O BIANC ROSSO
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Supplemento al numero odierno de La Gazzetta del Mezzogiorno Anno II numero 19 / € 0,70 più il prezzo del quotidiano
periodico di informazione sportiva de
VERSO IL BIG MATCH
BRIVIDO TURRIS
FOCUS
DILEMMA BRIENZA
IL RITRATTO
L’UNDER BIANCHI
FASCETTI
MASINGA LEADER
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L’EDITORIALE
di Gaetano Campione
LA NOSTRA COREA C
’è una Corea calcistica per tutti. La nostra si chiama Cittanova. Un paese di 10mila abitanti alle pendici dell’Aspromonte che fino all’altro giorno nessun tifoso barese sapeva indicare con esattezza su un atlante geografico. Da domenica scorsa la situazione è cambiata. Parli di Cittanova e della Cittanovese e la gente continua ad arrabbiarsi. Prova sconforto. Perché non riesce a mandare giù lo schiaffo rimediato in terra calabrese del 3-2, costato l’imbattibilità dopo 19 partite alla squadra di Cornacchini. Perdere, ci può anche stare, in un campionato lungo. Magari con squadre più blasonate. Ma scivolare a Cittanova, grande meno di un quartiere del capoluogo pugliese, no. Consentire ad uno scatenato Francesco Napolitano di percorrere in lungo e in largo tutto il rettangolo di gioco prima di pennellare il cross del pareggio, senza che nessun giocatore avversario lo ostacolasse, fa male. Guido Ezequiel Abayan, Antonio Crucitti e Benito Cataldi hanno affondato la supercorazzata. Il trauma rimane vivo, il dolore è profondo, come quello per un crimine rimasto impunito. La cosa peggiore è che Cit-
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tanova la ricorderemo per sempre nella nostra storia calcistica. Una macchia indelebile nella squadra a caccia del record di partite vinte. In serie D si può perdere? Certo, Anche se il Parma non si è mai inceppato. La sconfitta con la Cittanovese non ha il sapore di una irrimediabile caduta, ma di una scivolata. O, forse, di un’autodemolizione, perché convincersi di essere i più forti, non sempre è la cosa migliore. Si possono perdere gli stimoli, si può compromettere la gestione emotiva del gruppo. L’eccessiva sicurezza gioca brutti scherzi: tre gol tutti insieme, alcuni evitabili con un po’ più di attenzione, i Brienza boys non li avevano mai incassati. Dopo la nostra Corea serve un momento di riflessione. Cornacchini deve ricucire un vestito competitivo attorno alla sua squadra, a cominciare da domenica con l’Igea Virtus, perché dietro l’angolo c’è il big match con la Turris. Una partita decisiva per gli obiettivi della società biancorossa. Si deve ripartire. Non è in dubbio il salto in serie C, quanto l’entusiasmo per godersi il momento di gloria. Anche se il fantasma della Cittanovese continuerà ad aleggiare sulla storia dei 111 anni del club. Un peccato: chi più ama, più rimane poi deluso.
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SOMMARIO
il Biancorosso anno II n. 19 Periodico sportivo de La Gazzetta del Mezzogiorno reg. Trib. Bari n. 12372EL1/81
BRIENZA
Direttore responsabile Giuseppe De Tomaso Edisud SpA piazza A. Moro, 37 - 70122 Bari www.lagazzettadelmezzogiorno.it A cura di Redazione sportiva Coordinamento Gaetano Campione
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Hanno collaborato Gianni Antonucci Francesco Damiani Michele De Feudis Gianluigi De Vito Filippo Luigi Fasano Davide Lattanzi Vito Prigigallo Il Nostro Bari Fotografie Luca Turi Archivio storico de La Gazzetta del Mezzogiorno Archivio Antonucci Giuseppe Corcelli Sergio Scagliola Saverio De Giglio Foto poster: A. Scuro
GALLETTI
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Stampa Dedalo Litostampa srl viale Luigi Jacobini, 5 70132 Bari
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MASINGA TORRE DEL GRECO
Progetto grafico e realizzazione Clara Specchia Concessionaria di PubblicitĂ Mediterranea SpA piazza A. Moro, 37 - 70122 Bari
BIANCHI
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FOCUS
DILEMMA BRIENZA PRESENZE
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GOL
MINUTI GIOCATI 569’
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SOSTITUZIONI SUBITE FATTE PARTITE SALTATE PARTITE IN PANCHINA
Davide Lattanzi
RESTA L’UOMO PIÙ RAPPRESENTATIVO DEL BARI E L’IDOLO DEI TIFOSI LA SCELTA DI VITA PIÙ CORAGGIOSA HA PORTATO AD UN PERCORSO CHE FORSE NON È STATO DORATO COME SI ASPETTAVA
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a scelta di vita più coraggiosa ha portato ad un percorso che forse non è stato dorato come si aspettava. Franco Brienza resta l’uomo più rappresentativo del Bari. Per il suo curriculum extra lusso, ma soprattutto perché è l’idolo dei tifosi. L’unico conforto che la piazza ha trovato nel momento più drammatico in 111 anni di storia. Non è sembrato vero che scegliesse la serie D dopo aver dimostrato anche lo scorso anno in B di essere ancora in grado di fare la differenza. Il popolo del San Nicola, così, ha ricevuto il regalo di vedere la maglia numero dieci indossata da chi ha spalle, personalità e classe per impreziosirla, anche tra i dilettanti. Malgrado le premesse, però, il fantasista di Cantù non è stato un inamovibile nel Bari edizione 2018-19. Tredici le presenze totalizzate in venti incontri di campionato, il conto sale a 14 se si considera il match di Coppa Italia contro il Bitonto. Solo in sette occasioni è stato titolare, mentre in sei occasioni è entrato dalla panchina. 569 i minuti totalizzati nelle sue apparizioni, alla media di 43’ 26 gennaio 2019 anno II n. 19
Perché sì In qualsiasi categoria Brienza resta pure sempre Brienza. Ovvero, il calciatore dotato di tecnica sopraffina, di carisma ed esperienza ineguagliabili, in grado di vedere trame inimmaginabili anche in serie A, di accendere la manovra con un’idea geniale o una giocata a sorpresa. Con lui la palla è in banca, lo sviluppo del calcio biancorosso diventa imprevedibile e fantasioso ed anche quando lui sembra brillare meno, si può rimanere sicuri che la sua presenza diventa benefica nei confronti dei compagni di reparto. In più, c’è il particolare determinante dei calci piazzati. Nessuno in D si avvicina nemmeno lontanamente al sinistro di Brienza. Che, sebbene non sia ancora andato a segno su punizione, ha centrato legni con Turris (traversa) e Messina (palo) dimostrando di non aver smarrito occhio e precisione. Senza dimenticare la capacità di rendere letali corner e palle ferme da posizione defilata. Un’arma preziosissima, soprattutto nei match tatticamente complicati.
a partita, ovvero meno di un tempo. In una gara soltanto, il genietto cresciuto nell’isola di Ischia ha disputato 90’ (contro la Palmese), rimediando la sostituzione soltanto sui titoli di coda, ma mai ha terminato completamente un incontro cominciato dall’avvio. Altra particolarità: il San Nicola è stato il suo teatro pressoché esclusivo, in trasferta è stato titolare solo ad Acireale e a Rotonda, mentre negli altri viaggi è partito puntualmente tra le riserve, talvolta limitandosi a piccole comparsate. E se le tre giornate di squalifica, retaggio della scorsa stagione (fu espulso a Cittadella, nel turno preliminare dei play off che decretò l’eliminazione del Bari dalla corsa alla serie A) sono state cause inevitabili di esclusione, stridono non poco i due match trascorsi interamente in panchina (con Roccella e Sancataldese). E allora il dibattito è aperto: Brienza è sempre l’uomo dei sogni biancorossi? Il suo talento è indispensabile oppure va centellinato? Ecco, allora, pro e contro sul suo utilizzo.
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Perché no Gli anni passano pure per lui. La corsa non può avere la costanza e l’intensità di qualche stagione fa, la tenuta non può coprire 90’ per 34 partite. Non bisogna, peraltro, dimenticare che dopo l’infortunio dell’aprile 2017, Brienza convive con un ginocchio malandato. Già nello scorso torneo di B, il fantasista ha impiegato oltre quasi due mesi per raggiungere uno buono stato di forma che gli consentì di diventare a tutti gli effetti il dodicesimo calciatore biancorosso: ovvero, l’uomo che, entrando dalla panchina, cambiava il volto delle gare. In questo torneo, però, non si è mai avuta l’impressione di vederlo a pieni giri. Lo spunto nell’uno contro uno non è devastante come ai bei tempi, le conclusioni a rete si sono rarefatte. Tuttavia, una cosa è certa: alla soglia dei 40 anni (li compirà il 19 marzo), questa gestione a singhiozzo certo non gli giova a trovare continuità nel rendimento e stabilità sul piano fisico. Forse bisognerebbe partire da lui nella compilazione della formazione: in fondo, i ritmi della D non sono forsennati e, nel girone di ritorno, non sono previsti turni infrasettimanali. Forse ci si può permettere Brienza in campo dall’avvio e valutarne strada facendo la gestione. Il campionato è ormai nel vivo: il Bari non può prescindere dal suo simbolo.
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LO SCONTRO DIRETTO
40 TURRIS Davide Lattanzi
Turris 40 punti (-2) vittorie 13 pareggi 3 sconfitte 4 gol fatti 45 gol subiti 15 differenza reti +30 capocannoniere: Longo 15 gol La prossima: Rotonda-Turris**
*FACILE **MEDIA *** DIFFICILE ****MOLTO DIFFICILE 8
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’appuntamento è fissato: il 3 febbraio. Turris e Bari si affronteranno nel match può decidere l’intera stagione. Chiuderla a favore dei biancorossi, oppure riaprirla per i campani. Lo dicono i numeri: si tratta delle migliori formazioni del girone. I galletti vantano la miglior difesa del raggruppamento, la Turris l’attacco più prolifico. Quasi identiche le differenze reti. Il divario attuale riguarda i punti, più che i fondamentali. I galletti ne vantano nove in più: frutto di un rendimento complessivo migliore, ma anche del -2 che grava sui rivali a causa di inadempienze amministrative. Molto probabilmente lo scontro diretto si svolgerà sugli attuali parametri. Perché la truppa di Giovanni Cornacchini affronterà in casa l’Igea, mentre quella di Fabiano sarà impegnata a Rotonda. In pratica, andranno in scena due testa coda, poiché i siciliani ed i lucani occupano rispettivamente il penultimo e l’ultimo posto in classifica ed entrambe oggi sarebbero retrocesse. Difficile che le formazioni di vetta, dunque, falliscano i propri impegni. Facile intuire che 26 gennaio 2019 anno II n. 19
49 BARI un blitz di Brienza e compagni nel confronto diretto genererebbe un +12 impossibile da rimontare. Ma che cosa accadrebbe se, invece, fosse la Turris a prevalere? Vale la pena dare uno sguardo al proseguimento del torneo per capire se i campani possano recuperare le sei lunghezze rimanenti. Nei dodici turni successivi, il Bari affronterà in casa Marsala, Acireale, Castrovillari, Gela, Portici e Rotonda, mentre in trasferta se la vedrà con Locri, Città di Messina, Palmese, Nocerina, Troina e Roccella. Sulla carta, quindi, le formazioni più forti saranno di scena al san Nicola, mentre i viaggi pericolosi sembrano solo quelli di Nocera e Palmi. La Turris, invece, sarà impegnata a Messina, Cittanova, Acireale, Castrovillari, Gela, Palmi e Portici, mentre riceverà Marsala, Igea, Locri, Città di Messina e Nocerina. Insomma, sette gare fuori casa ad alto tasso di difficoltà e solo cinque interne contro avversari abbordabili. Se anche i galletti cadessero nel match verità, avrebbero comunque dalla loro un buon +6 ed un calendario favorevole. 26 gennaio 2019 anno II n. 19
Bari 49 punti vittorie 15 pareggi 4 sconfitte 1 gol fatti 43 gol subiti 11 differenza reti +32 capocannoniere: Simeri, Floriano, Neglia 7 gol la prossima: 27 gennaio Bari-Igea Virtus*
*FACILE **MEDIA *** DIFFICILE ****MOLTO DIFFICILE 9
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IL PERSONAGGIO
BIANCHI IL GIRAMONDO VUOLE LA NAZIONALE ROMA, LAZIO, JUVENTUS E TORINO: QUATTRO MAGLIE “PESANTI” GIÀ INDOSSATE A 18 ANNI POI LA CHIAMATA DEL BARI AL QUALE NON SI PUÒ DIRE DI NO IL GIOVANE DIFENSORE SI RACCONTA A CUORE APERTO Filippo Luigi Fasano
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oma e Lazio, come Peruzzi e Manfredonia. Juve e Toro, come Serena e Quagliarella. Quattro maglie “pesanti” che si fatica ad indossare in una carrierà intera, figuriamoci fino ai 18 anni. Eppure è ciò che è capitato sinora ad Edoardo Bianchi, classe ‘99, primo puntello invernale del Bari di Cornacchini. Alla sua collezione ora si è aggiunto il biancorosso, dove il giovane difensore proverà a trovare la sua dimensione. E magari pure a riconquistare la Nazionale, dopo aver vestito l’azzurro dall’under 16 all’under 19. Gliel’avranno chiesto tutti: come mai così tante società? «Esperienze che mi hanno fatto crescere. Non mi pento. Cambiare per trovare più spazio? No, ho sempre giocato, tranne l’ultimo periodo a Torino». Dove pensa di essersi espresso al meglio? «Alla Juve, dove ho fatto il capitano e sono arrivate le convocazioni in Nazionale. È
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stato proprio un bel periodo (dal 2013 al 2016, nda)». Prima c’erano già state Lazio e Roma. Come sono i derby, a livello giovanile? «Molto sentiti, anche se eravamo piccoli. Partite belle, combattute. Mi è piaciuto, giocarle: più vittorie che sconfitte». Romanista o laziale? «Juventino, come mio padre Massimiliano. Giocava a calcio anche lui». È stato anche ad Empoli, trampolino per molti. «Forse l’esperienza che vorrei dimenticare. Mi aveva chiamato mister Dal Canto. In Nazionale under 17 ero il suo capitano, all’Europeo. C’era un progetto importante, che non si è realizzato». Quindi il ritorno a Torino, ma in granata. «Sono arrivato a gennaio (del 2018, nda). 26 gennaio 2019 anno II n. 19
Casa Italia Nazionale, passione di famiglia. Azzurrino di calcio Edoardo Bianchi, azzurro di pallacanestro suo cugino Nico Mannion, talentuoso play classe 2001 di cittadinanza statunitense che gioca in Arizona. Intenso ma già significativo il suo percorso con l’Italbasket: un Europeo under 16 concluso come miglior marcatore, l’esordio in nazionale maggiore lo scorso luglio, all’età di 17 anni, tre mesi e 17 giorni. Figlio di Pace, cestista professionista con lunga militanza in Italia, e della pallavolista Gaia Bianchi, Mannon è così diventato il quarto più giovane esordiente di sempre: «È un fenomeno – racconta di lui Edoardo – Va veramente forte. Lo seguo quando posso, in partita o tramite mia sorella Ludovica, che è sua coetanea e studia in America. E d’estate, se non ci sono partite e campionati, ci si vede ad Ostia».
Squadra già consolidata, difficile trovare spazio. Però con la prima squadra ho fatto ritiro e amichevoli». Com’è cambiare così tante città durante l’adolescenza? «Si matura più rapidamente dei propri coetanei. Andar via di casa a 15 anni non è semplice, soprattutto all’inizio. Ma ti aiuta a crescere prima». Terzino o centrale? «Centrale. Poi posso essere adattato a terzino. O giocare in tutte le posizioni di una difesa a tre». Gli almanacchi dicono che è 1,80. Alto ma non altissimo, secondo i canoni del ruolo. «Luoghi comuni, che quando arrivi nel calcio dei grandi puoi sfatare o meno. Ci sono appena arrivato, vediamo». Modelli? «Sono calcisticamente innamorato di Maldini. Incontrato? No, mai. Però ho conosciuto Cannavaro». 26 gennaio 2019 anno II n. 19
«PREFERISCO GIOCARE COME CENTRALE MA POSSO ESSERE UTILIZZATO IN TUTTE LE POSIZIONI DI UNA DIFESA A TRE»
La scuola italiana è ancora la migliore? «La storia dice che i più forti sono stati i nostri. Certo, abbiamo perso qualche colpo. Nelle scuole calcio bisognerebbe insegnare più a difendere, e meno ad impostare». A millenial, però, siamo messi bene, vero? «Confermo, ho giocato insieme a molti di loro. Come dimostrano gli esempi della nostra serie A. Penso a Kean, o a Zaniolo che sta meritando un posto da titolare». L’opportunità di Bari com’è spuntata? «Mi hanno chiamato ed eccomi qui. C’era poco da pensarci su, con una piazza così. Ho legato con tutti, sono belle persone prima che bravi giocatori. Consigli? Me ne dà Cacioli. Ma mi trovo bene anche con Mattera e Di Cesare». Ribaltiamo il gioco delle foto sui social. Lei, fra 10 anni dove si vede? «Il più in alto possibile. Risentiamoci per un’altra intervista e ve lo racconto».
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LA GIORNATA DELLA MEMORIA
L’OLOCAUSTO DI ARPAD
WEISZ Gaetano Campione
LA STORIA DEL GRANDE ALLENATORE DI INTER E BOLOGNA CHE SALVÒ IL BARI DALLA RETROCESSIONE DEPORTATO E UCCISO AD AUSCHWITZ NEL GENNAIO DEL 1944 12
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ra bravo. Ma era ebreo. Le due cose, a quei tempi, non potevano andare d’accordo. E sulla sua strada non ha trovato nessun Giusto che lo abbia potuto aiutare e salvare. Arpad Weisz nasce a Solt, Ungheria, il 16 aprile del 1896 da una famiglia di origine ebrea. E’ uno dei primi grandi calciatori ungheresi: ala sinistra dai piedi buoni, non segna spesso ma è molto bravo a servire i compagni. Ha una visione di gioco globale. In Italia, sbarca ad Alessandria. Poi alla grande Inter. Undici presenze e tre gol 26 gennaio 2019 anno II n. 19
prima di un infortunio che compromette la carriera di calciatore. Appende le scarpe al chiodo e diventa allenatore. Gli piace curare nei dettagli la preparazione atletica dei giocatori. E parla di tattica in campo. Concetto rivoluzionario. Ha fiuto, Weisz, anche nell’individuare i campioni. Come quando osserva un ragazzo delle giovanili e decide di promuoverlo immediatamente in prima squadra nonostante lo scetticismo di molti giocatori. “Balilla” era il termine con cui, in
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periodo fascista, venivano indicati quelli che erano bambini o poco più. Quel “balilla” si chiama Giuseppe Meazza. L’Internazionale diventa Ambrosiana per volere del fascismo che non gradisce quella parola e vince lo scudetto nel 1930. Lo scudetto di Meazza (31 gol) e di Weisz (a 34 anni è il più giovane tecnico a conquistare il titolo tricolore, record ancora imbattuto) che lancia “il sistema”, il suo modo di concepire il calcio, in contrapposizione al tradizionale “meto-
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LA GIORNATA DELLA MEMORIA
do”. Applica per la prima volta gli schemi, sostituisce i rilanci dell’epoca con i passaggi precisi e rasoterra, consente ai terzini di attaccare, crea il quadrilatero di centrocampo, avanzando i due mediani e arretrando le due mezzali. Una rivoluzione. Arpad la stagione successiva viene ingaggiato dal Bari. Un colpo storico. E’ come se nel capoluogo pugliese sbarcasse Mourinho. Il presidente Liborio Mincuzzi compie il miracolo.. La missione del tecnico è di quelle impossibili: salvare una squadra che al termine del girone di andata è ultima in serie A, campionato al quale partecipa per la prima volta. Il clima è rovente. I tifosi contestano. Durante la sconfitta in casa col Milan (5-2), scatta l’invasione. Weisz non si scoraggia. Il Bari comincia una marcia trionfale che si concluderà con la vittoria
OGGI UNA STRADA DI BARI È STATA A LUI INTITOLATA
sul Brescia (2-1) nello spareggio salvezza disputato a Bologna. Venticinque punti in classifica e niente retrocessione. Quando la squadra scende dal treno, il bagno di folla è inevitabile. L’allenatore sarà addirittura portato a spalla dai tifosi da piazza Massari fino a via Podgora, a Carrassi, dove abita. Poi, il ritorno all’Ambrosiana, l’esperienza nel Novara per tanti anni al vertice della serie A. Nel 1935 la chiamata del Bologna che vuole spezzare l’egemonia di una Juventus capace di conquistare, dal 1931 al 1935, cinque scudetti consecutivi. Sembra un’altra missione impossibile. Che si trasforma in un capolavoro. Il Bologna conquista il titolo con un punto sulla Roma, e concede il bis l’anno successivo sbaragliando Lazio e Torino. Nasce “lo squadrone che tremare il mondo fa”. Nel 1938 vengono promulgate le “leggi razziali”. Gli ebrei sono indesiderati, non possono lavorare e mandare i figli a scuola. Non c’è spazio per Weisz che si dimette e con la famiglia, la moglie Ilona più giovane di lui di 12 anni e i figli Roberto e Clara, raggiunge prima Parigi e poi l’Olanda. Il Paese dei tulipani sembra più tollerante e tranquillo. E poi la squadra degli ebrei olandesi è l’Ajax. Così riprende ad allenare. Tocca al Dordrecht, una squadra senza protese di studenti, ragazzini e operai. Che vola sempre più in alto nel campionato locale, batte il Feyenoord e ottiene un quinto posto. La Germania di Hitler però invade l’Olanda neutrale. Tutti gli ebrei vengono prima schedati, imprigionati e deportati. Weisz e la sua famiglia non hanno scampo: vengono prima reclusi nel campo di prigionia di Westerbork, lo stesso di Anna Frank, quindi, quando viene varata la “Soluzione finale”, finiscono ad Auschwitz. Ilona, Roberto, 12 anni e Clara, 8 anni, sono immediatamente dirottati a Birkenau, dove muoiono nelle camere a gas. Arpad no, finisce in un campo di lavoro nell’Alta Slesia, ma ormai è un uomo distrutto. Il suo destino è però segnato: dopo poco più di un anno viene spedito ad Auschwitz. Il 31 gennaio del 1944, a 47 anni, entra nella camera a gas e il suo cuore cessa di battere. Bari, non si è privata del ricordo di Weisz, il grande uomo di calcio e lo ricorda ancora oggi. A lui è intitolata una strada nei pressi dello stadio San Nicola. Nel giorno della memoria, per commemorare le vittime dell’Olocausto, ci sembra doveroso non dimenticare Arpad Weisz, il maestro del calcio europeo che salvò i biancorossi dalla retrocessione.
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L’IDEA
AAA CERCASI MUSEO Gaetano Campione
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ora, il museo. Una struttura fissa, che custodisca il Dna di campioni di sempre attraverso i 111 anni di storia biancorossa. Un museo stabile, magari in uno dei tanti spazi “dimenticati” dello stadio San Nicola, che racconti la nostra storia attraverso magliette, fotografie, pagine di giornali, palloni, filmati e diventi un punto di riferimento e di ritrovo per tutti gli appassionati, a prescindere dall’appuntamento col calcio domenicale. Un posto aperto a tutti nel quale si possano rivivere le emozioni delle sfide più intense, riscoprire i veri valori dello sport più bello del mondo e mantenere viva la fiamma della memoria. Il legame tra il calcio e la storia è profondo, rappresenta una opportunità per conoscere meglio la propria città, è parte integrante della cultura e del folklore di una comunità. Tutto questo non può essere disperso. Anzi, va raccolto e valorizzato. Se la premessa all’iniziativa è condivisa, la partita per il museo va giocata a tutto campo. Con una sinergia istituzionale, una “rete”, che deve chiamare a raccolta da una parte le istituzioni cittadine e sportive (Comune su tutti) e dall’altra quelle private (il club biancorosso non può restare indifferente). Una volta individuato il contenitore - se al San Nicola non si trovasse posto, c’è sempre l’arena della Vittoria - riempirlo non sarà un problema. Solo il materiale che ha 26 gennaio 2019 anno II n. 19
MANCA UNA CASA COMUNE CHE RACCONTI LA STORIA DEL PALLONE NELLA NOSTRA CITTÀ
a disposizione lo storico Gianni Antonucci, può soddisfare tutte le esigenze. Ma ci deve essere posto anche per quei collezionisti (tanti) impegnati a raccogliere e custodire cimeli del passato e del presente. Per la gestione, nessun problema. Ci sono le associazioni benemerite sportive, dai Veterani alle Stelle al merito, disponibili e interessate, soggetti giuridici in grado di superare tutti gli inghippi burocratici che potrebbero rallentare la macchina organizzativa, di colloquiare a pieno titolo col pubblico. Infine, La Gazzetta del Mezzogiorno. Il quotidiano ha 131 anni ed è pronto fornire il supporto necessario, in termini di archivio storico, così da far rivivere, attraverso le pagine e le cronache del giornale, le infinite emozioni biancorosse: un museo dotato di tecnologie interattive riporterebbe in vita il passato Non dovrà mancare la quota rosa, quello spazio, cioè, tutto dedicato al calcio femminile, settore sempre più in crescita. Se poi la visita al museo, dopo aver respirato la storia e la vita del club, si concludesse magari acquistando un ricordo, una maglia o un gadget, il cerchio si chiuderebbe alla perfezione. Ma Bari è una città ambiziosa? È disposta a credere a questa scommessa dove sport e marketing territoriale vanno a braccetto? Sarebbe ora.
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RUOLO
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gol subiti
BA RI
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presenze
Non ha paura di gestire il pallone ed è anche preciso sui rilanci
GIOCO CON I PIEDI
portiere
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compatto, pur con misure “ridotte” rispetto all’attuale tendenza sui portieri
PIAZZAMENTO Nonostante la giovane età, sa occupare la porta con padronanza e senso della posizione
ABILITÀ SUI RIGORI La grande elasticità può renderlo uno specialista: già un penalty parato in campionato
VIS PE SARO
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gol subiti
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IL POSTER
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Davide
MARFELLA Data di nascita: 15-09-1999 (19 anni) Luogo di nascita: Napoli Altezza: 182 centimetri Peso forma: 79 kg
REATTIVITÀ Uno dei suoi punti forti: si muove con grande agilità e potenza
PRESTANZA FISICA Armonico e
USCITA ALTA È uno dei fondamentali da migliorare: per ora la utilizza solo se necessario
USCITA BASSA Rapido e tempista è difficilmente superabile se l’avversario gli si presenta al cospetto.
PERSONALITÀ I leader della difesa sono Di Cesare, Mattera e Cacioli, ma non ha timore di farsi sentire
presenze
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111 ANNI CENTRO DI COORDINAMENTO
Si sono ritrovati in via Roberto da Bari, sotto la targa che ricorda la data del 15 gennaio 1908, anno di fondazione del club, per festeggiare i 111 anni di vita biancorossi
BUON COMPLEANNO BARI ALLA RICERCA DI VERITÀ E DI RISPOSTE 26 gennaio 2019 anno II n. 19
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l pregio di questo libro di Gianni Antonucci è quello di dare una visione d’insieme degli avvenimenti che hanno caratterizzato uno dei periodi più bui della storia del Bari, fatta di annunci roboanti, silenzi, promesse disattese, tradimenti. E la visione d’insieme è l’unica soluzione per affrontare le vicende più complesse e consentire a ciascuno di noi di farsi un’idea di quanto è accaduto. Perché la verità ha varie sfaccettature. C’è la verità giudiziaria, quella dei Tribunali alla fine dei tre gradi di giudizio che stabilisce come sono andate le cose, perché sono accadute, di chi sono le responsabilità. C’è la verità del buon senso, che a volte non corrisponde alla verità giudiziaria perché non ha bisogno di prove che reggano nei Tribunali ma solo del razionale concatenarsi dei fatti. C’è la verità storica, quella che a distanza di tempo si afferma con l’esame delle carte, dei ricordi, delle testimonianze e quando è condivisa diventa memoria. Gianni Antonucci è un uomo che cerca verità e risposte. Per questo lo ringraziamo.
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AMARCORD
GALLETTI E LA PARTITA STREGATA COL VERONA Gianni Antonucci
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LUI E MUJESAN FURONO SOPRANNOMINATI DAI TIFOSI “I GEMELLI DEL GOL”. NELLA STAGIONE ‘67-68 REALIZZÒ 12 RETI MENTRE L’ALTRO ATTACCANTE ANDÒ A SEGNO 19 VOLTE. ARRIVÒ NEL ‘63 DALL’INTER E DEBUTTÒ CON MAESTRELLI
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ranco Galletti aveva solo vent’anni quando sbarcava a Bari, per altro in serie A. Nato a Reggello in provincia di Firenze (dove attualmente abita) il 13 gennaio 1943 era cresciuto nel vivaio dell’Inter che lo cedeva al Bari nell’estate del 1963. Arrivava da autentico sconosciuto assieme a Nicola Bovari. Nonostante la prospettiva di giocare in serie A non si montava la testa sapendo attendere con pazienza il suo turno. Si allenava facendosi notare fra i rincalzi, si impegnava fino al punto da perdere due incisivi nella partitella di metà settimana con i rincalzi. Tommaso Maestrelli, un grande maestro del calcio italiano, lo faceva esordire in A il 24 novembre del 1963 sul campo della Sampdoria. Successivamente, sotto la guida del tecnico Tabanelli, trovava ulteriore spazio in prima squadra segnando 3 volte in 13 presenze. Tante le reti realizzate molte in coppia con Lucio Mujesan: i tifosi coniavano la famosa frase “attenti a quei due”. Galletti racconta spesso il gol segnato al Verona in una partita decisiva della B 1968. «A noi del Bari - dice oggi - bastava non perdere per sbarcare in A. La squadra, comunque, dopo un recupero ec-
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GALLETTI A sinistra, mentre ravvoglie il pallone dopo un gol segnato da Mujesan A fianco, la rete realizzata al Verona che non bastò alla promozione del Bari in serie A
cezionale era ormai cotta. La maggior parte di noi si sosteneva con le flebo. Il nostro capitano era Muccini. Eppure indistintamente tutti attendevamo la partitissima col Verona al Della Vittoria. Era il 16 giugno 1968, lo stadio era pieno come un uovo, vociante come una festa paesana. Partimmo come furie - ricorda -. Il Verona era a disagio e prima ancora che se ne accorgesse subiva un mio bellissimo gol. Sulle ali dell’entusiasmo continuammo ad aggredire, a galoppare verso la porta avversaria, a cercare il secondo gol con caparbietà, con rabbia, con una voglia matta di chiudere subito la partita. Sulle gradinate sembrava di essere a Piedigrotta. Una grandissima “A” fatta di fuoco e fiamme bruciava in alto, sollevando dense colonne di fumo, mentre tutto intorno il pubblico applaudiva. E tamburelli, trombe, tric-trac, sirene. Poi, il primo grosso errore: un’indecisione in difesa fra Casisa e Muccini, gli avversari conquistano il pallone e con rapidità lo mettono alle spalle del nostro portiere Miniussi. Lo stadio diventava di ghiaccio. Ammutoliva di colpo. Una sensazione tremenda di disfacimento. Il pareggio poteva anche bastare. Il Verona, trovava invece il pallone del secondo gol, 26 gennaio 2019 anno II n. 19
CON PUGLIESE VENNE CEDUTO ALLA REGGIANA OGGI ABITA IN PROVINCIA DI FIRENZE
quello del KO per noi. C’era ancora il tempo per raddrizzare la situazione ma non c’erano la calma, la sicurezza, le idee, le gambe. Si attaccava nervosamente, disperatamente, inutilmente. E fu la disfatta». Ragazzo tenace e molto corretto, Franco Galletti restava nel Bari (mentre Mujesan andava al Bologna) totalizzando complessivamente sei campionati durante i quali la squadra retrocedeva prima dalla A alla B e poi dalla B alla C per poi risalire dalla C alla B e ritornare in A a fine giugno 1969. L’avvento dell’allenatore Pugliese che chiedeva l’acquisto di Pienti faceva dirottare proprio Galletti alla Reggiana. Col Bari ha giocato 143 partite segnando 37 gol. Memorabili le due stagioni con Mujesan. Erano chiamati “i gemelli del gol”. Nella serie B 1967/68, quello della mancata promozione a causa della sconfitta con il Verona, Galletti riusciva a realizzare 12 gol mentre Mujesan ne faceva 19. Il giocatore aveva superato l’infortunio subito nel derby di Lecce dell’11 dicembre 1966 quando si procurava la lesione del menisco, restando per diverso tempo in tribuna. Ha lasciato nella tifoseria biancorossa un ricordo incancellabile: difficile, del resto, dimenticare sei stagioni giocate con il Bari.
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IL RICORDO DEL TECNICO
FASCETTI E IL FENOMENO MASINGA
IL SUDAFRICANO ENTRÒ NEL CUORE DEI TIFOSI SEGNANDO IL GOL DEL SUCCESSO AL MEAZZA CONTRO L’INTER IL SUO ARRIVO È STATO UNA DELLE GRANDI INTUIZIONI DI REGALIA
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Michele De Feudis
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ugenio Fascetti e Phil Masinga. E il Bari leggendario che espugnava il Meazza contro l’Inter. La memoria sportiva biancorossa ritorna così al 18 gennaio 1998. Contro i nerazzurri di capitan Javier Zanetti, i galletti si trasformavano e davano forma alla leggenda del piccolo Davide che sconfigge il gigante Golia. E in quella gara la firma fu del gigante buono sudafricano, celebrato in patria anche da Nelson Mandela. La scomparsa di Masinga, a soli 49 anni, è l’occasione per rivivere le stagioni del sorprendente Bari di Genio Fascetti in serie A, dal 1997 al 2001. «Masinga - racconta Fascetti al Biancorosso - non fu una scoperta. Lo vedemmo all’opera in una partita e poi è stato bravo il ds Carlo Regalia a portalo qui. Nel calcio non si inventa nulla. Regalia era un vero competente di calcio e realizzò un bel colpo». Sul piano tattico il Bari ebbe in rosa un attaccante straordinariamente completo: «Era un centravanti vero, fisicamente messo bene. La sua forza? Era tatticamente molto bravo, faceva salire la squadra. Era funzionale al mio calcio perché ci serviva un punto di riferimento. E poi, non bisogna dimenticarlo, Phil c’era anche quando bisognava lottare in fase difensiva». Il tecnico viareggino traccia anche un ritratto umano del bomber sudafricano (75 presenze e 24 gol in biancorosso): «Era un leader naturale, non aveva bisogno di imporsi. Si allenava con tanta cura, e così divenne un esempio per i compagni. Era sottovalutato, ma in campo faceva vedere tutto il suo valore». Contro l’Inter? «Quando vedeva nerazzurro si infiammava. Sarà stata l’aria di San Siro, ma anche al San Nicola segnò nel 1998 nella gara di ritorno, dopo il gol del Fenomeno Ronaldo. Vincemmo 2-1. Insomma Masinga si metteva a disposizione della squadra e quando poteva, faceva male agli avversari perché sapeva muoversi tra le linee avversarie. E noi ci allungavamo su di lui e grazie al suo talento». C’era una irripetibile alchimia in quel Bari: «Si giocava un bel calcio. Certi risultati non sarebbero arrivati. C’era una intesa particolare con la società e con i giocatori. Descrivo tanti particolari di quelle stagioni nel mio libro “Elogio del libero”, edito dalla La Gazzetta dello Sport. Nacque un legame fortissimo con il presidente Vincenzo Matarrese, mia moglie andava e veniva da Bari, ma avevo un gruppo affiatato con Carlo Regalia, Toni Sgobba e Vito Laruccia, un amico del patron con cui condividevamo la passione per il burraco. 26 gennaio 2019 anno II n. 19
«Quella squadra poteva davvero arrivare lontano se il presidente non fosse stato costretto a cedere giocatori di qualità per far quadrare i conti. Avevamo scoperto veri fuoriclasse: nessuno vince scudetti con i brocchi e noi facevamo bene perché avevamo giocatori bravi. Prendemmo Gianluca Zambrotta dal Como. Arrivò come ala pura, ma divenne un tornante. Allora non era un terzino. Giocavamo a cinque. Avevamo De Ascentis, Marcolini, Bressan, Volpi, Ingesson, De Rosa, Neqrouz. Il Bari aveva nello spogliatoio uomini veri». Ottantenne dallo spirito libero, Fascetti, in conclusione, rivendica la sua ruvida coerenza, qualità rara, tipica dei veri rea26 gennaio 2019 anno II n. 19
«QUELLA SQUADRA POTEVA DAVVERO ARRIVARE LONTANO»
zionari (non ha mai nascosto le sue simpatie destrorse e in gioventù si guadagnò il soprannome di Marion Brando del calcio italiano): «Sono un uomo di calcio con delle idee, le ho applicate, e tante mie intuizioni calcistiche si sono poi rivelate indovinate. Sono per cultura contro le balle. E nel 1956, quando nazionale azzurro juniores andai a Budapest. I giornali italiani magnificano l’Ungheria comunista come paradiso terrestre. Non era vero e l’ho toccato con mano. C’era tanta miseria… Ringrazio il calcio per questo: per avermi permesso, viaggiando, di aprire gli occhi sulla realtà di filtrarla con la mia testa, magari sbagliando, ma sempre con la mia testa».
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ARBITRI
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Francesco Damiani
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NEL SEGNO ANNI DI ANTONELLO
li arbitri di calcio baresi festeggiano i primi 90 anni di vita. Alla presenza del presidente nazionale dell’Aia, Marcello Nicchi, i fischietti della sezione barese si sono ritrovati per festeggiare un traguardo importante che pone la sezione del capoluogo fra le più importanti e longeve d’Italia. A tagliare la torta insieme con il presidente di sezione Nicola Favia, c’erano anche il presidente regionale della Lega Dilettanti e presidente nazionale del Settore Giovanile e Scolastico Vito Tisci, il presidente regionale dell’Aia, Giacomo Sassanelli, l’ex presidente della Federcalcio Antonio Matarrese, i rappresentati delle altre componenti calcistiche, Mimmo Ranieri per gli allenatori e Dario Loporchio per i calciatori, il presidente regionale del Coni Angelo Giliberto, il presidente del Consiglio regionale Mario Loizzo, l’assessore allo sport del Comune di Bari Pietro Petruzzelli e il presidente dell’Autorità Portuale dell’Adriatico meridionale Ugo Patroni Griffi. Nel corso del suo intervento, Nicchi ha toccato i temi più importanti del mondo arbitrale, dei sacrifici e delle soddisfazioni che può riservare la carriera, ma anche della violenza contro i direttori di gara anche se la Puglia è una regione in cui tali episodi sono ridotti al minimo. Riconoscimenti speciali alla carriera sono stati assegnati all’arbitro Luigi Nasca e all’assistente Fabrizio Posado, all’ex arbitro Antonio Giannoccaro ma anche a chi quest’anno celebra i cinquant’anni di tessera Aia. Commovente il ricordo Antonello Giordano, il giovane arbitro tragicamente scomparso due mesi fa in un incidente stradale, e di Marco Partipilo, altro arbitro scomparso in circostanza tragiche nel 2008. In sala c’erano le famiglie dei due giovani e a loro è stato dedicato un interminabile applauso. Nel corso della serata sono stati anche consegnati gli attestati ai partecipanti allo short master in “Organizzazione e gestione delle società e degli enti sportivi” organizzato in collaborazione fra l’Università di Bari e l’Associazione Arbitri. 26 gennaio 2019 anno II n. 19
LA SEZIONE DI BARI FESTEGGIA IL COMPLEANNO. IL COMMOVENTE RICORDO DI GIORDANO
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CALCIO GIOVANILE
RANIERI LA LUNGA EMOZIONE
DAL MONOPOLI ALLA JUNIORES BIANCOROSSA ALLA CORTE DI MISTER ALFIERI
Francesco Damiani
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l 2019 di Saverio Ranieri è cominciato con un turbinio di emozioni condensate nel giro di pochissimi giorni. Prima il passaggio dal Monopoli alla Juniores biancorossa. Subito l’esordio con gol e alla seconda partita già una doppietta. Una serie magica che purtroppo per lui e per la squadra di mister Alfieri si è interrotta nella gara interna persa contro il Fasano, ma la sconfitta (che consente comunque al Bari di rimanere al terzo posto in classifica) non ha certo tolto il sorriso dalle labbra di questo ragazzo classe 2000 che sta toccando il cielo con un dito. Tre gol nelle prime due partite giocate con la maglia del Bari. Come esordio non c’è davvero male. «Per me è stata una grandissima emozione esordire con questa maglia. Poi segnare già alla prima partita e realizzare una doppietta alla seconda con anche due assist ha reso tutto ancora più bello. E poi all’esordio in biancorosso in tribuna c’erano i miei familiari e la mia fidanzata oltre a un paio di amici». Tra l’altro sono stati gol importanti per il risultato e per scalare ulteriormente la classifica. «La prima rete segnata contro il Castrovillari è stata quella che ci ha permesso di chiudere la partita sul 2-0 e quindi di assicurarci la vittoria quindi è stata doppiamente importante». Per un ragazzo di Bari cosa significa indossare questa maglia? «Per me è sempre stato un sogno poter giocare in questa squadra anche se fino a poche settimane fa lo avevo realizzato solo in minima parte visto che avevo avuto un’esperienza con gli Esordienti sei o sette anni fa. Ma era durata soltanto tre mesi, troppo pochi. Poi è arrivata questa opportunità di tornare dopo aver iniziato la stagione a Monopoli e finalmente sono qua». Le pesava non riuscire a giocare nella squadra della sua città? 26 gennaio 2019 anno II n. 19
I PRIMI GOL SEGNATI DAL GIOCATORE SONO VALSI LA CHIAMATA PER UN ALLENAMENTO CON LA PRIMA SQUADRA
«Sì parecchio. Mi faceva star male dover andare a giocare fuori dalla mia città e non poter giocare con questa squadra. È sempre stato il mio sogno giocare nel Bari». Realizzato questo sogno, qual è quello successivo? «Ovviamente esordire in prima squadra e far parte del gruppo che, sono sicuro, sarà promosso in C. Poi, se l’anno prossimo vorranno confermarmi, sarei contentissimo». Fra quel primo assaggio negli Esordienti e il ritorno nella Juniores come si è sviluppata la carriera? «Principalmente fra Andria e Monopoli. Sono stato due anni ad Andria con qualche convocazione anche in prima squadra e poi, dopo il fallimento estivo della società il passaggio al Monopoli fino a dicembre scorso». Che gruppo ha trovato qui a Bari? «Una bella squadra, ben preparata. Mi piace anche molto come si lavora con mister Alfieri, in particolare nella preparazione della partita e nell’impostazione tattica. Si gioca molto con la palla a terra e mi piace molto». Come si descriverebbe come giocatore? «Sono un attaccante e quindi mi piace tantissimo fare gol magari sfruttando il fisico e infatti mi ispiro a Mandzukic della Juventus che è un giocatore fisicamente molto potente». Con i compagni di reparto come va? Perché magari arrivando a metà stagione l’inserimento può essere difficile. «No, va tutto benissimo fin dal primo giorno. Sia con Castiello che contro il Locri ha segnato una tripletta che con Pinto. Ci troviamo bene insieme». I primi gol con la Juniores sono valsi una chiamata per un allenamento con la prima squadra. Era emozionato? «Un’emozione grandissima. Ma soprattutto poter stare in campo con giocatori con Brienza e Di Cesare è stato fantastico. Sono stato accolto bene, Hamlili mi ha anche già dato alcuni consigli. Spero di poterla ripetere presto».
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A SPASSO COL BARI
TORRE DEL GRECO D
Gianluigi De Vito
TRASFERTA D’ANSIA LA VISITA DEL 3 FEBBRAIO A UNA DELLE SIGNORE DEL VESUVIO PALLONARO DELLA SERIE D È L’IMBOCCO DI UNA STRETTOIA DA BRIVIDO
IL VULCANO Torre del Greco una delle perle turistiche all’ombra del Vesuvio
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estinazione-verità. Torre del Greco è viaggetto sportivo dal cuore in gola. Distanza sottile, calcisticamente, e non solo (tre ore da Bari, 265 km percorrendo l’autostrada Adriatica/A14) quella che separa la regina biancorossa dalla vice capolista che trama sgambetti. Per carità, può bastare il vantaggio minimo di punti per fare il vuoto attorno. Ma la visita del 3 febbraio a una delle Signore del Vesuvio pallonaro della serie D è l’imbocco di una strettoia da brivido, superata la quale non ci dovrà più essere pertugio, piuttosto, un canyon da marcia trionfale. E la trasferta d’ansia è in linea col luogo, metafora di vita e morte, devastazione feconda e rigenerazione magica. Torre del Greco non è città da brodino caldo, nemmeno ai primi di febbraio quando il Generale Inverno non è ancora in congedo. È luogo bellezze estreme, tutta da esplorare. Perché Torre del Greco, cuore del Golfo di Napoli, è stata lingua di approdi secolari e sotto il fuoco fertile del Vesuvio incastona una paesaggio culturale che è sintesi di incroci lontani, meticciamenti e contaminazioni evidenti: greci e romani, angioini e svevi, spagnoli e francesi. Terra di scienziati e musicisti, di poeti e naviganti, di uomini di Stato e Beati, fino a raggiungere oggi una dimensione di 85mila residenti che la proiettano tra le più dense fette dell’area metropolitana di Napoli. Un riassunto uomo-natura che ha origini forse nel vino greco dal sapore unico, o forse in un eremita arrivato dall’Oriente, ma che di sicuro ha incantato musicisti come Mozart, poeti come Leopardi. Con la Capri fascinosa come dirimpettaia e l’ansia del vulcano sterminatore al fianco. Una lingua incantevole insomma che fa i conti con paradiso e inferno fin dall’antichità romana, quando i patrizi scelsero l’aria salubre di Torre del Greco per costruire le ville che tra pinete e spiagge avrebbero dato ristoro e salute. Le tracce di quella scelta romana sono evidenti: i resti di Villa Sora e dell’impianto termale – tappa d’obbligo - emergono dalla sabbia nera vulcanica a ricordo di un tra26 gennaio 2019 anno II n. 19
gitto secolare per nulla semplice visto che la città fu seppellita al pari di Pompei e Ercolano dall’eruzione del Vesuvio del 79. d.c. Come l’uccello del mito della fenice Torre del Greco è sempre risorta con nuova linfa (post fata resurgo è il motto sullo stemma di città simboleggiato da una torre) ingabbiando la paura del mostro Vulcano con una devozione contagiosa che ha generato chiese di pregio come la Chiesa di San Michele in Terra Santa (Seicento), l’Assunta dei cunicoli scavati nel tufo vulcanico, la Basilica di Santa Croce ricostruita dopo l’eruzione del 1794 (il campanile barocco rimase intatto). L’abbraccio della fede è diventato rito: quando la lava si ritirò dopo una delle devastanti eruzioni, i torresi attribuirono il pericolo scampato a un miracolo della Madonna Immacolata e da allora l’8 dicembre è giorno di processione da immortalare per la bellezza del carro votivo; così pure la festa dei «Quattro altari» (ogni terzo fine settimana di giugno) per le quattro scenografie su tela (dette «altari») esposte in quattro punti strategici della città: i tappeti di petali di fiori dal 1699 vengono esposti ogni anno nelle chiese. E sì, l’utero infuocato di Madre Terra dà borbottii inquietanti ma anche bottini ospitali visto che la lava rende il terreno così fertile da trasformarlo in un giardino ideale di fiori: Torre del Greco è uno dei più importanti centri italiani per le produzioni floricole e uno dei vanti turistici è la festa dell’Infiorata a Villa Macrina. L’economia passa pure di lì, dai fiori ma anche dal mare, E non è mica un caso se Giacomo Leopardi [Recanati, 1798 - Napoli,1837] l’ulti26 gennaio 2019 anno II n. 19
mo anno di vita trascorso a Torre del Greco compone La ginestra e Il tramonto della luna [«Qui su l’arida schiena - del formidabil monte - sterminator Vesevo»]. Villa delle Ginestre e via Villa delle Ginestre (aperta dal martedì alla domenica, dalle 10 alle 13; tel. 081 3625109) è itinerario imperdibile: la Villa fa parte del «Miglio d’Oro» e cioè di quel tratto di costa di residenze borboniche che sono la testimonianza del meglio dell’architettura del Settecento. C’è un altro vanto che proietta Torre del Greco nelle passerelle del Belpaese e del mondo e deriva dal mare, dalla lavorazione del corallo e dei cammei di conchiglia: l’«oro rosso» torrese fa strabuzzare gli occhi perché dal Settecento un grossa fetta di quella gente di mare è capace di trasformarsi in artigiani impareggiabili e i Borboni hanno fatto che sì che la lavorazione del corallo diventasse tradizione e «scuola» (il Museo del corallo è in un istituto scolastico superiore e non è visitabile di domenica). Con buona pace di chi ama lo shopping d’autore. P.S. Inutile o quasi ogni suggerimento su cosa e dove gustare il meglio dei sapori: Napoli è dietro l’angolo, la valanga dei comuni vesuviani limitrofi lascia una scelta sconfinata. Purché il palato sia orientato bene: primi di pacchero di Gragnano; secondi a base di pesce (polpo affogato in testa); vini dell’area, dal celebre Greco ai più ricercati Lacryma Christi e Pompeiano senza trascurare l’accoppiata storica pizza e Falanghina, vino simbolo del Sannio. Un nota di caffé e dolci da uscir pazzi: tazzina di caffè alla nocciola al «Caffé del Professore» (corso Garibaldi 2) e bignè con chantilly e fragoline inventato da «La Delizia» (via Giovanni XXIII 78) e proposto come Delizia Corallina. Sapori e visioni da perdere i sensi. «Anche a me qui sembra di essere un altro. Dunque le cose sono due: o ero pazzo prima di giungere qui, oppure lo sono adesso», scriveva del suo «Viaggio» Johan Wolfgang Goethe [1749 – 1832]. Pericolosa o benefica, che Turris sia. In fondo, non c’è solo la dimensione calcistica a rendere effervescente la trasferta campana. Buona vita.
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L’AVVERSARIO
IGEA VIRTUS SOLTANTO DUE VITTORIE Vito Prigigallo
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lmeno stando alla classifica (insomma, secondo la cosiddetta “carta”), l’Igea Virtus è l’avversario migliore che potesse capitare a una capolista all’indomani della prima sconfitta (in realtà la seconda: il Bari aveva già perso col Bitonto al “San Nicola” nel turno preliminare della Coppa Italia Dilettanti di Serie D) in campionato. Perché la squadra di Barcellona Pozzo di Gotto ha finora racimolato solo 14 punti (il saldo passivo dalla prima della classe è di 35 punti), ha vinto solo 2 volte (ha fatto peggio solo il derelitto Rotonda con 2) ed è uscito sconfitto dal campo in ben 12 occasioni. Oltretutto, ha la peggior difesa del lotto, con 31 reti al passivo, mentre ha prodotto la miseria di 14 gol (peggio ha fatto, ancora una volta, il Rotonda con 11). Insomma, non un punching-ball, ma certamente neppure un avversario da temere, ammesso che la squadra di Cornacchini debba aver timore di qualcuno tra le diciassette concorrenti nella corsa per riveder le stelle. DOMENICA SCORSA - L’Igea ha giocato d’anticipo, la scorsa settimana. Tra i dilettanti può accadere: quando c’è la festa patronale- nel caso, le celebrazioni in onore di San Sebastiano, anche il calcio deve inchinarsi. Non è cambiata la musica: la sempre più sorprendente Palmese ha folgorato i siciliani con 2 gol. Insomma, è arrivata la 5^ caduta al “D’Alcontres-Barone”. In trasferta, invece, la compagine di Barcellona Pozzo di Gotto ha perso 7 volta, pareggiato solo a Gela, all’alba del campionato, e a Troina. Ed ha vinto, manco a dirlo, in casa del Rotonda. Lontano da casa ha segnato solo 7 volte (non che abbia fatto meglio tra le mura amiche) ed incassato 15 gol (addirittura uno in meno che in casa). Insomma, numeri modesti, da qualunque parte li si esaminino. ALL’ANDATA – I galletti si affermarono con grande autorità ed autorevolezza in 26 gennaio 2019 anno II n. 19
LA SQUADRA Lo stemma e,in alto, la squadra impegnata nel campionato di serie D e l’allenatore Tedesco
contrada Petraro, grazie a D’Ignazio, Bolzoni e Mattera. Successo facile. PANCHINA ROVENTE – La guida tecnica (settant’anni fa venne affidata a Oronzo Pugliese, quando il mago dei poveri era all’inizio di una carriera che l’avrebbe portato ad allenare Bari, Foggia e Roma) è passata da Carmelo Mancuso (che fu calciatore anche di Milan e Lecce, con cui ha giocato 41 partite tra il ’95 e ’98, prima di concludere la sua carriera nel 2000 al Casarano; aveva detto che “per come stavano le cose tra maggio e giugno, questa squadra è un miracolo e quindi una salvezza tranquilla per questa città sarebbe già importante”), a Giacomo Tedesco. Era il 23 ottobre. E, guarda un po’ la coincidenza, anche in quel caso fu fatale la Cittanovese. Difatti, fu proprio dopo il clamoroso stop (0-4) con la Cittanovese a indurre il patron messinese Filippo Grillo a dare il benservito a Mancuso. Tedesco, il 1° febbraio 43 anni, ha appeso le scarpe al chiodo nel 2013 dopo aver giocato fra A e B, fra l’altro, con la squadra della sua città, il Palermo, il Napoli, il Bologna, la Salernitana, il Catania e la Reggina. Che ha allenato cominciando dalla Berretti e assumendone la responsabilità tecnica ad aprile del 2015, salvando i granata dopo il playout con il Messina. MULTINAZIONALE – Tra l’italo-bosniacotedesco Aaron Akrapovic, 24 anni, il 20enne colombiano Nicolas Garcia Asprilla, il 35enne maliano Souleymane Adama Diamoutené, il 23enne croato Ivan Perkovic e il 21enne Mahamadou Moussa Salifou, con la Palmese sono scesi in campo ben cinque stranieri. Come abbiamo visto, con ben scarsi risultati.
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DAGLI ANNI ‘80 AL ‘90
MITROPA CUP LA STORICA MAGLIA Il Nostro Bari
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l 16 giugno del 1985, dopo 15 anni, il Bari torna in serie A: ad accompagnare la marcia trionfale degli uomini di Bruno Bolchi è una divisa, ancora prodotta da Adidas bianca, che presenta nella parte superiore quattro strisce orizzontali rosse, le prime due si interrompono per la presenza di un colletto a V, mentre nella restante parte ci sono delle bande sempre orizzontali e rosse, ma più sottili. Lo sponsor è Cassa di Risparmio di Puglia, presente al centro. Il completo da trasferta, esibito dai galletti in occasione della sfida di coppa Italia contro l’Udinese nell’agosto del 1984 è rosso corredato da strisce verticali sottili e bianche e da un rettangolo contenente lo sponsor. Giunti in massima serie la casacca diventa più semplice essendo di tonalità bianca con leggere striscioline verticali rosse e l’ormai collaudato sponsor. Nonostante ciò si vedono, di rado però, altre due varianti del completo da gioco indossato da Cowans e compagni. Un mix delle divise utilizzate l’anno precedente porta alla produzione di una maglia che nella parte superiore è costituita da tre strisce orizzontali, di cui una centrale bianca e due rosse, mentre nella parte inferiore ci sono, in campo bianco, delle striature verticali sottili rosse che accolgono la scritta Cassa di Risparmio di Puglia, le maniche sono rosse. Di questa tipologia di maglia viene prodotta anche la versione complementare. Importante novità nel campionato 198788 quando compare sulle divise una nuova sponsorizzazione: si tratta di Sud Leasing, che accompagnerà il Bari fino al 1990. Oltre alle tonalità rossa e bianca c’è anche spazio per il blu, che contraddistingue le maglie utilizzate dal Bari nel derby vinto per uno a zero in casa del Barletta il 17 gennaio 1988. In quell’occasione una maglia blu, con il galletto e il nuovo sponsor inserito in un rettangolo bianco caratterizzano questa inedita divisa. È sicuramente nella memoria di tutti i tifosi biancorossi la divisa bianca con tre strisce rosse sulla manica e corredata da galletto e stemma Adidas che vide la sera del 21 maggio 1990 i galletti battere il Genoa aggiudicandosi la Mitropa Cup.
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LA CLASSIFICA 1
Bari
49
2
Turris
40
3
Marsala Calcio
32
4
Castrovillari
31
5
Cittanovese
31
6
Portici
30
7
Palmese
29
8
Nocerina
29
9
Gela Calcio
28
10
Città di Acireale
27
11
Troina
26
12
Locri
25
13
Sancataldese
22
14
Roccella
22
15
Città Di Messina
22
16
Messina
21
17
Igea Virtus
14
18
Rotonda
10
LE PROSSIME PARTITE domenica 27 gennaio ore 14.30 bari - igea virtus domenica 3 febbraio ore 14.30 turris - BARI Hai commenti, consigli, suggerimenti? Scrivi a:
ilbiancorosso@gazzettamezzogiorno.it
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