Il risveglio di Bravita
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Il risveglio di Bravita WILDWITCH
Se fosse dipeso da sua madre, Clara non sarebbe mai diventata una wildwitch. Il mondo selvatico è un posto pericoloso, soprattutto ora che Bravita Sanguinella sta per evadere dalla prigione in cui è stata rinchiusa per quattrocento anni…
Lene Kaaberbøl
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Della stessa serie: WILDWITCH 1 La prova del fuoco
WILDWITCH 2 Il sangue di Viridiana
WILDWITCH 3 La vendetta di Kimera
Il risveglio di Bravita
Il risveglio di Bravita è il quarto volume della serie “Wildwitch”, con protagonista Clara, il suo amore per gli animali e il magico mondo delle streghe selvatiche.
Lene Kaaberbøl
Lene Kaaberbøl (Copenaghen, 1960) è un’autrice danese assai nota in tutto il Nord Europa. Da quando ha cominciato a scrivere, all’età di 15 anni, ha pubblicato una trentina di libri, soprattutto per bambini e ragazzi. Di recente è stata candidata per due prestigiosi riconoscimenti: lo Hans Christian Andersen Award e l’Astrid Lindgren Memorial Award. La fortunata serie Wildwitch ha già riscosso grande successo in Germania, Francia, Inghilterra e Russia.
“Clara, la streghetta teenager che usa i suoi poteri per proteggere la natura e insegnare il rispetto degli animali” La Lettura - Corriere della Sera
“Tutti i libri di Lene Kaaberbøl sono speziati da una certa dose di suspense e di anticonformismo” Lara Crinò, Robinson - la Repubblica
“Quando si scrive per i ragazzi non ci sono regole da rispettare a parte le tue. È però vietato ingannare. Bisogna rispettare l’intelligenza del lettore” Lene Kaaberbøl a il Venerdì
“Una serie fantasy mozzafiato” The Telegraph
Era come se fossero venute tutte le creature selvatiche viventi. Alcune probabilmente avevano preso le strade selvatiche, altre avevano camminato per ore o giorni lungo i sentieri della natura. E tutte, dalla prima all’ultima, mi guardavano. Occhi dorati, occhi scuri, minuscoli o grandi da cerbiatto. Sì, avevo l’impressione che perfino gli occhi composti degli insetti, con o senza peduncoli, seguissero ogni mio minimo movimento, ogni mio singolo respiro. Tutti quegli sguardi erano come un peso, l’aria divenne densa e pesante come l’acqua e capii che aspettavano qualcosa. Ebbi sempre più difficoltà a respirare. Ormai il mio cuore batteva così forte che le orecchie mi rimbombavano. Che cosa volevano da me?
UAO Universale d’Avventure e d’Osservazioni
Lene Kaaberbøl Wildwitch 4. Il risveglio di Bravita traduzione dal danese di Eva Kampmann della stessa serie: Wildwitch 1. La prova del fuoco Wildwitch 2. Il sangue di Viridiana Wildwitch 3. La vendetta di Kimera ISBN 978-88-9348-579-1 Prima edizione febbraio 2019 ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2023 2022 2021 2020 2019 © 2019 Carlo Gallucci editore srl - Roma Titolo dell’edizione originale danese: Vildheks. Blodsungen © 2012 Lene Kaaberbøl Pubblicato in accordo con Copenhagen Literary Agency ApS - Copenaghen, Danimarca Per l’immagine di copertina © Bente Schlick, www.benteschlick.com
galluccieditore.com
Il marchio FSC® garantisce che la carta di questo volume contiene cellulosa proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici. L’FSC® (Forest Stewardship Council®) è una Organizzazione non governativa internazionale, indipendente e senza scopo di lucro, che include tra i suoi membri gruppi ambientalisti e sociali, comunità indigene, proprietari forestali, industrie che lavorano e commerciano il legno, scienziati e tecnici che operano insieme per migliorare la gestione delle foreste in tutto il mondo. Per maggiori informazioni vai su www.fsc.org e www.fsc-italia.it Tutti i diritti riservati. Senza il consenso scritto dell’editore nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma e da qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, né fotocopiata, registrata o trattata da sistemi di memorizzazione e recupero delle informazioni.
Lene Kaaberbøl
WILDWITCH Il risveglio di Bravita
traduzione dal danese di Eva Kampmann
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Capitolo 1
Vita di una tredicenne
Aspettava da quattrocento anni. Da quattrocento anni guardava fuori da sotto una massa trasparente di roccia fusa. Da quattrocento anni quella massa teneva prigionieri il suo corpo, la sua mente e il suo essere. Con tutta probabilità i suoi nemici pensavano che fosse la sua tomba, ma lei era ancora viva. C’era vita da prendere, perfino là: esseri viventi passavano di tanto in tanto, e lei li acciuffava senza pietà, perché la pietà e la compassione erano forme di riguardo che si era lasciata alle spalle da parecchio tempo. Solo la collera la teneva in vita. Perché percepiva tutto. Sapeva che cosa succedeva là fuori, il suo senso selvatico urlava e si contorceva per il dolore che questo le provocava. Come si permettevano? Tutte quelle piccole, avide persone e le loro strade, le loro case, i loro… come li chiamavano? Fili. Cavi. Drenaggi. Ponti. Autostrade. Rotaie. Avanzavano sventrando il mondo selvatico e lasciavano profonde ferite sanguinanti, strappavano la finissima rete delle strade selvatiche, distruggevano e uccidevano. Lungo tutte le loro strade c’era un fetore di animali maciul-
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lati. Boschi e paludi scomparivano. Là, dove per mille anni la forza aveva vissuto, respirato e regnato, adesso tutto era arido e silenzioso, si udivano soltanto il rombo e il fracasso delle loro maledette macchine. Ferro. Ferro dappertutto. Presto sarebbe finita, presto neanche la più formidabile strega selvatica avrebbe potuto ricucire i legami strappati. Ma c’era ancora… c’era ancora una possibilità, purché fosse riuscita a liberarsi. La collera non era l’unica emozione che le ardeva nell’intimo. Sentiva… no, impazienza era una parola troppo fiacca. Non rendeva assolutamente l’idea del fuoco che la bruciava e corrodeva dentro per ogni secondo sprecato, per ogni ora trascorsa senza che si fosse avvicinata alla sua meta. Era urgente. Non c’era più tempo. Non c’era più tempo per riflettere e soppesare i pro e i contro, non c’era più tempo per considerare, per preoccuparsi, se non di una sola cosa: abbattere il potere degli stupidi e degli avidi, distruggere la loro rete mortale e LIBERARE il mondo selvatico. Ci sarebbe voluto TUTTO. Tutto ciò che aveva, tutto il potere che avrebbe potuto ottenere con le lusinghe, le torture, le minacce o le pretese. Valutò gongolando i suoi punti forti, si disperò per quelli deboli. Il peso delle pietre, la lenta forza verde delle piante, la mitezza dell’aria, il morbido potere dell’acqua, la vita calda e profonda della terra…
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Vita di una tredicenne
tutto questo non bastava. Aveva bisogno di sangue. Era l’unica cosa capace di vincere quella battaglia quasi persa. Nient’altro aveva importanza, e men che mai… La collera divampava ancora più forte dentro di lei quando ci pensava… E men che mai la vita incauta di un’insulsa tredicenne. Il sangue poteva spalancare la sua prigione. Il sangue poteva assicurarle la vittoria. E poi ecco che avvenne. Cadde una goccia. E un’altra. Una terza e poi una quarta. Ancora gridò lei in silenzio. Ancora un’altra goccia! Le sembrava di vederla indugiare sospesa nell’aria. Come se la goccia lottasse contro la forza di gravità perché non voleva cadere. Invece cadde. E continuò a cadere. E colpì nel segno. SÌÌÌÌììììììììììhhhhhhhhhhhh… Gridò esultante, ma sempre in silenzio. Aveva ancora le labbra irrigidite, era ancora prigioniera come un insetto colpito mille anni addietro da una goccia di resina e imprigionato nell’ambra. Ma mancava poco. Tese le sue forze al massimo, fece appello a tutta la selvatichezza che aveva in sé. Ora. Ora. ORA!
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La massa rocciosa si spaccò. Le crepe si moltiplicarono. E con un grido di forza selvatica tese quel corpo che era rimasto piegato per quattrocento anni e fece saltare la sua prigione in mille pezzi. Masse rocciose solidificate ribollirono e tornarono liquide, si sollevarono, esplosero, roventi gocce simili a vetro schizzarono tutt’intorno colpendo le pareti della grotta sotto forma di cascate sfrigolanti. Le persone piccole e avide non sapevano che cosa le aspettava. Probabilmente non avevano mai sentito nominare Bravita Sanguinella. Ma sarebbe successo presto… Mi tirai su a sedere di colpo, tanto che sbattei la testa contro l’abat-jour. Il mio cuore saltava e correva come un ostacolista rimasto indietro: bum-bum-SALTA, bum-bum-SALTA, e mi guardai intorno freneticamente, quasi mi aspettassi di veder apparire Bravita Sanguinella accanto al letto con gli artigli protesi e la brama di sangue negli occhi fiammeggianti. Non c’era. La stanza era silenziosa e buia, fatta eccezione per una striscia di chiaro di luna che si riversava dentro dalla finestrella rotonda del timpano. Su un materasso accanto al letto, Oscar, il mio migliore amico, dormiva così profondamente che quasi si vedevano le “Z” da fumetto sospese sopra la sua testa. Di sicuro lui non aveva gli incubi. “Sta’ calmo” ammonii il mio cuore saltellante “guarda che non sta succedendo niente…”
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Vita di una tredicenne
Ma impiegai parecchio tempo a smettere di ansimare e ancora di più a liberarmi della sensazione che il cuore cercasse di balzare fuori dal mio corpo. Mi era già successo di fare sogni un po’ troppo legati alla realtà, e anche se non c’era una strega selvatica di quattrocento anni in agguato tra i libri sugli uccelli e i vecchi nidi artificiali che aspettavano di essere riparati, non significava affatto – o almeno così pensava il mio cuore – che non ci fosse nulla da temere. Ma anche ammesso che nel sogno ci fosse stato un briciolo di realtà – ed era un’ipotesi molto lontana, per fortuna la stragrande maggioranza dei miei sogni erano normalissimi, irreali e assurdi – Bravita non voleva la mia vita, ricordai a me stessa. Voleva quella di una fantomatica povera tredicenne mentre io avevo solo… I miei pensieri si bloccarono di colpo. Guardai la vecchia sveglia che faceva tic-tac sul comodino. Le lancette verdi fosforescenti erano quasi allineate verso l’alto. Era mezzanotte e cinque dell’ultimo giorno di marzo. Il giorno del mio tredicesimo compleanno.
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Capitolo 2
Un soffio nel buio
Non c’era verso di riaddormentarmi. Sfioravo la superficie del sonno e non riuscivo o non osavo immergermi. Ogni volta che ero sul punto di farlo, il mio cuore riprendeva la corsa a ostacoli, e tutti i miei tentativi di calmarlo erano vani. “Smettila. È stato solo un sogno” dicevo a me stessa. Bum-bum-SALTA. Bum-bum-SALTA. “Guarda che lei non è qui, né ci è mai stata. Sono passati quattrocento anni dall’ultima volta che qualcuno l’ha vista, ed è davvero assurdo immaginare che tornerebbe solo per rovinare il tuo tredicesimo compleanno…” Bum-bum-SALTA. Bum-bum-SALTA. Sciocco di un cuore. Infine mi alzai. Feci a meno di accendere la luce per non svegliare Oscar. Con cautela scavalcai il piumino che gli copriva le gambe, o almeno quasi: tre o quattro dita non proprio pulite spuntavano da sotto il copripiumino a righe. Che stupido avere gli incubi proprio quella notte, quando andava tutto a meraviglia. Eravamo ospiti di zia Isa: Oscar, io, mamma e papà (e quest’ultimo fatto era di per sé un miracolo). L’indomani sarebbero venuti Kahla, suo
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padre e la signora Pommerans, la strega selvatica vicina di mia zia che mi era stata di grande aiuto un paio di settimane prima, quando tutto sembrava sul punto di mettersi malissimo. Shanaia aveva mandato il suo nuovo amico selvatico, la femmina di gheppio Kitti, con il messaggio che sarebbe venuta anche lei. E c’era Nientediniente. Al momento Gatto era impegnato in una delle sue avventure gattesche, ma mi aveva promesso che sarebbe tornato per l’ora di colazione, e sicuramente Tonto era nella sua cesta giù in soggiorno che russava alla canina. Avevo avuto il permesso di festeggiare il mio compleanno proprio come desideravo e di invitare tutte le persone e tutti gli animali che volevo. Non vedevo l’ora. Era davvero stupido – stupidissimo! – agitarsi tanto per un sogno sciocco. Infilai i piedi in un vecchio paio di calzerotti che usavo come pantofole quando ero da zia Isa. La zia ci aveva attaccato con ago e filo delle suole di feltro per impedire al freddo del pavimento di passare. Con la t-shirt da notte, le gambe nude e le scarpe-calzerotto scesi le scale senza far rumore e andai in cucina. Ormai erano le quattro meno un quarto, vidi sull’orologio a parete sopra il tavolo. Aprii l’armadietto dove zia Isa teneva la scorta di infusi. Alcuni li bevevamo semplicemente perché erano buoni, ma certi avevano anche altre proprietà. Magari sarebbero stati in grado di calmare un cuore ostacolista. Ero ancora ben lontana dal conoscere tutti i rimedi officinali di zia Isa, però qualcosa avevo imparato. Se solo fossi riuscita a trovare… Esaminai le minuziose etichette di barattoli e vasetti finché scorsi i due che cercavo.
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Camomilla e valeriana. Accesi il fornello e misi il bollitore sul fuoco. Spesso zia Isa usava la stufa a legna del soggiorno, ma mi piaceva che ci fosse un bottone da pigiare. Le fiamme del gas guizzarono azzurre e arancio lambendo il fondo del bollitore e ben presto l’acqua cominciò a gorgogliare. Spiccai una tazza dai ganci vicino alla finestra e proprio allora, mentre mi voltavo, notai un movimento. Fuori nel buio. Uno sprazzo, uno sprazzo di occhi luminosi con le pupille verticali da felino. «Gatto?» bisbigliai. Ma non era Gatto, me ne resi conto subito dopo aver pronunciato il suo nome. Da un punto là fuori arrivava un soffio sommesso, simile a quello di due gatti di cortile che si sfidano, ma come dire… più grande. Rimasi immobile in ascolto. Ormai l’acqua bolliva furiosamente, ma la camomilla avrebbe dovuto aspettare un momento. Chissà se era un gatto randagio che aveva bisogno di aiuto? Fissai il buio ma vedevo soltanto la mia immagine riflessa. Gli occhi dorati che avevo intravisto erano spariti, ma il suono lamentoso da gatto perdurava. L’animale, quale che fosse, c’era ancora. Se avessi aperto la finestra avrei potuto osservare e udire meglio. Sollevai i ganci e aprii un battente: fui avvolta dalla fresca aria della notte primaverile fragrante di pioggia. Mi sporsi sopra il piano di lavoro e mi sforzai di vedere nel buio.
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Un soffio nel buio
In quello stesso istante una silenziosa ombra grigio-bruna venne verso di me dall’aria: un becco giallo, zampe marrone chiaro tese in avanti e artigli grigiastri. Feci appena in tempo ad alzare il braccio e permettere al grosso gufo di posarsi. «Tuh-tuh!» L’amico selvatico di zia Isa inclinò la testa di lato e mi scrutò. Non capivo se fosse soddisfatto oppure no di quello che vedeva. Non era mai venuto da me spontaneamente, e a parte le rare volte in cui zia Isa mi aveva chiesto di tenerlo (e a lui di farsi tenere), non eravamo mai stati tanto vicini. Era grande: ormai sapevo che non era un semplice gufo, si chiamava nientemeno che “gufo reale”. Questo significava che non solo era raro, ma anche una specie protetta – però non credo che lui lo sapesse – e sebbene non mi facesse proprio paura, nutrivo un sano rispetto per artigli, becchi e frulli d’ali. Odorava di pioggia, di piume bagnate e di sangue. Sicuramente quella notte aveva ucciso qualche povero topolino con gli stessi artigli robusti che ora mi stringevano il polso. Tuttavia, si girò con delicatezza, senza graffiarmi a sangue, e bubbolò sommesso in direzione dell’oscurità da cui era appena venuto. Il verso felino cessò. Udii un fruscio tra gli arbusti dietro i meli, poi calò il silenzio. In tutto questo non c’era niente di strano rispetto a tante altre cose a cui mi era capitato di assistere nella casa di zia Isa. Fatta eccezione per un particolare. Capivo tutto. Sentivo l’impazienza del felino sotto forma di uno stridore nei nervi, simile a quello provocato da un’unghia che grat-
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ti una lavagna. E udii l’avvertimento di Tuh-tuh chiaramente, come se qualcuno avesse urlato in un impianto di amplificazione: Vai via, gatto. Sei in anticipo. Non è ancora il momento. «Clara. Hai fatto entrare Tuh-tuh?» Mi girai pian piano per evitare che il gufo perdesse l’equilibrio. «Evidentemente…» risposi. Zia Isa indugiava sulla porta, nel suo vecchio accappatoio logoro che una volta doveva essere stato rosso, ma adesso era quasi rosa. «Probabilmente è un po’ confuso» disse zia. «Di solito lascio aperta la finestra della camera da letto, ma…» Ma quella notte non era una buona idea, perché nella stanza ci dormivano mamma e papà, mentre zia Isa si era sistemata sul divano del soggiorno. «…Sicuramente tua madre non avrebbe gradito essere svegliata da un gufo bagnato…» Tuh-tuh scrollò le ali investendoci con un rovescio di perle di pioggia. Non riuscii a trattenere una risatina. «Già. Penso proprio di no» «E tu, Clara? Non riuscivi a dormire?» Scossi il capo. «Ho fatto uno strano sogno. Un incubo, piuttosto». Zia Isa inarcò le sopracciglia. «C’era un animale?» «No, no. Non mi pare che ci fossero animali. Perché mi fai questa domanda?»
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«Domani festeggi tredici anni» rispose lei. «O meglio… fra qualche ora. È un compleanno particolare per una strega selvatica, e a volte…» esitò, come se cercasse le parole. «…A volte capita di fare esperienze particolari con gli animali, anche in sogno. Però nel tuo non c’erano animali, giusto?» «No. No. Era… Mi pare che ci fosse… No, in effetti non ne sono sicura». Mentre chiacchieravamo il sogno sbiadì a poco a poco. I dettagli sparirono. C’era qualcuno che era molto arrabbiato… qualcuno era rinchiuso… qualcuno aveva nominato il sangue. Non tacevo volutamente i particolari, lì per lì non riuscivo proprio a ricordare con chiarezza. Il mio cuore si era calmato e i battiti erano tornati normali; soffocai uno sbadiglio. «A quanto pare non ne hai bisogno» disse zia Isa indicando i barattoli di camomilla e di valeriana. «Già» dissi. «Penso che tornerò su a letto». Tesi la mano e Tuh-tuh si levò delicatamente in volo e si appollaiò al solito posto sulla spalla di zia Isa. «Buonanotte di nuovo, allora» disse zia Isa accennando un sorriso. Guardò l’orologio. «Tecnicamente adesso è il tuo compleanno, ma penso che aspetterò il tuo prossimo risveglio per farti gli auguri». Compleanno. Perché mai quella parola invece di mettermi allegria mi faceva venire l’agitazione? Tuh-tuh mi guardò con i suoi occhi arancio-dorati e poi si lucidò il becco tra le penne del petto.
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Non è ancora il momento. Che cosa significava? Tuh-tuh lo aveva “detto” veramente, forte e chiaro come quando mi “parlava” Gatto? O me l’ero solo immaginato perché avevo sonno e avevo dormito troppo poco? Rimisi a posto i barattoli degli infusi e tornai su in camera. Scavalcai con cautela Oscar, che era ancora sprofondato nel mondo dei sogni, sgusciai nel letto e sotto il mio piumino caldo. Mi addormentai nel giro di pochi minuti.
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Stampato per conto di Carlo Gallucci editore srl presso Nuovo Istituto Italiano d’Arti Grafiche S.p.a. (Bergamo) nel mese di febbraio 2019
Lene Kaaberbøl (Copenaghen, 1960) è un’autrice danese assai nota in tutto il Nord Europa. Da quando ha cominciato a scrivere, all’età di 15 anni, ha pubblicato una trentina di libri, soprattutto per bambini e ragazzi. Di recente è stata candidata per due prestigiosi riconoscimenti: lo Hans Christian Andersen Award e l’Astrid Lindgren Memorial Award. La fortunata serie Wildwitch ha già riscosso grande successo in Germania, Francia, Inghilterra e Russia.
“Clara, la streghetta teenager che usa i suoi poteri per proteggere la natura e insegnare il rispetto degli animali” La Lettura - Corriere della Sera
“Tutti i libri di Lene Kaaberbøl sono speziati da una certa dose di suspense e di anticonformismo” Lara Crinò, Robinson - la Repubblica
“Quando si scrive per i ragazzi non ci sono regole da rispettare a parte le tue. È però vietato ingannare. Bisogna rispettare l’intelligenza del lettore” Lene Kaaberbøl a il Venerdì
“Una serie fantasy mozzafiato” The Telegraph
Era come se fossero venute tutte le creature selvatiche viventi. Alcune probabilmente avevano preso le strade selvatiche, altre avevano camminato per ore o giorni lungo i sentieri della natura. E tutte, dalla prima all’ultima, mi guardavano. Occhi dorati, occhi scuri, minuscoli o grandi da cerbiatto. Sì, avevo l’impressione che perfino gli occhi composti degli insetti, con o senza peduncoli, seguissero ogni mio minimo movimento, ogni mio singolo respiro. Tutti quegli sguardi erano come un peso, l’aria divenne densa e pesante come l’acqua e capii che aspettavano qualcosa. Ebbi sempre più difficoltà a respirare. Ormai il mio cuore batteva così forte che le orecchie mi rimbombavano. Che cosa volevano da me?
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Se fosse dipeso da sua madre, Clara non sarebbe mai diventata una wildwitch. Il mondo selvatico è un posto pericoloso, soprattutto ora che Bravita Sanguinella sta per evadere dalla prigione in cui è stata rinchiusa per quattrocento anni…
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Della stessa serie: WILDWITCH 1 La prova del fuoco
WILDWITCH 2 Il sangue di Viridiana
WILDWITCH 3 La vendetta di Kimera
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Il risveglio di Bravita è il quarto volume della serie “Wildwitch”, con protagonista Clara, il suo amore per gli animali e il magico mondo delle streghe selvatiche.
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