e Henry D. Thoreau. A causa delle modeste condizioni economiche della famiglia, Louisa cominciò a lavorare in giovane età. Proprio dalle sue esperienze di insegnante, sarta e governante, oltre che di scrittrice, trasse gli spunti per i quattro libri della saga Piccole donne, che l’ha resa famosa in tutto il mondo. Anche Una ragazza fuori moda, pubblicato poco dopo, ebbe un grande successo.
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Immagini di copertina: © Anna Buczek e Lee Avison / Trevillion ImagesPolly Milton è una ragazza di campagna, cresciuta in una grande e affettuosa famiglia di modeste condizioni economiche. Fanny Shaw è un ragazza cittadina, spigliata, ricca e alla moda. Un’amicizia tra le due sembrerebbe impossibile, invece, superate le prime incomprensioni, Polly e Fanny diventano amiche per la pelle.
Negli anni, Polly insegna a tutti gli Shaw a guardare oltre le frivolezze e a dare valore alla semplicità, mentre un sentimento intenso e travolgente la lega sempre più a Tom Shaw, l’impulsivo fratello di Fanny, bollato come pecora nera della famiglia.
“Polly non poté più riposarsi, perché i ragazzi la fecero ballare senza sosta; e lei era così felice che non si accorse affatto delle macchinazioni, delle gelosie, degli sfoggi di vanità, delle ostentazioni e delle sciocchezze che la circondavano”.