Trilogia dei mondi paralleli 2. Vicky. Un'altra gemella

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dagmar bach Trilogia dei mondi paralleli

libro 2

un altra gemella


In realtĂ non stavo facendo altro che seguire il consiglio di Pauline. Secondo lei dovevo imparare a non agitarmi troppo quando ero con Konstantin, e quale posto migliore del mondo parallelo per esercitarmi? Era una palestra perfetta.


UAO Universale d’Avventure e d’Osservazioni


Dagmar Bach Trilogia dei mondi paralleli. Libro 2 Vicky. Un’altra gemella traduzione dal tedesco di Angela Ricci Illustrazione di copertina di Inka Vigh della stessa serie: Libro 1. Vicky profumo di cannella ISBN 978-88-9348-675-0 Prima edizione italiana novembre 2019 ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2023 2022 2021 2020 2019 © 2019 Carlo Gallucci editore srl - Roma Titolo dell’edizione originale tedesca: Die vertauschten Welten der Victoria King. Zimt und zurück © 2017 S. Fischer Verlag GmbH - Francoforte, Germania Stampato per conto di Carlo Gallucci editore srl presso Nuovo Istituto Italiano d’Arti Grafiche S.p.a. (Bergamo) nel mese di novembre 2019 g a l l u c c i e d i t o r e . c o m Il marchio FSC® garantisce che questo volume è realizzato con carta proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile e da altre fonti controllate, secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici. L’FSC® (Forest Stewardship Council®) è una Organizzazione non governativa internazionale, indipendente e senza scopo di lucro, che include tra i suoi membri gruppi ambientalisti e sociali, proprietari forestali, industrie che lavorano e commerciano il legno, scienziati e tecnici che operano insieme per migliorare la gestione delle foreste in tutto il mondo. Per maggiori informazioni vai su https://ic.fsc.org/en e https://it.fsc.org/it-it Tutti i diritti riservati. Senza il consenso scritto dell’editore nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma e da qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, né fotocopiata, registrata o trattata da sistemi di memorizzazione e recupero delle informazioni.


Dagmar Bach

Vicky Un’altra gemella Trilogia dei mondi paralleli LIBRO 2

traduzione dal tedesco di Angela Ricci



A Silke e a tutti gli altri che hanno insegnato a leggere ai fratelli e alle sorelle minori prima che lo facesse la scuola.



Prologo

All’improvviso una violenta folata di vento mi investì in piena faccia e inciampai, spaventata. Ma che stava succedendo? Un secondo prima ero sdraiata sul mio letto morbido, o no? Quindi adesso che ci facevo tutta sola nel giardino comunale, e nel bel mezzo della notte? Non avevo la minima idea di cosa fosse accaduto. Possibile che… Sentii il cuore accelerare man mano che la consapevolezza afferrava la mia mente e trattenni a fatica un sospiro di frustrazione. Non poteva essere vero! Ero finita di nuovo in un mondo parallelo! Potevo solo sperare di risentire presto il profumo di cannella e saltare indietro, ovvero uscire dai panni dell’altra me per tornare nella mia vera vita. Sperando, se possibile, che nel frattempo la versione parallela di me stessa non avesse fatto qualche sciocchezza…

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La fanfara suonata dalle trombe produceva un rumore assordante, che mi catapultò letteralmente fuori dal letto. Il cuore mi batteva a mille, mentre da qualche parte vicino a me riecheggiavano le note festose eseguite dalla London Symphony Orchestra. O meglio, da mia madre. «God save our precious Queen…» si sentiva risuonare in tutta la casa, a un volume così alto da svegliare anche un ippopotamo. Ma che…? Mi sfregai gli occhi e tentai di svegliarmi del tutto. «Send her victorious» cantò di nuovo la voce, in tono più acuto. «Maledizione, ho sbagliato un’altra volta… glorious, long to reign over us, God save… oh no!!!» Ero abituata alle stranezze di mia madre, e sentirla cantare l’inno nazionale inglese a notte fonda non mi sorprendeva più di tanto, ma… come era possibile che sbagliasse il testo? Questo sì che era strano. Lanciai un’occhiata all’orologio e di colpo mi ritrovai completamente sveglia. Accidenti! Altro che notte fonda, erano già le otto passate! Ma perché proprio quel giorno non avevo sentito la sveglia? E dire che la sera prima ero stata proprio io a convincere mia madre ad aspettare oggi per preparare la torta di compleanno! Presto sarebbero arri8


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vati gli ospiti, tra cui Konstantin, il mio ragazzo, perché ovviamente l’avevo invitato, e… In preda al panico infilai le pantofole pelose a forma di grosse zampe di tigre, spalancai la porta della mia stanza e, accompagnata dalle note allegre di Not in This Land Alone, voltai l’angolo del corridoio ed entrai nell’enorme cucina del nostro bed & breakfast. A quel punto mi presi qualche secondo per mettere a fuoco la scena che si stava svolgendo davanti ai miei occhi: mia madre correva qua e là per la stanza come un pollo spennato, a piedi nudi, con indosso la camicia da notte bianca di pizzo e in faccia la maschera di bellezza notturna. Insomma, sembrava sottosopra tanto quanto lo ero io. Andai allo stereo e abbassai l’audio delle casse, così almeno avremmo potuto parlare. Dio avrebbe senz’altro salvato la regina anche a volume più basso. «Ehi Vicky!» esclamò mamma, tirando fuori con le mani tremanti due pentole dallo sportello sotto ai fornelli e sbattendole sulle piastre accese. «Davvero non so dove ho la testa. Tra due ore si comincia e io non mi sono ancora vestita, la torta di compleanno non è pronta, fuori non è apparecchiato – per non parlare delle decorazioni – e poi volevo anche fare dei centrotavola con quelle splendide ortensie bianche. E adesso che ci penso, la glassa di questa stupida torta…» «Mamma!» «E bisogna spostare il televisore e tutti quei cavi, e i tavoli per il buffet e…» «Mamma! Calmati!» ripetei, scostandomi i capelli dal viso. «Ma è il suo compleanno!» piagnucolò mamma mentre frugava freneticamente nel frigorifero. «Non si merita tutto questo». Bene, Vicky. Respira. 9


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«Mamma, adesso sistemiamo tutto» dissi. «Da qualche parte dovresti avere la lista delle cose da fare, la seguiremo punto per punto». In verità non ero così convinta come sembravo, ma le nostre feste finivano sempre per essere, come dire… un po’ fuori dal comune. Non c’era motivo di cedere al panico. «Sei un angelo» disse mamma con un sospiro tra il disperato e l’isterico, gettandomi le braccia al collo. «Dev’essere tutto splendido» «Sono sicura che lei lo apprezzerà» dissi, spostandomi delicatamente prima di essere stritolata da mia madre. «Allora, cosa richiede più tempo?» Vidi la lista sul tavolo e la presi. «Direi la glassa per la torta. Cominciamo da quella» «Oh angioletto mio» ripeté mia madre, mentre barcollando si avvicinava al cassetto dei dolci per cercare la cioccolata con cui fare la glassa. Nel frattempo io studiavo la lista. «Ok, tu occupati di preparare la cioccolata e di spalmarla sulla torta, lo sai fare meglio di me». La coordinazione motoria non era il mio forte, specialmente appena sveglia. «Io intanto tiro fuori le decorazioni e vado a prendere fioriere e piatti» «Angioletto mio» continuava a mormorare mamma come un mantra, mentre io scendevo in cantina a prendere gli scatoloni con gli striscioni e le ghirlande da appendere in giardino. Quando tornai, mamma non era più da sola in cucina. Erano appena entrati i miei nonni, dalla porta che dava sull’esterno. «Ma da dove arrivate voi?» chiesi mentre frugavo alla ricerca delle fioriere. «Dalla nostra passeggiata nella rugiada. È davvero rinvigorente, e fa benissimo ai nostri vecchi piedi stanchi» esclamò mia nonna entusiasta, soffiando via dal viso una ciocca di capelli tinti di fresco. «Meg, non hai ancora preparato il tè?» chiese senza quasi riprendere fiato. 10


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Mamma alzò gli occhi al cielo e le porse un thermos. Non importa quanto sia stressata, ogni mattina per prima cosa prepara il tè! «E che si fa durante una passeggiata nella rugiada?» chiesi mentre ripescavo un vaso da dietro la credenza. «Si cammina sui prati a piedi nudi, stando attenti a non calpestare ortiche e cardi» brontolò mio nonno, sedendosi accanto alla nonna e aprendo il giornale. «Siamo usciti prima dell’alba» «Gli anziani non hanno bisogno di dormire tanto» concluse nonna. «Ma non potevate svegliarmi?» chiese mamma irritata, ma nonna rimase imperturbabile. «Sei abbastanza grande da badare a te stessa, direi. Puoi passarmi quella rivista?» «Sei abbastanza grande da prendertela da sola, direi» ribatté mamma, poco prima di lanciare un urlo. «Maledizione!» Tirò via di scatto dal fuoco la pentola nella quale fino a poco prima stava mescolando, e la scaraventò nel lavandino. La cucina fu invasa da un odore acre. «La cioccolata! Si è tutta bruciata!» Dopo qualche altra imprecazione tornò al cassetto dei dolci e ricominciò a frugarci dentro. Sempre imprecando. E sempre peggio. «Adesso sono rimaste solo tavolette con gusti assurdi: rum e nocciole, croccante al cocco, caffè e chili... Ma chi le ha comprate? Se becco un’altra volta Polly a saccheggiare le nostre provviste di cioccolata, guai a lei!» Prese comunque le tavolette rimaste e cominciò a spezzettarle, senza smettere di lamentarsi (e con God Save the Queen che continuava ad andare in sottofondo). Era davvero furiosa, ma più con se stessa che con zia Polly, perché lo sapevo persino io che la cioccolata si brucia facilmente e quindi va sciolta a bagnomaria e non direttamente sul fuoco. 11


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Beh, di sicuro una glassatura al rum, nocciole, cocco, caffè e chili non sarebbe passata inosservata, e lo stesso poteva dirsi di mia zia Polly, che proprio in quel momento fece il suo ingresso in cucina. Indossava di nuovo la sua camicia da notte da principessa Elsa – che la faceva assomigliare a Bellatrix Lestrange invitata a una festa per bambini – e aveva i capelli dritti in testa come antenne. Ma mia zia era sempre stata stramba, almeno quanto i miei nonni, che se ne stavano seduti tranquilli a leggere il giornale al tavolo della cucina, con i piedi umidi di rugiada, come se niente fosse. «Ma cos’è questa puzza tremenda?» chiese zia Polly arricciando il naso in direzione del lavandino e della pentola piena di grumi marroni bruciacchiati. «Sono i poveri resti della cioccolata che ci serviva per la torta. Adesso siamo costrette a fare la glassa con dei gusti assurdi» piagnucolò mamma. «Speriamo funzioni» «Perché non avete usato la cioccolata fondente?» cinguettò zia Polly mentre prendeva una tazza per il tè dalla credenza, quella con la frase: le donne non vanno in bagno, vanno a incipriarsi il naso. «Perché. È. Finita» disse mamma digrignando i denti. «Te. La. Sei. Mangiata. Tutta». Zia Polly fece finta di non aver percepito il tono di accusa. «E infatti ieri vi ho portato delle altre tavolette». Passò davanti a mamma e aprì l’armadietto nell’angolo. «Eccole qui. Cioè, eccone una. Anzi mezza. Sullo scaffale in alto, vicino ai sacchetti per l’aspirapolvere e al fertilizzante per le orchidee» «Ah beh, che sciocca a non aver guardato lì!» Prima che potessi intervenire, tra le due si scatenò una discussione infuocata su chi comandava in quella cucina e su dove bisognava conservare un alimento così importante, e di consumo quotidiano, come la cioccolata. 12


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Il campanello di casa suonò e le interruppe, e zia Polly sfruttò l’occasione per ritirarsi di nuovo al piano di sopra, nella stanza degli ospiti dove abitava da quando il suo appartamento era bruciato in un incendio la settimana prima. Mamma andò ad aprire. Doveva essere la nostra vicina, la signora Hufnagel, che veniva a trovarci più o meno cinque volte al giorno, spesso in strani orari. Nel frattempo io mi dedicai di nuovo a scorrere la lista di mamma: bisognava portare fuori i cavi elettrici e poi, facendomi aiutare da mamma, un tavolo, così avrei potuto cominciare ad apparecchiarlo. Ma forse prima era il caso di fare un salto in bagno, ero ancora un po’ intontita dal sonno, indossavo il mio vecchio e logoro pigiama di Snoopy e poi dovevo urgentemente… Dovevo urgentemente trovare una pala per sotterrarmi. Alle spalle di mia madre, sulla soglia della cucina, c’era qualcuno. Konstantin. Il ragazzo più carino del mondo. Nonché il mio ragazzo, esattamente da una settimana. «Buongiorno a tutti» disse con aria così disinvolta che sentii che le gambe mi cominciavano a tremare. Aveva i jeans, una maglietta nera con lo scollo a V e quelle fossette così carine agli angoli della bocca. Sembrava davvero uscito dalla copertina di una rivista di fitness. Ma la cosa che mi faceva impazzire più di ogni altra erano i suoi occhi, di un luminoso verdeazzurro, il colore dell’estate. Da come mi guardavano, dovevo essere uno spettacolo davvero curioso. Purtroppo sul momento non mi venne in mente nessuna battuta per stemperare un po’ quella situazione così imbarazzante; riuscii soltanto a sorridere e a tirare fuori un: «Ciao!» Anche lui ricambiò con un sorriso, ma non un sorriso imbarazzato, il suo era un sorriso disarmante e meraviglioso e… vabbè, ci siamo capiti. 13


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«Konstantin è arrivato un po’ in anticipo per darci una mano. Che gentile, eh?» Nonostante la sua furia di poco prima, mia madre riusciva comunque a sembrare allegra e disinvolta. «E poi è davvero l’occasione giusta, perché io e Vicky ci siamo svegliate un po’ tardi» continuò. «Ci serve tutto l’aiuto possibile». Forse mamma parlava per se stessa, perché tutto quello che serviva a me era un buco nel pavimento che mi inghiottisse, così non sarei più stata lì con i capelli arruffati, gli occhi assonnati, e senza nemmeno aver lavato i denti. Davanti al mio nuovo ragazzo. In preda all’imbarazzo più totale, cominciai a giocherellare con l’orlo della maglietta del pigiama e a strusciare per terra le pantofole a forma di zampe di tigre. Konstantin però non sembrava affatto infastidito, si limitò a ridacchiare, mi fece l’occhiolino e disse: «Forza, cosa posso fare?» Mamma non si tirò certo indietro di fronte a quell’offerta e mise Konstantin a fare davvero di tutto. Montarono insieme il tavolo in giardino e portarono fuori il televisore, dopodiché lei lo lasciò fiduciosa a occuparsi dei cavi da collegare e di tutta la parte tecnica della faccenda. Io intanto ero rimasta in cucina ed ero tentatissima di mollare lì la glassa (questa volta la cioccolata si stava prudentemente sciogliendo a bagnomaria) per correre a mettermi addosso qualcos’altro. Ma quelle strane tavolette dai gusti assurdi erano già semi-liquefatte, e mamma era sparita nella dispensa, perciò non c’era niente da fare: prima la glassa, poi i vestiti. Cominciai a mescolare come una pazza, con il cucchiaio e poi direttamente con le mani, cercando di eliminare tutti i grumi e di ripescare eventuali corpi estranei, ma il campanello suonò di nuovo. Io ero praticamente con i gomiti nella cioccolata, perciò mamma dovette correre ad aprire anche stavolta. 14


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I miei nonni nel frattempo continuavano a leggere i loro giornali in tutta tranquillità. Pochi minuti dopo, mamma ritornò in cucina e questa volta dietro di lei c’era una signora anziana mai vista prima, con un’enorme valigia al seguito. Una sola occhiata non fu sufficiente a osservarla per bene, era un po’ come al cinema IMAX dove ero stata poco tempo prima, lì dovevi muovere la testa da destra a sinistra per vedere tutto lo schermo. Qui era la stessa cosa: la signora era alta all’incirca quanto mamma (mamma però aveva le scarpe bordeaux con il tacco da dieci centimetri, le sue preferite) ma almeno tre volte più larga, nonostante il vestito nero lungo e ampio, che aiutava a dissimulare un po’ la stazza. Purtroppo però non riusciva a dissimulare il fatto che sembrava si fosse dimenticata il collo a casa. Il suo triplo mento si congiungeva direttamente alle spalle, come una specie di gorgiera color carne. Aveva i capelli tagliati alla paggetto, un sacco di catenine d’oro al collo e delle occhiaie bluastre. E uno sguardo che pareva davvero arrabbiato. Se mia zia Polly era la sosia di Bellatrix Lestrange della saga di Harry Potter, la signora che avevo davanti era la versione femminile del professor Piton, con un centinaio di chili in più. L’espressione disgustata era davvero identica. Mamma probabilmente stava pensando la stessa cosa, perché il suo sorriso mi parve un po’ forzato mentre diceva: «Vicky cara, ti presento la zia di Raimund Graf, zia Rosetta. Starà da noi un paio di giorni, nella stanza con vista giardino». Non avevo mai sentito parlare di “stanze con vista giardino” prima d’ora, ma forse mamma voleva solo fare una buona impressione. La zia Rosetta in effetti aveva un’aria decisamente minacciosa. Tutto a un tratto mi ricordai l’educazione: «Benvenuta» dissi sorridendo, con le mani ancora nel pentolone della cioccolata. «Purtroppo non posso darle la mano» 15


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«Che stai facendo, ragazzina?» sbraitò lei, e per un attimo mi sentii di nuovo come quella volta che avevo cinque anni e il signor Lindemeyer del supermercato mi chiese se avevo rubato una gomma da masticare. Non avevo rubato proprio nulla, ma me l’ero quasi fatta sotto dalla paura per via del suo tono di voce. Adesso invece cercai di rasserenare un po’ gli animi con una battuta: «Oh, ho perso le lenti a contatto qua dentro» dissi indicando il pentolone di cioccolata fusa e le mie braccia imbrattate fino ai gomiti. «Come, scusa?» Il suo tono di voce e il movimento dei cespugli che aveva sopra gli occhi (non credo di poterle definire sopracciglia) mi fecero capire che la zietta aveva molto poco senso dell’umorismo. O quantomeno un umorismo molto diverso dal mio. «Dicevo, ho perso le lenti qui dentro… le lenti a contatto… era per dire che… Vabbè, non importa» dissi tenendo le mani sopra la pentola, in modo che la cioccolata potesse gocciolare di nuovo dentro. «Spero che quella roba in cui stai rimestando non sia il pranzo» «No no, è solo la glassa della torta» si affrettò a dire mamma, e a quel punto le labbra di zia Rosetta si fecero sottili come un foglio di carta. Poi si lasciò cadere su una delle sedie della cucina, che scricchiolò pericolosamente. «Raimund mi ha detto che questo è un bed & breakfast a pensione completa. Ho fame!» Beh, non era difficile immaginarlo. «Non c’è problema, siamo solo un po’ impegnati con i preparativi, perché tra un po’ arriveranno gli ospiti per una piccola festicciola in giardino…» Mamma si interruppe e deglutì. «Alla quale ovviamente è invitata anche lei, perciò se ha fame potrà…» «Tra un po’ che cosa significa esattamente?» 16


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Mamma guardò l’orologio. «Tra un’oretta». A quel punto il suo sguardo si riempì di panico, nel giro di poco avrebbe ricominciato con la storia che io ero il suo angioletto, ne ero certa. «Ma io ho fame adesso, e devo mangiare per poter prendere le mie pillole» «Oh, io pensavo che dovesse mangiare perché aveva fame» disse nonna dalla panca nell’angolo, guadagnandosi uno sguardo velenoso di Rosetta. «Posso prepararle al volo delle uova strapazzate e dei panini freschi» intervenne subito mamma, lanciando a nonna un’occhiataccia di avvertimento. «Va bene, per cominciare» gracchiò Rosetta. «Ma ci voglio un sacco di pancetta!» «Pancetta. Ok. Certo» disse mamma correndo ai fornelli per preparare una bella porzione di colesterolo a zia Rosetta il prima possibile. «Il televisore è a posto. Cosa rimane da fare?» Konstantin era tornato in cucina e sussultò sorpreso quando vide zia Rosetta accomodata al tavolo della cucina. Assomigliava a un gigantesco krapfen. «Beh, finalmente qualcuno che non è in pigiama. Vicino alla porta c’è la mia valigia, portala su in camera, ragazzo. E non ti prendere la briga di sbirciare dentro, tanto è chiusa con il lucchetto». Cioè quella vecchiaccia stava insinuando che Konstantin volesse frugare nella sua valigia? Che sfacciataggine! So che mamma pensava esattamente la stessa cosa, perché vidi il suo sguardo incupirsi, pur rimanendo cordiale. «Non preoccuparti, Konstantin, resta qui con Vicky, preferisco che vi occupiate delle decorazioni per il giardino. Ci penso io ad aiutarla con la valigia» disse poi rivolta a Rosetta. «Va bene» disse lei con aria di sufficienza. «Il resto delle mie cose lo consegneranno oggi pomeriggio». 17


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Il resto? Solo quella valigia gigantesca sarebbe bastata a me e a mamma per una vacanza di due settimane. Ma mamma mi aveva appena aperto una via di fuga e io colsi al volo l’opportunità. Tirai fuori le mani dalla cioccolata, le lavai con il sapone e scappai in giardino con Konstantin. «Avete degli ospiti davvero interessanti nel vostro b&b» disse lui mentre uscivamo nella terrazza coperta che occupava tutta la parte posteriore della casa. «Non è una vera ospite, solo un favore che mamma deve a un amico. Hai presente Raimund Graf, il gioielliere? Qualche settimana fa ha aiutato mamma a risolvere un pasticcio in cui si era cacciata e lei ha promesso di ospitare sua zia per un paio di giorni» «Beh, il favore che ha fatto a tua madre dev’essere stato davvero grosso» «Non abbastanza, a quanto pare» dissi cupa, mentre mi avvicinavo al capanno dove tenevamo la scala a pioli. «Cominciamo dall’albero, ok?» Konstantin mi spinse di lato. «Lascia, ci penso io, è un lavoro faticoso. E poi non è consigliabile salire su una scala a pioli con delle zampe di tigre ai piedi» disse sorridendo. Maledizione, le pantofole! Avevo dimenticato come ero conciata. Me le tolsi subito e posai i piedi nudi sull’erba umida. Forse una passeggiata nella rugiada mi avrebbe schiarito le idee. In realtà di rugiada ormai ce n’era ben poca, erano le nove passate, il sole illuminava quasi tutto il giardino e a metà giugno le nostre rose e le ortensie – bianche, rosse e blu, i colori della bandiera britannica – erano già in fiore. Pochi minuti dopo io e Konstantin avevamo adeguato anche i colori delle siepi, dei cespugli di alloro e degli alberi da frutta: in pratica avevamo ricoperto di piccole Union Jack, oppure di croci di San Giorgio, tutto quello che ci era capitato 18


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sottomano. Gli invitati alla nostra festa avrebbero senz’altro percepito un’atmosfera very British. Konstantin si portò le mani ai fianchi. «Bene, è tutto pronto per il compleanno. Però non ho ancora capito perché tua madre voglia celebrarlo con una vera festa» «È perché ancora non la conosci bene» risposi. «È capace di questo e altro». Il secondo sabato di giugno è sempre stato uno dei principali eventi dell’anno per noi, perché in questo giorno non si festeggia un compleanno qualsiasi, ma quello della regina Elisabetta II, Her Royal Highness in persona. Il suo vero compleanno in realtà è ad aprile, ma in Inghilterra da circa duecento anni c’è questa tradizione di festeggiarlo a giugno, per via del tempo migliore. La trovo una splendida idea. Se non compissi già gli anni a luglio lo farei anche io. E mentre a Londra i soldati in uniforme rossa e cappellone nero rendono omaggio alla regina, anche mamma la festeggia con tutti gli onori: invita vicini e amici, offre loro un tipico buffet britannico, e poi guardiamo tutti insieme la diretta tv dei festeggiamenti sulla BBC e ci godiamo lo spettacolo della famiglia reale (beh, se lo gode più che altro mamma, che è una sorta di sorella onoraria della principessa Kate, tutti gli altri si dedicano a divorare i suoi deliziosi scones). Era per questo che dovevamo decorare in quel modo il giardino. Ma nel mare di piccole Union Jack mancava ancora qualcosa. «I pezzi forti» dissi cominciando a frugare negli scatoloni che avevo portato su dalla cantina e lasciato in veranda. «Ecco qua. La sagoma di cartone a grandezza naturale del principe Harry e le maschere con le facce di Kate e William». Ne liberai una dall’involucro di plastica. 19


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«Qualche anno fa mamma ha organizzato una festa a tema William e Kate, poco dopo che si erano sposati. C’erano diciotto Kate e quindici William nel nostro salotto, una scena una po’ inquietante» ricordai. «Mio nonno è l’unico che si è rifiutato di stare al gioco, si è messo una maschera da Darth Vader di Star Wars e ha cantato per tutto il tempo God Save Darth Vader. Ma a quel punto si era già scolato un bel po’ di grappa». Ricominciai a frugare negli scatoloni e tutto a un tratto sentii la mano di Konstantin sulla mia schiena. Mi voltai con le gambe che mi tremavano. «Non ci siamo salutati come si deve oggi» disse lui scostandomi una ciocca di capelli dal viso. Bastò quel semplice gesto per far volare il mio stomaco in cima all’albero più vicino. «Ehi, ciao» mormorai sorridendo. E sperando che non mi cedessero le ginocchia. Konstantin sorrise. «Ciao a te. Sei davvero carina stamattina. Mi piace Snoopy» disse scrutando il mio pigiama e poi tornando a guardarmi negli occhi. Era a pochi centimetri dalle mie labbra. Il cuore cominciò a battermi all’impazzata. Voleva baciarmi! Sapevo già quanto era bravo a farlo e non desideravo altro, ma… Non avevo ancora avuto il tempo di lavarmi i denti! Perciò non potevo permetterglielo, non con l’alito rancido di prima mattina. Quindi, mentre Konstantin si chinava su di me, misi davanti alla faccia la maschera della principessa Kate che avevo in mano. E lui si ritrovò a baciare la duchessa di Cambridge. Attacco sventato.

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«E va bene, aspetterò. Ma non pensare di sfuggirmi, prima o poi ti prendo» disse lui facendomi l’occhiolino. Poi prese sottobraccio la sagoma del principe Harry e si diresse verso il tavolo del buffet. Lo guardai allontanarsi e sognai la sensazione delle sue labbra sulle mie. Sospirai. Era andata così. Ma prima o poi sarei riuscita a mettere le mani sul mio spazzolino. E poi magari ad avere il mio bacio.

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Della stessa serie:

Dagmar Bach TRILOGIA DEI MONDI PARALLELI LIBRO 1 VICKY PROFUMO DI CANNELLA 264 pagg. ISBN 978-88-9348-476-3 euro 14,90

“Un romanzo di formazione che materializza la (repentina) metamorfosi adolescenziale in una serie di ‘salti magici’” Arianna Di Genova, Le Monde diplomatique – il manifesto

“La trama è quella di un fantasy, ma il tema è attuale: ti capita mai di sentirti un pesce fuor d’acqua, diverso dai tuoi compagni e a volte incompreso? Nelle pagine di un libro, a volte, ci sono domande più importanti” Messaggero dei Ragazzi


© Hermann Köpf

Dagmar Bach (1978) è l’autrice per ragazzi tedesca rivelazione degli ultimi anni. Ha studiato architettura, pur avendo da sempre la passione per la scrittura. Con la Trilogia dei mondi paralleli ha avuto un successo immediato ed è entrata in brevissimo tempo nella lista dei bestseller dello “Spiegel”.


Da quando ha cominciato a saltare nei mondi paralleli, Vicky ha incontrato ben due versioni differenti di se stessa. Una bella confusione, che però le ha insegnato a conoscersi meglio. Perciò perché non sfruttare la stessa opportunità per imparare anche come ci si comporta con il proprio ragazzo? Ma nella strana vita di Victoria King quasi mai le cose filano lisce, e quindi oltre a capire finalmente come funziona un primo appuntamento, Vicky scoprirà anche come l’amore a prima vista a volte abbia bisogno di un’occhiata in più, che la migliore amica più tosta del mondo può aver paura di innamorarsi… e che è meglio stare alla larga dai merli indiani se si vuole passare un bel pomeriggio romantico.

Konstantin rise e mi prese la mano. «Pronta per il nostro primo appuntamento?» «Pronta». Così pronta che stavo per farmela sotto dall’agitazione.

Consigliato dai ai anni

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