O BIANC ROSSO
il
Supplemento al numero odierno de La Gazzetta del Mezzogiorno Anno II numero 17 / € 0,70 più il prezzo del quotidiano
periodico di informazione sportiva de
CAMPIONI D’INVERNO
OBIETTIVO CENTRATO
L’ANALISI
IL RITRATTO
GLI SCUDIERI DELLA MEDIANA
COSTANTE TIVELLI IL KEEGAN DEL SUD
IL POSTER
MAURO BOLLINO ESTRO E FANTASIA
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L’EDITORIALE
di Gaetano Campione
MERCHANDISING CHE PASSIONE
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inalmente gli oggetti del desiderio sono arrivati. Per ora sono solo cinque, tre modelli di sciarpa, un berretto e uno scaldacollo. Ma stanno già facendo breccia nel cuore dei tifosi. Un po’ per l’attesa, un po’ perché siamo sotto le feste di Natale e un regalo biancorosso sotto l’albero non può che fare piacere. Ma il merchandising del Bari è una gallina dalle uova d’oro. Forse, negli anni passati sottovalutato se non addirittura ignorato. Basti pensare, infatti, alla comunità di sostenitori sparsi in tutto il mondo che superano di gran lunga (stime ufficiose) il milione di unità potenziali. Ecco perché il presidente De Laurentiis ha annunciato recentemente un accordo con Amazon, sulla scia di quanto è già avvenuto per il Napoli, in modo da aprire su questa nuova piattaforma di vendita, un negozio dedicato. Scelta mirata a conquistare nuovi mercati, soprattutto quelli esteri, dove ci sono già club biancorossi attivi. Così il Bari dimostra, ancora una volta, di pensare in grande, di gettare le basi per un futuro solido anche sotto il profilo economico-finanziario. E l’importanza di avere a disposizione risorse, da investire eventualmente nel calcio mercato per acquisti mirati e di qualità, rappresenta un altro valore aggiunto.
15 dicembre 2018 anno II n. 17
Le società di calcio, se vogliono volare alto, hanno la necessità di essere aziende in tutto e per tutto. Per farlo si devono muovere sostanzialmente in tre direzioni: commerciale, marketing e diritti televisivi. Proprio come si sta comportando il club biancorosso: tutto deve trasformarsi in utili per non dipendere da nessuno. Va bene. Va benissimo se questo è il prezzo da pagare per la realizzazione dei sogni. A patto di non dimenticare mai che al centro di questo cerchio virtuoso ci devono essere i tifosi, da non valutare esclusivamente come clienti ai quali vendere un prodotto. È grazie a loro che le società di calcio vivono. Alla loro irrazionale passione, un capitale difficile da quantificare. Certo, il calcio oggi è un’industria. Anche nei campionati minori. Nessuno lo può o lo vuole ignorare. Il calcio non può essere visto solo con gli occhi del tifoso. Ma allo stesso tempo bisogna avere la consapevolezza di come il tifoso-cliente vada coccolato, considerato, premiato, per rinsaldare il legame con il club. Magari anche attraverso una politica di prezzi calmierata, dai biglietti dello stadio agli oggetti del desiderio legati al merchandising. Aspettiamo con curiosità, ad esempio, le magliette ufficiali. La Bari Fan Card è un segnale di attenzione importante. Non deve restare, però, l’unico.
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SOMMARIO
il Biancorosso anno II n. 17 Periodico sportivo de La Gazzetta del Mezzogiorno reg. Trib. Bari n. 12372EL1/81 Direttore responsabile Giuseppe De Tomaso Edisud SpA piazza A. Moro, 37 - 70122 Bari www.lagazzettadelmezzogiorno.it A cura di Redazione sportiva Coordinamento Gaetano Campione
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LIGUORI
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Hanno collaborato Gianni Antonucci Francesco Damiani Filippo Luigi Fasano Davide Lattanzi Nicola Lavacca Vito Prigigallo Il Nostro Bari Fotografie Luca Turi Archivio storico de La Gazzetta del Mezzogiorno Archivio Antonucci Giuseppe Corcelli Sergio Scagliola Saverio De Giglio Foto poster: A. Scuro
FLORIANO
JUNIORES
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INTERVISTE
TIVELLI
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Progetto grafico e realizzazione Clara Specchia Concessionaria di PubblicitĂ Mediterranea SpA piazza A. Moro, 37 - 70122 Bari Stampa Dedalo Litostampa srl viale Luigi Jacobini, 5 70132 Bari
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CAVONE
22 15 dicembre 2018 anno II n. 17
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L’ANALISI
GLI SCUDIERI DELLA MEDIANA Davide Lattanzi
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n poker di uomini nel reparto pensante. Spesso si dice che il centrocampo sia il settore nevralgico di una squadra. Magari anche la componente che ne descrive le principali caratteristiche. Non a caso, la mediana del Bari rivela gran parte dell’idea su cui la formazione biancorossa è stata costruita. Francesco Bolzoni, Zaccaria Hamlili, Andrea Feola e Cristian Langella sono gli uomini utilizzati dal tecnico Giovanni Cornacchini
FRANCESCO BOLZONI
ZACCARIA HAMLILI
Presenze: 14 da titolare: 13 subentrato: 1 minuti giocati: 1.156’ sostituzioni subite: 4 gol: 1
Presenze: 13 da titolare: 12 subentrato: 1 Minuti giocati: 1.004’ sostituzioni subite: 8 gol: 0
Il “cervello”
Cuore e polmoni
Ha dovuto reinventarsi, l’ex ragazzo prodigio cresciuto nell’Inter. Già, perché Bolzoni proprio non nasce regista. In un centrocampo a due, in carriera ha spesso svolto le mansioni di fatica, più recuperatore di palla che costruttore. Tuttavia, per chi è passato dalla Champions League (esordio con i nerazzurri a soli 18 anni) e ha vinto a Siena sotto la guida di Antonio Conte e poi in una piazza come Palermo, i panni di leader in serie D diventano fin troppo comodi. Ed in effetti, meraviglia vederlo, a soli 29 anni, in una categoria che nulla a che spartire con lui. Forte di tanta esperienza, Cornacchini ha consegnato a lui le chiavi della manovra, chiedendogli di essere il polo di riferimento per i compagni. Bolzoni sta compiendo al meglio tale missione: ogni azione parte o passa dai suoi piedi. E non si limita soltanto al suggerimento semplice per i compagni d’attacco. Il cambio gioco ed il lancio illuminante fanno parte integrante del repertorio. Scontato sottolineare che sia un irrinunciabile nell’undici barese. Lo certificano i numeri: Cornacchini lo ha utilizzato costantemente risparmiandogli il minimo indispensabile quando non l’ha visto al meglio. Consapevole di non potersi permettere il lusso di perderlo.
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L’italo marocchino aveva condiviso con Cornacchini l’esperienza all’Ancona ed il trainer di Fano l’ha espressamente richiesto per vincere a Bari. Un mistero la carriera del 27enne nato a Manerbio: per corsa, ritmo ed intensità avrebbe meritato senza alcun dubbio una chance in B. Invece, il suo percorso si è svolto tra C e D, nella speranza che sia il nuovo corso biancorosso a consegnargli l’agognata ribalta. Nel centrocampo pugliese, Hamlili è indispensabile. E’ l’autentico uomo ovunque, in grado di pressare e ripartire, interdire e riproporre. Sul piano tattico, coniuga alla perfezione le conoscenze della mezzala (all’attivo un paio di assist sovrapponendosi dal fondo) con quelle del centrale puro. Ancor più determinante sotto l‘aspetto agonistico. Malgrado incorra in qualche ammonizione di troppo, è una vera furia: il classico “cagnaccio” che non molla una palla, ringhiando su qualsiasi avversario. Il prototipo di calciatore che ogni squadra dovrebbe avere per la feroce dedizione ed il cuore sempre oltre l’ostacolo. Una lacuna? Gli manca il gol. Ma ha tempo a sufficienza per trovare il premio a tanti sacrifici. 15 dicembre 2018 anno II n. 17
a centrocampo. Un numero esiguo, in verità. Soprattutto se si considera che il trainer di Fano spesso ne ha schierati ben tre in avvio di match. Ragion per cui, se il mercato dovesse portare ulteriori novità, è possibile che i futuri innesti (probabilmente giovani) avvengano proprio in seconda linea. C’è, tuttavia, un motivo se i centrocampisti dei galletti sono tali di numero e di peculiarità. La società, infatti, nell’ottica di vincere il campionato archiviando la pratica nel più breve tempo possibile, ha puntato moltissimo su un reparto offensivo cospicuo, nonché formato da autentici fuoriclasse della categoria. Cornacchini ha puntualmente proposto il suo Bari a trazione anteriore. Il centrocampo, perciò, ha avuto un compito ancor più delicato. Ovvero, quello di garantire corsa in quantità e raddoppi per sostenere la qualità offensiva. Allo stesso tempo, occorrevano fisicità, muscoli e doti agonistiche per calarsi nella realtà della quarta serie. Ebbene, in tal senso, la scelta si è rivelata perfetta all’uso. Ognuno dei quattro interpreti biancorossi ha recitato a puntino la parte assegnata. Eccoli, quindi, uno per uno, ai raggi X.
ANDREA FEOLA
CRISTIAN LANGELLA
Presenze: 14 da titolare: 3 subentrato: 11 Minuti giocati: 425’ Sostituzioni subite: 0 Gol: 0
presenze: 13 da titolare: 5 subentrato: 8 minuti giocati: 584’ sostituzioni subite: 2 gol: 2
Pronto all’uso
Giovane e bello
Soltanto nel Bari Feola è destinato a partire spesso dalle retrovie, diventando il giocatore più subentrato tra i galletti. Paradossale, per chi ha vissuto sempre tra B e C e sarebbe titolare in molte compagini nella categoria superiore. Senza batter ciglio, ha scelto il sacrificio per la causa divenendo l’uomo per ogni soluzione nel corso del match. Praticamente sempre presente, ma titolare con il contagocce e con un minutaggio nel complesso ridotto. Lui, però, interpreta ogni chance come una possibilità di offrire il suo contributo. Che sia per un tempo, per mezzora o per un minuto, come talvolta gli è capitato. Per caratteristiche, è una carta preziosa: mezzala di nascita, si relega senza problemi da centrale puro offrendo svariate soluzioni. Cornacchini non perde occasione per lodarne la professionalità e ricorre comunque al suo impiego: se c’è da rafforzare gli argini per difendere un risultato oppure se occorre un uomo in più in mezzo per suggerire meglio verso l’attacco. Se poi manca uno tra Hamlili e Bolzoni, il suo impiego da titolare diventa automatico. 15 dicembre 2018 anno II n. 17
È uno dei gioiellini che maggiormente brillano nella vetrina biancorossa. Langella ha colto a volo l’occasione e fin dalla prima giornata ha mostrato quanto potesse essere utile al Bari. Attenzione a questo 18enne proveniente dal Pisa. Nato esterno offensivo, oggi si è trasformato in un centrocampista completo. Da mezzala sa far valere passo e tecnica di base, ma se la sta cavando egregiamente pure da centrale, grazie a corsa, coraggio ed applicazione. Non gli mancano, inoltre, personalità e visione della porta. Non a caso, è il centrocampista del Bari con il maggior numero di gol in campionato (2). Se le promesse saranno mantenute, Langella ha davanti a sé un futuro dorato e potrebbe essere importante anche nel futuro del Bari, data la necessità di avere giovani di valore pure in C. Per completare la trasformazione in centrocampista, gli manca la giusta fisicità. La struttura leggera costa nei contrasti e lo limita nel gioco aereo. Ma a 18 anni può lavorare serenamente pure sullo sviluppo fisico.
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IL PERSONAGGIO
LIGUORI ASPETTA IL SUO MOMENTO
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Filippo Luigi Fasano
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i dice che gli piaccia accentrarsi da destra per tirare saette col sinistro, di precisione o di potenza. Si dice che calci le punizioni come Mario Corso, l’ala sinistra della Grande Inter. A foglia morta, con la palla che si abbassa improvvisamente e inesorabilmente. Si dice che sia bravo e che sia pronto, Gino Liguori da Scampia, classe ‘98 dirottato da Napoli. Fra il dire e il fare, però, c’è di mezzo il campo. E il campo, il numero 27 biancorosso l’ha visto solo di sfuggita: meno di mezz’ora fra Turris, Locri, Nocerina e Portici, più un tempo da titolare contro il Troina. Troppo poco per incidere. Meglio credergli sulla parola, le sue parole. In attesa dell’acuto che potrebbe svoltargli la stagione. E, chissà, qualcosa di più. «Spero arrivi il mio momento il prima possibile. Il rischio di voler strafare? Non c’è, sarebbe peggio per me. Meglio giocare per la squadra. Certo, bisogna correre e darsi da fare. Lo faccio anche in allenamento, ce lo chiede l’allenatore». In avanti è arrivato pure Iadaresta. Ora siete davvero in tanti... «Ben venga gente che può dare un mano al Bari: il campionato è lungo... Possiamo giocare tutti». Quali sono gli attaccanti con cui si trova meglio? «Simeri è uno che tiene palla e che ti manda in porta. Poi ci sono Floriano, Bollino. Brienza? Non ne parliamo neppure. Ti detta l’assist con gli occhi». I baresi non la conoscono ancora. Fuori pregi e difetti. «Puntare l’uomo è la cosa che mi riesce meglio. Cosa devo migliorare? Il colpo di testa». Come e dove ha cominciato? «Al Parco Postale, nel mio quartiere, per strada. Si avvicinò un signore e chiese di parlare con mia madre. Temevo di aver combinato qualcosa. Invece mi aveva visto giocare e voleva portarmi su un campo vero». Che aveva fatto di così speciale? «Un gol su punizione. E così sono finito alla Mariano Keller (una società calcistica di Napoli famosa per il settore giovanile, nda). Mi son trovato da Dio, mi hanno trattato come un figlio». E nel Napoli come ci è arrivato? «Passando prima da Terni e poi da Bassano, dove mi sono infortunato alla spalla. A quel punto è arrivata la chiamata di Grava (responsabile del settore giovanile azzurro, 15 dicembre 2018 anno II n. 17
«LA GIOCATA PIÙ BELLA? CONTRO L’ASCOLI NELLA PRIMAVERA: UNO CONTRO UNO, DOPPIO PASSO, TACCO, E PALLA CHE PASSA SULLA TESTA DELL’AVVERSARIO». PRESTO DIVENTERÀ PAPÀ E VUOLE FESTEGGIARE L’ARRIVO DEL FIGLIO DEDICANDOGLI UN GOL DA METTERE SOTTO L’ALBERO DI NATALE nda)». Dopo Primavera e Youth League, cominciano i prestiti: Cosenza e Andria in una sola stagione. «Esperienze buone per crescere. In Calabria giocavo di più. In un 3-5-2, però. Io mi trovo meglio con il 4-3-3, e ad Andria mi dissero che avremmo giocato così. Posizione? Attaccante destro o trequartista. Mi piace Ounas, da buon tifoso del Napoli». Tutto, o quasi, condiviso con D’Ignazio? «Ci conosciamo da dodici anni. E per sei mesi ho vissuto praticamente a casa sua. Per me è un fratello». Via Napoli è arrivato anche Marfella. Chi altri raccomanderebbe, fra i suoi ex compagni? «Gaetano, Negro. E poi c’è Otranto, un centrocampista molto bravo tecnicamente. Ce ne sono, di giocatori da consigliare». La giocata più bella che le è riuscita in azzurro. 15 dicembre 2018 anno II n. 17
LIGUORI Con la maglia n. 27 è il primo a destra nella foto in alto
«Uno contro uno: doppio passo, tacco, e palla che passa sulla testa dell’avversario. Contro l’Ascoli, in Primavera». Questo è l’ultimo anno da under. Che campionato pensa di meritare? «Non sono ancora un giocatore vero. Un passo alla volta: solo così potrò guadagnarmi ciò che mi spetta». Usciamo fuori dal campo. Ha 20 anni ed è già sposato. Ci spiega come si fa? «Basta trovare la persona giusta. La mia si chiama Rosa». Alla convivenza con le donne era già abituato, vero? «Sì, sono cresciuto con zia e nonna. Ora viviamo tutti assieme a casa mia, anche con mamma e papà». Qual è il regalo di Natale che farà a tutte loro? «Il maschietto in arrivo, sto per diventare padre. E magari lo festeggiamo con un gol».
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LE CURIOSITÀ
ROBERTO FLORIANO entra nella storia dei gol più veloci segnati del Bari nelle partite in casa. Ha così arricchito i cultori delle curiosità. In questa specie di primati al primo posto in assoluto resta sempre Gionatha Spinesi che il 2 settembre 2001 riuscì a segnare contro l’Empoli (2-2) dopo 9 secondi e 52. Superava così il precedente record ottenuto da Biagio Catalano che in Bari-Catanzaro 2-0 del 16/9/62 realizzava il primo gol dopo 25 secondi. Un piccolo record durato quasi 40 anni. L’attesa è durata 11 anni, protagonista Iunco gol dopo 32 secondi scavalcando così Galluzzo che nella C del 1983-84 realizzò un gol-veloce dopo 40 secondi in Bari - Cosenza 2-1. Era, comunque, serie C. In B il record resta di Spinesi, mentre in serie A è di Vincenzo Orlando, barese come Catalano, in grado di segnare dopo 49 secondi in Bari - Vicenza 1-0 del 7 marzo 1948. Per Floriano (1’) c’è la prima rete più veloce in serie D.
A NICOLA TURI BARESE VERACE È STATA DEDICATA QUESTA POESIA 98 È IL NUMERO DELLA SUA MAGLIA
Sante Diomede 15 dicembre 2018 anno II n. 17
98 98 Stà iùne ca fusce, stà sop’a la fassce, mò pròbbie “stà a nnassce” ma vègghe na lusce! Stà a ppìgghie pallùne tra ttanda chendràste e u ffiàte nge avàste: sò ttrè le pelmùne! Iè ttèste, chemmàtte, non dène a pavùre; se sènde secùre: sò cchisse le fatte! Iè bbrave u uaggnòne barèse e du BBare! Che ll’alde stà a mbare a ièsse cambiòne!
C’è uno che corre, è sulla fascia, adesso “sta nascendo” ma vedo una luce! Sta recuperando palloni tra tanti contrasti e il fiato gli basta: i polmoni son tre! È coriaceo, combatte, non ha paura; si sente sicuro: i fatti son questi! È bravo il ragazzo barese e del Bari! Con gli altri sta imparando ad esser campione!
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L’INTERVISTA
RADIO PICCOLO GRANDE AMORE Gaetano Campione
SEGRETI, RETROSCENA E ANEDDOTI DELLE DOMENICHE TRASCORSE A RACCONTARE LE PARTITE DEL BARI
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LUCA GUERRA
MICHELE SALOMONE
CRISTIAN SICILIANI
TRE PROTAGONISTI DESCRIVONO LE EMOZIONI DELLE PAROLE DA TRASMETTERE ATTRAVERSO L’ETERE AI TIFOSI BIANCOROSSI
LA RADIOCRONACA PIÙ EMOZIONANTE MAI FATTA? Ne scelgo due. Bari-Novara 4-1 del 2014, quella che spedì la squadra di Alberti e Zavettieri ai playoff. Ricordo ancora le vibrazioni nell’aria al 2-1 di Cani. Un’onda d’urto assordante. E MessinaBari 0-3 dello scorso 16 settembre: prima partita in D, senza tv, con un popolo che attendeva di essere informato. Ho avvertito un’emozione particolare per ogni singolo istante di radiocronaca. Juventus-Bari 8.2.84. Il Bari era in C e giocò la gara di andata degli ottavi di finale di Coppa Italia al vecchio Comunale. Vinse per 2-1 all’ultimo minuto contro i bianconeri con un gol di Lopez, contro i bianconeri che schieravano la formazione migliore con Platini, Scirea e compagnia bella». Scelgo un Milan-Bari del 2009 in serie A. La gara terminò zero a zero ma a San Siro il Bari di Ventura diede una lezione di calcio al Milan di Leonardo. In campo c’era gente come Ronaldinho e Pirlo ma ricordo ancora i tunnel di Rivas a Gattuso... uno spettacolo entusiasmante».
INVECE, UNA RADIOCRONACA ANDATA MALE? Per l’esito, direi Cittadella-Bari 2-2 dello scorso giugno. Fondamentalmente, c’era il sentore che quella partita avrebbe cambiato la storia del Bari. E la coda fuori dal campo fu peggio: vedere dirigenti e allenatore che vanno via senza salutare i cronisti con i quali avevano condiviso, nel bene e nel male, una stagione, è stato a dir poco antipatico. 19 giugno 2004, a Venezia il Bari perse il play out e retrocesse in serie C poi evitata per il fallimento del Napoli. Alla fine della partita piansi sull’isola di Sant’Elena insieme ai tifosi che avevano seguito la partita. Mi piace sottolineare l’ultima trasferta di Gela in serie D. Non perché sia andata male ma per la particolarità: io e i miei colleghi abbiamo seguito la partita dietro una recinzione a ridosso della bandierina del calcio d’angolo, sembrava di essere in gabbia. La visuale del campo ridotta ha dato sfogo alla nostra immaginazione.
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IL FASCINO DELLA RADIO QUAL È? La radio è fiaba, è una dimensione che non ha eguali. E’ la capacità di dare colori a un mondo che nessuno, in quel momento, ha davanti agli occhi. La radio è responsabilità del racconto e capacità di meravigliare chi ci lavora. La radio è un oggetto immortale anche fisicamente. Può variare nelle forme ma non morirà mai. Quello di cercare di descrivere nel migliore dei modi ciò che si vede. Nella fattispecie della radiocronaca portare lo stadio a casa dell’ascoltatore (o viceversa) facendogli vedere la partita ad occhi chiusi e facendogli vivere le stesse emozioni. La radio è sostanza, immediatezza, dona un senso di libertà. E poi ti permette ancora di sognare e immaginare.
LA RADIO È IMMEDIATEZZA, LA TELEVISIONE NO. GIUSTO? La radio esalta la capacità di leggere subito una situazione, che sia una partita di calcio o un collegamento per la cronaca nel gr. O ce l’hai, o difficilmente a casa capiranno quello che sta accadendo. La televisione è l’esaltazione del commento, più che del racconto. Sono due letture diverse della stessa immagine. Giustissimo. La radio si può fare ovunque, basta un telefono cellulare. Per la Tv è diverso anche se tecnologicamente si stanno facendo progressi da gigante. Proprio così. La televisione è forma, ti ingabbia inevitabilmente in certi schemi.
DA DIVERSI ANNI IL LINGUAGGIO SI È IMPOVERITO E IMBARBARITO. UN ITALIANO MEDIO NON UTILIZZA PIÙ DI MILLE VOCABOLI. COME SI FA A RESTITUIRE IL SAPORE DELLA PAROLA? Leggendo libri e giornali, preferibilmente quelli cartacei. “Toccare” la parola, scorrere con le dita le corde di un racconto è già una forma di scambio che arricchisce. Secondo me bisogna leggere. Leggere tutto: insegne, scritte sui treni, quotidiani, libri, le avvertenze sugli estintori. Più parole conosciamo, più riusciamo ad abbinarle ai nostri pensieri e ai nostri rapporti.
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L’INTERVISTA
Usando le parole giuste al momento opportuno. A volte si usano verbi sbagliati per le azioni che si vogliono rappresentare (non mi riferisco ai tempi) e nel calcio ci sono troppo frasi fatte che io cerco di evitare in tutti i modi (fare la barba al palo, tap in, ecc). Leggere, leggere, leggere e ascoltare radio, portatrice di parola. Senza il supporto delle immagini è più facile che ci si soffermi sulla bellezza e diversità dei vocaboli, imparandone a capire la loro importanza nel linguaggio comune.
LE È MAI CAPITATO DI ASCOLTARE LA CONCORRENZA PER CAPIRE COSA FARE E COSA NON FARE? Molto spesso. Ricordate cosa cantava Samuele Bersani in Lo scrutatore non votante? “Immaginate quel cantante che non ascolta altra musica...”. Ecco, studiare la concorrenza non è solo utile, ma necessario. Certo, ascoltare chi fa il tuo stesso lavoro arricchisce. Ovviamente cerco di far miei i buoni insegnamenti. Ascoltare i grandi radiocronisti ti aiuta a crescere e migliorare.
UN MODELLO DI RIFERIMENTO? “Se parliamo di radiocronaca in Italia, non c’è nessuno come Francesco Repice. Ha una fluidità di linguaggio, una preparazione meticolosa ma non cattedratica della partita, una capacità di far “ballare” l’azione e un timbro di voce senza pari”. Se penso alla radiocronaca non ho dubbi: Enrico Ameri. Enzo Tamborra, il mio maestro.
LE TRE REGOLE DEL RADIOCRONISTA PERFETTO? “Preparazione, perché l’ascoltatore capisce dopo 30 secondi se hai studiato la partita o meno, voce pronta a cambiare modulazione in linea con lo svolgimento dell’azione, e imparzialità”. Cercare di descrivere le azioni in modo sequenziale, raccontare più particolari possibili, sbagliare meno possibile. Studio e competenza sono alla base. Ma poi ciò che fa la differenza è la capacità di emozionare, toccare il cuore della gente.
IL DIFETTO PIÙ GRANDE DI UN RADIOCRONISTA? La predisposizione al mal di gola. Scherzo, ma non troppo. Dal punto di vista tecnico, direi che occorre evitare di trasformarsi in commentatori. C’è una definizione del collega Enzo Tamborra, persona che stimo molto, che credo riassuma
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il nostro ruolo: siamo fotografi. Immortaliamo l’attimo con la voce. Il mio? Non riuscire sempre ad essere sequenziale. È l’effetto della velocità del calcio moderno e degli stadi come il San Nicola. Nel mio caso avere la scrivania invasa da foglietti e appunti di ogni genere.
COSA RAPPRESENTA PER I TIFOSI LA SUA TRASMISSIONE? Permettetemi di definirla la nostra trasmissione. Passione Bari è figlia della fiducia di una dirigenza, della collaborazione costante con il responsabile Paolo Ruscitto e della presenza di chi è stato ed è parte dello staff. Credo che i tifosi apprezzino il fatto che non siamo mai andati oltre le righe, non abbiamo mai provato ad accattivarci nessuno. Abbiamo sempre fatto dell’informazione e dell’immediatezza i nostri cavalli di battaglia. E così sarà in futuro. Mah, spero un modo per seguire la partita del Bari in modo affidabile attraverso una radiocronaca appassionata, ma obiettiva. Da sempre Radiobari e Telebari rappresentano la casa dei tifosi del Bari. Un legame che si è rafforzato ulteriormente dopo l’annuncio di Radiobari come radio ufficiale della SSC Bari. Abbiamo portato in casa i loro beniamini, cosa chiedere di più?
CON TUTTA LA TECNOLOGIA A DISPOSIZIONE OGGI È PIÙ FACILE RACCONTARE UNA PARTITA IN RADIO? Sicuramente c’è più completezza. Ad esempio, con Radio Selene abbiamo associato il video alla diretta dallo stadio, con inquadratura sul radiocronista, e la diretta video dallo studio di Bari. Sicuramente ci sono più mezzi per preparare una partita, soprattutto in serie D. Ma senza preparazione, avresti difficoltà a decodificare una tale mole di informazioni. No, perché se vai a vedere il mezzo che uso dopo 42 anni e mezzo è sempre il telefono. Ovviamente più affidabile, ma sempre il telefono. Non so se sia più facile, di certo la tecnologia aiuta.
QUALCHE RIMPIANTO? Sul lavoro? Ho avuto la possibilità di lavorare con la più importante pay-tv d’Italia in due distinti periodi della mia vita. Fa parte del passato, sono stati mesi nei quali ho imparato tanto e ho avuto modo di coltivare contatti ancora presenti nella mia vita e nella professione. Quindi, fondamentalmente, nessun rimpianto. Devo essere sincero? Non aver mai potuto seguire il Bari in una competizione europea che non fosse il torneo anglo-italiano. Mai dire mai.
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Non mi piace vivere di rimpianti ma forse uno ce l’ho. Una importante occasione lavorativa non colta al volo, quei treni che spesso passano una sola volta nella vita. E chissà quale direzione avrebbe preso la mia carriera...
LO STADIO CHE L’HA COLPITA DI PIÙ? Il Barbera di Palermo. Una tribuna stampa attrezzata nel minimo dettaglio, con schermi personalizzati per ogni cronista e una visuale perfetta della partita. Chapeau. San Siro. È un cinema e poi uno dei templi del calcio in tutti i sensi. Quando ci metti piede avverti sensazioni particolari. Quando fa registrare il tutto esaurito e senti la terra tremare sotto i piedi hai pochi dubbi: vince sempre il San Nicola. Vale come risposta o sembra troppo ruffiana?
COME È IL TIFOSO DEL BARI? Innamorato, follemente innamorato. Al ristorante, in piazza, sui social ti chiede sempre della sua squadra. Ma, non è piaggeria, quasi mai mi è capitato che accadesse in maniera invadente, o poco educata. Alcuni calciatori e allenatori in passato hanno parlato della pressione di Bari. La verità è che tanti qui hanno vissuto periodi irripetibili delle loro carriere. Avercene, pressioni così... Passionale, che quindi passa dalla depressione all’euforia (e viceversa) in una notte, che sa apprezzare il buon calcio. Ma attenzione: guai se lo prendi per fesso! Straordinariamente passionale. Se dovessi descrivere l’amore prenderei come riferimento l’unione tra i tifosi biancorossi e la squadra di calcio. Non serve aggiungere altro.
COLPISCE UN PARTICOLARE: IL RADIOCRONISTA È SEMPRE DA SOLO, IN UN ANGOLO DELLO STADIO Ma credo sia qualcosa di estremamente affascinante. Sei un po’ in trincea, passatemi la metafora. E avverti la responsabilità di trasmettere ai tifosi, quindi al pubblico non neutrale per eccellenza, il racconto di ciò che in quel momento per loro è probabilmente la cosa più importante al mondo. Per farlo è quasi necessario isolarsi. Accanto a me “accetto” la presenza di mio padre, che spesso è allo stadio con me. Paga regolarmente il biglietto, sia chiaro. Io amo essere da solo. Nei sessanta minuti che precedono la partita devo stare solo per concentrarmi al massimo. Saluto tutti meccanicamente, ma in quei momenti non riconosco neanche i colleghi. Vero, a me capita spesso. Cerco di entrare in sintonia con l’ambiente e poi focalizzo lo sguardo sul terreno di gioco. Lì non si può sbagliare, serve massima concentrazione. 15 dicembre 2018 anno II n. 17
LA SUA PASSIONE ALLA FINE È DIVENTATO UN LAVORO. SI CONSIDERA FORTUNATO? Ho una foto in casa. A 4 anni, passeggiando per Bologna, mentre leggo un giornale più grande di me. E più volte nei viaggi in auto con i miei per partire per le vacanze, inventavo partite e le raccontavo. Quanta pazienza hanno avuto. Volevo fare questo lavoro, lo faccio e lotterò per farlo sino a che ne avrò le forze e la voglia. Fortunato? Fortunatissimo! Quando sarò davanti al Signore dopo averlo ringraziato per avermi dato salute, una buona famiglia di origine ed una famiglia fantastica in cui vivo ora, gli darò un bacio e lo ringrazierò per avermi fatto fare un lavoro che altri pagherebbero per svolgere. Raccontare il Bari per 42 anni e mezzo, senza soluzione di continuità! Cosa avrei potuto avere di più dalla vita? Ed essere voluto bene dalla gente comune. Certo, poco amato dai dirigenti e calciatori, ma questo non mi è mai importato nulla. Era ciò che sognavo da bambino. Quindi sì, mi considero fortunato.
SE DOVESSE SCOMMETTERE SU QUALCUNO PER LA SUA SUCCESSIONE? Ho 30 anni, è troppo presto per pensarci. Soprattutto non ho un’eredità da cedere, quindi non possono esserci successori. Sono ancora nell’età del laboratorio, del miglioramento e della sperimentazione. Mi sono però fatto una promessa: se un giorno dovessi accorgermi di non averne più, mi fermerò e cederò il passo a colleghi più giovani. Questo è un lavoro che vive di emozioni, quando non ne provi più andare avanti è solo deleterio. Per te e per chi ti ascolta. E che sono un Papa? Enzo Tamborra è più giovane e più bravo di me. Un ragazzo eccezionale che non ha mai piegato la testa. Su di lui non ci sarebbe da scommettere nulla, è una certezza. Poi ci sono i colleghi di Rete Selene che stanno crescendo bene. Nella loro generazione non credo abbiano rivali Fatemi capire... mi volete già rottamare?
C’È QUALCOSA CHE VORREBBE AVERE DEGLI ALTRI COLLEGHI? A far nomi si rischia sempre di commettere un torto. Mi soffermo sulla stampa barese: credo sia molto più competente di quanto qualcuno voglia far percepire. La stima per i colleghi con tanto di nome e cognome, però, preferisco manifestarla in privato. Sta venendo su una bella generazione di Under 40 e ci sono dei riferimenti importanti che stanno lasciando dei germogli interessanti. Sì, l’età più giovane. I miei 65 anni in tutta onestà non li avverto. Però ce li ho! No. Ognuno è speciale a modo suo.
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Ottimo passo di base, rapido e dotato di una notevole accelerazione
SINISTRO È “fatato”: in grado di alternare potenza a parabole delicate provandoci da ogni posizione
presenze
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RUOLO esterno offensivo trequartista
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u2 -gi
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gol
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RIA ND F. A
(C)
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presenze
(C) NTO TARA
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PAGANESE (C)
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l. (C )
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SICU LA
BA R I (D )
018
201 7-2
gen-giu 2017
2016
6 01
FO GG IA (C)
VISIONE DI GIOCO Lucido nella giocata e nell’ultimo passaggio, mai troppo egoista
DESTRO L’eccellente tecnica di base gli consente di utilizzarlo pur essendo un mancino naturale
PISA (C 1)
2013 -2014 20 14 -20 16
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IL POSTER
BR il
Mauro
BOLLINO Data di nascita: 31-12-1994 (23 anni) Luogo di nascita: Palermo Altezza: 171 centimetri Peso forma: 72 kg
VELOCITÀ
DRIBBLING Uno dei marchi di fabbrica: nell’uno contro uno sa essere letale
COLPO DI TESTA Taglia piccola il gioco aereo non è il suo forte
PERSONALITÀ Non ha paura di tentare la giocata difficile, serve maggiore presenza nel match
PRESTANZA FISICA Misure armoniche baricentro giusto Regge il contrasto
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BR
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CALCIO GIOVANILE
ATTOLICO E L’ATTACCAMENTO ALLA MAGLIA IL CAPITANO SI È INFORTUNATO DOPO UN INCIDENTE STRADALE. A GENNAIO SI OPERERÀ. E HA TANTA VOGLIA DI RIVINCITA Francesco Damiani
È
fuori causa da un mesetto per un incidente stradale, ma Davide Attolico da buon capitano, resta vicino ai suoi compagni della Juniores e non vede l’ora di poter tornare in campo anche se i tempi sono ancora piuttosto lunghi. Attolico, sta finendo l’anno e verrebbe quasi voglia di dire meno male. «Non proprio. Calcisticamente il mio anno è già finito da qualche settimana, ma voglio lasciarmi l’incidente alle spalle e lavorare per tornare a settembre in perfetta forma. A gennaio potrò finalmente operarmi e cominciare a pensare al rientro». Da capitano della squadra sta seguendo i suoi compagni che stanno facendo bene in campionato. «Non avevo nessun dubbio al riguardo. Sapevo che avrebbero dato il massimo in ogni partita perché molti sanno cosa significa indossare questa maglia visto che sono qui già da qualche stagione. Ma tutti quanti, ogni volta che vengono chiamati in causa dal mister si fanno trovare pronti per dimostrare di essere all’altezza del compito e la classifica più in là potrà darci ancora più soddisfazioni». Cosa significa indossare la maglia del Bari dopo l’estate più brutta nella storia della società, soprattutto per chi come lei torna qui dopo qualche anno in altre società? «È una questione fondamentale per tanti di noi. Le offerte non ci mancavano, ma chi è rimasto qui lo ha fatto pur sapendo di dover ricominciare da una categoria inferiore rispetto a quella che il Bari merita. Chi era già qui era abituato a giocare nei campionati giovanili nazionali e si è ritrovato nella Juniores. Bisogna fare un applauso a chi 15 dicembre 2018 anno II n. 17
«BISOGNA FARE UN APPLAUSO A CHI È RIMASTO PER INDOSSARE LA DIVISA DELLA PROPRIA CITTÀ»
è rimasto. E poi è bellissimo indossare la maglia della propria città e non tutti hanno questa possibilità». Quando siete entrati negli spogliatoi per i primi allenamenti, voi veterani del gruppo vi siete guardati in faccia e cosa vi siete detti? «Non servivano le parole, bastavano gli sguardi per capire che c’era da ricominciare qualcosa di importante. Bisognava lavorare a testa bassa e mettersi a disposizione del nuovo allenatore. Ci conoscevamo soltanto in quattro o cinque, gli altri erano tutti nuovi. Ma quando siamo entrati in campo, mister Alfieri ci ha fatto un discorso importante, ci ha fatto capire che con il sacrificio e l’impegno avremmo potuto ottenere buoni risultati e ognuno avrebbe potuto migliorare anche singolarmente». A quale giocatore si ispira? «Ce ne sono due che se uniti darebbero vita a un giocatore incredibile e sono Sergio Ramos e Chiellini. Il primo ha qualità, stile di gioco e classe. Chiellini, invece, è un difensore che quando decide di non far passare nessuno, ci riesce». Che sogni ha da calciatore? «Più o meno gli stessi di tutti quelli della mia età. Ci credo molto, e questo mi aiuta a superare i sacrifici che si fanno per conciliare il calcio e lo studio». Se dovesse andar male con il calcio? «Non trascuro la scuola. Frequento il quinto anno del liceo scientifico sportivo. A causa dell’incidente, ho più tempo per dedicarmi allo studio e vorrei provare a entrare alla facoltà di medicina oppure di farmacia. Se proprio dovesse andar male, vorrei comunque tentare di restare nell’ambito scientifico-medico».
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IL RITRATTO
TIVELLI
BARI SEI SEMPRE NEL CUORE
FUNAMBOLICO PREDATORE CHE CON I SUOI SCATTI BRUCIANTI E I SUOI DRIBBLING PORTAVA SCOMPIGLIO IN AREA AVVERSARIA 20
Nicola Lavacca
I
l funambolico predatore che con i suoi scatti brucianti e i suoi dribbling portava scompiglio in area avversaria. Nel suo lungo girovagare tra i campi del Meridione d’Italia, il prode Costante Tivelli si è fermato due volte a Bari. La prima nella stagione ’75-’76 in C, la seconda nel campionato ’78-’79 ai tempi della B. Veneto doc nativo di Corbola vicino Rovigo, approdò in biancorosso dopo una strepitosa annata con la Reggina nella terza serie (17 reti all’attivo). Da lì cominciò l’esperienza barese del “Keegan del sud”, al fianco di un altro estroso dribblomane come Italo Florio. Non a caso i tifosi che gremivano gli spalti del glorioso stadio “Della Vittoria” coniarono un motto piuttosto eloquente: “con Florio e Tivelli sono i gol più belli”. Un auspicio più che altro e la speranza di salire al proscenio dell’allora serie C, dopo aver visto all’opera nelle prime partite i due frombolieri. Tivelli, classico attaccante brevilineo, ci mise come sempre ardimento e generosità riuscendo spesso a scaldare la platea. Non andò oltre le 6 marcature (i migliori realizzatori furono Scarrone e Sciannimanico con 7 centri a testa) e il Bari si piazzò terzo nel campionato vinto poi dal Lecce. «C’era tanto entusiasmo in quella stagione che doveva rappresentare il ritorno in serie B - racconta Tivelli, 65 anni compiuti a giugno scorso -. Il presidente De Palo mi volle in squadra a tutti i costi e venni accolto calorosamente da una tifoseria alla quale sono molto affezionato. Purtroppo, non centrammo l’obiettivo. Se non mi sbaglio ci furono tre cambi di allenatore. Ma, per me fu comunque un’esperienza esaltante. Contro la Vastese (3-2 ndr) segnai uno splendido gol all’incrocio dei pali. Era un calcio molto diverso da quello di oggi. Anche tra noi giocatori c’era un rapporto di amicizia sincero. Ricordo ancora con molto affetto l’indimenticato Tonino D’Angelo, ragazzo eccezionale, come pure gli altri due baresi Frappampina e Sciannimanico. Io condividevo insieme a Consonni uno stanzone sopra gli spogliatoi dello stadio “Della Vittoria”. Abitavamo lì. Allora bisognava fare di necessità virtù». Dopo due stagioni con Messina e Salernitana, il ritorno a Bari nell’estate del ’78. «Il Bari era in B guidato dall’allora presidente Antonio Matarrese che ho sempre stimato. Fui felice di vestire nuovamente la casacca biancorossa. Anche quell’anno si avvicendarono tre allenatori (Santececca, Corsini e Catuzzi ndr) e diventò difficile venirne a capo. Raggiungemmo, comunque, la salvezza. In
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IL KEEGAN DEL SUD
Tivelli a segno durante una partita disputata con la maglia biancorossa Nella pagina accanto, Tivelli oggi
attacco c’erano Stefano Pellegrini e Gaudino. Essendo alto un metro e 69 facevo leva sullo scatto e la rapidità puntando l’avversario che il più delle volte era costretto a mettermi giù in area. Mi procurai così parecchi rigori che poi Manzin calciò da par suo. Io realizzai 4 gol, forse avrei potuto farne qualcuno in più. Tuttavia, anche la seconda volta a Bari fu entusiasmante. Il calore dei tifosi che mi volevano un gran bene, le passeggiate con gli amici in via Sparano. Davvero tanti bei ricordi». Costante Tivelli vive ad Adria e fa il team manager dei dilettanti del Loreo, in carriera ha segnato 150 reti. Indimenticabili tre sue prodezze, tutte contro il Milan: il gol di destro (lui che era un mancino puro) dell’1-1 quand’era col Foggia nella partita di San 15 dicembre 2018 anno II n. 17
I TIFOSI CONIARONO IL MOTTO: «CON FLORIO E TIVELLI SONO I GOL PIÙ BELLI»
Siro, il rigore vincente che mandò al tappeto i rossoneri allo “Zaccheria” ed infine sempre al “Meazza” al cospetto della formazione milanista il bolide con cui la Cavese (il suo team di allora) conquistò la memorabile vittoria per 2-1. «Sono alcune perle del mio lungo percorso - sottolinea con un pizzico di emozione -. Però, anche col Bari mi sono tolto parecchie soddisfazioni. Una città ed una squadra che porto nel cuore. Ci sono rimasto molto male per l’inattesa caduta in serie D. Ma, la rinascita è già in atto. Con De Laurentiis sono sicuro che i biancorossi torneranno presto sui livelli a loro più consoni. Chissà che un giorno non riesca ad assistere ad uTna loro partita in serie A, allo stadio “San Nicola” dove non ci sono mai stato».
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AMARCORD
CAVONE
L’ATTACCANTE SFORTUNATO Gianni Antonucci
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o chiamavano tutti Severino ma il suo vero nome era Sabino, dal cognome Cavone. Era nato a Bari il 23 ottobre 1923, ma all’anagrafe papà Vito lo iscrisse il 4 novembre, data storica a ricordo della vittoria della Prima guerra mondiale (1915-18). Da ragazzino praticava atletica e pallacanestro, ma la sua grande passione era per il calcio. Senza alcuna raccomandazione riusciva ad entrare nel gruppo dei “ragazzini” del Bari, distinguendosi così come attaccante dal fiuto per il gol. Era subito paragonato al grande Faele Costantino, il “reuccio”, anche per il ruolo ala destra - in cui giocava, per lo scatto e per la forza in zona di tiro. A poco più di 18 anni, debuttava in serie B col Bari nella vittoriosa trasferta di Alessandria (1-0) del 22 marzo 1942. Quindi il prestito al Lecce, per poi segnare il primo gol da copertina (dopo il torneo dell’Italia Libera) contro la Fiorentina allo stadio il 4 novembre 1945, proprio quando festeggiava il suo 22° compleanno. Diventava l’uomo-gol del Bari nel primo torneo di A del dopoguerra, realizzando gol all’Atalanta (suo primo in A, il 10 novembre 1946), al Vicenza, alla Roma, a Trieste, a S. Siro contro il Milan
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MEMORABILE UNA DOPPIETTA AL MILAN SUL CAMPO DI SAN SIRO SEGNÒ ANCHE A ROMA CONTRO LA LAZIO
(una doppietta memorabile), a Roma contro la Lazio. Tutte partite vinte dai biancorossi. Cavone diventava uno dei calciatori più seguiti nel mondo del pallone che si rialzava dopo lo stop bellico. Era proprio il ct della Nazionale Vittorio Pozzo, all’inizio del nuovo torneo di A (1947-48), a convocarlo per un primo “raduno azzurro” a Vercelli. La notizia esaltò non soltanto il calciatore ma tutta la tifoseria barese. Nella sua abitazione accorsero giornalisti e fotografi. Il compianto Italo Del Vecchio (che già aveva evidenziato le doti calcistiche di Cavone in occasione della presenza del Bari nella prima schedina del Sisal, poi Totocalcio) il 2 maggio 1946, scriveva un lungo articolo nel quale si evidenziavano le qualità tecniche e morali di un calciatore, barese autentico, che sembrava ormai emulo di due grandi del passato: Faele Costantino e Ninì Grossi. Papà Vito e mamma Angela dichiaravano al giornalista «Severino è bravo quasi in tutto: non beve, non fuma, la mattina si alza presto. Eppure ci ha fatto dannare perché voleva giocare al calcio mentre noi genitori volevamo che continuasse gli studi all’isti15 dicembre 2018 anno II n. 17
DOVEVA DEBUTTARE IN NAZIONALE QUANDO SI INFORTUNÒ SERIAMENTE REALIZZÒ 16 GOL COL BARI MORÌ A 53 ANNI CADENDO DA UN ALBERO
CAVONE
tuto commerciale. Ora che Severino è stato convocato per la Nazionale non possiamo lamentarci». Il “sogno azzurro”, però, rimaneva tale perché dopo il primo infortunio contro il Modena, nella gara col Modena del 2 novembre 1947 (un mese prima del suo possibile esordio azzurro contro la Cecoslovacchia a Bari in programma per il 14 dicembre 1947) Cavone si infortunava seriamente. Niente più Nazionale, poco e niente col Bari. L’attaccante cercava di riprendersi ma non riusciva a tornare quello di prima. Continuava col Bari sino al 1952, poi finiva col “divertirsi” giocando nel Palo del Colle, in prima divisione. Smetteva e non si occupava più di calcio. Dirigeva una drogheria in via Crispi. Si ammalava di diabete. Il 6 giugno 1976 cadeva da un albero di ciliegie e, dopo il ricovero, moriva precocemente a 53 anni. Nel periodo dal 1952 al 1976 aveva sempre piacere di ricevere amici e tifosi nel suo negozio. Non si esaltava nel raccontare le sue imprese ed i suoi gol in biancorosso ma preferiva parlare dell’ambiente, delle persone che gli erano state vicino e che lo avevano impressionato. Ricordava spesso quella 15 dicembre 2018 anno II n. 17
A sinistra: l’infortunio che ha condizionato la carriera, In alto: con Tontodonati, e, a destra, la Nazionale del ct Pozzo
che era la prassi per ogni trasferta. Riferiva gli avvertimenti che la società consegnava all’accompagnatore della squadra. “Non potevamo- diceva Cavone - essere più di 18. C’era, poi, un assoluto divieto agli estranei di sedere alla stessa tavola di noi calciatori i quali potevamo usufruire di eccezionali “anticipi” sulla paga del mese. Gli incassinon erano elevati. Il biglietto di tribuna laterale costava solo 400 lire mentre per ragazzi, mutilati, reduci di guerra, militari di bassa forza, partigiani, ex combattenti muniti di tessera per entrare allo stadio bastavano solo 200 lire”. Non amava descrivere i suoi gol, specialmente i due segnati a San Siro contro il Milan in una partita raccontata per l’intero secondo tempo dal popolare radiocronista Nicolò Carosio. Cavone, nella sua non lunga milizia in prima squadra, ha totalizzato col Bari 104 partite di cui solo 2 in B, segnando 16 gol: 2 nel Centrosud 1945-46, e poi in A; 7 nel 1946-47, 2 nel 1947-48, 5 nel 1948-49. I suoi gol nel 1946-47 portarono il Bari al quarto posto in A a fine girone d’andata. Un evento non più ripetutosi nella lunga storia del Bari.
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IL DEBUTTO
IL SAN NICOLA SI TINGE DI
ROSA
PRIMA VOLTA DELLE RAGAZZE DELLA PINK ALLO STADIO SAN NICOLA SI GIOCA OGGI, 15 DICEMBRE ALLE 14.30 CON LA ROMA INGRESSO GRATUITO
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IL PALLONE VA ALLA GUERRA
SAVARESE E LOJACONO DAI CAMPI DI CALCIO ALLA MORTE IN TRINCEA
IL PRIMO PORTIERE DELL’IDEALE, IL SECONDO GIOCATORE DEL LIBERTY L’ASSURDO DESTINO DI TERIOLI. E ANTONELLI FA IL FOTOGRAFO DALL’ALTO 26
Gianni Antonucci
L
o scoppio della Prima Guerra Mondiale (1915) aveva fermato un po’ tutte le attività agonistiche, e non soltanto a Bari. La febbre del pallone, da pochi anni accesasi con le brevi sfide fra Ideale e Liberty, due squadre partorite dal Bari fondato nel 1908, veniva archiviata. Diventavano già “ricordi” le partite con le tarantine Pro Italia. Il Liberty spesso si cimentava in amichevoli con l’Associazione Barese Calcio. C’erano pure modeste formazioni sotto l’insegna di Junior e di Viridis. Squadrette rimaste meteore e, quindi, durate per breve tempo. Poi, più nulla. Nel 1913 dopo l’ultima sfida tra Liberty ed Ideale, a fine dicembre 1913, cessava ogni attività proprio il Liberty. Chiudeva anche l’Ideale. C’era già la guerra. Tanti i giovani in guerra , non del tutto convinti di quello che stava accadendo. Non saranno pochi, in seguito, a sostenere che fu una inutile carneficina (4.572 caduti di Bari e provincia, ben 28.195 in tutta la Puglia). Le due più anziane società sportive baresi, l’Angiulli e il Barion, non svolgevano più attività agonistica, donando le medaglie sino a quel momento vinte. Fra i tanti che da Bari e dalla Puglia partirono per il fronte due giovani atleti sognarono di poter, un giorno, entrare da vittoriosi nella città di Trieste, finalmente italiana. Ci riuscirà, comunque, un altro barese autentico, Pietro Starita, al comando del cacciatorpediniere Audace, la prima nave ad ormeggiare nel porto triestino. Purtroppo, il sogno nel cassetto rimase tale per due diciassettenni (arruolati come volontari), che giocavano a calcio: Gabriele Savarese, portiere dell’Ideale, e Carluccio Lojacono, del Liberty. Entrambi morirono, colpiti dalle cannonate nemiche, in una trincea di montagna. Gabriele Savarese nel 1913 aveva partecipato quale portiere al campionato pugliese di II Categoria con la Viridis. Era diventato vicepresidente dell’Ideale nello stesso momento in cui veniva chiamato in grigio-verde e partiva per il fronte. Si legge nel numero di maggio 1915 del settimanale “Il Football”: “Tutti i soci e i calciatori dell’Ideale il 10 dicembre 1914 accompagnarono alla stazione il giovane sottotenente che, pieno di entusiasmo e di fede, partiva per combattere contro il secolare nemico”. Assurda la morte del capitano Anania Terioli tre giorni prima dell’armistizio firmato il 3 novembre 1918. A giugno, gli veniva conferita la medaglia d’argento al valore militare per essersi distinto con coraggio sul 15 dicembre 2018 anno II n. 17
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LOREM IPSUM
Monte Solarolo. Con la medaglia d’argento c’era pure il cosiddetto “soprassoldo” di 250 lire annue che, purtroppo, il capitano Terioli non poté mai utilizzare. Apparteneva al 23° Reggimento fanteria ed era pronto, dopo le imprese eroiche in prima linea, a festeggiare la sua promozione a maggiore. Il 1° novembre 1918 un caccia austriaco mitragliò a bassa quota la sua postazione, uccidendolo. Le sue spoglie si trovano a Bari, nel cimitero monumentale dei caduti. Autentico campione di sport, il giovane Pasquale Antonelli, nato a Bari nel 1897, aveva 18 anni quando fu chiamato alle armi nei bersaglieri. I baresi lo conoscevano per la straordinaria bravura come canottiere al servizio del famoso circolo Barion. Per la sua statura atletica imponente, ricoprì il ruolo di sentinella al Quirinale. Un bersagliere 15 dicembre 2018 anno II n. 17
VITE SPEZZATE Nella pagina accanto, Lojacono, il primo da destra, morto sul campo di battaglia In alto, Terioli, medaglia d’argento al valore militare
al servizio del re. Quando, però, le autorità militari vennero a conoscenza del fatto che Antonelli era un provetto fotografo, lo dirottarono subito al fronte con uno specifico incarico: salire nel cestello di un gigantesco pallone aerostatico, fotografare dall’alto le postazioni nemiche e seguire i loro spostamenti. Giuseppe De Benedictis era nato a Bari l’11 novembre 1895; praticava diverse discipline sportive: era campione regionale pugliese di salto in alto, salto in lungo, corsa piana (fondo e mezzo). Inoltre, centravanti nell’Ideale, si distingueva in memorabili incontri con il Liberty. Allo scoppio della Grande Guerra veniva arruolato in sanità e inviato in zona di operazioni: successivamente prestò la sua opera negli ospedali militari.
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L’AVVERSARIO
ROTONDA IL FANALINO DI CODA Vito Prigigallo
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e gli ultimi saranno i primi, a quando la rivoluzione? Forse in un mercoledì di dicembre con l’ultima in classifica dell’ultimo (geograficamente parlando) girone della Serie D – il Rotonda Calcio - che vince in trasferta (per l’esattezza a San Cataldo) e in 90’ conquista la metà dei punti collezionati nelle 14 gare precedenti. La gioia in casa di Franco Bruno (presidente onorario, il patron dei lucani, uno di quelli che non la manda a dire, fumino quanto basta per beccarsi lo scorso gennaio cinque mesi di squalifica) mancava dal 16 settembre: allorquando il Rotonda aveva battuto il Marsala con un gol del 28enne uruguagio Ignacio Flores (uno dei quattro sudamericani portati da Bruno sul Pollino) e aveva fatto presagire chissà quali sfracelli. Mentre il torneo sarebbe poi proseguito stancamente con 10 sconfitte e 3 pareggi. Insomma, il Rotonda dei latinos non funziona. A meno che, Baratto non riesce nell’impresa. LE TERMOPILI L’impianto dove si esibirà la banda di Cornacchini è intitolato a Gianni Di Sanzo e sorge lungo la provinciale 28 detta “Calabra”. Il paese – circa tremilaquattrocento anime – sorge all’estremo sud della Basilicata, in provincia di Potenza ed è come incastonato, oltre che nel Pollino, nella Calabria settentrionale. Terra di briganti, di lotte sanfediste. Un ufficiale borbonico, tale Domenico Colella, paragonò le valli del Pollino alle Termopili. E questo intendono fare i pollinei domenica col Bari. NUMERI Baratto adotta il modulo 4-3-3, con la difesa rafforzata da Gabriele Pastore, 25 anni,, uno degli artefici del successo sulla Sancataldese. Giulio Orlando invece, arrivatoi martedì, non ha preso parte al match del turno infrasettimanale: 23 anni, difensore, ha giocato nel Troina, avversario di mercoledì al San Nicola, ha giocato nella prima parte della stagione al Siracusa con 10 presenza in C. 15 dicembre 2018 anno II n. 17
LA SQUADRA Lo stemma e,in alto, la squadra impegnata nel campionato di serie D e l’allenatore Baratto
In casa il Rotonda ha perso 4 volte ed ha conquistato 2 dei 3 pareggi che alimentano una classifica magra ma sottoposta a cura ricostituente. PANCHINE ROTANTI Carmine Pugliese è stato allenatore del Rotonda da luglio dello scorso anno fino al 3 dicembre, all’indomani della sconfitta di Nocera. Il tecnico di Castrovillari era stato osannato la scorsa primavera e acclamato come l’artefice principale del ritorno in Quarta Serie della squadra lucana dopo oltre vent’anni. “Un tecnico umile, competente e vincente”. Doti che, evidentemente, sono servite a poco: alla formazione biancoverde, adagiata sul fondo della classifica sin dall’avvio della stagione; allo stesso coach che deve aver perso l’appeal, sacrificato sull’altare della “separazione” necessaria per dare una scossa all’ambiente. E così, dopo aver sondato la disponibilità di Alessandro Pellicori, ex attaccante di Avellino e Cosenza, ecco Giovanni Baratto. A dire il vero, per alcune ore il tecnico sembrava potesse essere Enzo Maiuri, il “milanese” già sulle panchine di Taranto, Nocerina e Casertana. Maiuri è diventato noto anche per uno straordinario gesto di fair-play: aveva imposto ai suoi di far segnare l’avversario passato in vantaggio al termine di un’azione con un avversario a terra. Maiuri era stato poi costretto a rassegnare le dimissioni perché accusato di aver voluto favorire la sua ex squadra. L’allenatore invece venne pubblicamente elogiato da Boban e Infantino. Con l’arrivo di Baratto, l’anno scorso al Manfredonia (esonerato a febbraio, con i sipontini in piena crisi) dopo aver guidato la Turris, le cose sembrava non fossero cambiate: sconfitta in casa con l’Igea Virtus e stop anche a Roccella. Fino a quando… e qui torniamo all’inizio della storia.
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GLI ANNI ‘70
DEBUTTANO LE STRISCE ROSSE Il Nostro Bari
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on solo maglie! Ad inizio degli anni Settanta ecco che la rosa del Bari sfoggia delle eleganti giacche con uno stemma a forma di scudo diviso in due parti, con l’acronimo A.S. (Associazione Sportiva) in dorato nella parte bianca, e la scritta “Bari” in quella rossa. Dopo decenni caratterizzati da divise monocromatiche, nella stagione di C del 1976-77 ne viene presentata una di colore bianco che riporta due strisce continue rosse sul lato sinistro della divisa. Anche il colletto e i polsini delle maniche riportano la stessa fantasia, ripresa poi 40 anni dopo in occasione dei 110 anni del club. Il portiere inoltre veste una divisa complementare a quella degli altri 10 calciatori di movimento, ovvero rossa con le strisce bianche. L’anno successivo in concomitanza con la promozione in serie B questa tipologia di maglietta viene confermata, e per l’estremo difensore De Luca è progettata una maglia apposita di colore verde con righe verticali e colletto biancorossi. Il 1978 è l’anno del primo sponsor tecnico che abbia mai caratterizzato una tenuta da gara del Bari: si tratta infatti del marchio Puma, che adorna le divise di Bagnato e compagni. La maglia risulta essere bianca con un ampio colletto a V rosso, su ambedue le maniche scorre una ampia striscia rossa che culmina in corrispondenza del polsino totalmente rosso. In alto a destra è il brand Puma, rappresentato dallo stesso carnivoro stilizzato, di colore rosso. Una foto di gruppo ritrae però il capitano Pellegrini con il logo sulla sinistra. La variante a manica corta è alquanto differente, poiché seppur rimanendo il polsino, lo stemma puma rossi e le strisce sull’arto superiore, cambia la conformazione del colletto che è ora triangolare composto da più V bianche e rosse in successione. Questa maglia è rimasta negli occhi e nel cuore dei tifosi baresi soprattutto per la semirovesciata realizzata da Gaudino in quel di Monza. La numerazione è rossa. La stagione 1979-80 porta notevoli cambiamenti nella divisa ufficiale del Bari: innanzitutto in termini di sponsor tecnico Puma lascia spazio a Pouchain, in più dopo 42 anni torna su una divisa ufficiale il galletto: è quello stilizzato dal grafico Piero Gratton e etichettato come lo stemma del Bari per eccellenza. Venendo alla divisa essa è sostanzialmente bianca con un colletto triangolare fiancheggiato da due bande orizzontali rosse che decorrono arrestandosi all’altezza della scapola, non proseguono quindi sul braccio. Il galletto è sistemato in alto sulla destra e diametralmente opposto ad esso vi è lo stemma della suddetta società di produzione di materiale sportivo, data da una lettera P rossa. I numeri sul retro della divisa sono neri.
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LA CLASSIFICA 1
Bari
39
2
Turris
30
3
Marsala
26
4
Cittanovese
23
5
Palmese
22
6
Nocerina
22
7
Gela Calcio
21
8
Castrovillari
21
9
Acireale
19
10
Città di Messina
19
11
Locri
18
12
Sancataldese
18
13
Portici
18
14
Troina
18
15
Roccella
17
16
Messina
13
17
Igea Virtus
10
18
Rotonda
9
LE PROSSIME PARTITE domenica 16 dicembre ore 14.30 ROTONDA - BARI domenica 23 dicembre ore 14.30 BARI - ROCCELLA Hai commenti, consigli, suggerimenti? Scrivi a:
ilbiancorosso@gazzettamezzogiorno.it
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